Al
mio Leo,
in
attesa del colpo di genio e una mazzata di feels.
E
tu sai a chi mi riferisco.
♡
Incanto d’una notte senza stelle
paris \’pa-rǝs\ n 1: a sentimental yearning for a reality that isn’t genuine; 2: an irrecoverable condition for fantasy that evokes nostalgia or day dreams.
La Tour Eiffel riluceva in migliaia di
minuscoli lumini dorati contro la volta scura, gigantesca e maestosa
ed elegante, attorniata dagli aloni fiochi degli
Champs-Elysées poco
distanti. Echo immaginò che la Senna in quel tratto dovesse
persino
risplendere: se bastavano semplici lampioni a proiettare scintille
come frammenti di topazio sulle sue acque torbide, il paesaggio
dipinto da quella stramba piramide di ferro doveva essere a dir poco
magnifico.
Ciò che veramente illuminava la notte
bohème di Parigi, Echo lo sapeva bene,
era lì di fianco a
lei, a stringerle tranquillo la mano nel loro girovagare senza meta
per i viottoli della capitale. La visione di Midnight in Paris
– quella mattina, abbracciati sotto le coperte candide
– doveva
averlo coinvolto un po’ troppo; non che a Echo dispiacesse.
Dopotutto Oz era una guida entusiasta e curiosa; quante cose, quante
meraviglie avevano scoperto negli angoli più nascosti della
città
per merito suo! (Nonostante le comode ballerine blu calzate poco
prima le dolevano ancora i piedi, ma l’orgoglio e la palese
gioia
di Oz nel farle da cicerone nella sua città natale le
ripagavano
ogni sofferenza).
Con una leggera folata più fresca delle
precedenti, Echo lasciò che il proprio nasino sprofondasse
nel
tessuto profumato della sciarpa dalle tinte azzurrine. Ne
sollevò
giusto un lembo, strofinandolo con delicatezza sulle guance e lo
sguardo basso, rivolto al pavimento lastricato: il riverbero, il solo
pensiero, della calorosa accoglienza che tutti a casa Vessalius le
avevano riversato quel pomeriggio avvolgeva profondità che
Echo non
avrebbe mai sospettato poter rischiarare così. La
cordialità
sincera di mademoiselle Ada, il gran sorriso di monsieur
Oscar... persino la severità materna della governante; per
lei che
aveva conosciuto solo rumore e gelo, una famiglia così
appariva come
un meraviglioso campo di girasoli. Persino Gilbert, ormai di casa,
era parso trattarla con meno distacco del solito. Che si fosse
arreso? La fiamma che bruciava cheta nelle iridi sfumate di topazio
avrebbe avuto qualcosa da dire in merito, ma Echo ben sapeva come
Amore fosse capace di incredibili misteri.
«Oh!» esclamò in quel momento
Oz,
indicando con la mano libera – l’altra sempre
stretta alla sua,
quasi fossero cucite insieme – le finestre illuminate di un
locale
poco distante. Era molto tardi, almeno per gli standard di Echo, e
trovare un bar ancora aperto a quell’ora sorprese non poco la
ragazzina di provincia che sarebbe sempre stata; la verità
era che
ben ricordava le case buie e i profili grotteschi dei cipressi sparsi
qua e là per quel posto dimenticato da Dio che definiva suo
malgrado
casa, i passetti veloci di lei e Noise e le orecchie tese, in
ascolto, in attesa di nemmeno loro sapevano cosa.
«Entriamo?»
Era disarmante, il sorriso di Oz
Vessalius, e così sincero – davvero, a volte
pareva persino
splendere – da poter illuminare un’intera stanza.
Echo arrossì,
annuendo e precedendolo mentre le teneva aperta la porta –
come un
gentiluomo d’altri tempi.
Cielo, stava diventando così
stucchevole e smielata... Ma la cosa non poteva essere poi tanto
negativa; dopotutto, per la prima volta dopo molti, molti anni, Echo
si era sentita leggera come una piuma.
Sì, una piuma – dalle sfumature
pallide, appena accennate, pronta a disperdersi in quell’aria
di
vetro. Così lieve che il passato quasi svaniva, e
così i ricordi, e
con loro gli incubi.
Si sedettero al primo tavolino libero,
commentando l’arredamento accogliente in pieno stile liberty
e
scrutandosi a vicenda da sopra i menù che un cameriere
dall’aria
fin troppo seriosa s’era affrettato a porgere dinanzi a loro:
l’atmosfera era così rilassata, con le note di I
Love Penny Sue
a risuonare nell’aria stantia e i pasticcini dalle graziose
tonalità pastello – pochi reduci, a onor del vero
– esposti con
cura sul bancone lì di fianco.
La mano di Oz aveva lasciato la sua in
quel momento, eppure Echo non si sentiva affatto abbandonata.
Sfiorò
con lo sguardo le iridi smeraldine del suo fidanzato, del suo
migliore amico, nell’ordinare due cioccolate con panna e
scivolò
col pensiero sotto lo stipite della porta, in silenzio, verso una
notte parigina densa di luci e ombre che convivevano in perfetta
armonia. Pensò a Oz, a come i suoi capelli riflettessero
l’oro
delle spighe di grano nelle giornate più assolate, e giunse
alla
conclusione che no, non c’erano accostamenti astrali che
potessero
sminuirli così, loro ch’erano sì
dannatamente falsi, reietti a
modo loro, eppure così dolorosamente veri, così
dolorosamente vivi.
E felici, in quell’attimo di pace assoluta nella caotica
Parigi.
♡ post
scriptum.
Salve,
fandom di Pandora Hearts! Se vi dicessi che per questa storia mi sono
ispirata alla nota canzone Paris dei Coldplay, che parla di
tutt’altro, ci credereste? Ebbene sì, è
così! A onor del vero è
stata proprio quest’ultima a fornirmi qualche spunto per
l’atmosfera, senza contare poi l’effettivo
contributo di Midnight
in Paris. Dovete sapere che è da qualche tempo che
lavoro a
questo brano, ma solo ultimamente – con la
maturità che incombe e
il nervosismo che si fa decisamente sentire – ho trovato la
combinazione perfetta di tempo e ispirazione per concluderla. Che
dire, la notte è davvero un’ottima consigliera...
ma la verità è
che questi due sono fin troppo teneri per abbandonarli così!
Come
scritto nell’introduzione, ci tengo inoltre a ringraziare witchakko
per gli innumerevoli scleri e, soprattutto, per avermi iniziata a PH.
Sai bene che devo ancora finire di leggerlo, Leo, e che d’ora
in
poi sarà tutta sofferenza nuda e cruda; grazie
però, perché
probabilmente se non fosse stato per te e qualche altra personcina
quest’opera mi sarebbe rimasta indifferente. ♡
Detto
ciò, mi metto subito al lavoro per la mia prossima storia in
questa
sezione. Siete avvisati! Non me ne andrò tanto facilmente,
eheh.
aki