Humans

Una colonna sonora di parole dolci in un sfondo di respiri pesanti e gemiti condensati; soffi bollenti su pelle e metallo mentre mani audaci sperimentano, cercano, godono della sensazione di morbidezza di un altro corpo in preda all’estasi.
Era quella la scena; il dipinto di un addio amaro che non avrebbe lasciato lacrime ma solo promesse forti, vive, rare come diamante limpido celate in uno sguardo, serrate in un gemito basso.
Angela aveva stretto la presa sulle spalle perdendosi in un mare di lava, nell’inferno che era l’anima inquieta di Genji, avvicinandosi con lentezza studiata verso il viso marchiato di cicatrici. Le baciò una ad una percependo la sensazione ruvida sulle labbra e il calore sulle mani non curante della labbra del giovane Shimada che richiedevano attenzione, la sua attenzione. Umide di un bacio precedente dal sapore di lussuria.
Lui se ne sarebbe andato e lei sarebbe morta se non avesse osato andando contro ogni ragione e buon senso, contro un cuore allestito di delusioni e ferite profonde. Amando e lasciandosi amare; ammaliata e soggiogata da un cyborg dagl’occhi cremisi capace di confonderle ideali e di aggrovigliarle lo stomaco in strette asfissianti.
Aveva bisogno di sentirlo accanto, vivo, di fargli sapere che se solo avesse voluto lui avrebbe rasentato la perfezione per lei, giovane dottoressa dagl’occhi grandi e il sorriso sulle labbra capace di fondere l’animo più glaciale, ma per quanto avesse imparato ad amarlo sapeva che non bastava.
Sapeva che tra i sorrisi si nascondeva altro; che in quel corpo non più completamente umano si contrastavano due esseri, due coscienze e ragioni. La consapevolezza di sentirsi pienamente un omnic e quella che ricordava,insistente e fastidiosa come una spina, che non lo era, che lui era ancora umano come il cuore che ne permetteva la sopravvivenza.
Genji strinse la presa al livello della vita della giovane dottoressa, rubando un bacio fin troppo desiderato. Incastrando perfettamente le labbra e percependo il tocco umano sul viso; la pelle riscaldarsi, il corpo fremere, il cuore palpitare incessantemente, sensazioni che aveva creduto non avrebbe più sentito dopo aver preso confidenza con gli innesti di metallo del suo corpo, dopo aver visto il suo viso marchiato dalla furia di suo fratello.
Chi poteva amare un ammasso di metallo? Una macchina, un’arma di distruzione affidata alla Blackwatch; un animo così inquieto e sporco. Genji non trovava risposte eppure non ne aveva bisogno quando si perdeva fra i respiri della dottoressa, baciandone la pelle e tastandone la delicatezza. Percepiva solo il nodo al livello stomaco allentarsi, la paura scemare, la rabbia svanire; la consapevolezza di essersi innamorato in grado di folgorarlo.
-Angela- accarezzò quel nome, lo amò pronunciando con delicatezza innaturale ogni lettera come, se solo avesse usato troppa irruenza, ne avrebbe rovinato il dolce suono. Un nome di sola porcellana, puro e bianco come chi lo possedeva in grado di essere enunciato solo da chi labbra di velluto era provvisto.
Il ninja sapeva che osava troppo, che sarebbe stato la macchia d’inchiostro su una pagina candida che aspettava di essere scritta. Puntellata da un amore sano, segreto e passionale; solo suo e di nessun altro perché quell’amore non si costruiva né decideva solo esisteva e coesisteva raggiungendo un’ entelechia perfetta e lui… loro ne erano i possessori.
Tremarono, stretti in una morsa bollente, persi reciprocamente nel paradiso dei loro corpi e dei loro animi.
Sentendosi vivi, completi e umani.