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Autore: Luxanne A Blackheart    18/06/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO NOVE.
Chiodo arrugginito.

 

Io lo amo più di me stessa, Ellen; e lo so da questo: tutte le sere io prego di potergli sopravvivere, perché preferirei essere infelice io, piuttosto che saperlo infelice. È la prova che l'amo più di me stessa.”
(Tratto da Cime Tempestose.)



Vladimir non esitò ad agire. Considerato che era il più vecchio e il più potente fra tutti i presenti, a nessuno fu possibile fermarlo prima che impalasse letteralmente al muro il povero ed ubriaco William. Per la potenza dell'impatto caddero tutti i quadri appesi alla parete e si formò una crepa abbastanza profonda, il ragazzo era praticamente incastrato tra Vladimir e il muro e non gli era possibile muoversi in alcun modo.
Il padre di famiglia aveva staccato la gamba del pianoforte a coda nero, presente nel salone e gliela aveva direttamente conficcata nell'addome, poco sotto il cuore. Se un caso o volontario, solo lui lo sapeva.
William vomitava sangue, scosso dalle risa e dalla leggerezza che le droghe e l'ubriacatura gli stavano provocando. I bei vestiti di alta sartoria italiana si erano definitivamente macchiati di sangue, il quale poco alla volta e con il suo odore metallico aveva risvegliato i sensi del resto della famiglia, troppo scioccati per reagire, per anche solo pensare di fermarli. Nessuno aveva mai realmente pensato che quei due arrivassero a quel punto; certo Vladimir gli aveva dato la caccia per un bel po' di secoli, dopo aver scoperto della relazione tra lui e Lucille, ma non era mai arrivato ad impalarlo, mai davanti a Camille e Lucille.
Camille piangeva sangue, nascondendosi dietro Roman che la stringeva a sé, come per proteggerla, ma la paura dai suoi occhi era lampante, nonostante stesse cercando di fare l'uomo forte e nella stessa identica situazione erano Jean e James. L'unica a non provare niente era Lucille, che se ne stava lì, a guardare con un accenno di sorriso.
“Dai, padre, uccidimi. Fallo, so che non aspetti altro. Uccidimi! Perché se non lo fai oggi, lo farò io e toglierò tutto il gusto di vedermi morire lentamente e agonizzante.”
“Smettila di fare lo sbruffone, William Nottern e smettila di prendermi per il culo. Tu non vuoi realmente morire e questi sono solo vaneggiamenti di uno stupido ubriaco, drogato di poesia da quattro soldi.”
“Mio caro Vlad, quella che assumo non è di certo poesia, ma ha diversi nomi. Se vuoi ti faccio provare, ti aiuterà ad essere più rilassato e magari riuscirai a soddisfare Camille, non deve essere facile vivere così a lungo. Non ha delle ripercussioni sul tuo Vladirino?”, Will ghignò, mostrando le zanne, sapendo che bastava un nonnulla per farlo alterare. Infatti, l'uomo ringhiò, spingendo ancora più in profondità il pezzo di pianoforte, inclinandolo leggermente all'insù. Will sentì la punta toccare la parte inferiore del cuore e questo servì a farlo gridare e vomitare altro sangue.
“Fermati, papà, fermati! Non è il caso che tu lo faccia adesso. È completamente fatto, non capisce ciò che dice e non ha il controllo delle proprie azioni. Aspetta, aspetta ancora un po' e potrai ucciderlo o ferirlo quando potrà difendersi. Adesso non c'è gusto, non trovi?”, disse Lucille, sedendosi sul divanetto da dove era stato prelevato William. Afferrò una delle bottiglie semivuote e portandosela alla bocca, nascose un ghigno crudele.
“Non la ascoltare. Lei prova ancora qualcosa per me e vuole difendermi! Le donne pensano con il cuore e non con la mente, sai che sono il sesso debole e...”, ma prima che avesse il tempo di terminare la frase e vomitare altro sangue, Lucille gli fu addosso e gli spezzò il collo in un unico e secco colpo. Vladimir estrasse il paletto di pianoforte, buttandolo per terra e si girò verso la unica figlia, guardandola con orgoglio.
“E' solo un idiota, papà, non vale la pena sprecare il proprio fiato con lui.”
“La prossima volta lo faccio secco.”, borbottò il padre, pulendosi di tutto il sangue sulla giacca e dirigendosi verso la moglie, che lo guardava con disapprovazione e si rifiutava di parlargli. “Andiamo, Camille, stavamo solo giocando. Sai che non farei mai del male a William.”
“E voi quello lo chiamate giocare? E' quasi morto, Vladimir, è quasi morto davanti ai miei occhi. Tu non hai idea di che cosa voglia dire perdere un figlio! Non lo fare mai più, mai più!”, Camille gesticolava animatamente, colpendo il marito sul petto, quando cercava di avvicinarsi. I due uscirono dalla stanza per discutere e rimasero solamente un Roman e un Jean sconvolti, un James deluso, una Lucille triste e un William con il collo spezzato e dissanguato.
“Lucille, che cosa ti è preso?”, chiese Roman, cercando di dirigersi dal fratello in condizioni pessime abbandonato al suolo, solo, depresso e senza nessuno in grado di difenderlo.
“Non muovetevi. Me la vedo io, andatevene e lasciatemi sola con lui. Non devo spiegazioni a nessuno, soprattutto a voi due. Lo porto io nella sua camera.”
“Ma...”, azzardò Jean.
“Andatevene!”, Lucille mostrò le zanne, facendo intuire ai suoi fratelli di essere arrabbiata e quelli, senza indugiare ancora un attimo, uscirono. Il primo fu James.
La ragazza si sedette per terra, scalciando le scarpe col tacco per essere più libera e prese in grembo il corpo tutto sanguinante del fratello, di William.
Lo guardò, spostandogli i lunghi capelli dal viso e carezzandogli delicatamente le guance. “Cosa non farei per te, William? Mi tratti sempre male e io sono sempre lì a cercare di salvarti quella maledetta testa malata e pazza. Dorian ha ragione, tu non mi meriti, come potresti? Tu non meriti nessuno. Eppure, nonostante io ne sia consapevole, nonostante io sappia che cosa è meglio per te, continuo a fremere ogni volta che mi parli, ogni volta che mi tocchi, ogni volta che mi sfiori, come se fosse la prima volta. Che cosa dovrei fare? Andarmene e lasciarti per sempre, non ritornare più? Non riuscirei a farlo, perché noi due siamo stati legati da un filo invisibile che se troppo teso, ci riporterà sempre l'uno dall'altra. Non si spezzerà mai. Persino litigare con te mi dà gioia, mi fa sentire me stessa.”, Lucille sospirò, baciandogli le belle labbra rosse per il sangue e sporcandosi anch'ella. “Se questo è amore, la vera pazzia cosa sarà mai? Dimmi, mio amore, quando proverai qualcosa di vero per me? Quando sarai pronto ad amarmi come ti amo io? Mai, non è vero? Beh, fai come ti pare, io andrò avanti e cercherò di essere felice con Dorian, lui saprà valorizzarmi e certamente non mi tradirà con la prima che capita. ”
Ma ella non ricevette risposta, solo il cupo ed soprannaturale silenzio della casa.


“Contento che voi siate venuta, signorina. Siete meravigliosa come sempre. Mi stupisco come voi possiate esserlo ogni giorno di più.”, Dorian le prese la mano, baciandogliela leggermente dopo che l'aveva aiutata a scendere. Come promesso una carrozza era venuta a prenderla puntuale e portarla all'appuntamento, ovvero a casa di Dorian. Un enorme palazzo vittoriano scuro e cupo, ma con un fascino particolare. All'entrata erano stati posizionati due vasi di rose rosse, di un colore quasi innaturale e dalle spine letali.
La fece accomodare, aiutandola a sedersi sulla sedia. Il grande salone era spoglio, se non fosse stato per l'enorme tavolo apparecchiato per due con un sacco di prelibatezze, che lei non avrebbe potuto mangiare. Stranamente lei e la sua famiglia odiavano consumare cibo normale, oltre a quello di cui avevano bisogno per sopravvivere. Solamente l'alcol sembrava essere gradito al loro organismo, quasi fosse uno strano scherzo del destino. I due ragazzi sedevano troppo lontani l'uno dall'altra e la conversazione, in quel momento, non era così semplice come lo era stato le volte precedenti. C'era qualcosa che la bloccava, probabilmente la rivelazione che lui le aveva fatto, il comportamento di William... Era troppo doloroso vederlo ridotto così ogni volta, le doleva il cuore, ma era troppo egoista per ucciderlo, per fare ciò che chiedeva. Come avrebbe fatto a vivere senza di lui, una parte del suo cuore, una parte della sua anima, una parte di lei, se lui se ne fosse andato? Era fatta di William per metà. Solo il pensiero le faceva così male da piegarla in due dal dolore. Così come a pensare di vivere anche solo un giorno senza James. Sarebbe morta, si sarebbe uccisa lei piuttosto.
“Che cosa volete da me, Dorian?”
“Sposarvi.”
“Come, prego?”
“Ci conosciamo da poco, non mi sento pronta a sposarvi.”
“Vorreste per caso sposare un brutto uomo più grande di voi di dieci anni e passare una infelice vita con lui solamente perché, in questo modo, fareste felice la vostra famiglia?”
“Certo che no, che orrore! La mia famiglia non farebbe mai una cosa del genere.”
“Allora forse state ancora sperando che quell'uomo a cui avete dato il cuore e a cui pensate tutt'ora vi possa chiedere la mano?”, Dorian sorrise, portandosi il bicchiere alla bocca.
“Non c'è nessun ragazzo, Dorian.”
“Allora siete libera di sposarmi.”
“Dovete chiederlo alla mia famiglia, a mio padre...”
“O a vostro fratello?”
“Come, scusate?”, Lucille lo guardò, non sapendo che cosa dire. Non poteva sapere di Will.
“Sì, insomma, siete la più piccola della famiglia. E' normale che i vostri fratelli si preoccupino per voi. Siete una donna e come tale andate protetta.”
Lucille alzò un sopracciglio, guardandolo contrariata e infastidita. “Protetta? Non sono un bestiame che deve essere protetto dai lupi. Mio fratello non mi protegge perché sono perfettamente in grado di proteggermi da sola.”
“Non sarete una di quelle ridicole donne che creano disordini, indossano vestiti maschili e chiedono stessi diritti di noi uomini?”
“Non lo so, potrei? E anche se fosse, uomini e donne non sono diversi.”
“Certo che lo sono. Voi siete il sesso debole, dovete pensare alle cose frivole. A noi la politica e il comandare il paese.”
“Basta così, Dorian! Non intendo ascoltare oltre. Quando vi sarete calmato, allora potrete cercare di riacquistare la mia stima. Altrimenti per me voi avete smesso di esistere.”
“Ma Lucille...”
“Non una parola!”, la ragazza si alzò dal tavolo e senza aggiungere altro, raccolse le gonne e uscì dalla casa, ignorando la voce di Dorian, che le sembrava solamente fastidiosa.






Era molto arrabbiata perciò si recò dall'unica persona in grado di calmarla. Roman si trovava nel suo laboratorio, che occupava tutto il sotterraneo della vecchia e macabra tenuta dei Nottern; lavorava a qualche diavoleria che solo lui riusciva a comprendere, mentre la ragazzina che aveva trovato ad origliare nella sua stanza era seduta al suo fianco e lo guardava lavorare con ammirazione, non perdendosi neanche una mossa.
Adesso nei suoi confronti provava solamente indifferenza e non le interessava minimamente, era semplicemente un insignificante insetto che suo fratello aveva preso sotto la sua protezione, stranamente. Roman era sempre stato un po' strambo, a dire il vero, ma era un ottimo ascoltatore e con la sua voce profonda e l'aspetto da vichingo possente riusciva sempre a metterla a suo agio.
“Ciao, fratellone. Cosa fai?”, Lucille gli andò incontro abbracciandoselo stretto, sotto lo sguardo impaurito della ragazzina che si torturava le mani, in preda al panico. La upir la guardò, squadrandola da capo a piedi. “Da quanto tempo indossi lo stesso abito?”
“Una... una settimana signora...”
“Lucie, non la spaventare. E' mia amica.”, la rimproverò Roman, dandole un bacio sulla fronte.
“Sono calma e disponibile. Le stavo per offrire due dei miei abiti, considerato che resterà per molto tempo con noi e visto che tu non me la vuoi regalare.”
“E' solo una bambina.”
“Lo siamo stati tutti. Ad ogni modo, ti piacerebbero o no?!”
La ragazzina annuì, deglutendo. “Sì, vi ringrazio.”
“Bene, vai nelle mie stanze, che conosci alla perfezione, cerca e prendi quello che vuoi nel baule rosso sotto il letto. Se vuoi prendilo tutto, sono abiti che non indosso più.”, vedendo che la ragazza non si muoveva, alzò il sopracciglio, facendo un cenno infastidito con la mano. “Corri, prima che cambi idea!”
Guardò i due, prima di ricevere l'approvazione di Roman e correre via, diretta al piano di sopra. Chiunque avesse incontrato non le avrebbe fatto niente, sapevano fosse sotto protezione di Roman.
Lucille si sedette al posto della ragazzina, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi il viso fra le mani. Guardò il fratello lavorare con quegli oggetti, fatti di fili e oggetti metallici. Non chiese di cosa si trattasse, non le interessava e comunque non avrebbe capito. La tecnologia non era tra i suoi passatempi preferiti.
“Che cosa succede, Lucille? Non vieni mai a trovarmi qua giù se non per parlarmi. E devo supporre che sia lo stesso motivo che affligge Will. Siete sempre l'uno il tormento dell'altra.”
Nel sentir pronunciare il suo nome, la donna ebbe un colpo al cuore, come se qualcuno le avesse fatto penetrare un vecchio chiodo arrugginito più in profondità. Era questa la metafora più adatta a descrivere cosa erano e com'era il loro rapporto. Erano l'uno il chiodo arrugginito dell'altra e qualunque cosa facessero, qualsiasi parola detta, uno sguardo apparentemente casuale, lo sfiorarsi nello spazio angusto della carrozza, facevano sì che questo chiodo penetrasse sempre più in profondità, aumentando il dolore e il loro amore. Binomio onnipresente nel loro rapporto.
Erano l'uno l'anima dell'altra, come Catherine e Heathcliff di Cime Tempestose, e senza anima non si poteva vivere, la vita non aveva senso, anche se tormentata e senza la possibilità di amarsi.
“Che cosa voleva?”
“Parlare...”
“E non puoi dirmi di che cosa?”
Roman scosse la testa abbozzando un sorriso. “Venite da me e io mantengo i vostri segreti. E' la regola. Di che cosa vuoi parlarmi, Lucille?”
“Di lui, di William.”
“Che cosa ti ha fatto, questa volta?”
“Niente, lui non ha fatto niente. E' questo il problema. Lui si culla nella sua tristezza e nel desiderio di morire, è infelice e io non posso far niente per tirarlo su. L'amo più di me stessa e non so come io abbia fatto a non urlare e uccidere nostro padre all'istante questa sera. Vederlo infelice, rende me infelice. Siamo collegati, Roman. E io lo amo più di me stessa, lo amerò sempre più di me stessa.”
“Allora perché non vai da lui e glielo dici? Perché non ti apri con lui e gli dici quello che provi?”
“Perché tutto è contro di noi. Il mondo, Vladimir, la sua pazzia e lui. Mi ha fatto quasi uccidere per puro divertimento. Non è facile amare William Nottern, Roman. Lui ti consuma, ti porta a livelli che neanche immagini; un attimo prima tocchi il paradiso e quello dopo sei all'inferno a bruciare tra le fiamme. L'amore di Will è tossico, è pazzia.”, Lucille sbuffò, non riuscendo a fermarsi dal pensare a quel breve periodo in cui erano stati felici, sposati e normali. Le sue carezze, le sue lettere, il suo amore, i suoi baci.
“E allora smetti semplicemente di amarlo, fuggi, sposati con quel Dorian Grey e non ritornare più.”
“E' un idiota.”
“Non è Will.”, disse Roman, ridacchiando.
“Non è Will. Cosa posso fare allora?”
“Vattene e non ritornare più o amalo e fatti consumare.”
“Non posso andarmene. Non sopporterei di venire a scoprire della sua morte. L'unico motivo per il quale è ancora vivo sono io.”
Aveva tanta voglia di piangere, tanta voglia, ma non poteva permetterselo.
“Io credo che con te, dopo questa brutta depressione e infelicità, diversa da tutte le altre, lui riuscirebbe ad uscirne e ad essere felice. Sarete felici un giorno, dovete solo trovare il coraggio di amarvi e di eliminare questa paura di ferirvi. Comincia con piccoli passi, va da lui e stagli affianco. Ha bisogno di te, James poveretto non ce la fa più.”
Lucille ci pensò su seriamente, cercando di immaginare un'altra possibilità, una vita assieme a lui. Vide loro, rintanati in una piccola isola sperduta nell'oceano, vestiti di bianco e felici ogni giorno della loro vita, senza mai litigare, senza mai essere l'uno il tormento dell'altra... Ma quanto poteva durare questa loro felicità? Un secolo massimo e poi cosa? Chi si sarebbe ucciso prima, chi sarebbe stato consumato dalla fiamma del loro amore fuori di testa?
“Ho deciso cosa fare.”




Bussò alla porta scura, aspettando qualche attimo prima che il proprietario venisse ad aprirle. Dorian era in vestaglia e fu sorpreso di vederla lì, dopo la sfuriata che aveva avuto. Se si fosse trovata in un'altra circostanza, probabilmente lo sarebbe stata anche lei.
“Lucille, mi dovete scusare per prima e...”
“Fate parlare me ora, Dorian.”, Lucille lo zittì, poggiandogli la mano sulle labbra. “Io odio le persone che pensano che le donne siano semplice merce, semplici trofei, il sesso debole, come lei ci ha definite. Siamo in grado, e abbiamo dimostrato ampiamente, di essere all'altezza di voi uomini in tutto e per tutto. Se vorrete avere la mia mano, l'avrete, ma a costo che io non vi senta parlare così in mia presenza, altrimenti renderò la vostra vita impossibile. Siamo d'accordo?”
“Sì, cercherò di rispettare il vostro volere, Lucille.”, Dorian sorrise, facendosi da parte e facendola entrare. “Entrate, prego.”
La ragazza gli afferrò il viso, stampandogli un bacio sulle labbra, prima di seguirlo nella sua futura casa.
   
 
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