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Autore: Betta7    18/06/2017    5 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 18.
ONDA.

Pov Sana.

 Stavo da circa un quarto d'ora nella stessa posizione perché il fotografo continuava a dirmi di star ferma, sentivo i muscoli delle gambe intorpidirsi lentamente ma non ci feci caso, cercando di pensare ad altro. Ad Akito, per esempio, e a quanto la nostra vita si stesse trasformando nel più assurdo dei disastri.
Non riuscivamo a passare insieme nemmeno dieci minuti di fila, e a volte non eravamo nemmeno in grado di incastrare i nostri impegni quindi finivamo per non vederci per giorni. Era uno strazio. Da quando avevo cominciato a collaborare con il marchio di lingerie avevo dovuto spesso uscire dalla città e Akito nel frattempo era tornato all'università e ad insegnare in palestra. La nostra era una vita troppo frenetica. In più c'era da pensare alla riabilitazione di Natsumi e a Kaori, che mi mancava terribilmente.
Cambiai posa, mi costrinsi a sorridere anche se in realtà mi ero appena resa conto che la bambina mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare. Per quattro mesi l'avevo accudita, coccolata, l'avevo cullata quando stava male di notte, l'avevo nutrita, era stata esattamente il prolungamento di me stessa e adesso che era tornata da sua madre – cosa di cui ero veramente felice – mi sentivo un vuoto nel cuore. In compenso c'era Akito, e ciò che provavo per lui bastava a riempire quel vuoto. Magari avremmo potuto avere noi una bambina tutta nostra.
Mi bloccai per un attimo. Ma cosa diavolo mi veniva in mente? Un figlio? Io e Akito? Sarebbe stata una pazzia, un'assoluta e totale follia. Non eravamo pronti, eravamo due ragazzini che si erano sposati per necessità. E adesso che quella necessità non ci sarebbe stata più cosa ne sarebbe stato del nostro matrimonio? Era una domanda che mi torturava da giorni, da quando Natsumi aveva ripreso Kaori con se in realtà, e non facevo altro che pensarci. Lui avrebbe potuto chiedere la separazione, avrebbe potuto decidere di allontanarsi da me. Non sapevo cosa avrei fatto in quel caso. Forse mi sarei distrutta lentamente. Forse mi sarei buttata così tanto sul lavoro da avere un esaurimento nervoso.
Entrambe le opzioni facevano decisamente schifo.
Cercai di spostare i pensieri da un'altra parte, mentre il fotografo mi faceva cenno di mettermi supina e poggiarmi sul cuscino alle mie spalle. Eseguii gli ordini e dopo qualche scatto il fotografo si fermò, finalmente.
“Facciamo una pausa ragazzi, grazie Sana. Cambiati e ci rimettiamo a lavoro tra quindici minuti.”
Scattai in piedi e la mia assistente mi passò l'accappatoio. “Grazie Miya.” dissi sorridendole. Era una ragazza molto carina, ed ero sicura avesse una cotta per Shoici, il ragazzo che si occupava delle luci. Si scambiavano occhiate in continuazione, mentre lui sistemava le luci e lei si preoccupava che il mio naso non fosse lucido. Mi veniva quasi da ridere guardandoli, perché si creavano tutti quei problemi nel dirsi i loro sentimenti?
Da che pulpito, pensai. Io e Akito ci avevamo messo anni, secoli direi, a parlare a cuore aperto l'uno con l'altro, e c'era voluto un matrimonio e mille problemi prima di farlo.
Non ero certa che il nostro matrimonio avesse delle basi salde e propriamente sane, ma era comunque un matrimonio d'amore e quello doveva bastare ad entrambi per stare insieme.
Dopo aver ripreso il servizio fotografico e averlo finito circa un'ora dopo, l'unica cosa che volevo era tornare a casa da Akito. Prima, quando tornavo a casa e la trovavo vuota, non provavo nessun senso di solitudine: mi piaceva il silenzio e mi piaceva non dover dipendere dagli orari di nessuno. Ora, forse perché con Akito tutto mi sembrava nuovo e completamente magico, tornare a casa e trovarlo ad aspettarmi era una delle cose più belle della mia giornata.
Quando arrivai a casa lo trovai in cucina, sul divano, con il computer sulle gambe e tutte le luci spente.
“Ma hai idea di quanto tu sia inquietante in questo momento?”. Mi avvicinai, gli diedi un bacio e mi diressi ad accendere la luce per preparare la cena.
“E tu hai idea di quanto tu stia diventando una moglie petulante e fastidiosa?”. Akito mi sfoderò uno dei suoi rarissimi sorrisi e si alzò dal divano, mettendosi dietro di me per abbracciarmi.
Poggiai la testa sulle sue spalle, inspirando il suo profumo, mentre avevo le mani sotto il getto dell'acqua.
“Sei sicura di avere fame? Perchè io avrei un'altra idea di sazietà.”
Il mio respiro si fece più cadenzato, il cuore cominciò a martellarmi nel petto. Mi voltai e, senza farmelo ripetere due volte, gli saltai addosso cingendogli la vita con le gambe.
“Bene, vedo che sei d'accordo con me.” e senza dire nulla mi portò in camera da letto.


*

Dovevo aspettare.
Nella scatola diceva di aspettare tre minuti. Avrei resistito tre minuti? No, probabilmente no. Ma dovevo.
Sarei morta nei successivi tre minuti, lo sapevo.
Ero seduta dentro la vasca, completamente vestita e tra le mani avevo il mio primo test di gravidanza. Non sapevo cosa fare. Se strapparmi tutti i capelli. Se mettermi a urlare. Se riempire la vasca e annegare lentamente. Nei successivi tre minuti avrei contemplato i mille modi in cui avrei potuto suicidarmi.
Quanto tempo era passato? Un minuto? Dieci secondi? Mi sentivo in una bolla. Akito sarebbe tornato tra un'ora circa, e io non avevo idea di come dargli la notizia, se fosse stato come sospettavo.
Guardai il cellulare, mancava un minuto. Pensavo che sarei impazzita nel frattempo.
Cosa avrei detto a mia madre? Diamine, mia madre avrebbe fatto i salti di gioia e io mi preoccupavo di lei. Rei si sarebbe fatto venire un infarto. Il signor Hayama e Natsumi sarebbero andati in shock. Le mie amiche mi sarebbero saltate addosso.
Immaginavo la reazione di tutti, tutti meno che Akito, l'unica persona di cui mi importasse davvero. L'unica persona che avrebbe potuto distruggermi con uno sguardo.
Nello stesso momento in cui la porta di casa si aprì, il cellulare cominciò a suonare, avvertendomi che il verdetto era arrivato.
Alzai la mano, guardai lo stick e andai in iperventilazione.
Due lineette. Due.
E il mondo, per come l'avevo sempre conosciuto, andò in pezzi.

*

Akito mi chiamava dalla cucina, ma io non riuscivo a muovermi. Cercavo di dare dei comandi al mio corpo, ma le mie gambe non rispondevano ai comandi. Avevo il cervello completamente sconnesso dal corpo.
Sentivo i passi di Akito avvicinarsi alla nostra camera e urlavo a me stessa di muovermi, di fare qualcosa, ma non ne ero in grado.
“Sana?”. Akito abbassò lo sguardo e, quando mi vide, si piegò sulle ginocchia vicino a me. “Che succede? Cos'hai?”.
Mi voltai a guardarlo, aveva gli occhi pieni di paura, la stessa paura che avevo io. Quando si accorse del test di gravidanza il suo sguardo cambiò, ma io non riuscivo a dirgli niente. La mia bocca non si muoveva. Mi sentivo impotente con il mio stesso corpo.
“Sana? Sana, guardami.” Mi prese il viso tra le mani e lo spostò in modo che i nostri occhi si incontrassero. Abbassai lo sguardo. Non ero in grado di reggerlo in quel momento.
“E' quello che penso?”. Non feci altro che annuire. Avevo provato a dire qualcosa, ma dalla mia bocca era uscito solo un balbettio confuso.
“Posso vederlo?” disse porgendomi la mano per prendere il test. Glielo diedi.
Misi la testa sulle ginocchia. Stava per venirmi un attacco di panico.
“Ci sono due linee.” disse Akito. Le sue parole mi sembrarono una sentenza definitiva. “Cosa significa?” sospirò. “Ti prego Sana, non sono per niente pratico con queste cose.”
Non riuscivo a parlare, continuavo a dondolare avanti e indietro dentro la vasca da bagno come una pazza squilibrata. Aspettavo solamente il momento in cui mi avrebbe urlato contro e detto che era una pazzia, che non era possibile, che era stato attento, che non potevamo avere un figlio. Non in quel momento.
“Sana, ti prego. Ti prego. Ho bisogno di sentirlo da te.”
Non potevo lasciarlo nel dubbio, anche se sarebbe bastato leggere la scatola.
Alzai la testa, fissai un punto indefinito davanti a me e poi lo dissi.
“Significa che sono incinta.”
Nella camera calò il silenzio. Potevo sentire il rumore dell'orologio in cucina. Akito se ne stava seduto sul letto, accanto a me, senza dire una parola.
Ero certa che avrebbe reagito così.

*
Pov Akito.

Non sapevo se la mia anima era uscita dal mio corpo per poi rientrarci con prepotenza, avevo sentito solamente un grosso pugno al centro del petto, come se qualcuno mi stesse seduto addosso. Era una sensazione strana. Non l'avrei mai più riprovata nella mia vita. Non come in quel momento.
Sana sembrava in trance, non aveva alcuna reazione. Si limitava a guardare davanti a se, senza dire nulla. Sembrava quasi non respirasse nemmeno.
“Lo so che non è quello che vuoi.” esordì improvvisamente. Speravo scherzasse.
“E' la cosa che voglio di più al mondo.” fu la prima cosa che mi venne in mente. Ma era la verità. Volevo quel bambino. Volevo una famiglia. La volevo con Sana.
Lei si voltò finalmente a guardarmi, le lacrime le scendevano lente sulle guance. “Davvero sei felice?” mi chiese singhiozzando.
“Mai stato più felice di così in vita mia, te lo giuro.”
“Io penso che sarà troppo complicato. Siamo sposati da pochissimo, non sappiamo nemmeno com'è la vita di coppia. Come possiamo essere genitori?”
Sana mi stava mostrando le sue incertezze, e io sapevo che erano solamente dovute alla paura di non essere all'altezza, alla paura che io non lo volessi, alla paura di non riuscire a conciliare le due cose: il nostro matrimonio e il ruolo di genitori. Ma era davvero così? Non avevamo dato abbastanza prove del nostro amore? Perchè lei ne metteva altre sulle via?
“Chi se ne frega del come, Kurata! Lo siamo già! Siamo genitori! Dentro di te c'è qualcosa di mio, di tuo. Chi se ne importa di come faremo. Siamo io e te, il resto non conta.”
Mi alzai velocemente dal letto e la costrinsi a spostarsi, per mettermi nella vasca insieme a lei. La abbracciai, stringendola fortissimo.
Sentii che chiudeva gli occhi, poggiando la testa sulla mia spalla.
“Ce la faremo Sana. Ce la facciamo sempre.”
Le baciai la testa e rimanemmo lì per un po', finché entrambi non ci ritrovammo a toccare la sua pancia. Il mio cuore e il suo cuore battevano lì dentro, non c'era niente di più bello.

*

Dopo aver saputo della sua gravidanza, io e Sana non avevamo fatto altro che comprare tutine e pigiamini al bambino. Sana si ostinava a dire che sarebbe stata femmina, voleva una bambola da vestire e a cui insegnare a truccarsi in futuro. Io non volevo azzardare nessuna ipotesi, a me bastava che esistesse, che fosse reale e soprattutto sano, il resto non aveva molta importanza. Guardavo Sana fare progetti sulla camera del bambino, la vedevo emozionarsi con me, ma non potevo fare a meno di notare anche la sua enorme e comprensibile paura. Anche io avevo paura, avevo paura di fallire come marito e come padre, di non supportare lei o di non saper fare il genitore, ma lei era più nella fase dell'incredulità ancora. Si, era felice, o almeno così' sembrava, ma non mi mostrava quella felicità, era sempre contenuta e poco espansiva, comportamenti che non erano da lei. Avevo attribuito quell'atteggiamento allo shock, alle paure naturali che vengono a qualsiasi donna nello scoprire di essere in dolce attesa, ed ero andato avanti. Avevo continuato a sognare in grande, ad immaginare altri figli, altre risate, altre voci per casa, e il solo pensarci mi faceva sentire pieno di gioia. Non avevamo detto ancora niente a nessuno della nostra famiglia e nemmeno ai nostri amici. Era difficile spiegare che dopo pochi mesi di matrimonio – per giunta non esattamente il matrimonio perfetto – che aspettavamo un bambino. Non era facile nemmeno realizzarlo tra di noi, figuriamoci dirlo a qualcun'altro.
I miei pensieri si affollavano mentre aspettavo Sana fuori dagli studi televisivi, Rei non poteva passare a prenderla quindi le avevo imposto di non prendere il taxi e aspettarmi.
Era uscita correndo, mentre io la guardavo dalla macchina muoversi dentro quel vestito a fiori che, ovviamente le calzava a pennello. La pancia era già un po' cresciuta, ma lei si ostinava a portare abiti larghi per evitare che qualcuno se ne accorgesse. Sana entrò in macchina e si mise la cintura, poi si voltò e mi diede un bacio a fior di labbra.
“Aspetti da tanto?”. Scossi la testa, anche se l'avessi aspettata per ore non gliel'avrei mai detto.
Mentre mettevo in moto ricordai che dovevo parlare a Sana del torneo di karate della settimana successiva. Era già da un paio di giorni che ne ero a conoscenza, ma con le cose da comprare per il bambino e tutte le cose che ci avevano preso avevo dimenticato di dirglielo.
“La settimana prossima mancherò un paio di giorni, Kurata.” dissi mentre svoltavo a destra. “Ho un torneo di karate con i ragazzi e devo accompagnarli necessariamente io perché Asuke è impegnato con le gare cittadine.”
Sana annuì ma non disse nulla, non era facile lasciarla in un momento del genere ma non potevo farne a meno.
Arrivati a casa preparammo la cena, mangiammo in salotto ed andammo a letto presto. Eravamo distrutti, lei perché aveva lavorato tutto il giorno allo studio televisivo e io perché stare dietro a venticinque bambini non è esattamente una cosa semplice.
E tra qualche mese la nostra vita sarebbe stata ancora più complicata.

Mi addormentai sul suo pancino che stava già cominciando a crescere, essendo alle porte del quinto mese, pensando che al mio ritorno forse l'avrei trovato ancora più cresciuto e che, finalmente, avremmo potuto spiegare quell'improvviso aumento di peso. Forse, finalmente, saremmo stati felici.
Pov Sana.
Akito era partito presto quella mattina, io non ero riuscita ad alzarmi e Rei mi tartassava di telefonate da almeno mezz'ora. Non avevo voglia di rispondergli, non avevo voglia di alzarmi, ero stanca ancor prima di iniziare la giornata.
Mi alzai dal letto un'ora dopo, mandai un messaggio a Rei dicendo che sarei andata agli studi nel pomeriggio per registrare la pubblicità dello shampo che mi avevano commissionato la settimana prima. Dovevo chiamare il ginecologo per l'ecografia mensile, la mia vita sarebbe cambiata in poco tempo, avrei dovuto spiegarlo a tutti e quella era forse la parte che non ero in grado di gestire. Non l'avevo ancora detto a nessuno, nonostante la mia pancia fosse già cresciuta, non si notava abbastanza quindi avevo preferito aspettare. Usavo vestiti larghi, nascondevo le forme sotto camicie e pantaloni che camuffassero il mio stato. Ero anche stata abbastanza fortunata: mia madre era stata impegnata con le ultime modifiche al nuovo romanzo, perciò non ci eravamo viste spesso. Rei era così distratto dalla sua relazione con Asako e dal fatto che lei era impegnata con alcune riprese e lui andava a trovarla tutte le volte che poteva. Non avevamo avuto modo di vederci con i ragazzi, un po' per gli impegni di Akito, un po' perché cercavo di declinare ogni invito per non doverglielo dire. Non perché non volessi dirlo alla mia famiglia o ai miei amici, in realtà credo temessi che quel sogno sarebbe finito da un momento all'altro e mi sarei svegliata senza rendermi conto che avevo perso la cosa più importante della mia vita. In più, c'era la questione lavoro, la questione giornalisti, la questione paparazzi.
Ci avrebbero seguito ovunque solo per catturare una mia immagine col pancione, anche se era già uscito qualche articolo che commentava il mio improvviso cambio di look. Avevo una paura matta di soffrire come una dannata durante il parto. Non sapevo come le due cose fossero collegate, ma in quel momento niente nel mio cervello poteva trovare un posto ben preciso: era tutto un enorme casino.
Mi preparai velocemente, presi la borsa che Akito mi aveva raccomandato di non riempire come quella di Mary Poppins e andai verso la porta.
Non avrei saputo interpretare che tipo di dolore fosse. Una fitta, fortissima, al basso ventre. Inizialmente pensai fosse una cosa passeggera, era normale per una donna in gravidanza avere qualche dolorino ogni tanto. Abbassai lo sguardo e mi portai una mano sulla pancia, pregando che finisse presto.
Quando vidi il sangue che scendeva dai miei pantaloni capii che non era affatto un dolorino da gravidanza.
Un'altra fitta mi scosse improvvisamente e pensai di non riuscire a sopportarla. Strinsi i pugni e, facendolo, mi accorsi di avere tra le mani il cellulare. L'ultima chiamata era quella di Rei, perciò premetti sul suo nome e pregai che rispondesse in fretta perché sentivo le forze abbandonarmi velocemente.
“Sana, ma si può sapere che fine hai fatto? Sei una sconsiderata!”
Per una volta non poteva semplicemente stare zitto?
“Rei… Rei, ti prego. Vieni...”
Non feci in tempo a finire la frase che sentii gli occhi pesanti e la voce di Rei mi sembrò solo un suono lontano, ovattato.
I miei occhi si chiusero un attimo dopo. L'ultimo pensiero che passò nella mia testa fu Akito. Dovevamo dirlo agli altri in un altro modo, non così.
Perchè non l'ho fatto prima?


*

 
Sentivo la voce di qualcuno attorno a me, ma non ero in grado di riconoscere di chi fosse. Non mi era familiare, eppure sembrava così accogliente, calda. Mi sentivo al sicuro.
Ci volle un attimo per realizzare dov'ero e cosa era successo, un secondo dopo aprii gli occhi e guardai quello che avevo intorno.
Mia madre, Rei, un uomo in camice bianco. Ero in ospedale, ciò significava che mi avevano trovata in tempo e che era tutto a posto.
“Mamma?”
Mia madre fu subito vicina a me, aveva i capelli scompigliati e sembrava fosse uscita con i primi vestiti che aveva trovato. Mi veniva da ridere guardandola ma, quando ci provai, sentii un dolore acuto in tutto il corpo.
Allora no, non andava tutto bene.
“Sana sei un'incosciente! Ma perché non ci hai detto che eri incinta? Perchè non ce l'hai detto?” continuava a ripetere mia madre come un disco rotto.
Chiusi gli occhi aspettando che smettesse per risponderle. Poi mi resi conto delle parole che aveva usato.
“Hai detto eri. Hai parlato al passato. Perchè
ero incinta?”
Lo sguardo di mia madre mi perforò l'anima, pensai che non l'avevo mai vista così triste.
“Sana… tu hai...”
Non riusciva a dire niente, ma io sapevo già cosa aveva da dirmi.
Il medico che era ai piedi del mio letto si avvicinò, fece un cenno a mia madre facendole capire che ci avrebbe pensato lui a spiegarmi tutto.
Non aveva bisogno di spiegarmi nulla. Sapevo già tutto.
“Signora Hayama, mi ascolti...”
Cercai di tornare lucida, nonostante la mia testa non fosse più lì già da qualche minuto.
“Lei, purtroppo, ha subito un aborto spontaneo. Abbiamo avuto modo di vedere che lei soffre di una patologia che si chiama incompetenza cervicale. La sua cervice è poco tonica, debole, e non riesce a rimanere chiusa per tutto il termine di una gravidanza. Ciò significa che è molto improbabile che lei possa portare a compimento una gravidanza. Il suo ginecologo avrebbe dovuto avvertirla nel momento in cui avrà fatto l'ecografia transvaginale.”
Tutto quello che aveva detto mi rimbombava nella testa e la cosa che più continuava a ripetersi all'infinito era “… è molto improbabile che lei possa portare a compimento una gravidanza.”
Non avrei potuto avere figli. Akito ne sarebbe stato distrutto. E io?
“Andatevene.”
“Signora, per favore, lei deve capire che questo non prescinde il fatto che si possano trovare altri modi...”
“Ho detto andatevene.”
Il dottore mi guardò impallidendo, mia madre non riusciva a non piangere. Rei non lo guardai nemmeno, la sua faccia era la dimostrazione della sofferenza.
Si voltarono tutti verso la porta.
Mi toccai la pancia. Il mio bambino non c'era più.
“Aspettate!” li fermai, prima che uscissero dalla camera. “Era maschio?”
Il dottore scosse la testa. “No, una femmina.”
E poi uscirono, lasciandomi sola in quell'asettica stanza d'ospedale.

*


Dovevo essermi addormentata perché non ricordavo quando mia madre fosse rientrata e ora se ne stava seduta accanto al mio letto, fissandomi.
“Mamma, ti prego. Voglio stare da sola.” sussurrai, provando a voltarmi ma senza risultati. Mi faceva male tutto.
“Tesoro… penso che tu debba chiamare Akito. Dirglielo. Non penso che sia il caso che rimanga fuori città con te in queste condizioni. Lui potrà aiutarti.”
Dirlo ad Akito. Mi sembrava la cosa più sbagliata e difficile da fare. Come potevo dirgli che avevo appena messo fine a tutti i suoi sogni in un attimo?
Forse era stata colpa mia, forse non ero stata abbastanza attenta, mi ero stancata troppo. Cosa avrei potuto dirgli? Era colpa mia se la nostra bambina non c'era più. Ricordai immediatamente che fosse una femmina.
Avevamo pensato al nome Nami. Significava onda, lo avevamo scelto perché quella notizia ci aveva travolto come accade con le onde, che si infrangono sugli scogli e non ti avvertono mai del loro arrivo, semplicemente non fai in tempo e ti ritrovi sommerso. Lei era stata un po' questo, un po' qualcosa che ci aveva sommerso. Sommerso di timori, preoccupazioni, pensieri. Sommerso di gioie.
E ora non c'era più. E io non potevo dirlo ad Akito.
Mi avrebbe odiato. Non avrei mai potuto condannarlo a una vita con me, se non potevo dargli ciò che aveva sempre voluto.
Una notte Akito mi raccontò che, quando era un ragazzino, immaginava sempre di avere una famiglia tutta sua, spesso con me, ma comunque una famiglia felice, con tanti bambini, nonostante temesse che la donna che amava potesse avere lo stesso destino di sua madre.
Sua madre era morta dandogli la vita, si era sacrificata per lui, pur senza volerlo. Akito era cresciuto, soffrendo si, ma era pur sempre riuscito ad essere felice in un modo o nell'altro. Io invece ero stata costretta a sopravvivere alla mia bambina, e cosa ci potrebbe essere di così doloroso? Non immaginavo niente di peggio. Non ero stata in grado nemmeno di dargli un figlio. Non potevo condannarlo a una vita del genere.
Se gli avessi detto che avevo perso la bambina naturalmente non mi avrebbe mai lasciato, mi sarebbe stato accanto senza esitazioni, lo conoscevo. Akito mi amava. Anche io amavo lui, e proprio perché lo amavo con tutta me stessa non potevo sacrificarlo.
“Dammi il telefono mamma.”.
Mia madre mi fissò, senza capire cosa volessi fare, poi me lo passò e tornò a sedersi. “Vorrei parlargli da sola, se non ti dispiace.”
Mia madre annuì, si alzò ed uscì dalla stanza.
Composi il numero di Akito, sapendo che quello che stavo per dirgli avrebbe decretato la fine della nostra relazione, del nostro matrimonio, delle nostre vite.



Pov Akito.
Ciao Kurata. Che c'è, ti manco di già? Non sono passate nemmeno otto ore da quando ci siamo salutati stamattina!” risposi scherzando alla sua chiamata. Mi aspettavo mi concedesse almeno una risata, ma la voce di Sana dall'altra parte era veramente gelida.
“Devo parlarti.”
Mi bastò mezzo secondo per rendermi conto che non era in vena di scherzare o di fare conversazione. Mi allontanai velocemente dalla palestra, le urla dei ragazzi non mi permettevano di sentire bene.
“Dimmi, Sana. Che succede?”
“Ci dobbiamo lasciare.”
Le sue parole mi fecero sorridere. Era uno scherzo, ovviamente. Non poteva essere altro che uno scherzo.
“Sii seria, Kurata. Non mi piacciono questi scherzi idioti.” dissi con una punta di sorriso sulle labbra.
“Ho abortito.”
Le sue parole mi attraversarono il petto prima di arrivare al cervello, prima che potessi veramente comprenderle. Era impossibile.
“Che significa che hai abortito? Ti è successo qualcosa? Stai bene?”
Il panico che sentivo nella mia voce non l'avevo mai e poi mai sperimentato prima. Mi sembrava che tutto il mio mondo fosse definitivamente crollato.
“Stamattina mi sono sentita male. Pensavo fossero dolori normali della gravidanza, ma poi ho cominciato a perdere sangue. Ho abortito naturalmente. Era una bambina.”
Aveva abortito. La mia bambina era morta.
“Sana… ma tu stai bene? Dimmi che stai bene. Ti prego. ”
“No, Akito. Non sto bene. Dobbiamo separarci.”
La sua voce era strozzata, sentivo il suo dolore. Sentivo il suo cuore spezzarsi ad ogni parola che mi diceva. Perchè continuava a ripetermi che dovevamo lasciarci?
“Sana ma perché? Io ti amo, tu mi ami! Avremo altri bambini, non è colpa tua. Torno a casa stasera. ”
Sentivo i suoi singhiozzi dall'altro capo del telefono.
“Non rendere tutto più brutto di quanto non sia. Ti prego. Non sono la persona che tu pensi io sia. Non posso avere altri figli. Non voglio altri figli. Devo partire per il tour promozionale del film tra qualche settimane. Ho avuto un'offerta da Victoria Secret. Non voglio altri figli.”
Non riuscivo a credere a quello che stava dicendo. Non potevo credere che mi stesse lasciando.
“Non è una cosa di cui voglio discutere per telefono. Torno stasera, non prendere decisioni affrettate e non azzardarti a scegliere per me. Io so cosa voglio, voglio stare con te.”
“Ma io non voglio altri figli. Non voglio stare con te.”
Chiusi la telefonata e solo in quel momento mi resi conto che le mie gambe non mi reggevano più e che ero seduto per terra, fuori dalla palestra, attorno a mille voci, mille urla di gioia, mentre il mio cuore sanguinava.
Urlai così forte che mi mancò l'aria.
Mentre tutti mi chiedevano se avessi bisogno d'aiuto l'unica cosa che volevo era sprofondare. Sprofondare senza dover affrontare il dolore della morte della mia bambina senza addossarla a Sana. Come avrei potuto?
*
Aprii la porta di casa lentamente, cercando di ritardare il confronto che, in un modo o nell'altro, avrei dovuto avere con Sana. Non sapevo cosa dirle. Le ore in macchina mi avevano svuotato. La mia testa era vuota di pensieri, di domande, era solo piena di confusione.
Il mio cuore era pieno di dolore.
Mi avviai verso la cucina, ma non la trovai. Lei non c'era.
Quando entrai in camera da letto, però, la trovai stesa. Doveva essere molto debole, sapevo cosa accadeva quando dovevano indurre il parto. Non doveva essere stato semplice.
“Ciao...” sussurrò senza l'accenno di un sorriso. Mi avvicinai a lei, le diedi un bacio sulla fronte ma lei rimase immobile.
“Cosa è successo?” chiesi, cercando di dimenticare le parole che mi aveva detto al telefono quel pomeriggio.
“Penso che tu lo abbia già capito. Non appena mi riprenderò partirò per il tour promozionale, e poi dovrò affrontare la campagna di...”
“Non mi importa di tutto questo!” urlai, interrompendola. “Voglio sapere perché vuoi lasciarmi! Voglio sapere perché stai prendendo questa assurda decisione senza consultarmi!”
Sana cercò di mettersi più dritta sul letto ma un'espressione di dolore le arrivò sul volto, perciò l'aiutai a sedersi meglio alzandola di peso.
“Quindi?” incalzai.
“Forse non è nel nostro destino avere un figlio adesso. Forse siamo ancora troppo giovani. Forse non siamo adatti. Se ho perso questa bambina ci sarà un motivo: l'universo non vuole che noi due diventiamo genitori!” urlò, facendomi rabbrividire.
Ma cosa stava dicendo? Da quando credeva al destino? Da quando affidava le sue scelte nelle mani di un fato che non esisteva?
Ma chi era quella ragazza?
“Sana, ma cosa diavolo stai dicendo? Ma ti rendi delle assurdità che mi stai buttando addosso?”
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di sfogarmi su quelli invece che spaccare tutto quello che mi ritrovavo tra le mani.
“Senti, Akito.” cominciò, trattenendo le lacrime. “Mi dispiace se ti sto facendo del male, mi dispiace se non posso darti quello che vuoi, ma io non voglio avere altri figli. Non voglio dover mettere da parte la mia carriera per un bambino. L'ho già sperimentato con Kaori, ecco perché ero così spaventata quando abbiamo scoperto della gravidanza. Io non lo volevo questo figlio.”
Forse qualcuno mi stava facendo una specie di scherzo, perché quella non poteva essere Sana. Non poteva essere la bambina, la ragazza, la donna che avevo amato per tutta la mia vita.
“E' impossibile, Sana. Eravamo così felici. Cosa è cambiato?” le chiesi, sperando che a parlare fosse lo shock e non il suo cuore.
“Questo aborto è stata la miglior cosa che mi sia successa.”
Quella frase mi uccise. Uccise me, il mio amore per lei, i vent'anni di profondo sentimento che avevamo condiviso, il matrimonio improvvisato che avevamo avuto, la mia stima per lei, il mio affetto.
Fece nascere in me solamente l'odio.
“Mi fai schifo.”
Detto ciò afferrai la valigia che avevo lasciato davanti alla porta della camera, attraversai il corridoio e, nonostante la sentissi piangere così forte da potermi spezzare il cuore, non tornai indietro.
Sana era morta quel giorno per me, così come era morta mia figlia.

Mi dispiace se a qualcuno avevo detto che ci sarebbero stati solo lieti fine, sono stata presa dal mio lato dark e ne è uscito fuori questo.
Volevo semplicemente dirvi grazie perchè continuate a sostenermi nonostante i miei infiniti ritardi. Purtroppo, E SOTTOLINEO PURTROPPO, sto preparando gli esami per la sessione estiva e non ho avuto molto tempo per scrivere. Tutto questo è stato scritto stasera e stasera stessa lo sto pubblicando, grazie alla tempestiva azione della mia meravigliosa Beta.
Spero che commenterete, che non mi odierete, che mi vorrete ancora bene dopo questo capitolo. Io vi voglio sempre bene ! :*
Aspettando taaaaante recensioni,
Akura.

   
 
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