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Autore: Arthur Velacci    19/06/2017    1 recensioni
Ancora disagi che albergano nel mio cuore.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Deliri d'oltre penna'
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Ma almeno piango per cose serie. Il groppo della disperazione non arriva per cause futili. Non piango perché ho preso un brutto voto a scuola, neppure per un amore non corrisposto. Non mi dispero al fine di ottenere sollievo per qualcosa di cui posso fare a meno. Una volta cresciuto s’impara a piangere per davvero, senti il peso delle lacrime che scendo sul tuo volto come macini appena scagliati in mare. Le lacrime fanno molto rumore adesso e il groppo alla gola non ti dà pace, poiché anch’esso è fin troppo presente in te. E nel piangere in modo così amaro sento il forte desiderio di urlare e di combattere. Quest’ultima parola risuona in me come un coro vivo che mi sprona.
Nel pianto mi sento evadere dal mio corpo, pur sentendo la una massiccia presenza. Ho paura di continuare a piangere per colpa di tanti motivi, uno fra tutti è la consapevolezza di star piangendo, da molti visto come un gesto di debolezza. Forse lo è, ma non mi sento debole, ma per gli altri lo sono se piango. Un altro motivo è la forza di volontà che si deteriora come un foglio di carta bruciato. Sono preda facile dell’abbondono e lui, da buon predatore, non mi dà possibilità di sperare in me o nella sorte perché sa già che sono debole… e che non ho vie di fuga.
Da piccoli si dice che si piange per cose stupide e inutili, ma non è sempre vero. Nel mio caso posso dire di essere stato fortunato perché spesso le mie lacrime erano frutto di capricci non accontentati. E ora che sono cresciuto posso rinfacciare a tutti le mie lacrime! Adesso piango per cose serie: la voglia di riscatto, l’invidia, la gelosia, il sesso e la follia. Comprendo le ingiustizie come chiunque altro e soffro esattamente come loro. Apprendo con noia ogni nuova invenzione e mi sento perennemente stanco, come se avessi vissuto una vita intera per poter affermare le mie teorie.
E il bello di tutto questo mio parlare è che ho solo diciannove anni… e mi sento anziano dentro.
Se mi lamento a quest’età, alla soglia della cinquantina cosa potrei dire se non: “che stupido sono stato.” Così da poter esser un “so-tutto-io” con me stesso.
   
 
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