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Autore: FatSalad    19/06/2017    4 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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Spartaco indossò un paio di scarpe vistosissime come da accordo e si avviò con trepidazione verso il luogo dell'appuntamento. Sentiva una strana eccitazione mescolata alla malinconia della rottura con Barbara, fremeva di un'insolita agitazione e si sentiva ridicolo per questo.
Il mattino dopo aver lasciato Barbara si era svegliato di umore pessimo. Una parte di lui voleva rimanere a letto per altre dodici ore, l'altra parte voleva gridare e spaccare qualcosa, ma dopo qualche minuto di conflitto interiore si era convinto che nessuna delle due opzioni sarebbe servita a qualcosa. Stava male, si sentiva una merda e non si sarebbe sentito meglio dopo una dormita più lunga, né tantomeno con il servizio dei piatti frantumati a terra.
Aveva allora deciso che l'unica cosa che potesse farlo sentire davvero meglio sarebbe stata raccontare l'accaduto ai suoi amici e fissò un'uscita per quella sera stessa, evitando i luoghi in cui riteneva più probabile incontrare Barbara.
Quella sera Michele aveva cercato di tirarlo su di morale offrendogli da bere e dandogli delle pacche sulle spalle, ma presto Spartaco aveva realizzato che l'amico non avrebbe potuto capirlo fino in fondo. L'attaccante non aveva mai avuto storie tanto importanti da superare la durata di un mese e tutto ciò che aveva potuto dirgli per consolarlo era: “Ci sono tanti pesci nel mare” e “Morto un papa se ne fa un altro”.
In quel momento, nonostante Spartaco avesse tutto il rispetto per la saggezza popolare, aveva risposto a quei proverbi lasciando una sonora manata a Michele tra capo e collo, un attimo prima di mandarlo a quel paese e uscire dal locale per fare ritorno a casa, di umore più nero di prima.
Michele era rimasto a guardare l'ingresso da cui era uscito Spartaco per qualche secondo, massaggiandosi il collo che frizzava dolorosamente.
«Che ho fatto?» aveva chiesto poi rivolgendosi alla cameriera, intenta ad asciugare qualche bicchiere al di là del bancone.
Lei gli aveva risposto con un'alzatina di spalle e un sorrisetto divertito. Solo allora Michele si era ricordato che aveva scelto quello sgabello alto e scomodo solo per poterla guardare da più vicino.
“Sì, è proprio carina come sembrava da lontano” si era detto.
«Bah! Chi li capisce gli uomini!» aveva scherzato allora a voce alta.
Con la coda dell'occhio l'aveva vista ridacchiare, rivelando un certo interesse verso di lui, quindi aveva sfoggiato il suo sorriso più smagliante e si era preparato per quella nuova battuta di pesca.
Dato l'esito negativo di quella serata e constatato che, apparentemente, Michele aveva la profondità di una vigorsol distesa, Spartaco si era trattenuto dall'organizzarne altre. Una parte di lui avrebbe voluto vedere Giovanni, come ai tempi del liceo, quando dopo ogni storia finita male dell'uno o dell'altro si ritrovavano per sfiancarsi ad una partitella di basket o simili, per poi tracannarsi un litro d'acqua a testa in santa pace per sentirsi purificati. A quei tempi la sola presenza dell'amico bastava, non avevano neanche bisogno di spiegarsi. Si telefonavano, fissavano un orario e poi giocavano finchè non cadevano a terra sfiniti e sudati.
Giovanni a quel punto era solito dire una frase, un'unica frase, ma pregna di significato. Non a caso prendeva voti altissimi nelle interrogazioni sui poeti ermetici.
“Non era quella giusta” gli aveva ripetuto spesso in quei momenti e non usava mai un tono derisorio o scherzoso.
“Io te l'avevo detto” gli aveva rinfacciato un'altra volta e Spartaco non era mai stato più convinto di meritarsi quelle odiose parole.
Purtroppo, da quando Spartaco aveva cominciato a lavorare, non avevano più avuto modo di organizzare “partite di purificazione” come quelle e, dopo aver rotto con Barbara, Spartaco era riuscito solo a chiamare il migliore amico e informarlo per telefono dell'accaduto.
«Ho lasciato Barbara.» aveva detto semplicemente.
«Mmm.» aveva commentato Giovanni e per quasi un minuto erano rimasti così, entrambi ammutoliti con il cellulare all'orecchio, fermi ad ascoltare ciascuno il respiro dell'altro.
«Hai fatto bene, lo sai.» gli aveva detto alla fine di quell'interminabile silenzio.
Per quanto l'ermetismo di Giovanni avesse funzionato, come al solito, arrivando dritto al cuore del problema, Spartaco si era ritrovato a desiderare qualcosa di più. Voleva poter parlare faccia a faccia con qualcuno che potesse capirlo e il suo pensiero era andato, sorprendentemente, a quell'amica virtuale che era sempre stata brava ad ascoltarlo e dargli consigli.
Ci aveva ragionato su un paio di giorni buoni, poi si era deciso e le aveva mandato un messaggio che diceva:
- Senti, Kilo, non voglio che mi mandi una tua foto hot o che mi dici il tuo nome o le tue password o altro. Ho solo bisogno di un'amica in questo momento. Possiamo incontrarci?
Con sua somma sorpesa la ragazza non gli aveva risposto di no, come una parte di lui si aspettava e si erano messi d'accordo su luogo, data, ora e, cosa non meno importante, modo per riconoscersi.
Così Spartaco le aveva assicurato che si sarebbe fatto trovare perché avrebbe indossato un paio di scarpe gialle, che, sosteneva, nessun'altro ragazzo al mondo aveva mai avuto il coraggio di comprare. Kilo, di rimando, gli aveva promesso che avrebbe indossato un cerchietto con un fiocco rosso ridicolmente vistoso.
Mai come in quel sabato pomeriggio Spartaco si era sentito tanto allegro e soddisfatto nell'indossare il suo audace paio di scarpe gialle.


Arrivò al “Coffee Time” ed entrò salutando la barista, una ragazza giovane con lo sguardo vispo che lo salutò ammiccante, come se lo conoscesse.
Aveva scelto quel bar perché era vicinissimo alla stazione ferroviaria e non sapendo esattamente dove abitasse Kilo gli era sembrato il luogo più comodo da raggiungere. Kilowatt, d'altro canto, non si era lamentata della scelta, confermando che era stata un'ottima trovata.
Con un sorridente “'Sera” Spartaco si accomodò ad un tavolino in angolo e attese. E attese. E attese.
Passarono un'ora e un sacco di clienti, il ragazzo aveva già ordinato un caffè e un succo di frutta, che la barista gli aveva portato con occhiate di chi la sa lunga e con uno scherzoso “Non ti rassegni, eh?”, ma Spartaco non voleva desistere. Per quanto assurdo potesse suonare, si fidava di Kilowatt, non poteva credere che l'avesse abbandonato in un momento difficile come quello, perché le aveva già spiegato la sua situazione a grandi linee. Sempre più nervoso si decise infine a tirare fuori il cellulare per controllare se l'amica gli avesse lasciato un qualche messaggio. Ne trovò uno, diceva “Mi dispiace. Non ce l'ho fatta”, ma non spiegava se non ce l'avesse fatta a liberarsi dai suoi impegni, o se non ce l'avesse fatta a prendere il treno o che altro. Spartaco sospirò, scoprendosi deluso, si decise a bere finalmente il succo di pompelmo prima di andarsene, ma appena alzò il capo dallo schermo i suoi occhi incrociarono quelli della ragazza che era appena entrata nel bar annunciata dal tintinnio del campanello appeso alla porta.
«Ehi...!»


“Cosa mi è saltato in mente? Perché l'ho fatto?!”
Dentro di sé Spartaco si stava sottoponendo ad una sorta di tormentato esame psicologico, ma al di fuori non lasciava trasparire alcuna emozione particolare.
«Ecco qua: cioccolata calda con panna, gusto cannella. L'hai fatto penare, sai?» disse la barista rivolta alla ragazza che sedeva di fronte a Spartaco, facendo riscuotere il ragazzo dal suo stato di semi-incoscienza.
«Io, veramente...»
«Lascia fare, Irene.» le disse Spartaco scuotendo la testa per rassicurare la collega che si era appena irrigidita sul posto.
«Mi... mi dispiace?» disse la ragazza titubante, cominciando a mescolare la cioccolata per tenere lo sguardo occupato su qualcosa.
«Ma no, figuarati. Anzi, grazie per esserti seduta con me, mi hai tolto almeno un po' dall'imbarazzo.» aggiunse lui con una risatina.
Appena l'aveva vista entrare gli era venuto spontaneo alzare una mano e invitarla a sedersi al suo tavolo e lei aveva accettato, ringraziando con l'espressione imbambolata nebulosamente interrogativa.
«È successo qualcosa?» si azzardò a chiedere Irene a voce bassa, poco dopo.
«Niente di che - disse Spartaco fingendosi indifferente - sono solo stato scaricato due volte nell'arco di ventiquattr'ore: dalla mia ragazza e da un'amica.»
«Oh, mi dispiace.» mormorò Irene.
«È colpa mia, immagino. Mia sorella mi ripete fin dalle superiori che non so mostrare i miei sentimenti, ormai penso che abbia ragione. Poi sicuramente la storia con Barbara sarebbe finita in ogni caso, non stavamo andando da nessuna parte, però... ci si affeziona alle persone e le rotture fanno sempre male, credo.»
Spartaco parlava con lo sguardo rivolto verso il basso, rigirandosi tra le mani il bicchiere di succo, come se stesse mescolando una pozione magica, mentre la ragazza lo ascoltava in religioso silenzio.
«La cosa più dolorosa però è che proprio quando avevo bisogno di lei la mia amica mi ha voltato le spalle. È proprio vero che gli amici si riconoscono nel momento del bisogno.»
Spartaco si zittì e si mise a stuzzicare e arricciare un angolo del tovagliolino che gli era stato portato insieme al bicchiere di succo, ancora intonso. Irene aveva smesso di mescolare la cioccolata bollente, titubante allungò una mano verso quella di lui e gliela strinse delicatamente, senza aggiungere una parola, ma solo uno sguardo partecipe. Spartaco spostò l'attenzione dalle loro mani agli occhi della collega e le rivolse un mezzo sorriso.
«Ma davvero, non è successo niente.» ribadì distogliendo subito sguardo e mano e nascondendo di nuovo i suoi sentimenti dietro un sorriso con scarso successo.
«E tu?» chiese improvvisamente, spezzando quel momento di confessione che l'aveva lasciato stordito e impaurito.
«Io... cosa?» fece Irene notando quel cambio di tono.
«Tu cosa ci facevi in giro da sola di sabato pomeriggio?»
«Facevo shopping.»
Spartaco la squadrò, poco convinto e lei se ne accorse, perché chiese, sulla difensiva:
«Che c'è?»
«Non prendermi per il culo! - disse lui - Vuoi farmi credere che ti sei truccata e hai messo una minigonna per andare a fare compere?»
Ora la guardava con il suo solito sorriso da casanova.
«Solo perché a lavoro vengo vestita in modo serioso non significa che io mi vesta sempre in modo serioso.» ribattè lei senza scomporsi.
«Hai ragione, hai ragione, scusa.» disse Spartaco alzando le mani in segno di resa.
Cavolo, quella ragazza era impossibile!
«E poi... non ho detto che sarei andata da sola...» riprese Irene con aria distante, riprendendo a mescolare la cioccolata.
Ma chi gliel'aveva fatto fare di prendere una cioccolata calda al gusto cannella con quel caldo?!
«Ah-ah! Visto? Lo sapevo: dovevi uscire con un ragazzo!»
«...questo non vuol dire che dovessi uscire con un ragazzo.»
«Ma dai, è ovvio!»
A quel punto la collega gli rivolse uno sguardo offeso.
«Chi ti dice che io non mi sia messa una stupida gonnellina troppo elegante perché magari devo fingere di apprezzarla davanti all'amica che me l'ha regalata?»
«Mi stai confondendo. Prima hai detto che fuori dal lavoro ti vesti sempre così.»
«Non è esattamente quello che ho detto. Sto solo dicendo che non mi hai mai visto al di fuori dell'ufficio, non puoi arrivare subito alle conclusioni senza conoscermi...»
«E invece qualche volta ti ho visto al di fuori dell'ufficio e penso di aver capito che nell'armadio, accanto a quei completi noiosi che ti metti di solito, hai qualche vestitino carino che tiri fuori per gli appuntamenti galanti, sbaglio?»
Irene lo fissava e Spartaco considerò come una vittoria il lievissimo e solo accennato rossore che si diffuse sulle sue guance dopo la sua bonaria “accusa”. Era molto più di quanto la sua espressività limitata concedesse di solito. Probabilmente si era ricordata della sera di pochi giorni prima in cui si erano incontrati per caso in un locale e Spartaco l'aveva riaccompagnata a casa, ma quel breve attimo di smarrimento durò poco, poi Irene riprese il controllo delle proprie emozioni e tornò alla sua solita freddezza.
«Tutte le donne hanno qualche vestito nell'armadio.»
«Certo, quello che non capisco è perché tu non li tiri fuori dall'armadio anche per andare a lavoro: stai molto meglio vestita così come sei adesso!» le disse, indicando la sua persona con un gesto della mano, ma Irene non si mostrò affatto colpita dal complimento ricevuto, anzi, parve non apprezzare affatto il consiglio e la linea della sua mascella si indurì.
«E tu perché non vieni a lavoro con i jeans strappati e quelle scarpe fosforescenti che hai ai piedi?»
«Beh, perché... oh, andiamo! Hai capito cosa intendo!» esclamò Spartaco esasperato, perdendo il sorriso sornione ed era il chiaro segnale che la vittoria non era più sua.
Irene assaggiò un cucchiaino di cioccolata ormai tiepida con una certa soddisfazione e Spartaco sbuffò.
«Quando vai in ferie?» chiese dopo un po' il ragazzo con tono monocorde, giusto per cambiare discorso e dirigere la conversazione su un argomento neutro.
«Dato che sono l'ultima arrivata e immagino di dover tenere il profilo basso senza avanzare troppe pretese, mi sorbirò tutto il caldo di agosto e andrò in vacanza la prima di settembre.»
«Certo, ti capisco e mi sembra anche giusto, dato che l'anno scorso è toccata a me la stessa sorte! I disagi del primo anno sono un rituale di iniziazione, in pratica: se superi questi dodici mesi poi sei dentro per sempre!»
Irene mugugnò qualcosa, poco convinta.
«Guarda che tu sei già più fortunata di me: non hai mai dovuto subire il caldo infernale dell'ufficio all'ultimo piano, ti sembra poco?! Io anche se dopo un anno ho la scrivania al sesto piano, ho solo uno stupidissimo ventilatore degli anni 80 per raffrescare l'ambiente ed è risaputo che quegli aggeggi peggiorino la situazione, invece che migliorarla. In pratica sono passato dalla modalità “inferno” a quella “fornace”. Hai saputo che spostano gli archivi al terzo piano, nella stanza orientata a nord dove c'è più fresco? Ti rendi conto?! - A questo punto fece una pausa strategica, allargando le braccia - Hanno più riguardo per dei fogli vecchi che non per noi poveri impiegati!» concluse, teatrale.
«Ho saputo, sì. Si dà il caso, infatti, che insieme agli archivi sarò spostata anch'io...» buttò lì Irene senza particolare enfasi.
«Al terzo piano?»
Irene annuì.
«In una stanza orientata a nord?»
La collega annuì di nuovo.
«Dove hanno installato dei nuovi condizionatori?»
Irene scrollò le spalle, come a dire che non si sentiva affatto in colpa per la situazione.
«Hanno più riguardo per dei fogli vecchi e per la novellina che non per noi poveri, vecchi impiegati!» eslamò Spartaco fingendosi indignato.
Anche allora Irene non sorrise, si limitò ad abbassare le palpebre e incurvare un solo angolo della bocca in segno di moderato divertimento.
Spartaco si ritrovò ad emulare la sua espressione, mettendo su l'ombra di un sorriso. Almeno per qualche minuto si era dimenticato le cause più profonde del suo malessere.
“Ma guarda te! Ero venuto per incontrare un'amica e mi sono ritrovato a discutere di lavoro con una collega!” pensò amareggiato, mentre mandava giù l'ultimo sorso di succo annacquato dal ghiaccio ormai completamente sciolto.




Ore 22:47
- Corto
Corto...?
Corto... perdonami





Il mio angolino:
NB (che forse avrei dovuto scrivere prima): i dialoghi tra Kilo e Spartaco che sono in fondo ad ogni capitolo non sono in ordine cronologico, bensì sono come delle citazioni che riassumono i temi del capitolo. Si può intuire se siano stralci di conversazioni precedenti al tempo di Falso Contatto per il modo in cui Spartaco si rivolge a Kilowatt (come ad un ragazzo prima, come ad una ragazza poi). In ogni caso adesso ho messo un riferimento temporale prima di ogni stralcio, così da rendere il tutto più chiaro.
Come mi è stato suggerito di fare, vi lascio inoltre uno schema dei personaggi per chiarire eventuali confusioni.
Alla prossima,
FatSalad


I personaggi fino ad ora (in ordine di apparizione):
Spartaco (26): il protagonista che tutti amiamo.
Kilowatt (?): persona di sesso femminile, età >11. Amica “virtuale” di Spartaco, si conoscono da anni, ma non si sono mai incontrati faccia a faccia.
Barbara (26): la ormai ex ragazza di Spartaco.
Camilla (22): commessa in un negozio di elettrodomestici, innamorata di Spartaco.
Giovanni (26): ex compagno di classe e di squadra di Spartaco, nonché suo migliore amico. Studia Economia e Commercio e lavora come cameriere in una pizzeria.
Michele Carli (24): attaccante compagno di squadra (e di bevute) di Spartaco.
Giulia (24): sorella di Spartaco.
Elena (25): amica di Spartaco, della cerchia di amici di Michele. Originaria dell'Argentina.
Irene (23): “novellina” collega di lavoro di Spartaco.
Nathan (25): amico ed ex compagno di squadra di Spartaco, nonché fidanzato di Giulia.

Altri personaggi:
Mister: nome ignoto, è l'allenatore della squadra di Spartaco e Michele.
Sara: madre di Spartaco e Giulia.
Enrico: padre di Spartaco e Giulia.
Gabriele: migliore amico di Michele.
Sergio: collega di ufficio di Spartaco.

 
   
 
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