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Autore: AndagoSRK    19/06/2017    0 recensioni
[Shahrukh Khan]
[Shahrukh Khan]Lo ricordo bene, il tuo corpo che bruciava nel fuoco, il fumo della pira, nero che saliva verso il nostro cielo.
Lo ricordo bene, il tuo corpo che bruciava nella passione, il fumo dell’incenso bianco, che saliva nella nostra camera.
Lo sento ancora il mio grido di dolore, riempire l’aria, invocando il tuo nome.
Lo sento ancora, il tuo grido di passione, riempire l’aria, invocando il mio nome.
Per questo ...“per te ho continuato a vivere, per te non ho smesso di morire”.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'
PROLOGO
Lo ricordo bene, il tuo corpo che bruciava nel fuoco, il fumo della pira, nero che saliva verso il nostro cielo.
Lo ricordo bene, il tuo corpo che bruciava nella passione, il fumo dell’incenso bianco, che saliva nella nostra camera.
Lo sento ancora il mio grido di dolore, riempire l’aria, invocando il tuo nome.
Lo sento ancora, il tuo grido di passione, riempire l’aria, invocando il mio nome.
Per questo ...“per te ho continuato a vivere, per te non ho smesso di morire”.

Il sole stava tramontando spargendo la sua luce arancio sui templi e sul fiume sacro che da lì a poco avrebbe accolto le tue ceneri. Nascosto dietro una colonna, lontano abbastanza da non essere visto, guardavo il tuo corpo avvolto dal sudario bianco, che le fiamme ancora non avevano lambito. Dio come avrei voluto correre fino a lì e strappartelo di dosso, raccogliendo su di me il tuo corpo freddo e portarti via da lì! Ma sapevo bene che se lo avessi fatto tu non avresti avuto pace, non ti avrei consentito di rinascere, non ci saremo più rivisti. Non era quello che volevo ma soprattutto quello che sapevo volevi tu: non volevi rinunciare a me, né in questa vita né nella prossima. Avevi lasciato tutto per me, tuo marito e la sua famiglia, la tua casa e la tua città, consapevole che non avresti più avuto una casa e una città. Saremo dovuti scappare, come ladri, spostandoci di paese in paese, perseguitati da chi avevamo tradito. Ma non potevi fare diversamente, mi avevi detto, dopo avermi conosciuto, dopo aver capito quanto mi amavi.

Cap.1

Ti avevo visto la prima volta sulla strada principale, fra le bancarelle del mercato, con il tuo abito così strano, così diverso da quello delle donne del mio paese. Eri una dei primi stranieri ad abitare nella nostra città, parte anche tu di quel popolo che aveva fatto un impero con la nostra terra. Quanto ti ho odiato in quel momento, troppo bianca la tua pelle, troppo poco colorata la tua gonna e quella strana grande cosa che portavi in testa invece del velo del sari era perfino ridicola. Poi una ciocca di capelli si è sciolta, scendendo sul tuo volto, in un piccolo perfetto arco, sfiorando appena la tua guancia. Ti ho guardato alzare la mano, per nulla infastidita dall’inconveniente, afferrare quel ciuffo e sospingerlo di lato, dietro l’orecchio. Credo sia successo in quel momento: ti ho desiderata. Intensamente. Non ho potuto che continuare a guardare le tue mani, muoversi fra le stoffe e i bracciali, accarezzare le sete, mentre mi chiedevo quando le avrei avute, sul mio volto, sul mio corpo. Ti ho seguita, mentre proseguivi per le vie, accompagnata da una donna di servizio, che portava per te le ceste con quello che avevi comprato. Una nube di polvere si è alzata dalla strada di terra e sassi e tu sei stata scossa dalla tosse, sembrava non riuscissi quasi a respirare. Sapevo che all’angolo della via dietro di noi c’era un ragazzino che vendeva acqua, mi sono fatto dare un bicchiere e te l’ho portato. Mi hai guardato, prima stupita, poi un lampo ha attraversato i tuoi occhi e mi hai sorriso, prima di bere. Quando mi hai ridato il bicchiere, sei rimasta a fissarmi ed ho capito: ho girato il bicchiere per bere dove lo avevi fatto tu e ho finito l’acqua che vi avevi lasciato, poi te ne sei andata, senza neppure voltarti indietro. Chissà se sapevi quanto significato aveva quello che hai fatto, nella nostra tradizione è una promessa d’amore, ma non te lo ho mai chiesto, forse perché quando le nostre labbra hanno potuto finalmente unirsi, tanti piccoli dettagli come questo non avevano più importanza. Non so neppure cosa hai pensato tu di me quando mi hai visto la prima volta. Ma mi hai sempre detto che hai amato i miei grandi occhi scuri dalla prima volta che li hai visti, mentre ti porgevo il bicchiere. Ma una volta hai detto che avevi amato subito la mia bocca, per come si era posata sul bicchiere. E un’altra volta ancora la mia mano, per come teneva il bicchiere. Credo che tu a volte ti prendessi gioco di me, amorevolmente. Ma anche quello non aveva importanza, lo facevi mentre mi tenevi fra le tue braccia morbide e profumate, ed io ero inebetito dalla tue fragranza e dai piccoli baci che disseminavi sul mio corpo. Ricordi? Arrivavo da te appena mi portavano il tuo messaggio o ti aspettavo in quella stanza che avevi ottenuto in affitto per poche monete, che avevi riempito di stoffe colorate e profumi. Io non avrei voluto tutto quel profumo, quei colori. Volevo sentire solo un profumo, quello dei tuoi capelli, della tua pelle e bastavano i nostri abiti sparsi a terra come stoffe per arredare il luogo dove ci amavamo. Credevo che gli dei non avessero visto mai un amore più bello e profondo del nostro che ne gioissero con noi ad ogni nostro incontro e che nulla avrebbe potuto separarci dopo esserci incontrati ed amati in quel modo. Ma è successo. Sai pensavo a quanto sarà bello incontrarti di nuovo, a Dio piacendo, nella nostra prossima vita. Ho pure pensato a come accadrà. Una strada polverosa, probabilmente, un po’ di tosse e un bicchiere d’acqua. Chissà se ci ricorderemo in quel momento di noi o se passerà del tempo prima che il nostro amore passato ritorni nelle nostri menti. Forse sarai tu a riconoscermi, guardando i miei occhi oppure lo farò io appena ti sistemerai una ciocca di capelli. Ma non ci saranno più tuo marito a perseguitarci o mia sorella a toglierti la vita, saremo liberi di amarci, di nuovo, per tanto tempo. Non dovrò più gridare il mio dolore, soffocandolo nel morso del mio braccio, mentre guardo il tuo corpo bruciare. Non dovrai più gridare il tuo dolore, soffocato dalla lama nel tuo petto, mentre guardi il tuo corpo morire. Il tramonto unirà i nostri corpi e l’alba li sorprenderà uniti, il giorno riempirà i nostri cuori d’amore, la notte li riempirà di passione. Ora che so che anche per me è arrivato il momento di lasciare questa esistenza, bramo che tutto avvenga in fretta perché più vicino sarà il giorno che ti incontrerò di nuovo. Ti aspetto, non tardare, sono nato per amarti e muoio per amarti ancora.

Cap.2

-Questa lettera è straordinaria, complimenti allo sceneggiatore! – disse Shah al regista – sarà messa come introduzione nel film vero? –
-A quanto pare in realtà questa lettera è autentica, Shah. Per il resto sì, dovrà fare da introduzione –
Shah lo guardò sbalordito, sembrava un testo costruito apposta per lui, che avrebbe interpretato il protagonista, lo aveva sentito così “suo” che poteva averlo scritto lui stesso. Gli era sembrato di ricordare il profumo di quella donna, per un istante e sentire il tenero calore del suo corpo mentre facevano l’amore. Ma era solo suggestione evidentemente, se quel brano aveva un autore e quell’autore, un volto e un nome.
-Autentica? – chiese Shah ridestatosi dai suoi pensieri poco innocenti
-Sì questa fa parte di un pacchetto di lettere trovate in un mobile in un negozio di antichità, da cui si capisce poco sulla vicenda ma se ne intuisce l’intensa tragedia –
-Lei…beh sì, lei è stata uccisa dalla sorella di chi scrive…-
-Le altre lettere sono quasi tutte di altro genere ma hanno ricostruito brandelli della storia – continuò il regista
-Cioè? –
-Victoria, è la moglie di un importante personaggio inglese, forse un mercante ma più facilmente un nobile o un dignitario della corona, che vive in una delle città ricche del nostro paese all’incirca all’inizio dell’ottocento –
-E lui? – chiese ansioso Shah
-Di lui sappiamo meno. Ram, così si firma, è uno del luogo, probabilmente senza grosse difficoltà economiche, da come parla di sé e delle sue giornate che trascorre senza lavorare o comunque con molte libertà –
-All’epoca pochi indiani potevano vivere in quel modo…-
-Esatto. Comunque come hai letto, si sono incontrati e piaciuti quasi immediatamente, per poi in poco tempo diventare amanti fino al tragico epilogo – -Nessuna altra notizia? Le famiglie? – chiese ancora Shah
-Ci siamo fermati qui ma volendo possiamo fare delle ricerche, provare a vedere se troviamo qualcos’altro – propose il regista
-Mi faresti un grosso piacere Rahul, sai che preferisco calarmi nella parte conoscendo più dettagli possibili del mio personaggio – disse Shah sapendo bene che quella era solo una parte di verità
-Dirò ai ragazzi che si mettano al lavoro appena possibile Shah –
-Rahul? Non “appena possibile” ma “subito” per favore – gli intimò
-Ok, faccio la telefonata allora – rispose il regista allontanandosi Shah scese dall’ufficio del regista, all’ultimo piano del suo palazzo, che era tutt’uno con la villa, fino al suo studio. Si sedette sulla poltrona di pelle scura, davanti il pc e mosse nervosamente il mouse perché il monitor riprendesse a funzionare. Cercò di lavorare al nuovo libro che stava scrivendo ma era impossibile. Aveva ancora davanti gli occhi le immagini che gli avevano affollato la mente mentre leggeva quelle lettere. Compose il numero del regista sul telefono vicino a lui ed attese
-Sì? –
-Rahul, stavo pensando: dove hai detto che sono state trovate quelle lettere? E da chi? –
-Hai presente quel mobile che avete comprato tu e Gauri la settimana scorsa? –
-Stai parlando di quello che vuole far restaurare per il suo negozio? – chiese dubbioso
-No, quello che hai voluto comprare insieme a quello di Gauri – Se ne era dimenticato, solo in quel momento in cui Rahul lo aveva menzionato Shah se ne ricordò: una sorta d’incrocio fra una cassettiera e uno scrittoio, in legno scuro intagliato, che sua moglie non aveva degnato di uno sguardo quasi. Quando lei aveva indicato al negoziante cosa volesse, Shah aveva d’istinto aggiunto:
-E anche quello – indicando il mobile, ricevendo in cambio le occhiate perplesse della moglie.
- Shah, ti sbagli, non ho scelto quello –
-Infatti lo so, lo voglio io –
-Tu? Perché? Che te ne fai? Non sembra avere quasi valore – aveva insistito Gauri
-Ne ha invece! Per me almeno ne ha. Prendiamo anche questo – replicò indicandolo nuovamente al negoziante Poi, uscito dal negozio, sembrava che fosse uscito da una trance, quasi non parlò con Gauri ma soprattutto dimenticò il mobile. A distanza di una settimana, il mobile ritrovava la sua attenzione, dimostrando di avere davvero più valore probabilmente di quello che sembrava.
-Dov’è il mobile? – chiese Shah al regista
-Dal restauratore. Lo stavano pulendo quando hanno trovato le lettere – si sentì rispondere
-Chiamalo immediatamente, non voglio che lo tocchi, ma che lo porti qui così com’è, subito!
- Il regista capì che non era il caso di obbiettare, dove solo fare ciò che gli aveva chiesto, più in fretta che poteva.

Cap.3

Oggi sono passato davanti alla nostra porta. Quella piccola sgangherata porta di legno azzurro che per noi si apriva sul mondo d’amore della nostra stanza. Chissà se la prossima volta che ci rivedremo, te ne ricorderai, della nostra porta azzurra. Io non credo che non lo farò, dietro quella porta ti amavo, davanti a quella porta ti ho pianto mentre morivi fra le mie braccia. L’avevi scelta tu, anche per quella porta azzurra, la nostra stanza. Un vicolo stretto, fra le bancarelle del mercato, quasi buio con le alte case intorno, ma in fondo al vicolo, girato l’angolo, c’era quel piccolo cortile inondato dal sole e quella porta. Ne eri rimasta folgorata, mi avevi raccontato dopo aver fatto con me l’amore la prima volta. Io ero ancora tramortito dal tuo profumo, dal tuo corpo, dall’estasi che avevo provato con te mai così intensa, prima di allora. E tu in un sussurro mi avevi chiesto se sapevo come avevi trovato quella stanza, ma non m’importava, in quel momento, troppo ubriaco della tua sensualità per pensare ai “dettagli”. Perdonami, ti ho ascoltata a malapena, desideroso solo che tu finissi di parlare per diventare di nuovo padrone della tua bocca, ancora e ancora prima che tu lasciassi le mie braccia vuote. Ma ora lo ricordo, quello che mi dicesti, fra un bacio e l’altro che io ti strappavo come fossero piccoli pezzi di carta, in qualche modo come vedi ti ho ascoltata. Ti era piaciuta quella porta, dicesti, subito appena vista, come fosse stato uno dei tuoi cappellini o ombrelli. Ti era piaciuta perché un po’ più piccola del normale, perché semplice, fatta di semplici tavole affiancate e dipinte. Ti era piaciuto il colore, un azzurro intenso, che avevi visto in alcuni tratti di mare e ti faceva provare una intensa serenità. Serenità, una parola che dicevi essere la stessa che avresti usato per quello che provavi guardandomi. Io ero il tuo rifugio, il tuo porto, il tuo benessere, il tuo “tutto”, così mi avevi detto e sapevi bene che per me era lo stesso. Lo sapeva bene anche mia sorella, lo aveva capito, dopo averci osservato da lontano. Tutto il mondo lo poteva vedere, tutto il mondo lo sapeva, ne ero certo ma non m’importava. Quello che m’importava era averti, solo per me, che il mondo restasse a guardare quanto voleva! Se solo avessi immaginato che così ti avevo condannato a morte! Dovevo proteggerti, nasconderti, come un bene prezioso che luccica al sole ma che va protetto dai predoni e dai ladri. Sono stato uno stupido, cieco e sordo, travolto dalla passione che toglie ragione e prudenza, ti ho cercata come un ubriaco cerca la sua bottiglia, mai sazio. Ho comprato la nostra stanza, ho comprato tutto il palazzo, anche il negozio con il mercante che la dava in affitto. Non volevo che nessuno passasse più in quella porta, usasse quella stanza, dove siamo stati così felici. Non volevo che nessuno sentisse l’odore degli incensi che accendevi, sentisse il profumo del tuo corpo. Per tante notti, dopo che tu sei morta, quando la sofferenza lacerava le mie carni come un cane rabbioso, sono andato lì, sperando di entrare e vederti sul nostro letto ad aspettarmi con la luce delle candele che ti illuminavano la pelle e gli occhi, le braccia tese verso di me. Per tante notti, sono entrato in quella stanza, diventata buia, oscura, e stavo steso ore, senza pensare, senza dormire, come se tu dovessi arrivare da un momento all’altro. Chissà mia amata Victoria, se ti ricorderai di tutto il nostro amore, della nostra stanza e della nostra porta azzurra. Chissà se proverai quel “desiderio insopportabile” di abbracciarmi, come dicevi allora, di stringermi tra le tue braccia, bianche morbide e profumate. Io quel desiderio insopportabile lo sento ancora, lo sentirò anche nella prossima vita, ne sono certo, appena ti vedrò. Non potrò farne a meno, anche se ti avrò appena incontrata, tu mi giudicherai invadente, ossessionato, folle forse…oppure anche tu lo sentirai, non capirai come possa essere possibile, ma poi mi guarderai, troverai nel mio sguardo la risposta. Sarò di nuovo il tuo rifugio, la tua tranquillità e tu la mia, non ricorderai forse tutto, ma la porta azzurra ne sono certo, la nostra stanza e quando facevamo l’amore. L’odio che ci ha separati non vincerà oltre la morte, lo sappiamo molto bene entrambi, perché ci siamo promessi uno all’altra per la prossima vita, il giorno prima che quella donna pazza che non voglio più chiamare sorella, facesse quello che ha fatto. Torneremo ad amarci, è la certezza che mi aiuta a tollerare la tua assenza, la forza che mi fa trascorrere le giornate e le notti con quel “desiderio insopportabile” addosso che ho di te.

Cap.4

Shah girò attorno al mobile, che si era fatto mettere al centro del suo ufficio. Aveva letto di strani casi in cui persone particolarmente sensibili, toccando vecchi oggetti provavano sensazioni o vedevano scene del passato a cui apparteneva quel mobile. Forse stava capitando anche a lui, o forse era solo suggestione, come diceva Rahul. Da quando aveva letto quelle lettere, delle strane immagini arrivavano d’improvviso nella sua mente in qualsiasi ora del giorno e della notte. Solo qualche notte prima aveva sognato di essere davanti ad una porta azzurra, di aprire e trovarsi in una stanza vuota e buia, poi si era svegliato. Quello stesso mattino, il regista era arrivato da lui con in mano un altro di quei fogli scritti da Ram. Era una delle lettere scritte a Victoria: parlava di una porta azzurra e della stanza buia dopo la morte della donna.
- Io questa l’ho sognata! - disse d’istinto a Rahul
-Cosa hai sognato scusa? – chiese allibito l’altro
-La porta, la stanza – affermò Shah
-Ti stai suggestionando amico –
-No, no, non è suggestione, è diverso, anche se non so cos’è –
-Sarà come tu dici, comunque questa è roba fantastica per il film! – concluse entusiasta il regista
-A proposito a che punto siamo? –
-Sto leggendo i documenti in modo da vedere cosa passare allo sceneggiatore, è una cartellina bella piena, chissà come è finita dietro ai cassetti – Shah guardò ancora il mobile, i suoi cassetti tutti in fila, ordinati, come soldati che avevano custodito un segreto fino a quel momento.
-Altre notizie su questo Ram e su Victoria? –
-Stiamo cercando negli archivi di polizia, ma la cosa non è facile. A quanto si capisce deve essere stato uno scandalo la loro storia, sia per la parte indiana che inglese. Nulla di più facile che si sia deciso di nascondere tutto con un qualche tipo d’incidente –
-Che incidente può essere una donna inglese morta accoltellata? – chiese d’impeto Shah
-Devi pensare in che epoca erano, al loro rapporto clandestino, al motivo che può aver spinto la sorella di Ram ad assassinare Victoria –
-Già, quale motivo? Gelosia? Una sorella? Cosa ne avrebbe ricavato sua sorella? Potrei capire una moglie, ma cosa spinge una sorella a fare una cosa così? – mormorò Shah
-Follia? – suggerì Rahul
-No, non basta. Ram lo avrebbe visto in sua sorella, deve essere stato qualcosa che neppure lui che la conosceva tanto bene avrebbe mai immaginato –
-Ma lui stesso la definisce pazza! –
-Pazza, non folle! Pazzia per quello che ha fatto, è qualcosa fatto in modo impulsivo, ma che nasconde una ragionamento lucido e preciso che ha fatto da spinta. Il folle non è in grado di ragionare – asserì Shah
-Forse hai ragione, comunque sia ha interrotto una bellissima storia d’amore –
-Mi raccomando, voglio una copia di ogni lettera sulla mia scrivania prima che le mandi allo sceneggiatore! –
-Contaci, Shah. E per il cast? –
-Ci devo pensare, Rahul. Non mi viene in mente nessuna adatta a fare Victoria in questo momento – concluse prima di allontanarsi.
Da quel momento era rimasto in ufficio, ogni tanto si alzava dalla sua scrivania, interrompendo ciò che stava facendo, si avvicinava al mobile e lo osservava, o lo accarezzava appena. Anche la segretaria si era accorta che Shah era cambiato da quando aveva iniziato a leggere le lettere. Gli aveva fatto notare come fosse spesso assente con i pensieri, distratto. Il personale della casa le aveva riferito che dormiva ancora meno del solito, restando per ungo tempo in ufficio davanti al mobile, seduto sul divano a leggere le lettere. Certo, non era compito di una segretaria ricordare al suo principale quali erano i suoi doveri, ma non lo aveva mai visto così, in tanti anni di lavoro quasi fianco a fianco. Ora, con il sole al tramonto, lo aveva trovato un'altra volta lì, con le nuove lettere che gli avevano portato. Le aveva detto un laconico “per oggi abbiamo finito” e sapeva che era solamente per poter restare solo a leggere quei documenti. Non si era mai interessato così a nessun copione, a nessuna storia, non in modo così personale quanto meno. Invece che entrare in ufficio e chiedere la firma a Shah sugli ultimi documenti che aveva preparato, la segretaria spense il computer e decise di rimandare tutto al giorno successivo. Sapeva bene che nulla ormai avrebbe potuto distrarre il signor Khan da quella lettura.

Cap.5

Mi sono ricordato di quel giorno che mi volevi fare una sorpresa, un regalo e io ti ho fatto piangere: come sono indegno del tuo amore!
Ti eri comprata un sari, verde scuro, e lo hai indossato per venire da me, attraversando le vie, nascosta dal velo, a testa bassa, che mi hai detto quasi non vedevi dove stavi andando. Io ti ho dato dell’imprudente, nessuna donna straniera aveva mai osato tanto, ancor meno se sposata, figuriamoci mentre va dal suo amante. Ti ho accusata di voler mettere a rischio noi e la nostra storia, perché tutti avrebbero visto la pelle bianca dei tuoi piedi o delle tue braccia.
Allora tu, fiera e coraggiosa, mi hai guardato dritta negli occhi:
-E che vedano chi sono, dove vado e chi amo! Sei la cosa più bella della mia vita, non voglio nascondermi più! –
Ti avessi vista, mio amore, gli occhi lucidi di pianto, le tue labbra che tremavano e il tuo respiro che faceva muovere la stoffa leggera del tuo sari! Ho colmato quella piccola distanza fra noi con un grande passo, per afferrarti e baciare quelle tue lacrime, quelle tue labbra. Non ti ho neppure spogliata, abbiamo fatto l’amore fra le pieghe verdi scuro del tuo vestito e tu per gioco hai avvolto anche me con quella seta, ridendo, prima di lasciarti andare alla passione. Sei tornata alla tua casa come sei venuta, coperta e a testa bassa, fra la gente, io ti ho seguita da lontano. Volevo guardarti camminare, avvolta nel tuo sari verde, sapendo che era intriso del profumo dei nostri corpi. Ti ho vista arrivare alla ricca dimora dove vivi, bella quasi quanto la mia e sparire dietro un grande portone di legno grigio e senza colore. Sono rimasto sulla strada un pezzo, a fissare quel portone chiuso, che ti teneva separata da me, lontana da me, con il desiderio ancora forte di averti fra le mie braccia. Speravo che per qualche motivo tu dovessi uscire di casa, una commissione dimenticata, un appuntamento, fosse stato pure al braccio di tuo marito. Fantasticavo che mi sarei avvicinato, fingendo di essere un mendicante, o un povero uomo che per pochi spiccioli si offriva di tenerti l’ombrello. Forse tuo marito avrebbe cercato di scacciarmi ma tu avresti finto di provare pietà per me e lo avresti supplicato di lasciarmi fare. Arrossendo probabilmente allora mi avresti dato alcune monete, mettendo la tua mano nelle mie, io l’avrei stretta per alcuni istanti prima di inchinarmi a te e riempirti di benedizioni. Sarebbe stato solo un gioco, un piccolo innocente gioco fra di noi, ma mi sarebbe bastato, mi avrebbe aiutato ad aspettare il nostro prossimo incontro. Ecco cosa stavo facendo, stavo pensando a noi due, mentre guardavo la tua casa, mentre il portone si apriva di nuovo e ne usciva la tua domestica con un pacco legato con dello spago. La donna ha attraversato la strada, ma io non guardavo dove stava andando, mentre sotto l’albero, pensavo a noi due. Me la sono trovata davanti quasi d’improvviso, le ho pure sorriso, mentre mi dava il pacchetto. Non ha detto nulla, mi ha solo dato il pacchetto ed è tornata indietro, sui suoi passi, ritornando alla tua casa. Ho tirato piano il filo, sciogliendo il fiocco fatto tanto bene che non poteva che essere fatto da te. La carta leggera si è aperta, come corolla di un fiore, fra le mia mani. Sotto la carta, ben ripiegato c’era il tuo sari verde scuro, con un biglietto, scritto di tua mano. “Perché tu non ti possa dimenticare di chi ti ama” Ho affondato il viso in quel pacchetto su quella stoffa e quel biglietto, in quella fragranza senza uguali del tuo corpo. Ora lo conservo qui in un cassetto di questo scrittoio, insieme alle lettere che ti sto scrivendo e che forse un giorno leggerai, nella tua prossima esistenza. Magari le leggeremo insieme, tu avvolta nel tuo sari verde scuro, io con in mano quel pezzo di spago, che userò per legare queste lettere. Vorrei ricordarmi dove hai vissuto, nella mia prossima vita, così possiamo andare a vedere se c’è ancora quell’albero e quel portone. Ma se non ci saranno più o li avrò dimenticati non importa, troverò un nuovo albero sotto il quale aspettarti. Anche per il sari va bene lo stesso se non sarà quello, il tempo lo avrà rovinato, ma io troverò un nuovo sari nel quale avvolgerti, però sarà dello stesso colore. E non ci sarà tuo marito a tentare di scacciarmi, sarà al mio braccio che ti terrai camminando. Forse la tua pelle sarà ancora bianca, ma la testa non la dovrai più tenere bassa, mostrerai a tutti “chi sei, dove vai e chi ami” proprio come io ti amo e ti amerò.

Cap.6

Shah uscì correndo dall’ufficio e quasi andò a sbattere con Rahul che in quel momento usciva dall’ascensore
-Rahul, stavo scendendo da te! – gli disse ansimando
-Mio Dio Shah, mi fai venire un accidente in questo modo! Venivo a salutarti prima di andar via. Oggi è venerdì, vado a trovare mia madre in questo fine settimana, non mi vede da almeno due mesi! – Shah cercò di riprendere fiato a sufficienza per esprimersi
-Lo spago, dov’è? – chiese prendendo il regista per un braccio
-Spago? Di che spago parli? –
-Lo spago delle lettere, dov’è? – gli rispose impaziente sventagliando davanti al suo viso i fogli ingialliti
-Ah, intendi quello di Ram e Victoria? Sì è vero c’era uno spago con le lettere ma io…. – Shah arretrò di un passo sgranandogli occhi
-Non dirmi che lo hai buttato, Rahul o giuro che ti licenzio qui su due piedi – lo minacciò
-Buttato? No, stavo dicendo che io l’ho messo dentro un cassetto della mia scrivania mi pare.
–Vallo a prendere! – gli disse Shah premendo il tasto dell’ascensore
-Ma ho il treno fra un’ora, c’è un traffico incredibile e se perdo tempo con lo spago poi di sicuro perdo il treno – tentò di scusarsi
-Da tua madre ci vai con il mio elicottero e il mio pilota ok? Ma adesso scendi e portami quel dannato spago – gli disse sospingendolo dentro l’ascensore.
Quando Rahul risalì, lo trovò ancora lì, davanti al suo ufficio, come un bambino che aspetta Babbo Natale. Gli consegnò il sottile filo di canapa mentre Shah lo avvertiva che aveva telefonato all’autista e al pilota e tutto era pronto per portarlo da sua madre come promesso. Mentre Rahul scendeva verso l’uscita si chiese se non fosse tutto troppo eccessivo nel comportamento di Shah, da quando aveva iniziato a leggere quelle lettere. Sembrava come in uno di quei film dove un oggetto maledetto incatena e spezza la ragione di chi lo possiede. Si diede del ridicolo visionario subito dopo, in fondo quelle erano solo leggende e poi Shah avrebbe fatto davvero un film su quella storia, sarebbe stata grandiosa, piena di mistero, di effetti speciali. Se tutto andava per il verso giusto, sarebbe stata migliore di Om Shanti Om. Shah all’ultimo piano del palazzo, nel suo ufficio, rigirò fra le mani lo spago, ingrigito dal tempo e sospirò. Non c’era più il sari, nel mobile, ma almeno il laccio c’era, si consolò. Ram e Victoria secondo la religione induista si erano quasi sicuramente reincarnati, lui si chiedeva solo se sarebbero riusciti a ritrovarsi e quando. Sarebbero riusciti a ricordarsi del loro amore come diceva Ram? Lui aveva le lettere, lui aveva lo spago, il sari era sparito, la porta azzurra e la loro stanza probabilmente pure. Come avrebbero fatto a ricordare? Il pensiero si trasformò in un’onda di melanconica tristezza, mentre guardava la città sotto di li, abbandonarsi alla notte. Rahul lo aveva guardato come se fosse uscito di senno, la segretaria era visibilmente preoccupata, lo sceneggiatore gli aveva chiesto almeno un paio di volte se era sicuro di volere il ruolo del protagonista. Lui stesso si sentiva confuso, lo ammetteva, ma quella storia era così profonda ed intensa che non poteva essere tralasciata. Quando chiuse gli occhi abbandonandosi allo schienale della poltrona su cui si era seduto, il mondo reale scivolò via, le immagini del sari, della porta e dell’albero si intrecciarono e si confusero. Poi, fu la folla del mercato a circondarlo, con gli schiamazzi e i colori, finché d’improvviso la gente si aprì davanti a lui come se fosse Mosè davanti all’acqua e allora vide Victoria. Non aveva il sari, ma era sorridente e bellissima, come se l’era sempre immaginata o forse, ricordata, si sorprese a pensare.
-Trovami…- sentì dire a Victoria Shah provò ad avvicinarsi ma nello stesso momento lei indietreggiò
-Trovami…- gli disse nuovamente prima di sparire nuovamente fra la folla che si richiuse attorno a loro. Si svegliò circondato dal buio. Strofinandosi gli occhi andò alla ricerca del cellulare per controllare che ora fosse e scoprì che stava arrivando l’alba. Non gli restava molto tempo, sentì la frustrazione salire: una doccia, la colazione e poi sarebbero arrivati pian piano tutti in ufficio, firme, appuntamenti, telefonate… Sorrise, appena fu colpito dal primo raggio di sole che saliva all’orizzonte: era sabato, nessun sarebbe venuto a lavorare e lui aveva tutto il tempo per cercare e trovare Victoria.

Cap.7

E’ sabato. E’ l’alba. Ma ha qualche senso ora che tu non ci sei? Nessuna, mia Victoria. E’ solo il mesto acido ricordo di quella sera che abbiamo ballato insieme davanti a tutti, del primo bacio che ci siamo scambiati, nascosti a tutti. Era il matrimonio di mio cugino, io ero nel corteo, tu fra gli ospiti, fra i più illustri, insieme a tuo marito. Da quando ci eravamo incontrati al mercato non ci eravamo ancora mai parlati, ma ogni volta che tu passavi in quella strada, ero sempre lì, ad aspettarti. Il nostro era solo uno scambio di sguardi, io restavo a guardarti da quando arrivavi, in fondo alla via, tu mi guardavi un lungo istante mentre mi passavi davanti prima di abbassare il capo e proseguire. Ho sempre sperato che ci fosse un’occasione, un momento in cui finalmente avrei potuto parlare con te ed è stato quel sabato. Mi hai raccontato che quando mi hai visto nel corteo hai avuto un tuffo al cuore, una fitta di dolore: non conoscevi ancora così bene le tradizioni e vedendomi vestito di bianco con stoffe preziose e gioielli hai pensato che fossi io lo sposo. Mi ricordo che mi hai detto che stavi pensando di trovare una scusa, un malessere, per farti riportare a casa, tanto era insopportabile per te la vista del mio matrimonio. Poi tuo marito ti ha indicato mio cugino, come protagonista, spiegandoti il cerimoniale e tu hai sorriso. Ti ho vista, Victoria, quasi ero senza respiro e sarei voluto venire lì in quello stesso istante a baciarti, come se farlo mi permettesse di tenere quel sorriso con me per sempre. Siamo rimasti separati fino al momento del ballo, quando ho finalmente potuto avvicinarmi a te. Tuo marito non ballava, rigido nel suo ruolo e nel suo vestito, ma tu no, ti sei lasciata portare da un’amica della sposa fino al centro della sala, insieme a tutti gli invitati, hai seguito le mosse che ti venivano mostrate, il tuo sorriso continuava ad invadere il tuo viso ed il mio cuore. Te lo confesso, Victoria: avevo preparato tutto da tempo. Ho fatto in modo che ci fosse tanta gente a ballare, che tu fossi portata fra la gente, che la gente ci facesse da barriera nascondendoci a tuo marito. Tutto preparato, Victoria perché io potessi far scivolare la mia mano nella tua, perché potessi baciare le tue dita e sussurrarti che ero felice di averti così vicino. Ah se tu avessi saputo che significato aveva quel mio gesto di baciarti le dita! Tu mi avevi dato il tuo bicchiere per bere, io baciavo le tue dita. Le nostre anime si stavano legando per sempre. Poi tu sei tornata al fianco di tuo marito, io ho continuato a ballare, ubriaco di felicità, grondavo sudore e desiderio di te, non aspettavo che il momento che ti avrei stretta a me, fosse stato dopo settimane o mesi non aveva neppure più importanza. Quello che non mi aspettavo è successo poco dopo invece, quando un mio caro amico si è avvicinato, pregandomi di accompagnarlo in giardino. Ho pensato che dovesse incontrare una ragazza e così ho acconsentito, sedendomi vicino a lui su una panca in pietra, lontano dalle luci della festa. Quando lui si è alzato, ho guardato dove lui guardava e l’ombra di due donne si stava avvicinando. Così volevo andarmene, non volevo conoscere una donna che non fossi tu, parlare con un’altra che non fossi tu, perché avrei dovuto rimanere? Ma l’amore ha percorsi che noi non comprendiamo, vero Victoria? Per caso o per accordo, la donna che accompagnava la ragazza eri tu e la luna che ti illuminava ti rendeva ancora più bella, se ciò fosse stato possibile, ai miei occhi. I nostri amici si sono allontanati, chiedendoci di aspettare e così tu ti sei seduta al mio fianco. E’ stato allora che ho potuto finalmente udire la tua voce.
-Conosco ogni dettaglio del tuo viso, ogni battito delle tue ciglia, ogni passo dei tuo piedi. Ho bevuto dal tuo bicchiere e baciato le tue dita, ma non conosco il tuo nome – ti ho sussurrato accarezzando una ciocca dei tuoi capelli Ho guardato le tue labbra pronunciare il tuo nome, come fosse un verso di una poesia d’amore, mentre i tuoi occhi vagavano sul mio viso.
-Victoria…e neppure io so il vostro nome anche se vi vedo ogni giorno quando esco di casa –hai risposto
- Ram, il mio nome è Ram – fui in grado di dire prima che la tua mano si alzasse ad accarezzare il mio viso.
-Presto si chiederanno dove sono- mi hai detto ed io ho capito
-Ma io devo fare una cosa prima che tu vada… -
-Credo sia meglio tu lo faccia subito, Ram, prima che mi vengano a cercare –
Sentire il mio nome pronunciato da te fece impazzire il mio cuore, il mio corpo si mosse, svincolato dalla ragione. Ho preso il tuo mento fra le dita, sulla tua bocca ho deposto un primo piccolo bacio. Altri ne ho fatti seguire, finché tu mi hai risposto allo stesso modo. Solo allora mi sono alzato e sono andato via, senza neppure tornare alla festa, portandomi a casa il tuo amore.

Cap.8

Shah sentì di aver solo sprecato tempo. Neppure le sue ricerche, oltre a quelle già fatte, avevano portato a nulla. Si chiese se avrebbe mai trovato Victoria, Ram o se fosse davvero tutta una storia sepolta nella polvere del tempo da cui non avrebbe ricavato nulla se non forse, un buon film. Aveva trascorso tutto il fine settimana in ufficio, contando sul fatto che i ragazzi erano a Dubai con la madre, perfino i suoi pranzi si erano limitati a qualcosa di veloce consumato senza spostarsi da davanti al pc. Rahul entrò salutandolo con un sorriso
-Buongiorno, dobbiamo cominciare a pensare a chi farà la parte di Victoria, Shah –
-Ma io non so ancora come deve essere Victoria, cioè lo so in realtà ma non…. – Il regista lo guardò con aria perplessa
-Cosa significa che lo sai? –
-Io so esattamente chi è Victoria, è come se l’avessi sempre saputo, come se fosse… - disse con enfasi prima di venire di nuovo interrotto
-Come se fosse sempre stata tua? – Shah s’irrigidì, Rahul aveva fatto centro, aveva colto quella sensazione che lui aveva e non osava esprimere.
-Amico mio, ora dovrai dirmi se ti devo chiamare Ram o Shah – gli disse Rahul dandogli delle pacche affettuose sulla spalla
-Ma come la cosa non ti spaventa? Non ti viene da chiederti se io sia pazzo, o ubriaco? – rispose
-Tu scordi che io sono hindu amico. La reincarnazione per la mia fede è una cosa concreta non una teoria e il caso non esiste – lo rassicurò
-Allora aiutami, Rahul! La devo ritrovare, il mio cuore e la mia mente non chiedono altro da quando ho di nuovo in mano quelle lettere! –
-Non preoccuparti Shah. Tutto ha un tempo, Victoria arriverà come sono arrivate le lettere. Ricorda una cosa però: lei potrebbe non sapere di essere Victoria, potrebbe non riconoscerti, non subito magari –
-No, non può essere! Come si può non riconoscere l’amore? Come può essere indifferente a ciò che ci ha unito? –
-Tu devi fare quel servizio fotografico con Ratnani oggi vero? Io guarderò un po’ di provini delle candidate e tu vai a fare le foto e poi stasera guarderemo insieme le registrazioni dei provini ok? Devi staccare da questa storia, ti serve sgombrare la mente e osservare tutto da più lontano –
Non sapeva quanto Rahul avesse ragione, quando raggiunse in spiaggia Dabboo Ratnani, nel pomeriggio tiepido e ventilato. Gli erano state proposte una serie di foto in riva al mare, una cosa di non più di un’ora, ma lui si sentiva irrequieto e Dabboo se ne accorse.
-A cosa pensi Shah? Non sei concentrato, le foto non sono un granché così! –
-Pensavo…ad un sari – confessò Shah
-Un sari? –
-Ad un sari hai capito bene –
-E a chi lo indossa? – insinuò Dabboo
-No, quello non è più possibile – disse con amarezza.
Dabboo non chiese di più, appoggiò la macchina fotografica sopra la cassa che gli faceva d’appoggio e si mise a camminare a fianco di Shah lungo la spiaggia. Camminarono a lungo, in silenzio, poi Dabboo, mentre tornavano indietro gli indicò un punto, sul pontile. Una donna, fissava il mare e il tramonto, davanti a sé, poi la videro sollevare le braccia e puntare la sua macchina fotografica verso l’orizzonte
-Vieni ti voglio presentare una persona. Si chiama Agnes, è inglese, lavora con me per uno stage- spiegò Dabboo mentre sospingeva l’amico.
Le assi di legno consunte scricchiolarono sotto i passi dei due uomini e la giovane udendoli, si voltò.
Il vuoto improvviso che Shah sentì allo stomaco lo sorprese più di ciò che aveva davanti a sé, una giovane donna inglese avvolta in un sari verde scuro, gli sorrideva dolcemente tendendogli la mano.
-E’ un onore conoscerla, signor Khan – gli disse quando Dabboo lo presentò.
Victoria era tornata ma si era dimenticata di Ram. Victoria non lo riconosceva, non si ricordava di lui, proprio come aveva detto Rahul.
-Dabboo perdonami ma devo tornare in ufficio – riuscì a malapena a dire mentre qualcosa lo stringeva alla gola, gli opprimeva il petto, gli strappava i pensieri.
-Ma come te ne vai? E le foto? – gli urlò mentre Shah si allontanava
-Domani Dabboo…domani vieni da me ok? – rispose senza voltarsi indietro.
Se si fosse voltato, l’avrebbe rivista, avrebbe visto il sari e senza poter correre lì da lei e baciarla, era inutile, era solo dolore.

Cap.9

Perché scrivo mia amata? I dolci ricordi che ci appartengono sembrano fluire e disperdersi nell’inchiostro nero che spargo sulla carta ed invece dovrei conservarli in me, per sempre. Ma tu non sei più qui, a chi racconterò tutto ciò che accadde? Allora permettimi di raccontarti ciò che ricordo così. Sarà come quando, fatto l’amore ti tenevo fra le mie braccia e ti spiegavo la storia dei nostri Dei e ti promettevo che ti avrei portata al tempio come ogni devoto uomo porta la sua sposa. Dopo quel primo bacio, in quel giardino, accadde qualcosa che non si può spiegare se non con l’Amore. Non potevamo stare troppo tempo lontani, non potevamo non cercare uno gli occhi dell’altro, o sfiorare appena la pelle come questo fosse respiro vitale per i nostri cuori. Allora ti venivo incontro fra la gente del mercato, così che in mezzo alla folla noi fossimo sospinti uno verso l’altro, la mia camicia toccasse appena il tuo abito o la mia mano per un momento sfiorasse con le dita la tua. Ogni giorno tu scendevi dalle tue stanze ed uscivi dal tuo portone e allora ecco che io attraversavo la strada e camminavo davanti a te. Sapere che tu seguivi i miei passi, camminavi sulla mia ombra era come un tuo abbraccio e il mio cuore si riempiva di gioia. Mi hai detto che amavi farlo, ti deliziavi nel guardare il mio corpo che si muoveva davanti a te, guardavi la mia nuca, dicevi, perché pensavi a quando la tua mano si sarebbe finalmente posata sopra. Dicevi, resa spudorata dall’amore che avevamo appena consumato, che il mio incedere ti faceva pregustare il momento che i nostri corpi si sarebbero uniti e io venivo di nuovo investito dalla voglia di possederti, di farti mia. Mi guarderai di nuovo camminare davanti a te, Victoria, pensando a queste cose? Sentirò ancora il tuo respiro fermarsi, la tua mano tremare appena ti avrò sfiorata con le mie dita? Vogliano gli Dei esaudire la mia preghiera, perché grande è l’Amore che ci ha unito, che neppure con la morte potrà essere dissolto! Il vento e il freddo sono più forti senza di te e il sole non scalda abbastanza il mio corpo, da quando non c’è il tuo sorriso. Quando neppure passarti vicino è bastato alle nostre anime sofferenti di questa dolce pena, ho trovato chi ancora una volta, permise ai nostri cuori di stare più vicini ancora. Hai scoperto come, l’Amore qui sia così tenuto in considerazione e te ne sei stupita, tu che di amore non ne avevi ricevuto mai in quel modo da tuo marito. Ed io non ero in grado di capire come non ti si potesse amare, ancor di più dopo averti sposata, tutto il tuo essere trasudava bellezza e gentilezza, eri fatta per essere adorata come una Dea e venivi invece ignorata, oppure mostrata come si fa con un oggetto di casa. Ma quell’uomo cieco ti ha reso libera di amare me e io porterò per sempre te come un gioiello meraviglioso nel cuore. Un mercante vide ed capii cosa ci stava succedendo, mi prese in disparte dopo che tu ti fosti allontanata dal mercato e mi parlò. Un magazzino di spezie, poco lontano poteva essere il luogo adatto, mi confidò, lui avrebbe solamente fatto in modo che tu ci arrivassi. Dovevo aspettarti dietro ad una pila di sacchi di pepe nero, mai attesa fu più difficile e lunga. Il giorno stabilito, quello in cui tu ti fermavi da lui per comprare spezie per la casa, io corsi al magazzino mentre il mercante ti annunciava un carico del miglior pepe nero della regione, arrivato la sera prima. Tu non capivi, tanta dedizione, la gente vi ignorava, nella vostra trattativa. Il mercante dovette insistere, negando alla tua domestica di seguirti, dicendo che nessuno doveva sapere dove teneva un carico tanto prezioso. Oh come erano vere quelle parole mi hai detto, quando hai scoperto qual era il carico nascosto nel magazzino! Ti ha aperto la porta, lasciando entrare un poco di luce, perché tu trovassi la strada da sola, verso chi ti attendeva. Ma avevi paura, del mercante e del luogo ed allora io ho mostrato il mio braccio, da dietro la pila di sacchi, e tu hai capito, la mia mano aperta e tesa verso di te è stata la certezza di ciò che speravi. Il mercante se ne andò, chiudendo il portone, lasciando noi soli al nostro amore. Ti ho stretta fra le braccia, respirando la tua fragranza, le mie labbra assetate hanno trovato latte e miele sulle tue. Tu hai finalmente accarezzato la mia nuca e i miei fianchi ed io ebbro di felicità ho ringraziato gli Dei per il dono che ricevevo. Così nel giorno della settimana che tu compravi spezie c’era sempre un carico speciale del mercante che tu volevi valutare in quel magazzino e il nostro amore si nutriva di quei profumi e di quelle essenze crescendo tanto da non essere più soddisfatto dai soli abbracci e carezze. Così in un “giorno delle spezie” come lo avevamo chiamato, tu mi hai detto di aver chiesto al mercante di darti la stanza dalla porta azzurra.

Cap10

Rahul lo trovò così, un’ora dopo, che stringeva di nuovo in mano i fogli scritti da Ram.
-Li hai letti? - gli chiese indicandoli
-Sì è pazzesco… - rispose Shah
-Una storia pazzesca hai ragione –
-No è pazzesco che io mi ricordi di lei – lo corresse Shah
-Ancora ne sei convinto? Io non ti capisco, non ti ho mai visto preso da una storia in questo modo –
-Non solo ne sono convinto, l’ho trovata Rahul – disse fissando l’amico regista negli occhi.
Rahul sapeva riconoscere ogni sfumatura di pensiero di Shah, conosceva le sue espressioni, i suoi segnali, anni di lavoro e amicizia gli permettevano di capire cosa provasse Shah solo guardandolo. Shah non stava mentendo, non stava fantasticando, non stava inventando. Si arrese all’evidenza.
-Hai trovato Victoria? Ma è fantastico! Dov’è? Chi è? – lo incalzò
-Lavora con Dabboo, è una stagista inglese ma non si ricorda di me – rispose amaro
-Oh mio Dio Shah, che farai ora? – chiese mettendosi a sedere nella sedia di fronte a lui
-Non lo so Rahul. Credo che seguirò l’istinto, il momento, non mi viene in mente nulla, ho la testa vuota su questo –
-E Dabboo cosa dice? –
-Prima che vedessi lei lui già si era accorto che avevo la testa da un’altra parte e me ne ha chiesto ragione ma io gli ho solo detto che pensavo ad un sari senza aggiungere altro. Appena l’ho vista ed ho capito che lei però non mi riconosceva, non sono riuscito a restare lì e sono tornato a casa –
-Dabboo si starà chiedendo cosa ti succede, credo dovresti essere onesto con lui Shah – disse Rahul
-Lo farò, non temere, siamo amici da anni, mi comprenderà –
-Quando lo rivedrai? - gli chiese Rahul
-Fra poco, qui. Scappando ieri gli ho detto che ci saremo rivisti oggi –
-Magari con sé porterà Victoria…pardon, come si chiama in questa vita? –
-Agnes – rispose Shah già nuovamente rapito dai suoi pensieri
Qualche istante dopo una collaboratrice entrò per annunciargli che era atteso per le foto nel salone principale. Scese i piani che lo separavano dal luogo dell’incontro incerto se augurarsi che lei avesse accompagnato Dabboo oppure no. Aveva tanto sperato di vederle brillare gli occhi, nel loro primo incontro, in un segno che avrebbe indicato che tutti quegli anni separati erano svaniti, che la morte non aveva cancellato la loro storia. Tutto svanito in quel frammento d’istante in cui lei gli aveva sorriso in modo dolce ma indifferente, in cui la magia che Shah desiderava dal primo momento che aveva letto le lettere, non era comparsa come nebbia impalpabile fra i loro corpi, finalmente di nuovo vicini. Spalancò la porta del salone sospirando, quasi a farsi coraggio, per trovare le parole migliori con cui avrebbe raccontato tutto a Dabboo, se Victoria/Agnes non fosse stata lì con loro. Se lei ci fosse stata, avrebbe dovuto lottare con se stesso, per non gridarle chi fosse, per non rammentarle le promesse fatte, i luoghi e le carezze scambiate. Ma Victoria c’era, lì davanti a lui, sola.
-Buongiorno, signor Khan – lo salutò timida
-Buongiorno a lei signorina… -
-Agnes – gli disse credendo non ricordasse il suo nome
-Signorina Agnes, scusi…mi perdoni, avevo scordato il nome – mentì, Shah, non potendo confessare che aveva appena rischiato di chiamarla Victoria
-Il signor Ratnani si scusa ma ha avuto un problema con uno dei figli, ha mandato solo me, se per lei va bene –
-Oh certo, nessun problema! – sorrise ringraziando dentro sé, il suo vecchio amico
Da gentiluomo quale era stato educato, volle prima offrire qualcosa da bere alla sua ospite, poi le fece fare un giro per la casa, per finire sulla terrazza dove seduti su una panchina, fece arrivare del the freddo e dei piccoli tramezzini. Pian piano Shah sentì sciogliersi la tensione dentro sé, si sentì nuovamente a suo agio con quella donna che era stata sua un tempo. Decise che era il momento di provare, di indagare quando potesse essere difficile, o facile, far riemergere Victoria nella mente di Agnes.
-Lei è inglese, ho capito bene da Dabboo? –
-Sì, ma non ci crederà, mi sento stranamente molto legata all’India, anche se io stessa non saprei dirle per quale motivo –arrossì la giovane donna timidamente
-Magari qualcosa di questa terra le è rimasto nel cuore –azzardò Shah
-Rimasto? Beh rimasto non è il termine adatto. Vede, questa è la prima volta che vengo in India –
-Davvero? Eppure ieri portava con tanta disinvoltura ed eleganza quel sari che avrei giurato fosse abituata a portarlo! –
-Il sari l’ho acquistato al mercato il giorno prima. Quel verde, proprio in quella sfumatura, è il mio colore preferito. Quando l’ho visto non sono riuscita a trattenermi! La moglie del Signor Ratnani poi mi ha insegnato ad indossarlo e le confesso che non lo avrei più tolto! –
Shah sorrise. L’ingenua assenza di ricordi in Agnes sulla sua vita con lui lo ammaliavano quanto i suoi occhi chiari. Non vedeva l’ora che ricordasse, che lo baciasse, che fosse sua ancora come in quel tempo che era certo, non era più così lontano.

Cap.11

-Staremo insieme per sempre. In questa vita e nella prossima. E in quella dopo. E poi ancora. Tutto l’Amore che ci unisce non finirà in una vita sola, è talmente tanto!-
Mi avevi detto dopo che io ti avevo spiegato un po’ come noi hindu vediamo la Vita e la Morte, il Karma e la Reincarnazione. L’avevo fatto sdraiato con te sotto un grande albero, in mezzo ad un campo fiorito, tra l’erba alta. Quando ci siamo arrivati, ai piedi dell’albero c’era un piccolo uccellino morto, forse caduto dal nido, forse caduto tentando il primo volo. E ti eri commossa fino alle lacrime, chiedendoti perché era accaduto. Cosa poteva aver fatto mai di male un esserino così per dover morire? Perché il Buon Dio, così lo chiamavi, non si accontentava delle morti dei cattivi, dei ladri, degli assassini? Io ti avevo stretta a me, ricordi Victoria? Avevo asciugato il tuo volto e poi avevo iniziato a raccontare, come si racconta ad un bambino. E tu mi hai ascoltata in silenzio, mentre il tuo respiro piano piano si calmava e il vento quasi ad accarezzarti, giocava con le ciocche dei tuoi capelli. Era una giornata speciale, una delle poche in cui tuo marito era in viaggio per affari e noi ci potevamo concedere poche ore tutte per noi. Ore in cui ti portavo via con me, in qualche luogo, dove poter stare noi due da soli. Quel grande campo su una bassa collina, era uno dei miei posti preferiti, poi è diventato anche il tuo. Ti piaceva molto anche andare in riva al mare, in verità, restavi alcuni momenti dritta, col viso verso l’orizzonte, con il sole che ti illuminava, ad occhi chiusi. Poi ti voltavi verso di me, mi sorridevi e correvi ad abbracciarmi. Ma questa è un’altra storia vero? Ho talmente tanti ricordi da affidare a queste lettere, in attesa di rivederti! Non voglio dimenticare nulla, voglio scrivere ogni cosa, così da leggerle insieme a te nella nostra prossima vita. Un giorno circondati dai nostri figli, prenderemo queste lettere e racconteremo come una bella fiaba la nostra lunga storia d’Amore. L’idea che non ci saremo lasciati, neppure con la morte, ma avremo potuto ritrovarci ed amarci ancora, ti aveva resa felice, piena di gioia. Quel giorno abbiamo fatto l’amore lentamente, a lungo, lo avevi voluto tu, volevi che fosse intenso, che “impregnasse” ogni nostra cellula, lasciandone una traccia che ci sarebbe rimasta addosso in ogni nostra vita. Non potevo chiedere di più! Quale uomo non desidera una donna così? Avevo portato con me alcuni dolci e dell’acqua, quel giorno e prima di partire te li offrii, perché la passione ti aveva accaldata e resa affamata. Hai addentato il dolce e una goccia di miele è scivolata sul tuo mento, su cui mi precipitai avido e più affamato di te, anche se non di cibo. Ebbene, quel sapore, misto di miele e di te, lo sogno ancora, in molte delle mie tormentate notti, sai? Davvero aver fatto l’amore in quel modo ha avuto l’effetto che speravi! Vorrei soltanto che nella tua prossima vita ti ricordassi anche tu di quel giorno, come un sogno magari un po’ sbiadito, uno di quei sogni a cui, al mattino al risveglio, fai fatica a dare un significato, ma lo senti ancora addosso. Vorrei che tu ti sentissi per sempre addosso, sul mento, le mie labbra, insieme al miele che vi scivolò, e che portai in piccoli baci sempre più giù verso la tua gola, da cui di nuovo ricominciarono ad uscire mormorii deliziosi. Vorrei che tu sentissi ancora la passione che subito dopo riaccese i nostri corpi, e che consumammo, non più lentamente, ma avidi, come avessimo mille gambe e mille braccia per stringerci, mille bocche per assaggiarci. Ecco, sono di nuovo pervaso da questo folle desiderio di te! Dovrei scrivere quello che ci accadde e invece consumo inchiostro su me stesso. Ti ho accompagnata fino a dove ho potuto, al mercato, cercando di fingere indifferenza appena tu te ne sei andata, ma con una felicità tale che mi sarei messo a cantare a tutta voce per le vie della città. Ti sei voltata un’ultima volta, anche tu con fare indifferente, finché i tuoi occhi hanno ritrovato i miei. I tuoi bellissimi grandi occhi, che sorrisero al tuo posto, mi parvero illuminare più del sole, la strada polverosa. Tornai a casa, ma non potevo stare dentro quelle mura, allora mi rinfrescai, indossai uno dei miei abiti migliori ed uscii, volevo essere più vicino a te che potevo. Passai dal barbiere, perché volevo che dalle tue finestre tu mi vedessi, elegante e profumato, che tu sentissi il richiamo della mia pelle e delle mie braccia, delle mie labbra. Mi fermai sotto il solito albero, dall’ampia chioma a forma d’ombrello, di fonte alla tua casa, dall’altra parte della strada ed attesi, finché una tenda leggera si mosse, una prima volta e poi una seconda per mostrare appena il tuo volto. Io ti sorrisi, allargando le braccia per mostrarti tutto me stesso e come mi ero preparato per te, tu mi hai guardato mostrandomi che avevi indossato un altro sari, ma sempre nello stesso tono di verde di quello che mi avevi donato, con il quale giocavi a coprirti la bocca, fingendo una timidezza che sapevo bene non essere vera. Incantato e rapito dalla mia visione, non mi accorsi dell’arrivo di tuo marito.

Cap.12

Agnes aveva appena finito di esporre la sua idea su come fare quel servizio fotografico quando si accorse che Shah non ne aveva udito una sola parola
-Qualcosa non va signor Khan? La prego di dirmi se qualcosa non è come lei vorrebbe, io sono a sua disposizione-
Shah si scosse, l’aveva guardata parlare, gesticolare e era accaduto qualcosa di inaspettato e strano. Ogni sorriso di Agnes sembrava rompere un po’ la tela dell’oblio che lo avvolgeva e che lo teneva lontano dai ricordi di Victoria. Certe sue pose, certe espressioni sembravano le stesse della Victoria che era stata, ora le riconosceva. Allora, si disse, lui doveva davvero essere Ram! Era pazzesco, se lo era detto ormai un’infinità di volte, era surreale. Lui era cresciuto come musulmano, ma aveva studiato la religione cattolica e amato una donna hindi. Non era difficile per lui accettare che secondo una religione ci fosse una vita eterna e per un’altra la rinascita, ma in quanto a viverlo in prima persona non pensava certo fosse possibile! Si chiese quanto lo stress la stanchezza la tensione e le aspettative per quel film che dovevano fare, fossero parte in causa di quello che gli stava succedendo. Se da un lato provava a restare razionale, distaccato e obiettivo, dall’altro non ci riusciva, non poteva. Ogni volta che teneva in mano quelle lettere, quella sorta di diario, che le leggeva, qualcosa in ciò che era scritto lo rapiva e lo portava a quel tempo, a quell’evento. Ora che aveva davanti Victoria, o meglio, Agnes, la cosa gli sembrava ancora più intensa e vivida. Lui che aveva sposato sua moglie per amore, aveva messo al mondo dei figli, aveva lavorato e sudato per donare a loro tutto ciò che lo circondava, improvvisamente si sentiva estraneo nelle loro vite nel momento stesso in cui incrociava lo sguardo di quella giovane fotografa. Si sorprese a pensare a sé come in quella canzone di un film che aveva fatto che recitava:
"Quando ti ho visto ho sentito come se un sogno perduto tornasse
Come se finalmente l’alba tornasse dopo una notte lunga anni
Sveglio per troppo tempo, sono arrivato da lontano Il sogno ancora non mi ha abbandonato
Da tanto tempo il mio respiro era bloccato e ora respiro di nuovo" (Saans, reprise)
-No, va tutto bene Agnes, idea magnifica! Vogliamo cominciare?- rispose
Quando Ratnani finalmente li raggiunse, il servizio fotografico era finito e le foto facevano mostra di sé sullo schermo del pc di un Dabboo piacevolmente sorpreso.
-Io in tutti questi anni di carriera non sono mai riuscito a fare foto così a Shah, Agnes! Un lavoro magnifico, hai dato risalto al suo sguardo, il suo volto ha delle espressioni che credo di non avergli mai visto! Cosa gli hai raccontato per farlo uscire in questo modo?-
Agnes imbarazzata agitò le mani davanti a sé
-Ti giuro che non ho detto nulla! Prima era assorto, distratto e poco dopo…un attimo dopo eccolo qui!- disse indicando le foto In disparte
Shah li guardava parlottare mentre aspettava un cenno di Dabboo per potersi cambiare d’abito e rimettere i suoi soliti jeans strappati che amava. Ma soprattutto voleva leggere ancora le lettere, perché poi voleva stare ancora solo con Agnes, riuscire a farle ricordare ogni cosa.
-E’ mai stata ad un casting signorina Agnes?-
-No mai perché?-
-Perché avrei bisogno del suo talento di fotografa per un giorno-
-Mi sta proponendo di lavorare per lei?-
-Qualcosa di più, Agnes-
Lo guardò sconcertata. Lui se ne accorse e precisò:
-E’ una storia che stiamo ancora preparando, ma la protagonista ha caratteristiche ben precise già delineate. Io credo che lei sia in grado di aiutarmi a trovare queste caratteristiche nelle attrici che si sono presentate per il provino-
-Signor Khan credo che lei si aspetti troppo da me, in fondo sono una semplice stagista-
-Si sbaglia, Agnes, sono sicuro che lei è proprio la persona che cerco- rispose sorridendo.
-Dovrò avere il permesso del signor Ratnani in ogni caso- ribatté la ragazza voltandosi verso il fotografo
-Ad essere sincero, credo che questa esperienza imprevista non potrà che fare bene alla tua carriera Agnes, credo dovresti accettare- le rispose in tono confidenziale
-Vorrei anche capire di che storia si tratta, signor Khan. Me la racconterà?-
-Lo farò subito, nel mio studio, se accetta che ci diamo del tu-
-Affare fatto!- rispose entusiasta
Shah sorrise alla sua risposta, ribattere gli era fin troppo facile, ricordandosi di nuovo lo stesso film di poco prima
-Affare fatto Londra!- le disse tendendo la mano.
-Questa la conosco! Jab tak hai jaan giusto?-
-Touche Agnes!-
Le indicò la strada verso il suo studio e mentre l’accompagnava si sentiva nervoso ma felice come un ragazzino. Anzi, pensò, come un ragazzino alla sua prima cotta.

Cap.13

Quanto può essere intenso l’amore? Lo pensavo stamattina mentre ti stringevo fra le braccia e respiravo il tuo profumo. Le tue mani le tue gambe, ogni parte di te era tutt’uno con me, le tue carezze che ti portavano i miei sospiri come fossero doni posati ai tuoi piedi. Mi basta un tuo sguardo, una parola, una qualsiasi, il tuo saluto, detto come solo tu lo sai dire e sono tuo. Legato incatenato dall’incantesimo che a te mi unisce e che fa vibrare il mio corpo. Niente ha più importanza o senso o valore. Non c’è educazione ricevuta, limiti imposti, barriere che mi tengano fermo qui senza di te. Se mai ce ne fossero, allora sappi che tutto ciò che ci tiene divisi mi consuma mi logora mi tortura in ogni singolo istante. Vorrei stare con te fin dal primo istante della tua prossima esistenza ma so che ciò non sarà possibile. Passeranno anni e persone ed eventi nelle nostre vite prima che ci sia concesso di ritrovarci. Potresti non ricordarti di me e ne ho un timore folle, potrei non ricordarti io ma di questo non ho paura, perché ti ho amato così tanto che mi basterà guardarti per sapere chi sei. Ti ricordi la prima volta che siamo rimasti lontani? Trascurai per giorni anzi settimane i miei affari per dedicarmi al mio bene più grande, a te, anima e corpo, soprattutto corpo (perdonami l’umorismo) ma venne il momento in cui non potevo rimandare oltre. Mi hai scongiurato di non partire, non potevi sopportare di vivere in quella stessa casa, senza il balsamo che ti dava il sapere che io ero poco lontano o sotto l’albero a sbirciare da lontano. Dimmelo, una volta sola, dimmi che ti mancherò come l’aria che respiri, che respirerai solo se io ci sarò, che ti mancherà ogni singola parte minuscola di me, anche la piccola cicatrice che ho sul braccio e che baci ogni volta. Dimmi che sarò per sempre il tuo rimpianto e il tuo rimorso, tormentata di notte come di giorno. Che solo in me e con me trovi pace, che con me le ore sono veloci e senza me un attimo sembra non passare. Sono lontano non so quanti chilometri ma ti sento qui, sdraiata al mio fianco e so che tu ora stai sorridendo, stesa sul letto nella tua stanza. Quale malessere hai raccontato, per non accompagnare tuo marito? Un mal di testa, un senso di vertigine? Ah Victoria se tu fossi mia sempre non saresti mai malata! Ma tu lo sei vero? Mia intendo. Sempre mia. Me lo hai sussurrato prima di fare l’amore, ma anche dopo, baciandomi. Mi hai detto di non dimenticarlo e io mi sono offeso, un po’ per gioco e un po’ per davvero. Sono solo in questa casa che sembra un antico tempio romano, che se lo fosse davvero non sarebbe che dedicato a te, Dea dell’amore. E’ qui che voglio portarti a vivere, qui che vivremo per sempre insieme. Qui che trascorreremo i nostri giorni e le nostri notti, ricordando del dolore di questi giorni in cui siamo lontani. Sei diventata il mio solo sogno di notte e la sola idea che ho quando mi sveglio. La vecchia domestica, che dimora in questa casa anche se non riesce più a fare nulla, mi conosce da quando sono nato e mi ama come un figlio. Ma come ogni brava madre ha riconosciuto il mio tormento e non ha pomata ha detto per la mia ferita. Solo tu ha detto, sarai la mia salvezza, benedicendomi sulla soglia quando sono partito. Se sapesse quanto è difficile questo nostro amore, non mi avrebbe benedetto! Lei pensa che tu sia la ragazza che si vuole mi si data in sposa, decisione presa quando ancora eravamo piccoli. Un po’ ne sono dispiaciuto: quella giovane donna è stata cresciuta preparandola a questo, insegnando a lei ogni cosa che deve fare per farmi piacere, perché questo deve saper fare una brava moglie. Tu come lo hai imparato? Chi ti ha insegnato a rendermi felice? Nessuno della tua famiglia ti ha destinata in sposa a me eppure sei perfetta! Ogni tuo gesto, sorriso o parola mi deliziano e mi catturano. Come moglie mi faresti detestare l’alba che ci separa e amare la notte che ci vede abbracciati. Non puoi che essere tu la donna che devo avere al mio fianco, non m’importa che tu già lo sia di un altro. Ti rapirò se necessario, nel buio senza luna, verrò con un cavallo, come in quell’antico canto per portarti in questo nostro tempio, ora così vuoto e desolato. Tuo marito potrà cercarti, non ti troverà. La mia famiglia potrà opporsi, non otterrà nulla. I nostri cuori sono uniti ormai e lo sono in modo indissolubile, solo gli Dei potranno dividerci. Ma se tu stessa sei la mia Dea come potrebbe accadere? Che scorrano veloci allora questi giorni, che i miei affari vengano conclusi, perché tu mi possa rivedere presto, stavolta in sella ad un cavallo, attenderti sotto le tue finestre.

Cap.14

Quante volte aveva letto quella frase? Cinque? Dieci volte? Eppure non ne era sicuro. E lui voleva esserlo. Il suo cuore gli diceva già di sì, ma la mente si ostinava a non voler capire. "Sono solo in questa casa che sembra un antico tempio romano" Quante case ci potevano essere in India, che sembravano un tempio romano?
Shah uscì nel cortile, si arrampicò sulla scala che lo faceva arrivare alla ringhiera, da dove di solito salutava i fans e da dove regalava sorrisi e baci. Con le gambe che tremavano, per una volta girò le spalle alla strada quasi deserta e alzò lo sguardo verso la sua casa. Mannat era la sua casa da tanti anni, ma in realtà era sempre stata sua, era stata una delle case di Ram! Rahul lo vide rientrare in ufficio mormorando -Oh mio Dio, oh mio Dio- e spaventato lo seguì alla scrivania
-Che succede? Stai male?- gli chiese preoccupato
-Cosa mi diresti se io avessi scoperto che questa era una delle case di Ram e che ormai sono sicuro che io ero Ram?-
Rahul si lasciò cadere sulla sedia senza staccare gli occhi da Shah. Quando alcuni secondi dopo fu di nuovo in grado di parlare riuscì solo a pronunciare -Oh mio Dio…- che strappò una risata all’amico di fronte a lui.
-Bene, vedo che la pensiamo uguale- commentò Shah
-Aspetta! Perché mi hai detto che questa sarebbe una delle case di Ram?- chiese Rahul che non aveva ancora letto la lettera
-Ram, deve essere un commerciante o un possidente, tanto facoltoso da avere la sua attività sparsa per l’India. Da come so, per le ricerche che ho fatto, la storia con Victoria dovrebbe svolgersi a Calcutta ma lui deve avere affari qui dove si può anche permettere di avere una casa, questa, Mannat-
-Woow, incredibile…il film avrà un set totalmente reale, nulla di costruito!-
-Non proprio. Se ci pensi la gran parte della storia almeno per il momento si è svolta a Calcutta, dove vive gran parte del tempo Ram e dove vive Victoria. Lì si conoscono, lì c’è il magazzino e lì la stanza dalla porta azzurra-
-Ok ok ma se tu hai trovato la sua casa qui, possiamo trovare il resto a Calcutta ti pare?-
-Io non l’ho trovata Rahul. Ram la descrive nella lettera e non ci sono molte case così ti pare?-
-Mi stai dicendo che forse non troviamo le case di Calcutta?-
-Speriamo che le lettere dicano ancora qualcosa, io ancora non ricordo queste cose anche se ho l’impressione che se le vedessi le saprei riconoscere-
-Caro Shah mi hai appena dato il suggerimento giusto! Vado dallo sceneggiatore e gli dico di preparare un sopralluogo ai possibili set. Una settimana a Calcutta ci sarà d’aiuto, ti farà bene cambiare aria!-
-Una settimana? E quando? Io non posso piantare tutto e andare lì in cerca di una cosa che non so neppure se esiste più!-
-Dobbiamo provarci Shah, servirà a te e a Victoria-
-Appunto, Victoria...ho appena chiesto ad Agnes di occuparsi delle foto delle attrici che stiamo provinando, nella speranza che ricordi qualcosa. Se io vado a Calcutta non sarò magari qui nel momento che lei inizia a farlo. E se ricordasse per prima cosa come è morta? Chi sarebbe con lei ad aiutarla nel momento in cui sarà così spaventata?-
Il discorso non sembrava fare una piega neppure per Rahul ma la soluzione venne altrettanto facile e immediata
-Porta con te Agnes!-
-Tu stai scherzando vero?- lo guardò allibito Shah
-Perché dovrei! Se ritroviamo la sua casa, ti immagini che stimolo sarà per lei? E poi se troviamo la stanza, la vostra stanza dove avete fatto l’amore…-
-Stooopp! Non proseguire nemmeno! Faccio già fatica ad accettare questa cosa che io sono stato Ram, che ho amato una donna che non è Gauri, trovarmi con Agnes in quella stanza sarebbe la cosa più imbarazzante a cui posso pensare-
-No non sarà imbarazzante ma bellissimo- lo corresse Rahul
Shah non rispose, ma sospirò allontanando lo sguardo verso il cielo azzurro e limpido che era fuori dalla sua finestra. Doveva ancora una volta ammettere a sé stesso che Rahul aveva ragione. Quella storia, venuta a galla poteva solo voler dire che era venuto il momento di affrontare i nodi che conteneva, anche se dolorosi. Poiché nulla accadeva per caso, sapeva bene che la casa, il mobile, le lettere e Agnes stessa erano arrivati nella sua vita ognuna al momento giusto. Qualsiasi religioso induista gli avrebbe dato una spiegazione molto semplice per tutto quello che stava succedendo, magari con un lungo giro di parole, con un sacco di esempi e un bel po’ di citazioni fra personaggi storici e Dei coinvolti. Qualsiasi religioso induista, dal custode del tempio all’anonimo mendicante seduto a terra all’angolo della strada, avrebbe però alla fine usato un solo, unico, identico termine per inquadrare quella faccenda: Karma.

Cap.15

Ho ricordi che si accavallano su ricordi, il tuo viso che appare e scompare dalla mia mente come fosse il sole oscurato dalle nubi in primavera. Ogni volta che penso a te, il resto scompare, il mondo con i suoi rumori, le preoccupazioni, ogni cosa sembra svanire davanti alla bellezza del tuo sorriso. Anche adesso che sei un ricordo, che il tempo dovrebbe avere cancellato dolore e rabbia, nulla è mutato. Dopo che il tuo corpo è stato bruciato e le tue ceneri affidate all’acqua come avevi chiesto, tutto è rimasto sospeso, come un fiore di loto sul fiume. Mi hanno visto girare per le strade della città come un fantasma, ma nessuno mi ha mai visto piangere. Tutti hanno pensato che il mio fosse il dolore del fratello di un’assassina, ma nessuno ha capito che era il dolore di un vedovo. Il vero vedovo, tuo marito, è stato ossequiato e riverito, gli sono stati portati doni e consolazioni. E’ tornato nella sua patria, per un tempo che non ho misurato, ma poi è tornato. Aveva una nuova moglie con sé, giovane e sorridente ma non bella come te. Io, che ero da te considerato e amato come un marito, sono rimasto solo. Oh certo sono stato compatito e consolato, ma niente mi ha portato via dalla città che ci ha visti felici. Nessuna donna ha preso il tuo posto nel mio cuore. Ti ricordi quando mi sono ferito? Sono stato travolto sulla strada, troppo distratto dal tuo amore, dalla tua voce, dal tuo profumo. Sono stato portato in casa e non so come tu l’hai saputo. Ti sei presentata alla mia porta, dicendo che avevi visto come era successo, che troppo forte ero lo spavento provato e troppa la preoccupazione per poter tornare alle tue faccende senza avermi visto con i tuoi occhi. Così ti hanno portato fino alla mia stanza, tu giovane donna inglese, sposata hai avuto accesso ad un luogo dove nessuna era arrivata, come hai avuto accesso al mio cuore fin dove nessuna era arrivata. Io riposavo, ad occhi chiusi, ma ti ho sentita arrivare, il tuo respiro farsi breve nel vedermi. Il tuo corpo così vicino al mio stava risvegliando tutti i miei sensi e la mia passione. Hai ottenuto di stare un po’ sola con me, chiedendo che ti portassero acqua fresca e appena chiusa la porta mi hai preso la mano, accarezzato il volto.
-Mio amato Ram, come ti permetti, nel nome del nostro amore, fare soffrire così colei che non ha occhi che per te?- mi hai detto -Se ti accadesse qualcosa, se la morte ti portasse con sé, lo sai che io la seguirei vero?- hai continuato -Vuoi che la nostra porta azzurra resti chiusa? Che la nostra stanza resti vuota? I nostri corpi divisi fino alla prossima vita?-
Poi sei stata interrotta, la porta si è aperta e io ho aperto i miei occhi, facendoti sussultare. Senza poter dire più nulla, hai sorriso, hai bevuto la tua acqua e te ne sei andata. Quanta felicità in quel tuo sguardo! Quanto tormento nel mio corpo! Avrei voluto afferrarti prima che tu potessi fare un solo passo, farti cadere addosso a me e darti la mia risposta fatta con i soli baci. Ho dovuto aspettare alcuni giorni per poterti incontrare e sono stati interminabili, di notte non dormivo, il giorno non passava mai, mentre mi chiedevo se mi stavi pensando, se ti facevi portare notizie di me. Ora che non ci sei più rimpiango quell’attesa, è durata un momento, il tempo di un temporale e ti ho riavuta fra le mie braccia. Tornerai mia amata Victoria? A volte mi sembra che è sola illusione, che sei e sarai il mio eterno Samsara, che sarò castigato per averti amato così tanto, per aver maledetto gli Dei per la tua morte, per aver strappato loro la promessa del tuo ritorno come avrei voluto strappare quel telo funebre dal tuo corpo. Poi penso che forse non lo merito, non ti merito, tu saresti morta se mi avessi perso, a me non è successo. Dimmi, Victoria, non ti ho abbastanza amata? Sei stata il mio respiro, la mia acqua ed il mio cibo. Ho aspettato la notte molte volte solo per vedere la luce nella tua stanza spegnersi, sapendo che sarei stato nei tuoi sogni. Ho dormito le notti per essere con te e mi sono svegliato all’alba per ritrovarti più presto che potevo. Ho lavorato lontano da te meno che ho potuto, tornando in fretta perché tu mi vedessi davanti alla tua casa. Ho finto di perdere dei fiori davanti alla tua porta, ho finto di essere ubriaco per cantare sotto alla tua finestra una poesia d’amore. Ora non ho più voce, mia Victoria, me l’ha rubata il dolore, ora non so più cantare, il dolore mi ha fatto scordare le parole. Ti prometto, mia amata, nella prossima vita canterò ancora. Canterò tutte le canzoni d’amore che conosco, finché ti avrò ritrovata. Leggerò poesie, che parlano dei tuoi occhi maliziosi delle tue risate e dei tuoi capelli che non ho dimenticato. (cit. da Jab Tak Hai Jaan )

Cap.16
-Shah io capisco che Agnes è una stagista e questa è un’ottima occasione, lo abbiamo già detto, ma ora con te a Calcutta per vedere i possibili set non è esagerato?- disse Daboo
Erano entrato nello studio con Agnes, per i dettagli di quella che doveva essere all’apparenza una collaborazione per un film e stava diventando sempre più difficile per Shah mantenere la calma e non rivelare ogni cosa ad entrambi.
-Fidati Daboo, sai che non sbaglio mai quando dico o propongo qualcosa-
-Non si tratta di fiducia Shah! Ma non capisco, sembra tutto così complicato, così difficile!-
-Hai ragione, stavolta è complicato e difficile, per questo credo che Agnes sarà preziosa- rispose spostando lo sguardo su di lei che li ascoltava Lo stava fissando, lo guardava come si guarda una cosa che d’improvviso attira la tua attenzione e non sai perché. Il silenzio in quella frazione di pochi secondi mentre si osservavano era più rumoroso di un urlo.
-E tu Agnes, che ne pensi? Vieni con me?-
-Vorrei saperne di più, sul film, intendo- rispose
-Già anch’io- ribadì Daboo
-Il film si basa su una storia vera. L’amore fra un uomo e una donna- disse Shah sorridendo
-Ok ma non mi sembra granché se la metti così! Non fare la scimmia e spiegati- lo pungolò il fotografo
-Allora ti posso dire che lui ama lei ma lei viene uccisa- disse continuando a restare sul vago.
Ad ogni frase il suo volto finiva per girarsi verso Agnes, per studiarne l’espressione, le reazioni Ma lei sembrava immobile ed assorta nell’ascolto
-E poi? Mio Dio Shah, a volte farti dire le cose è uno sforzo immane!-
-Lui la rimpiange tutta la vita e dato che è di religione indù, crede fermamente che la ritroverà nella prossima vita. Mentre aspetta che venga il suo momento di morire, che per lui significa poi quindi rinascere e ritrovarla, le scrive delle lettere, ricordando il tempo passato con lei e il loro amore-
-Wow, è un film romantico al 100%, con tanto di lieto fine e tutto il resto!- dichiarò Agnes
-Lo credi Agnes?- le domandò Shah
-Mi hai detto che è una storia vera, quindi sai il finale no? Ed è a lieto fine vero? Tutte le grandi storie d’amore hanno un perfetto lieto fine!- dichiarò entusiasta
-Il fatto è che il finale non lo conosco…ancora-
-Shah, la storia è ok, senza dubbio. Ora spiegami perché Calcutta e perché Agnes- chiese Daboo
Per un attimo Shah fu sul punto di dire tutto, di togliersi quel peso, davanti ad Agnes, qualsiasi cosa fosse successa. Ma si fermò in tempo. La sensibilità del suo amico fotografo avrebbe carpito fra le sue parole cosa voleva dire, il resto sarebbe stato detto fra loro due in privato.
-Calcutta è lo scenario principale della storia. Agnes ha due compiti precisi: il primo ovviamente da fotografa, con lo sceneggiatore e il regista immortalerà i luoghi più adatti man mano che li troveremo. Il secondo compito è di aiutare me, che avrò il ruolo principale come sai. Vedi Daboo, nella storia che ti ho raccontato la protagonista non è indiana, ma inglese. Ed è sposata. Agnes è inglese, non è sposata ma non è mai stata a Calcutta. Mi darà idee e spunti su come doveva essere quella donna e mi potrà aiutare una volta rientrati qui, con il casting-
Daboo alzò le mani, in segno di resa e guardò Agnes da cui entrambi, ora aspettavano una risposta
-Io non ho mai fatto nulla del genere, non so se sono in grado e di sicuro non so da dove cominciare!- l’agitazione si impadronì di lei in un attimo
Shah allungò d’istinto la mano per afferrare la sua e fu allora che accadde: negli occhi di Agnes, per un attimo ci fu un lampo, così era sembrato a lui. Entrambi furono attraversati da quella che sembrò una scossa e che sembrò fosse stata notata solo da loro due. Agnes sembrò voler dire qualcosa, le labbra tese, lo sguardo stupito come se lo vedesse dopo tanto tempo per la prima volta, come non si fosse aspettata di vederlo in un giorno così normale ma che era d’improvviso straordinario. Shah era lì ad un passo da lei, anzi neppure quello, Agnes non aveva neppure respirato ma lo aveva guardato come chi pensa a qualcosa e d’improvviso si ricorda un dettaglio, capisce un mistero. Ecco, Shah era in quel momento, un mistero svelato, un dettaglio riemerso, quel raggio di luce che ti colpisce gli occhi per un istante e poi ti chiedi se davvero è successo.
-Agnes, perdonami non volevo crearti problemi. Se l’ho chiesto è perché ero convinto che lo potessi fare, che fosse una sorta di bella avventura. E poi non saresti stata sola, ci sarei stato io con te-
Daboo osservò incredulo la scena, capì solo che non doveva intervenire, era una cosa fra Shah ed Agnes. Gli sembrò come se trama del film e realtà si stessero mescolando davanti ai suoi occhi, ignorando quanto vicino fosse alla verità.
-Sì- sussurrò Agnes
-Sì?- chiese Shah incerto sul significato di quella sillaba
-Sì, ok, affare fatto…- disse Agnes

Cap.17

E’ un’attesa, lunga. Un pensiero che sembra non voler finire Ci sono cose che vanno oltre i confini del tempo, legami indissolubili e dolori ancestrali. Ci sono momenti immobili che ritornano sempre uguali. Ci sono sguardi e parole e mani che si sfiorano per un solo brevissimo istante. Non scorderò più il tuo profumo ora che l’ho sentito Non scorderò il tuo sguardo o il tuo sorriso Immaginerò che il vento mi porti la tua voce Per fermare le lacrime della nostra lontananza. Sento ancora e ancora la tua voce sussurrarmi dolci parole d’amore. I piccoli brividi che scendevano con le gocce di sudore lungo il mio corpo che donavo a te nell’oblio della passione. Scrivo. Qualsiasi cosa mi viene in mente, su te, su noi. Mi aiuta a non pensare e non ne posso fare a meno. Appena lo faccio, appena riesco a non pensare, la mente si rasserena, non ti ho più addosso, sulla mia pelle, nel mio respiro. Per un po’ svanisce dalle mie dita la pelle come seta delle tue gambe, dalle mie labbra il tocco dolce dei tuoi baci, dalla mia schiena i graffi d’amore delle tue unghie. Scrivo, scrivo anche di quello perché è l’essenza del nostro amore, di noi e lo sarà ancora quando ci ritroveremo. Passeranno gli anni, uno dopo l’altro come le perle della tua collana, che non ti toglievi neppure dopo esserti tolta i vestiti. Cambieranno le mode e magari non ci saranno più le lunghe gonne nelle quali mi perdevo per immergermi in te. Cambieranno le regole e i divieti e magari non ci saranno più matrimoni e caste a separare chi si ama. Se tu sapessi come odiavo sentirmi legato a qualcuno prima di incontrarti! Per il dono che mi hanno fatto la natura e gli Dei sono un uomo che viene ammirato e corteggiato e mai mi sono tirato indietro da un’avventura amorosa se questa prometteva ore o solo momenti di intenso piacere. Solo che non avrei mai immaginato quanto diverso sia l’amore! Se solo una di quelle donne che ho avuto mi avesse voluto legare a sé, e ti assicuro che qualcuna ha provato, la mia sola reazione sarebbe stata di repulsione. Nell’arroganza della mia giovane prestanza nessuna meritava di avermi tutta per sé. In quella stessa arroganza non ho mai creduto fosse possibile che una sola unica donna sarebbe stata così speciale da ottenere tutto me stesso. Lo confesso, lo credevo anche quando ti ho vista e quando ti ho portato quel bicchiere d’acqua. Non mi sono sentito tuo fino a quel momento, poi sono rimasto confuso. Stavo provando qualcosa che non mi era mai accaduto di provare. Le mie ricchezze, la mia posizione, la mia stessa immagine hanno portato ai miei occhi gli sguardi dolci delle ragazze più belle dell’India e non solo. Ma tu eri diversa. Se tu fossi qui a leggere ciò che sto scrivendo e immagino che tu in qualche modo lo stia facendo, faresti un sorriso scuotendo la testa per la mia vanità. Eppure eri tu la prima a riconoscere sguardi ammirati attorno a me e mi rimproveravi come io stesso li provocassi. “Un giorno sarai mio agli occhi del mondo e allora dirò: allontanate i vostri sorrisi e i vostri sguardi, perché lui è mio!” mi dicevi prima di baciarmi Tu sei la sola che mi ha preso con uno sguardo e mi ha legata a sé con un sorriso. La sola a cui ho donato tutto me stesso senza dubitare mai né pentirmene. Ti avrei portato via con me, in una nuova città e una nuova vita, te lo avevo chiesto e tu avevi accettato. Tutto era pronto a nascere con noi e per noi. Ed invece ora devo aspettare di rinascere io per averti di nuovo. Quanto è lunga questa notte! Un sottile filo di vento muove le tende, mi accarezza il corpo stanco e fa tremare la fiamma della mia lampada. Immagino siano le tue vesti a muoversi, le tue mani che mi accarezzano e il tuo respiro che arriva alla lampada. Un giorno ho cantato per te una canzone d’amore dolce e ritmata e tu hai iniziato a ballare per me e sembrava che il tuo corpo fosse stato creato apposta per quello. Allora mi sono alzato e ancora cantando mentre ballavi ti ho spogliata, continuando a cantare anche mentre ti stendevo con me sul letto e mentre entravo in te finché la passione me lo ha permesso, finché non ci ha rapiti verso il piacere più intenso che io avessi mai provato. Lo stesso piacere mi ha avvolto il giorno dopo, mentre arrivavi al mercato, mentre ti guardavo passare fra le bancarelle, mentre arrivavi vicina a me e ti sentivo canticchiare a bocca chiusa quella stessa melodia! Piccola brigante, hai fatto prigioniero il mio cuore per l’eternità, rendendomi tuo schiavo e tuo adoratore, bramando le tue braccia e i tuoi baci come il vino più delizioso! Arriverà il giorno benedetto dagli Dei che mi ubriacherò alla tua fonte e mi sazierò del tuo corpo senza averne mai abbastanza, sentirò ancora la tua bocca cantare la nostra canzone d’amore e le tue vesti cadranno per me! Solo l’idea che accadrà di nuovo mi porta gioia e fremiti in questa mia esistenza stanca che volge al termine, ora mi andrò a coricare sperando di sognarti anche stanotte come molte altre, nelle poche ore che il tuo ricordo lascia all’alba.

Cap.18

Si spostarono a Calcutta il lunedì successivo. Shah volle pagare di tasca propria una suite oltre che per sé una per l’amico fotografo e una per Agnes. Il resto del piccolo staff che li seguiva, ebbero anch’essi ciascuno una camera tra le migliori che l’Hotel possedeva. Arrivando in città nel tardo pomeriggio decisero di iniziare i sopralluoghi il mattino successivo, trascorrendo il tempo prima della cena in una riunione in una piccola sala per pianificare il lavoro del giorno dopo.
-Amir, vuoi mostrarci le foto che hai trovato dei posti che ti ho chiesto?- chiese Shah ad un’assistente
Il ragazzo fece partire la slideshow soffermandosi su ognuna con un breve commento. Ad ogni foto Shah, che era seduto esattamente di fronte ad Agnes, spostava il suo sguardo sulla giovane, studiandone ogni minima espressione. Fu mostrato un mercato in una via, un grande albero e una serie di palazzi dall’aspetto antico ed elegante. Poi fu il momento di alcune case, tutte con una porta in legno azzurra. E fu davanti alla foto di una di esse, dalle assi vecchie e rotte, che la vide trasalire per la prima volta
-Tutto bene Agnes?- le chiese curioso
-Sì è stato…solo un brivido…credo- rispose evasiva
Ma quando lo schermo del portatile di Amir mostrò i magazzini di spezie Agnes fu scossa da un brivido ancora più forte che catturò l’attenzione di tutti
-Agnes che succede?- chiese di nuovo Shah
-Scusatemi, deve essere la stanchezza- si scusò imbarazzata.
-Direi che è meglio chiudere qui per stasera che dite? Agnes, lascia che ti accompagni fino alla tua stanza- disse Shah prendendole un braccio mentre si alzava. Agnes era confusa e non poco. Appena arrivata alle porte della città una strana agitazione si era impadronita di lei e le foto non avevano che peggiorato la situazione. L’emozione di lavorare a livelli così alti, professionalmente parlando, le stava giocando brutti scherzi, senza contare i brividi che aveva sentito nel momento in cui Shah aveva iniziato a sostenerla. Un uomo, per quanto affascinante, non era mai riuscito a farle provare le stesse sensazioni che stava provando mentre saliva in ascensore con lui. Si sentiva sicura, protetta, come se gli fosse sempre appartenuta. Ma nello stesso istante che si accorse di aver formulato quel pensiero, Agnes si stupì di ciò che aveva pensato, rinnegandolo.
-Sicura di poter stare sola?- le chiese Shah davanti alla porta della sua stanza
-Sì una bella dormita e passerà tutto- gli sorrise timida
-Posso trovarti qualcuno che ti faccia compagnia…- ma si fermò, credendo che lei potesse fraintendere
-Shah sei stato gentile ad accompagnarmi fin qui. Starò bene, tranquillo-
Agnes pregava dentro sé di convincerlo. Aveva bisogno non di dormire, ma di pensare, riflettere. Le foto, Shah, la città, ognuna di quelle cose le stavano dando piccoli segnali che lei non sapeva interpretare e che nello stesso tempo non poteva ignorare.
-Agnes, mi raccomando, io sono nella suite qui di fronte, non esitare a bussare se avrai bisogno ok?- le disse prendendole la mano.
Lei sorrise, annuì, sfilò la mano dalle sue ed entrata nella camera chiuse la porta davanti a Shah. Avrebbe avuto una lunga notte davanti a sé ma non avrebbe forse mai saputo che nella stanza di fronte, a pochi passi da lì, anche l’uomo che ancora non sapeva essere così profondamente legato a lei, non avrebbe dormito. Quell’uomo che era combattuto ogni istante fra dirle ogni cosa e aspettare.
L’alba mai così tanto desiderata arrivò e trovò entrambi ancora svegli, disfatti dai pensieri e dall’insonnia. Si incontrarono nella hall, lei aveva già fatto colazione, con gran parte della troupe, Shah arrivò indossando occhiali scuri, salutò con un gesto della mano e a testa bassa si diresse al tavolo dove una sorridente cameriera dalla voce mielosa gli chiese se desiderava caffè. Agnes e gli altri aspettarono che Shah terminasse la colazione seduti sui divani del salottino chiacchierando di ogni cosa e di ciò che era in programma della giornata.
-Andiamo?- chiese asciutto Shah arrivando alle loro spalle
-Brutta giornata ragazzi- sussurrò Amir al gruppo.
Agnes cercò di penetrare le lenti nere degli occhiali di Shah, ma fu impossibile. Il suo sguardo come i suoi pensieri sembravano lontani mille miglia e irraggiungibili. Salirono sul pulmino preso in affitto e ognuno prese posto in silenzio finché lo stesso Amir, prese la situazione in mano:
-Oggi andiamo a vedere le prime possibili location delle riprese: alcuni vecchi palazzi e il mercato-
Niente porta azzurra oggi, si disse Shah, guardando la città.

Cap. 19

Come posso resistervi? Come posso starvi lontano Victoria? Alcuni giorni fa mia sorella mi ha chiesto un colloquio privato nel mio studio. E' entrata,ha chiuso la porta dietro di sé e mi ha fatto cenno di sedermi, restando in piedi davanti a me. Mi ha raccontato che da qualche settimana voci sempre più insistenti l'avevano avvisata che suo fratello, ossia io stesso, aveva un comportamento sospetto e poco adeguato. Il tutto complicato dal fatto che l'oggetto delle mie attenzioni non era una ragazza di una casta diversa, già grave in sé, ma addirittura sembrava essere una giovane donna inglese oltretutto sposata. Ha subito pensato a voi, che siete venuta a trovarmi quando ero malato. Victoria sono stato aspramente richiamato ai miei doveri, al mio stato e al mio ruolo. Mia sorella ha inoltre sottolineato come solo un'unione è prevista per me, per il bene dei miei averi e della mia famiglia, già concordata dall'infanzia. In verità colei che dovrei sposare non ha difetti, nell'aspetto e nei modi. Da anni si prepara al dovere di moglie e di madre dei miei figli. Ella è, agli occhi della società in cui viviamo, come se già fosse nella mia casa e anche agli occhi di mia sorella, da come ho capito. Ecco il mio silenzio di questi giorni, la mia assenza dal mercato e dalla nostra stanza. Ci dovevo provare, mia cara, con tutto me stesso. Entrambi, non solo io, abbiamo degli obblighi che non possiamo continuare ad ignorare, che se non adempiuti ci ritorceranno contro causando solo dolore. Ma che gli dei mi aiutino, perché da solo non riesco! Se chiudo gli occhi vedo il vostro volto, mi perdo in un sogno pieno dei vostri sorrisi e soffro, soffro in modo terribile. Mi trascino per casa, cercando pace che so già che non troverei se non baciandovi, riposo che non avrei se non fra le vostre braccia. Mia sorella a messo dei servitori a controllare ogni mio gesto, come fossi dedito ad ubriacarmi o stordirmi con l'oppio. Magari fosse così! Il dolore di starvi lontano sarebbe forse un po' mitigato, anche se non credo esista ancora sostanza capace di cancellare o diminuire ciò che sento per voi. Victoria Victoria Victoria! Potessi almeno gridare il vostro nome, che arrivi fino a voi la mia disperazione. Voi sarete in casa, penserete che vi ho lasciata, che mi sono preso gioco di voi, che vi ho usata ingannandovi con le mie parole. Non è così, mio unico respiro, non vi ho lasciata, tanto meno vi ho ingannata, anzi, vi desidero ora più del primo giorno che vi ho vista, se fosse possibile! Non perdete la fiducia in me, vi darò mie notizie, vi spiegherò ogni cosa, anche se questo non farà che causare molto dolore ad entrambi. Il tempo dei sogni per noi è finito, mio samsara, il cuore mi si spezza, il respiro si ferma e vorrei morire piuttosto che passare un altro giorno senza di voi, ma non ho scelta. Fra poco busserà alla porta della mia stanza mia sorella, con del cibo, che io rifiuterò come tutte le altre volte. Mi nutro solo con un po' di frutta, il resto non m'interessa. Spero che voi invece siate in una condizione migliore della mia, non potrei sopportare di essere la causa del vostro dolore. E' passato un altro giorno. Sono sempre più debole, fatico a stare anche solo seduto a scrivervi. Incaricherò un domestico fidato di farvi avere questa lettera, non posso lasciarvi oltre nel silenzio e nell'angoscia. Non ho intenzione di riprendere a nutrirmi, l'ho deciso stamane. Preferisco morire che sposare un'altra. Vi voglio vedere ancora una volta, anche se non so il modo. Voglio morire con un vostro ultimo bacio,con un vostro sorriso. Non negatemi questo regalo, sono disperato. Victoria, mi avete preceduto, mandandomi voi per prima una vostra lettera, dove ribadite tutto il vostro amore per me. Che gioia ha provato il mio cuore, leggendovi! Ho ripreso a mangiare, per essere in grado di stringervi quando ci incontreremo e per fare l'amore di nuovo con voi, a lungo, portandovi con me alle porte della casa degli dei. Cosa avete fatto, mio bene unico e prezioso! Mi avete tolto dalla disperazione, dalla notte buia e mi avete ridato speranza e felicità. Mi avete detto che mi amate talmente da non essere in grado di odiarmi, di provare nessun sentimento negativo per il mio silenzio e la mia assenza e che se non verrò all'incontro che stabiliremo insieme, verrete qui, in casa mia, senza paura di nessuno e camminerete per le stanze e griderete il mio nome finché mi avrete trovato. Leggere queste cose scritte da voi è come un miracolo che guarisce da tutti i mali! Devo correre al tempio, devo fare un'offerta, prima del tramonto e farmi benedire da un elefante sacro. Da questa questa notte sarete il mio unico sogno, per sempre eternamente vostro.

Cap.20

La modernità e il progresso non avevano raggiunto in modo uniforme neppure una grande città come Calcutta. Amir aveva trovato un mercato rionale in periferia perfetto per l'ambientazione del film. Vecchie case affiancavano la via principale, piena di mercanti e di botteghe, fatta in terra battuta rossastra e polverosa Shah riconobbe in quella strada qualcosa di familiare e si chiese se ancora una volta, tutto giocasse a suo favore e quello fosse proprio il luogo dove aveva conosciuto e amato Victoria. Camminavano in gruppo, Amir con un cameraman e Agnes come fotografa davanti, subito dietro di loro Shah con gli altri.
-Ci dovrebbe essere il venditore d'acqua qui vicino...- sfuggì a Shah attirando l'attenzione di Amir e Agnes
-Il venditore d'acqua? Ai nostri giorni?- commentò
Shah imbarazzato si giustificò
-Parlavo del film, il venditore d'acqua da cui Ram va a prendere da bere per Victoria-
-E' vero non ci avevo pensato, in effetti qui si potrebbe mettere una comparsa-
-No, non qui, un po' più avanti- disse deciso Shah
Amir sapeva che spesso gli attori principali avevano le loro idee sulle riprese, sulle trame e bisognava tener conto delle loro scelte. Shah, talento puro con un'esperienza ventennale non poteva che integrare al meglio le scelte di regista e sceneggiatore, pertanto Amir scriveva rapido i suggerimenti che arrivavano dall'attore. Non immaginava e non avrebbe mai immaginato che Shah stava rivivendo qualcosa che apparteneva al suo passato e più camminavano più il velo dei ricordi si squarciava davanti a lui.
Fu proprio per questo, che dopo pochi attimi, Shah si staccò dal gruppo, superandoli, con passo svelto, precedendoli verso un vicolo laterale nel quale sparì per ricomparire poco dopo, con il viso stravolto.
-Shah, che succede?- gli chiese apprensiva Agnes
-L'abbiamo trovato- sussurrò Shah
-Trovato cosa?- intervenne Amir
-Il luogo dove Victoria e Ram si sono incontrati- rispose
Agnes si fermò come fosse stata colpita da una paralisi improvvisa, lo sguardo, immobile anch'esso, era in quel momento fisso in quello di Shah. Nessuno dei due sembrava che respirasse, poi lentamente Shah ritornò sui suoi passi, avanzando verso la ragazza. Agnes lo guardò arrivare, incapace di muoversi, ascoltando il suo cuore battere veloce, mentre la gente attorno a lei e Shah sembrava svanire, lasciandoli soli.
Lo guardava e non capiva cosa stesse accadendo, i suoi lineamenti sembravano mutare, alterarsi, come se Shah potesse cambiare fisionomia, diventare qualcun'altro. Eppure, quel volto nuovo che le sembrava emergere sul viso di Shah le era familiare, anche se non riusciva a ricordare dove e quando lo aveva visto. Le sensazioni che Agnes provava erano ondate fatte di una mescolanza di gioia e paura, ma restavano coperte da qualcosa che non sapeva comprendere e definire.
Shah davanti a lei, le sorrise, cercando nei suoi occhi ancora una volta il segno che non stava sbagliando, che Victoria era tornata, che Agnes finalmente ricordava il suo passato, la loro storia d'amore. Le accarezzò il viso, sorridendole appena, guardandola combattere dentro di sé con la verità che cercava di emergere. Non osò parlare, temeva di spezzare quel flebile, labile momento che poteva vederli di nuovo finalmente insieme. Amir e gli altri, poco lontani, non capivano l'importanza dell'evento che si manifestava davanti ai loro occhi, ma anch'essi non osarono avanzare o dire nulla. Videro solamente Agnes appoggiare la mano sulla mano di Shah che la accarezzava poi sussurrò:
-Ram...- e svenne, fra le braccia di un Shah che piangeva e rideva nello stesso momento.

Cap.21

Se avessi saputo che eri in pericolo, mai avrei permesso che tu venissi all'appuntamento. Quale pazzia d'amore ci ha convinto che incontrarci per poi fuggire insieme sarebbe stato il balsamo per tutti i nostri mali? Vidi mia sorella osservami in silenzio mentre mangiavo con voracità e poi farmi mille domande sui motivi che mi spingevano ad andare al tempio. Le dissi che mi sentivo fortunato per essere guarito dallo stordimento che mi avevi provocato, impedendomi di riconoscere quali fossero i miei doveri. Evidentemente lei finse di credermi così come io finsi di averle detto la verità. Deve essersi accorta anche che io avevo corrotto i nostri domestici, per mentirle qualora fossero stati obbligati a seguirmi. Ebbene mia cara, io ignaro dell'atroce destino che ci stava stritolando come un serpente, andai al tempio e feci le mie offerte. Comprai dei dolci al miele che mangiai, pensando che il bacio che ti avrei dato sarebbe stato ancora più dolce. E presi dei fiori, dalla venditrice di loto, dicendole che erano per la più bella dea che avessi mai visto, il cui tempio sarebbe stato nella mia casa. Forse questo ha offeso gli Dei, Victoria? Non potrei mai perdonarmi una simile leggerezza, ma non potrei perdonare loro che non hanno compreso il mio animo felice. Sapevo che ti stavi preparando nelle tue stanze, mettendo olio profumato sulla tua pelle che da lì a poco io avrei accarezzato e stavi pettinando i tuoi lunghi capelli che io avrei sciolto. E poi, attesi. Attesi camminando avanti e indietro per la via del mercato. Attesi, fingendo di guardare le merci sulle bancarelle, tra le risatine di due ragazze che vendevano frutta, che credevano io fossi troppo timido per parlare con loro. Attesi, seduto fuori dal locale del venditore di thè, un anziano che mi conosceva fin da quando ero un bambino.
-Sembra che tu abbia in corpo un demone, ragazzo! E quel genere di demone che si placa solo fra le braccia di una donna...- mi disse fingendo di non guardarmi
-No per nulla. Cosa te lo fa pensare? - risposi
-Ho tanti anni sulle spalle che mi permettano di capire al volo le situazioni -
-Questa volta ti sbagli – tentai di mentire, ma il vecchio non cedette
-Mi sbaglio anche sul fatto che tu stai per commettere una sciocchezza, che sai che ti fa rischiare molto ma che la cosa che ti spinge a farlo è più forte di qualsiasi timore? - Lo guardai senza riuscire a ribattere e lui mi sorrise, come chi ha la conferma di aver ragione. Poi sei arrivata tu, mi sei passata accanto, come facevi sempre, mostrando l'indifferenza che serviva a mascherare il nostro amore. E attesi ancora, che tu passassi oltre, che tu avessi il tempo necessario ad arrivare alla nostra stanza, nel vicolo. Il vecchio ridendo intonò una canzone:
"Non chiamatemi Heer, o amici, sono diventata Sahibaan
Spero che arrivi su un cavallo a portami via,
vorrei che Mirza venga per me e mi porta via "
Io lo lasciai, confesso di essermi irritato parecchio, alle sue melodie e mi avviai verso la stessa stradina che avevi preso tu.
Avevo solo un'idea nella testa: averti fra le mie braccia, baciarti e farti mia, in attesa che il sole tramontando ci coprisse la fuga. Ma ciò che vidi davanti a me non aveva nulla a che fare con l'amore. Mia sorella, ti minacciava con un coltello, mentre senza urlare, ti accusava di essere portatrice di rovina e dolore nella nostra casa e nella nostra famiglia. Lei non avrebbe mai permesso che la mia vita fosse distrutta da una donna straniera e per di più sposata. Tu, mia dolce, mia fragile, mia anima adorata, non osavi parlare, la osservavi pallida e spaventata. Poi mi hai guardato, per un attimo e le tue labbra ebbero solo il tempo di dire una parola: -Ram....- Il pugnale affondò nel tuo cuore e io corsi ad afferrarti mentre cadevi, già senza vita.

I miei occhi piangono continuamente senza un assaggio di te, la mia anima gemella Sembra che la natura ti ha rubato a me
Come faccio a passare i giorni e le notti senza di te, la mia anima gemella Non mi sento né vivo né morto (om shanti om)
FINE
   
 
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