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Autore: Sarandom    20/06/2017    2 recensioni
[SPOILER SEASON 11] (Destiel e Saileen)
Timeline: Amara ha ucciso Lucifero e con Chuck sono andati via. Dio torna da Dean, Sam e Cas, gli toglie il lavoro da cacciatori, ma qualcosa li ha seguiti. Mentre si apprestano a formare una vita normale, c'è chi dovrà fare i conti con il passato.
E tutte quelle lettere a Dio sono scommesse
E tutte quelle lacrime oggi sono promesse
Io sono un cazzo di soldato senza una guerra
Ed esito, barcollo ma non mi ci vedi a terra
E rido perché so che tornerò ad amare ancora
E urlo a chi vorrà ascoltare
Che “solo” è solo una parola
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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W

 

Due mesi prima

 

Chuck lo incoraggiò con uno sguardo sereno e saggio, la sua mano si posò sul cuore del figlio, illuminandosi di bianco. Gli occhi blu di Castiel

risplendettero di celeste e bianco per l’ultima volta.

Chuck tolse la mano e prese una boccetta dalla sua giacca. «Se dovessi sentire qualche mancanza, puoi tenerla. Potrai usarla una sola volta, a

patto che non sia per te.» Gliela diede, e Cas vide la sua grazia all’interno; la custodì in una tasca interna del trench.

Chuck prese il suo volto tra le mani. «Buona fortuna.»

Un fischio indistinto gli rimbombò nelle tempie, e cominciò a non vedere niente.

«Per un nuovo inizio.» disse la voce di Chuck in lontananza.

 

Presente

 

«Questa è per te...» disse Castiel, porgendogli la boccetta luminescente e deglutendo.

Dean rimase immobile a fissare quella piccola luce che si rifletteva nel verde delle sue iridi. Era scioccato. Non si mosse di un millimetro, ed il

moro aspettava che accettasse il dono.

«Cas?» domandò Dean, riconoscendone il colore. «È la tua...»

«Sì.» rispose l'altro, abbassando il capo scuro e dolcemente arruffato. «E’ proprio lei.» Si interruppe, sbirciandolo con un po' di timore.

Il cacciatore sentiva le gambe molli di fronte a quel gesto. Non capiva, non riusciva davvero a capire.

«Ma perché?» Scosse il capo. «Perché stai facendo questo?!» chiese, sempre più confuso e spaventato. 

«V-voglio la tenga tu.»

«Cas... Cas...» lo bloccò Dean. «Questo è... troppo. Mi stai praticamente donando... la tua vita.» disse, scandendo bene le ultime tre parole.

«Mi dispiace, ma non posso accettarlo.» concluse il biondo, meccanicamente e riconsegnandola.

Castiel restò a fissarlo con la bocca semiaperta e gli occhi tristi, abbassò la testa.

La guardò ancora una volta, per poi farla tornare indietro con un gesto della mano.

Cas rivolse a Dean uno sguardo spento.

Aveva deciso di fargli quel regalo da quando Chuck li aveva sistemati, per liberarsene una buona volta. Vedere, ogni volta, quella boccetta

solitaria lo faceva star male: come se avesse dovuto unirla a qualcosa per renderla completa ed era arrivato alla sua conclusione: avrebbe

dovuto darla al motivo per cui continuava a lottare.

«Cas... serve più a te che a me. Usala e sarai di nuovo come prima.» lo incitò Dean.

«Tu mi vuoi come prima?»

Dean schiuse le labbra e restò in silenzio. «Non…io non c’entro niente. Stiamo parlando di te.»

«Questo non è vero, e comunque…» Castiel sfiorò la boccetta, sembrava scottare sotto il suo tocco. «Non posso farlo.»

«Perché no?»

«Non posso usarla per me, solo per un’altra persona.»

«E allora chiama Chuck e torna da lui!» esclamò Dean con forza, posandogli una mano sulla spalla per un momento. «Non sprecarla per me.

So quanto ti manca e... non sai quanto vorrei poter scegliere anche io di rivedere mio padre, mia madre, di riavere la mia famiglia al

completo.»

Castiel sentiva gli occhi pizzicare pericolosamente: «...Questo non è ciò che vuoi Dean. Perché non lo ammetti per una volta?»

Si guardarono, poi, Dean, con voce non del tutto ferma disse. «Tu resterai parte di noi... ma stiamo parlando della tua grazia. È importante.»

Cas alzò lo sguardo, senza posarlo su Dean, respirò pesantemente e si morse il labbro. «Oh, capisco.»

Dean mutò espressione. «Cos'è che capisci?» chiese, sprezzante.

«Ho capito perfettamente. Tu... pensi ancora di non meritartelo. Di non meritare le mie scelte.» I suoi occhi blu si scontrarono severamente

contro il verde smeraldo del cacciatore, come quella sera di dodici anni prima quando si videro per la prima volta. Quando Dean aveva cercato

di pugnalarlo, credendo che fosse un pericolo. Quando si erano scambiati per la prima volta quello sguardo intenso che faceva tremare

segretamente Dean da sempre.

Ad entrambi parve di rivivere quell'istante così strano.

«Tu non ti vuoi bene, Dean.» Il tono di Castiel era malfermo. «Tu... tu credi di non meritare nulla. E invece-… io non capisco perché ti

comporti così. Tutti soffrono, ma non puoi vivere nella paura costante che accadrà qualcosa.» disse con una dose di rabbia nella voce. «Non ti

sei concesso la possibilità di vivere di nuovo, non volevi, tu non lo vuoi per principio. E non lo stai facendo neanche adesso. Perché non

cerchiamo di vivere entrambi?»

«Io non rischio di perdere nulla.» replicò il cacciatore, incrociando le braccia.

«Neanche io!»

«Cosa?! Tu hai tutto da perdere!»

Il moro sospirò stancamente, alzando gli occhi al cielo. «Dean...io vivrei abbastanza a lungo da vedere la fine del mondo. Da vedere voi...

te...» gli si incrinò la voce, ed evitò di terminare la frase. «Non voglio questo! Voglio arrivare ad una fine concreta e la voglio con voi...»

Dean ebbe un tremito a quelle parole ed irrigidì il viso.

Castiel avrebbe preferito morire molto tempo prima di quanto avrebbe dovuto, pur di stare con loro. Perché ne aveva così tanto bisogno? Cosa

lo spingeva a voler sacrificare tutto?

«Cas. Smettila... smettila, davvero... io...» Dean allungò una mano verso la guancia di Cas, esitando. «Non fare così. Ascolta... prenderò la

grazia, va bene? Ma devi spiegarmi una cosa...»

Castiel si strofinò da solo gli occhi. «Domandami ciò che vuoi.» Non osò incontrare il suo sguardo, Dean abbassò la presa dal suo viso. Odiava

vederlo in quello stato, soprattutto quando non era in sé ed in balìa delle emozioni, non che lo rivolesse come quando era sotto le regole del

paradiso, ma meno soggetto ai problemi umani…lui era molto di più, ai suoi occhi lo era sempre.

Il cacciatore respirò lentamente.

«Spiegami, perché vuoi stare qui? Perché ci tieni così tanto...»

Castiel serrò la bocca, sospirando.

«Voglio dire, sai che sei parte della famiglia, sai che sei un fratello per noi...» Dean si interruppe, senza sapere cosa altro aggiungere.

L’ex angelo si girò verso di lui, il quale stava seduto sulla solita panchina, le loro ginocchia si toccavano.

 Faceva fresco; un leggero venticello muoveva le chiome degli alberi e la luna splendeva su di loro.

Erano le undici di sera e i festeggiamenti a casa di Sam con amici e colleghi si sarebbero protratti fino alle due, ma Dean non riusciva a stare a

casa con lui, ed il fratello gli aveva confermato la sua ipotesi: avrebbero dovuto parlarne e chiarire.

Il biondo si accorse che l'amico era ormai a pochi centimetri da lui. «Però tu... la tua famiglia, tuo padre…Mi distruggerebbe vederti andare

via, ma…è una grande occasione per te.» aggiunse.

Cas si umettò le labbra, sentendo il sangue ribollire. «Non credo che ‘fratello’ sia la definizione adatta, per me. E comunque non posso tornare

indietro, è tardi.»

Quelle sensazioni umane così intense lo distruggevano. Lo rendevano così vulnerabile. Lui non aveva voglia di avere ripensamenti, ci aveva

pensato e così aveva deciso. Riusciva a sentire il fiato di Dean sul suo viso, con la fronte aggrottata nel sentire la sua frase, tanto erano vicini.

Avrebbe voluto dirgli tutto; quei sentimenti così forti, trattenuti per anni ed anni dentro di lui parevano voler sgorgare fuori da un istante

all'altro. Gli facevano male dentro.

Il moro poggiò teneramente il naso sul collo del cacciatore, socchiudendo le palpebre.

Dean restò fermo, osservando le sue mosse, poi l’angelo schiuse le labbra: «Sei tu.» sussurrò, facendogli perdere un battito.

Lo aveva detto, come lo diceva sempre, ma questa volta era diverso. Si era messo a nudo, lo stava provando in un modo diverso. E aveva

sentito lo stesso da parte di Dean, come una scarica elettrica, una bolla, che li inghiottì.

Il cacciatore rimase pietrificato, la fronte corrugata, un brivido gli attraversò misteriosamente il corpo. Non lo respinse. Non si fece più vicino.

Castiel si ritrasse appena, gli occhi umidi per l'emozione vedevano tutto appannato. Gli accarezzò il viso con la mano sinistra, era determinato,

non una nota di indecisione sul viso, e gli posò un bacio delicato sulla guancia, abbastanza vicino alle sue labbra. «Sei tu il motivo per cui

resto, Dean. »

 

*

Alcuni invitati erano tornati nelle rispettive case per aspettare la mezzanotte in famiglia, mentre altri avevano aggiunto i propri regali e quelli

dei padroni di casa sotto il grande albero verde nel soggiorno.

Dopo aver trovato quel loro nuovo rifugio in seguito alla notizia della dolce attesa di Eileen, avevano subito deciso di inaugurarlo con il

Natale.

Sam ed Eileen si erano trasferiti, con riluttanza - ma profonda gioia di Dean - nella zona delle scuole a qualche chilometro di distanza; era

anche più vicina al locale, ed il maggiore dei Winchester si ritrovò con la casa solo per sé, anche se ormai ci tornava solo per dormire.

Mancavano cinque minuti a mezzanotte e Claire si era posizionata a gambe incrociate accanto all’albero, avvicinando a sé già tutti i regali con

il suo nome, un piattino con dei biscotti al cioccolato e un bicchiere di latte.

Mildred, una coppia di amici con due bambini e i due baristi del locale seduti comodamente nei due divani davanti a lei. Eileen sulla poltrona

accanto al caminetto e Sam seduto su un bracciolo accanto a lei. Guardò l’orologio per dare il via agli spacchettamenti e ai messaggi di auguri.

«Tre… due… uno… via!»

Scattò la mezzanotte, ed i bambini strapparono via la carta a strisce e a pallini da due enormi scatoloni con dei gridolini di gioia.

Claire prese un pacchetto rettangolare e trovò un pendente argenteo con lo stesso simbolo che i Winchester avevano tatuato sul corpo, ma con

delle pietre azzurre incastonate.

«Non si sa mai e… per renderlo più tuo...»

«Grazie.» disse la ragazza a Sam, con un sorriso sincero.

«Il mio!» disse Eileen, e le indicò una busta rossa con un fiocco color oro.

Trovò un biglietto di auguri personalizzato ed un assegno. Li fissò strabiliata. «Eileen…»

«Accettali e basta. So quante volte sei scappata, e so dei problemi che hai avuto con la scuola. Adesso ci stai veramente pensando e ti stai

impegnando. Sono tutti per i tuoi studi e spostamenti futuri.»

«Ma dovete pensare a vostro figlio...»

«Ne abbiamo altri da parte.» confermò Sam, calmo, le luci dell'albero illuminavano il suo viso rassicurante.

Claire si alzò ed abbracciò forte entrambi. «Grazie mille.»

Sam le accarezzò i capelli, sorridendo, poi le indicò l’ultimo dono. «Quello è di Dean.»

Prese la scatoletta verde col fiocco rosso e dentro trovò un’altra piccola scatolina blu.

«Doveva giocarmi lo scherzo.» mormorò la ragazza, il tono allegro e gli occhi in alto.

Sam rise e le fece segno di andare avanti, curioso della sua reazione.

Claire scoprì il tappo di plastica e trovò una chiave; si accigliò.

Era la chiave di un'auto.

«Hanno offerto un buon prezzo a Dean, non la usavano più e l’ha sistemata. Lo abbiamo aiutato con alcune piccole spese... e anche Castiel ha

partecipato.»

Il simbolo della Chevrolet era in rilievo sul portachiavi di cuoio nero, stretto con l’anellino alla chiave che continuava a fissare.

«Sai, ormai è il marchio di casa.» Sam rise.

Claire, senza dire una parola, si alzò di scatto e lo abbracciò stretto, commossa.

«Felice che ti piaccia!» disse Sam, e la cullò dolcemente. Gli altri erano troppo presi dai rumori dei giochi per i bambini e i ringraziamenti tra

di loro per notare Claire che piangeva tra le sue braccia.

 

 

*

 

Gesù. La situazione stava degenerando. Dean aveva avvertito una strana sensazione di calma al contatto con quelle labbra morbide. Come se

quel mezzo bacio fosse stato il gesto più naturale al mondo.

«Cas, aspetta.» Dean aspettò che Castiel si allontanasse da lui. «Hai così tante emozioni in circolo...»

Ma l'ex angelo si limitò ad abbassare di poco la testa. «Dean, so cosa sto facendo, lo so da anni.»

«Sei già stato umano, ricordi come è andata.» lo riprese l'altro.

«Già, lo ricordo anche meglio di te. Ero solo e spaventato. Non avevo una casa, non avevo soldi, non avevo nessuno. Ti ho deluso e ne ho

pagato le conseguenze.»

«Sai che non è per quello.» disse il cacciatore, con forza.

«L'ho saputo solo dopo, Dean. E l'ho capito, ma mi sono dovuto arrangiare. Adesso non è così. Ho voi, ho Claire, ho altri amici e persone a cui

badare. Ho capito di potercela fare.»

Ci fu una piccola pausa.

«E sono grato per questo. Te lo meriti-»

«...ma non respingermi.» lo interruppe Castiel.

Dean alzò le sopracciglia, bloccato da quella frase. « Ci tengo a te, lo sai vero?» cavò fuori, con una leggera fatica.

Cas alzò gli occhi al cielo, tristemente: «Sì, lo so.»

Si fissarono per un momento interminabile. «D-dobbiamo tornare in stanza.» fece Dean con un sorrisetto.

«Beh, abbiamo parlato» disse l'ex angelo, guardando a terra, freddo, mentre ripensava a tutta la situazione. Probabilmente, sentiva quella

faccenda come uno strano peso e non sentiva affatto il bisogno di proseguire o almeno era così per Dean.

Tuttavia, il biondo disse: «Ed ora siamo apposto.»

Cas tornò con gli occhi su di lui, repentino, mise le mani sulle grandi ruote «Non so se lo siamo» e si guidò da solo verso l'entrata

dell'ospedale.

«Cas, aspetta.» affrettò il passo fino a raggiungerlo e fermarlo.

«Cas io...sto elaborando anni, in qualche mese.» Strinse le maniglie e vide Cas muovere di poco la testa verso di lui. «Non sto scappando, non

mi sto nascondendo. Sto solo...cercando di trovare me stesso, veramente. Il gesto l'ho apprezzato. Ed è vero...ho paura e questo non cambierà.»

Castiel annuì. «Ma non sei da solo.»

«Lo so.» rispose, spingendolo verso le porte scorrevoli.

Nella camera, i riscaldamenti erano al massimo, così Castiel si tolse il pesante cardigan e la coperta di flanella, restando in pigiama.

«Resti qui?» domandò Castiel al biondo.

«Sì, torno a casa domani mattina.» Dean si sfregò una mano sulla fronte. «Ho un appuntamento dell'ultimo minuto.»

«Anche a Natale?» gli chiese Castiel, stupito.

«Un forno rotto a Natale... è una questione di emergenza.» Rise.

«Le nostre chiacchierate non le apprezzo solo io.» disse Castiel, in modo insolente.

«Sei geloso?» lo punzecchiò l'altro.

«No.» sospirò. «Interessato.»

Dean restò confuso. «Perché?»

Il moro lo guardò. «Sto cercando di capirti e credo di averlo fatto.»

Dean si alzò, con una risatina, dalla sedia accanto al letto. «Non pensare troppo e dormi.» gli disse, con una mano a lisciargli i capelli. Gli

lasciò un bacio sulla nuca. «Buona notte, Cas.»

Castiel si sentì arrossire appena a quel gesto e ne restò confuso.

«Notte, Dean.»

Il biondo si sistemò nella solita poltrona dopo aver spento la luce sopra il letto. Controllò il cellulare, notando diversi messaggi di auguri.

 

Da Sam:

“Auguri!”

Da Claire:

“Grazie.”

 

Rispose ad entrambi e a qualche cliente ammiccando, oltre che a Mildred ed Elizabeth.

 

Da Dean:

“Auguri, Sammy”

 

Da Dean:

“Goditela”

 

Dean si addormentò senza svegliarsi nel cuore della notte.

Quella volta, finalmente, Castiel non ebbe incubi.

 

 

*

 

 

Dean marciò per alcuni minuti sotto il sole pallido di Dicembre, accelerando di tanto in tanto il

passo e guardandosi attorno, gli occhi apparentemente spenti e vuoti.

Si sistemò la giacca di pelle sulle spalle e si umettò le labbra. Sospirò per l'ennesima volta;

aveva in mente un Castiel arruffato fra le coperte, così come l'aveva lasciato a dormire dopo quella rivelazione e quel bacio delicato sull'angolo

della bocca.

Dean non gli aveva nemmeno risposto adeguatamente. Per la seconda volta. Non sapeva neanche cosa avrebbe dovuto dire, cosa volesse lui

stesso. O forse sì, dopo tutto nessuno sapeva i suoi più profondi pensieri tranne lui e quel prete a Worcester, in Massachussets. Era stata una

delle rare volte in cui era stato davvero sincero, ed il fatto che fosse uno sconosciuto che non avrebbe più rivisto lo spinse a liberarsi. Odiava

distrarsi; non essere concentrato era sempre stata un'arma a doppio taglio nella sua vita. Solo partendo dai suoi genitori, fatti incontrare dal

destino. Con lui il destino aveva mai giocato? No, sicuramente se ne sarebbe accorto. E se invece stesse finendo di rimescolare le carte per

l'ultima volta?

Aveva avuto paura di morire in quell’occasione più del solito ed anche il solo dirlo lo fece stare bene, ed aveva funzionato per il caso. Ma

vivere, veramente, una situazione del genere? Era pur sempre…il suo migliore amico.

Adesso sentiva di nuovo quel formicolio nelle viscere e del senso di colpa. Non aveva avuto idea di che cosa dire e ora era abbastanza

imbarazzato da non aggiungere altro.

Il cacciatore aveva contemplato l'ex angelo che dormiva per un'ora circa, ogni tanto alzandosi e guardandolo dall'alto, riflettendo nel buio di

quell'ospedale semi silenzioso. Gli aveva solo sussurrato un dolce «È tutto okay.» prima di addormentarsi definitivamente sulla poltrona.

 

"Starà ancora ronfando, ne sono certo..." pensò il cacciatore il giorno dopo, ammiccando fra sé e sé. “Ora sì che capisce quanto sia divertente

dormire come un ghiro...”

Gli venne in mente quel lontanissimo episodio in cui Castiel gli aveva telefonato nel bel mezzo della notte, senza pensare troppo al fatto che

Dean era un umano ed aveva bisogno di riposare.

Rise e prese il cellulare dalla tasca. Nessun messaggio.

Si rese conto di sentire la mancanza di quando aspettava il 'buongiorno' o la 'buonanotte'.

Si era sentito così poche volte.

 

*

 

Il cielo si stava lentamente schiarendo quando Dean giunse a casa sua; fece fare un volo di due metri alle chiavi fino al divano e andò diretto

sotto la doccia.

Nessuno gli avrebbe detto quanto fosse disordinato; quello era il suo regno.

 

Un'oretta dopo, Dean era di nuovo in auto diretto a casa di Rose.

Nessuno da salutare prima di uscire.

 

«Scusami per il disordine, ma non sapevo veramente come fare...» gli disse la donna, mentre faceva avanti e indietro, portando piatti coperti ed

altri cibi natalizi. «Proprio oggi doveva rompersi e… oddio, scusa per il disturbo, ti pagherò il doppio.»

«Tranquilla, adesso darò un'occhiata e speriamo non sia nulla di grave.» disse Dean, togliendosi la giacca per adagiarla sulla sedia dell'isola

dietro di loro, imbandita di pentole che prima erano nel forno.

«Mmmh. Qual è il problema esattamente?» chiese Dean.

«Non si accende...» spiegò Rose, il tono perplesso.

«Uhm.» Il cacciatore si grattò la nuca. «Se non si accende... ci sono innanzitutto alcune cose da verificare. Vediamo se...»

Rose si fermò, osservandolo.

«Perfetto. Il contaminuti non è sulla posizione zero. Mi sa che c'è qualche interruttore in cucina che toglie la corrente al forno. Qualcuno

potrebbe averlo premuto per sbaglio, capita.»

«La bambina magari...» mormorò Rose, ridacchiando con una mano sotto il mento.

«Già... diamo un'occhiata in giro.»

Dean non ci mise troppo a trovare il famoso interruttore, e risolse il problema in un batter d'occhio. «In fondo era una sciocchezza.» disse, le

mani sui fianchi e Rose gli sorrise.

«Ti faccio un caffè?»

«Sì, volentieri.» accettò Dean, mentre sistemava i suoi attrezzi inutilizzati.

La donna caricò la polvere del caffè nella brocca e la mise su.

«Intanto seguimi.» Gli fece strada in una stanza adiacente. «Non ho contanti con me che posso usare adesso, tutti regali di natale!»

«Meglio fare soldi, eh?» domandò retorico Dean.

«Non è neanche per togliersi il pensiero, in questi tempi moderni è difficile far felice qualcuno. Si dice sempre 'vale il pensiero', poi sono la

prima a riciclarli o cambiare il colore.»

Dean la ascoltava, ma era rimasto rapito dalle opere in quello che doveva essere il suo studio. Ricordava avesse una galleria e notò, per quello

che ne poteva capire lui, quanto fosse brava.

Tutti i quadri erano molto classici, la maggior parte di rilevanza religiosa e storica.

Dei bambini che pregavano accanto ad un letto leggermente spoglio; un altro dove la protagonista, la Francia, come la statua della libertà a

Washington guidava il popolo; con un'arma nell'altra mano nel suo intento di partecipare alla guerra. Poi si fermò di colpo.

'L'angelo custode' recitava la targhetta sottostante. Raffigurava un angelo alto e vestito di una tunica d'oro e bianca; la creatura brandiva

un'arma celeste e proteggeva un bambino da un demone. Il tutto in almeno un metro di altezza e ottanta centimetri di larghezza. Ne era rimasto

veramente colpito, così tanto che la voce della donna scomparve mentre la sua mente tornò in dei luoghi bui. Era tutto nero attorno a lui, buio,

dolore e odore di sangue. A tratti vedeva della luce ed altre anime sofferenti come la sua. Ad un certo punto, poté giurare di vedere qualcosa di

luminoso sopra di lui, sempre più vicino e più bianco, si sentì sollevare, una forza tirò il suo petto dentro quella luce.

Dopo quelli che parvero secoli, le sue mani spinsero la terra e lui riuscì a respirare di nuovo.

Quel ricordo lo paralizzò, facendogli venire un cerchio alla testa e sentire nuovamente la voce squillante e celestiale dell’angelo che non riuscì a capire.

Castiel.

«Dean, tutto bene?» si accorse che la donna gli era accanto e la sua espressione ed il tono erano preoccupati.

Il biondo si ricompose. «Sì, scusa. C'è stata una gran festa ieri sera.» si massaggiò una tempia e tornò a guardare il quadro. «È...è molto bello.

Per un profano come me.»

Lei alternò lo sguardo tra il quadro e Dean con un'espressione divertita. «Sai quanto viene?»

«Ah, lo vendi? È un peccato.»

«Ogni tanto uso questo studio per invitare clienti o nuove reclute. Un po' per studiarli... un po' per metterli alla prova.»

Lui ammiccò. «In quanti le hanno superate?»

«Non molti.»

«Sei brava...»

«Modestamente. Diecimila.»

Dean strabuzzò gli occhi. «Hai opere da diecimila dollari così in bella vista...»

«Ho un bel sistema di sicurezza e una costosa assicurazione.»

«Immagino.»

«Lo vuoi?»

Dean deglutì ed aggrottò le sopracciglia. «Cosa?!»

«Sì, lo vuoi? Scegliere la via facile - come i soldi - per fare regali non è divertente e non ispira nessuno. Mi hai sempre aiutata molto... hai

scelto il nuovo frigo senza farmi spendere troppo e idem con la macchina, quando - evidentemente - io non ho problemi con i prezzi. Te lo

cedo felicemente.»

Dean era spiazzato, la bocca semiaperta, gli occhi verdi che osservavano quelli grandi e sorridenti della donna - in cerca di una punta di ironia.

Eppure sembrava seria.

«Io - io non so che dire.» mormorò Dean.

«Dì di sì e oggi pomeriggio te lo faccio consegnare a casa. Avevo già una consegna da fare.»

Il cacciatore era ancora spiazzato, la bocca semiaperta. «Beh... grazie.»

«Buon Natale, Dean.»

«Buon Natale a te.» mormorò l'altro, scuotendo il capo.

Lei gli fece l'occhiolino e, tutta contenta, prese il telefono e fece una chiamata.

A Dean venne un lampo di genio mentre pensava a dove metterlo. In realtà gli mancava qualcosa di importante, in effetti.

 

*

 

Per le cinque, in perfetto orario, Dean andò ad aprire la porta e trovò due fattorini vestiti di rosso con un enorme rettangolo imballato. Il

cacciatore sorrise, pensando automaticamente agli elfi di Babbo Natale.

«Lasciatelo anche lì.» Dean indicò loro, gentilmente, lo schienale del divano.

«Sai già dove attaccarlo? Possiamo farlo noi.» domandò uno di loro, sistemandosi il cappellino con la visiera.

«Sarebbe fantastico. Su questa parete, grazie.» confermò Dean.

Alzò la mano per mostrare il beige del muro all'entrata.

Ci si passava sempre entrando per andare sul divano, dal giardino uscendo o entrando dalla portafinestra o quando dalla cucina si arrivava in

quella stanza; vederla così spoglia era davvero un peccato.

 

Una mezz'ora dopo e con tanta fatica per tirarlo su - nonostante fossero in tre - il quadro si mostrò in tutta la sua magnifica figura.

«Ci sta molto bene.» disse uno dei fattorini.

«Già.» disse l'altro.

Dean sorrise e li ringraziò per l'aiuto preparandosi per andare a trovare Castiel.

 

 

*

 

Al suo arrivo, Dean, trovò Sam con la sua compagna, Claire ed il medico accanto al letto in cui riposava l'ex angelo.

«È una notizia fantastica!» sentì Sam esclamare con entusiasmo.

«Cosa... è una notizia fantastica?» interferì il fratello maggiore, entrando.

Sam si voltò verso di lui, ammiccando con le mani sui fianchi. «Castiel potrà tornare a casa per festeggiare Capodanno!»

Il biondo sollevò le sopracciglia; le pupille si allargarono gradualmente.

«Dean, capito?» domandò il fratello, euforico, tentando di fargli comprendere ciò che intendeva, e Dean lo fissò un attimo, prima di ricordarsi

in ritardo.

Oh, giusto, la proposta di matrimonio che Sam avrebbe fatto ad Eileen.

«Certo.» fece, avvicinandosi e dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla. Claire li osservava divertita; sapeva cosa stessero tramando - una sua

dote era quella di saper origliare. Guardò Castiel con un sorriso.

«Hai già provato l'auto?» le domandò lui, contento.

«Siamo arrivati con quella, è una meraviglia.» si voltò verso il maggiore dei Winchester. «Grazie ancora.»

Dean annuì. «Te la meriti.»

«Ah.» fece lei. «Vi dispiace se torno con Eileen e Sam? Li riaccompagno e ho un appuntamento con degli amici, sono delle loro parti.»

«No, vai pure. Ma torna a casa presto.» si raccomandò il moro, giocherellando con una manica del pigiama. Gli occhi di Castiel sembravano

più blu del solito, il viso appena più colorito era rassicurante.

«Mildred mi ha detto che a scuola ti aspettano tutti.» gli disse Eileen.

«Sì, Maggie mi chiama tutti i giorni, ora posso dirle una data precisa.»

«Tornerai subito a lavoro?» domandò Dean.

«Tra tre giorni torno a casa; finiscono le feste e sì, devo controllare il programma.» Abbassò il capo, guardandosi le mani. «Questo

contrattempo non ci voleva.»

«Contra-» Dean non finì la frase, passandosi una mano sulla bocca. «Quello che ti è successo è grave. E ancora non hai voluto vedere

l'avvocato.»

«E non lo farò.» disse Cas, cocciuto.

«Cosa?!»

«Dean, non ho intenzione di sporgere denuncia, altrimenti lo avrei già fatto. Voglio facilitare la vita a quei ragazzi, non complicarla.»

Dean strinse le sbarre metalliche del letto, sospirando con forza; Sam spostò il peso da un piede all'altro e Claire e Eileen abbassarono lo

sguardo.

«Dean, può cavarsela, fidiamoci di lui.» esalò Sam, beccandosi uno sguardo truce dal fratello. «Solo se ci promette, che se accadrà di nuovo,

lo farà.» Guardò Castiel, che annuì.

Ci fu una pausa imbarazzante, rotta solo dalla voce un po' roca dell'ex angelo. «Come va il locale?» domandò, per cambiare discorso.

Dean alzò gli occhi al cielo e si sedette nella sedia lì accanto, imitato dagli altri, che se le erano portate dietro dalla sala d'aspetto.

Passarono due ore a parlare del più e del meno, a fare un giro per l'hotel con Castiel senza carrozzina. Se doveva tornare a casa, sarebbe stato

utile per lui iniziare a camminare sulle sue gambe.

«E' ora di andare.» disse Sam ad un certo punto. «Dean, vieni con noi?»

«Ho promesso di passare da Elizabeth per un saluto, dato che non ci siamo visti ieri.»

«Ci vediamo domani allora.» Si salutarono e Dean restò un altro minuto con Castiel.

«Dean? Tutto bene?»

«Smettila di chiederlo.» fece lui con un sorriso. «Tu?»

«Sto per tornare a casa, molto bene.»

«Non vediamo l'ora. Dai, vado.» si sporse per lasciargli un altro bacio sulla nuca.

Non capiva perché continuasse a ripetere quel dolce gesto, ma smise perfino di chiederselo. Era ormai stanco di farsi troppe domande.

 

 

*

 

Ovviamente Dean, aveva spudoratamente mentito a tutti. Aveva già incontrato Elizabeth dopo Rose, e l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel

momento era il suo bar poco conosciuto e preferito. Aveva bisogno di una di quelle serate che non passava più, in compagnia solo sua e di un

bicchierino - forse due.

«Dean! Da quando non ti si vede.» gli disse il barista, fermandosi un istante.

«Lo so, chiedo perdono.» Alzò le mani in comico segno di resa e il proprietario gli allungò una birra.

«Divertiti.»

«Grazie, amico.»

Erano solo le otto di sera, quindi aspettò un orario più consono per iniziare a far bollire cervello e fegato.

Sfidò qualcuno a biliardino buttando giù bottiglie di birra e salatini.

«Sta barando!» urlò uno dei suoi sfidanti, all'ennesima buca di Dean.

«No, no. Sono solo riuscito a fare molta pratica.» rise Dean, mandando l'altra fuori. «Visto?»

Mentre il cacciatore giocava, un'ombra lontana, seduta in un angolo nascosto lo osservava.

Arrivate le undici, si spostò al bancone con il suo bottino di centocinquanta dollari.

«Danny, vacci giù pesante adesso.» Una mano scavalcò il bancone e Dean prese un bicchierino da shot portandolo davanti a lui e con un dito

batté sul bordo; il barista lo riempì a metà di gin.

Dean bevve in un sorso e lo fece riempire di nuovo, si ritrovò con altri quattro bicchierini da svuotare.

L'ombra alle sue spalle non lo perse di vista per un secondo durante la serata, mentre succhiava la cannuccia nel suo coctkail, The Instant

Death, con Golden Grain.

Ad un certo punto, a Dean iniziò a girare vorticosamente la testa.

Iniziò a vedere cose strane: tutta la sala ruotava come se si fosse trovato in una sfera; le luci del bar gli parvero stelle luminose, le voci e le

risate rimbombarono nella sua testa in modo dannatamente inquietante.

Non che non si fosse mai sentito in quel modo, però c'era qualcosa che non andava - un pessimo presentimento che gli attanagliava lo stomaco

assieme a tutto l'alcool accumulato. Stava per accadere qualcosa di bizzarro, se lo sentiva dentro, per cui preferì salutare il barista lasciandogli

la mancia, e cercare di uscire dal locale, barcollando.

La cannuccia nera ormai solitaria nel bicchiere vuoto attendeva un cameriere; l'Instant Death era letteralmente scomparso, ed il barista a quella

richiesta era rimasto spiazzato. L'avevano nel menù per quando facevano le gare, ma nessuno lo finiva mai.

L'ombra che aveva insistentemente osservato Dean per tutta la sera, si alzò, e le luci soffuse le diedero le sembianze di una persona; lasciò

delle banconote, indossò la giacca scura ed uscì.

Dean intanto, sopraffatto dall'alcol, aveva preso l'uscita sul retro, usata in genere da chi aveva bisogno di vomitare.

Si ritrovò immerso nella fredda aria invernale e questo lo aiutò a combattere il caldo interiore. Mentre stava per fare mente locale sul dove si

trovasse la sua auto per ricordarlo il giorno seguente, prese il cellulare e digitò il numero della compagnia taxi. Prima che potesse avvicinare il

telefonino all'orecchio, si sentì sbalzato a terra; sbatté una tempia ma riuscì quasi a frenare la caduta con le mani.

Il cellulare precipitò sul suolo e si aprì con un tonfo secco.

«Merda.»

Con difficoltà, il cacciatore cercò di girarsi per vedere l'assalitore, ma non c'era nessuno.

Si alzò, continuando a guardarsi intorno sorpreso, afferrando il telefono con le dita e ricomponendolo alla sola luce della scritta al neon "Exit"

del bar.

Riuscì a chiamare il taxi e ripose il telefono in tasca, continuando a guardarsi intorno con l'occhio vigile nonostante la terribile sbronza.

Controllò l'orologio; era solo l'una di notte, ma Claire non gli aveva ancora mandato un messaggio per fargli sapere se era arrivata a casa.

Dean sentì un movimento dietro di sé; si voltò immediatamente con le mani a pugno davanti al viso, ma la spinta gli arrivò da dietro e si

ritrovò in un batter d'occhio con il corpo schiacciato sul muro di cemento e la misteriosa persona ancora addosso a lui. Si divincolò senza

risultati.

Quello gli respirava su una guancia e con le braccia gli teneva fermi il busto e la fronte.

«Ciao, Dean.» disse la voce maschile all'orecchio.

«…Chi sei?» chiese, minaccioso, il biondo. L'adrenalina lo mantenne appena lucido e la sbornia si placò.

L'altro rise, la voce era giovanile e sarcastica, e sembrava possedere un'innaturale forza in corpo.

«Chi sono io? Un vecchio amico. Felice di rivederti. Ti manca l’Inferno?» malignò lentamente, e poi lo lasciò andare.

Ma quando il cacciatore si rigirò, non c'era più nessuno dietro di lui. 

Solo il taxi che gli veniva incontro.

Dean rimase pietrificato; tentò di rimettersi in piedi e di realizzare l'accaduto.

Si buttò sul sedile posteriore del taxi, mormorando qualcosa al tassista.

Quell'uomo che l'aveva aggredito, si era smaterializzato, ed il peggio era che la sua voce non gli era affatto nuova, o era solo l’effetto di

quell’ultima frase, che risvegliava in lui un ricordo da dimenticare.

 

 

*

 

Tornò a casa abbastanza turbato; lo stomaco era un groviglio, infatti, parte del liquido che gli circolava ancora in corpo finì nella tazza del

water.

Il cacciatore si asciugò la fronte sudata, ansimando. Chi diavolo era quello? Per fortuna avrebbe dovuto allontanarsi dai pasticci e restare

tranquillo per una sera.

L’unica nota positiva arrivò dal telefono che vibrò alle due e un quarto di notte:

 

Da Claire:

“Sono a casa…”

 

Lui non era lucido per rispondere, l'unica cosa che riuscì a fare fu buttarsi sul letto, col cellulare che vibrava inutilmente fra le sue dita.

Si addormentò come un sasso nel giro di pochi secondi, gli avvenimenti della giornata che si ripetevano in continuazione nella sua testa, si

mischiavano, si confondevano.

Chi era quel tipo? Uno di quelli che lui all’Inferno aveva…

Ma perché proprio adesso?

 

 

*

 

Osservò il taxi sparire dalla sua visuale con Dean al suo interno, era stato divertente vederlo spaesato. Non era stato bello rivederlo, però.

Dopo anni qualcuno aveva deciso di rimetterlo sulla sua via per qualche scherzo macabro, ma non lo avrebbe lasciato andare. Doveva

rispondere di tante cose e quello sarebbe stato solo l'inizio.

Ammetteva di averlo visto diverso, non era il Dean di quel buco nero sudicio di sangue che ricordava; questo era sì combattivo, ma debole. Da

una parte lo stupì, cercando di non essere sopraffatto dai ricordi di ciò che lo aveva formato.

Dean gli aveva rovinato la vita, più di quanto non avesse già fatto lui da solo.

Quella sera aveva incassato una nuova percentuale, quindi non gli andava di rovinarla in quel modo. Decise di spostarsi in quel nightclub

molto lontano da lì, dove andava spesso.

Gli piaceva cambiare, il receptionist biondino dai pantaloni attillati e camicia rosa gli fece sfogliare un dépliant su alcune ragazze.

«Queste quattro sono nuove.» gli spiegò passando il dito su due more, una rossa e una bionda.

«Lei.» Il visitatore fermò il dito su una mora.

«Dora. Okay.» Lo mise via e prese un telecomando col quale accese due schermi della console sul muro dietro di lui. «Abbiamo ristrutturato

queste due stanze.» disse, indicando lo schermo con i colori caldi che raffigurava una stampa di dune di sabbia, e l'altra di un cielo stellato.

«Hai imparato a conoscermi.» mormorò il moro, con un sorrisetto.

«Sei il nostro miglior cliente.» disse l'uomo ponendosi disponibile.

L'altro rise con un ghigno e scelse la camera “Deserto".

«Uhm, bollente.» commentò l'altro, mentre prendeva le chiavi da un quadro sotto gli schermi.

«No, non ho finito.» Il biondo restò con le mani sul bancone. Alzò una mano muovendo le dita come a dire di dovergli dare qualcosa; l'uomo

si girò e vide il dépliant in questione. «Oh.» commentò sorridente, offrendolo all'ospite.

«Giudichi?» domandò mentre sfogliava.

«È la prima volta da quando vieni.»

«Le cose cambiano...o tornano.» Alzò un sopracciglio e fece schioccare la lingua.

«Lui.» Indicò un uomo dagli occhi verde chiaro.

«Perfetto, ti faccio strada.»

Il dipendente si spostò verso l'ascensore, il moro lo seguì e salirono al terzo piano.

«La seconda a destra. Dora arriverà subito. Mick ha finito poco fa, dagli una ventina di minuti.»

«Aspetterò.» disse l'ospite, aprendo la porta e scomparendo nella sua stanza.

 

*

 

Si sedette sul letto, togliendosi giacca e scarpe. Si alzò aprendo il frigo bar e si scolò due mini bottigliette di whiskey in due sorsi, facendo

canestro con il vetro nel cestino vicino al letto.

Passò davanti lo specchio rettangolare, ed osservò la sua immagine riflessa.

Lo prese per i bordi avvicinando il viso, gli piaceva quello che vedeva; gli occhi ,verde scuro, erano profondi e celavano tutta una storia dietro,

ma sembravano così giovani e lucenti. Aveva labbra piene e rosee, pelle liscia, capelli corvini corti e spettinati. E quell'aria da cattivo ragazzo

che avresti fatto comunque conoscere a tua madre. Era alto, con un fisico abbastanza in forma ed atletico - né troppo da fissato della palestra,

né da pantofolaio.

Una felicità l'aveva avuta.

Bussarono alla porta.

«Avanti.» disse. Tornò lentamente a sedersi sul letto ed accolse Dora a gambe aperte, sorretto con i gomiti sul materasso.

Lei fece la sua entrata lenta, facendolo morire di attesa. Aveva una bella pelle chiara, ma leggermente abbronzata, ed un bel décolleté non

troppo eccessivo, indossava un completino rosso che le lasciava scoperto l'addome e del velo a coprire seni e inguine; niente

all'immaginazione. I capelli sciolti e ondulati le ricadevano sullo sterno, gli occhi nocciola lo scrutavano mentre si avvicinava e le labbra rosse

si mossero.

«Allora, cosa abbiamo qui?» gli sorrise, salendogli in grembo.

L'ospite le spostò una ciocca dal viso. «Non sei scomoda con i tacchi?»

Il sorriso di lei si fece ancor più seducente. «Oh. Se non ti piacciono posso toglierli.» e li lasciò cadere sulla moquette beige. Lo fece sdraiare e

lui sprofondò con un balzo sulla coperta giallo ocra.

Gli lasciò un bacio sul mento, uno sul collo, alzò la maglia bordeaux e gli baciò il petto, fino a scendere all'ombelico.

Lui le prese la testa per farla tornare alla sua altezza e unì le loro labbra con trasporto, chiudendo gli occhi. Esplorò la sua bocca con dolcezza

fino a separarsi, e con la spinta di un fianco capovolse le posizioni e le bloccò le mani accanto la testa.

«Ahaha, mi divertirò.» gli strinse le gambe attorno ai fianchi.

Lui si abbassò e le leccò il mento scendendo fino alla gola. Lei sospirò, strofinandogli le ginocchia sulla maglia.

L'ospite allentò la presa ad una mano fermandole il braccio con l'altra e le accarezzò un seno; strofinò il capezzolo per poi prenderlo tra le

labbra attraverso il tessuto e succhiandolo dolcemente.

 

Bussarono alla porta. «Avanti.» disse lui.

L'uomo della foto, che aveva scelto, fece il suo ingresso, chiudendo la porta e appoggiandosi allo stipite dell'atrio della camera; le mani nelle

tasche dei pantaloni del completo blu elegante a cui non mancava il fazzoletto rosa nel taschino.

Altezza media, fisico evidentemente asciutto, castano e leggera barba; lo osservava sorridente con quegli occhi magnetici.

«Già qui?» chiese l'ospite.

«Non voleva farti aspettare.» accennò alla porta.

«Sei inglese.»

«Britannico.» lo corresse l'uomo.

Il moro rise e si morse il labbro, con la mano afferrò una natica alla donna sotto di lui stringendola.

«Hai troppi vestiti addosso.» Fece un cenno col capo alla poltrona, «Intanto aspetta.»

Mick tolse qualche indumento, restando in mutande e camicia e sedendosi accanto a loro.

Dora aveva finito per spogliare entrambi e i due erano sudati dai preliminari e in attesa di attenzioni.

L'ospite si spostò sul nuovo arrivato, sdraiandosi di schiena ed invitandolo a baciargli il collo, una sua mano scese sulla fessura del castano

sotto i boxer, togliendoglieli e massaggiando l'interno con un dito.

Lo straniero mugolò, mordicchiandogli la pelle sotto l'orecchio e il lobo.

Mick si mosse per creare attrito sui loro bacini, le erezioni si scontravano in un gioco lento e caldo, a ritmo con dei baci umidi all'incontro

delle loro lingue e con tanto di denti tra i sospiri. Una dolce tortura.

L’ospite non lo faceva da un po', e con due persone da ancora più tempo. Gli sbottonò la camicia bottone dopo bottone, facendola cadere a

terra; si voltò leggermente verso il comodino mentre Mick gli torturava il collo e la mandibola con le labbra, poi sentì una mano vellutata sul

suo braccio che rubò le sue attenzioni. Si allungò prendendo dal cassetto profilattici e lubrificante.

Tornò da loro, intenti ad esplorarsi; Mick e Dora lo guardarono insieme, tornando da lui e lasciandolo al centro.

Dora, da davanti, gli prese una mano per fargliela stringere su un suo seno, libero dell'intimo scenico, che massaggiò e leccò fino a sentire il

capezzolo turgido, fece lo stesso lavoro all'altro, mentre lei gli solleticava il petto e il sedere.

Mick gli mordeva e baciava le spalle; gli massaggiò il membro e i testicoli con carezze decise. L'ospite finì quasi per impazzire.

«Hey, calmi. Dobbiamo organizzarci.»

«Dove mi vuoi?» domandò Mick all'orecchio.

«Sopra.»

Il moro abbassò di schiena Dora, aprì il profilattico con i denti e lo srotolò sulla sua erezione, prima però scese a leccarle il clitoride

accompagnando due dita nella vagina e arricciandole. Dora gemette allargando le gambe e inarcando la schiena; lui si tirò su e la penetrò

afferrandole le gambe e chiudendole attorno al suo busto; si mosse velocemente avanti e indietro, inghiottendo i suoi lamenti di piacere con la

bocca.

Passò una mano dietro di sé per fare segno a Mick di aggiungersi; quest'ultimo si era già preparato da solo, la plastica del preservativo era

accanto a lui e delle gocce di lubrificante a scaldare tra le sue dita per poi intrufolarsi nell'uomo davanti a lui. L'ospite dovette fermare la corsa

dentro la mora, continuando a stimolarla, per far sì che l'altro riuscisse ad entrare; Mick gli provocò una scarica di dolore lungo la spina

dorsale, e si chiuse a riccio su Dora abbracciandola. Lei cullò entrambi nonostante fossero pesanti, fino a che Mick non riuscì a trovare un

ritmo per farlo impazzire e lui continuò a cavalcarla al punto che le gambe non riuscirono più a stare su e Dora venne in un grido strozzato,

rossa in viso per lo sforzo. Intanto gli uomini continuarono e l'ospite venne poco dopo. Restò a braccia flesse sul materasso, ad aspettare Mick

e le sue mosse che divenivano sempre più sporadiche e sconnesse fino all'urlo esausto che l'uomo cacciò sulla sua schiena sudata. Sentì il

mento spigoloso e poi la sua voce «È stato...è stato figo.» disse Mick, sottolineando l'ultima parola.

«Lo dite anche… dalle tue parti?» domandò l'ospite, sfottendo le sue origini e ansimando.

«Dandy.» Rise Mick e lo baciò per poi lasciarsi cadere di schiena, lo stesse fece lui, le braccia e le gambe scomposte non rispondevano più.

Dora si accoccolò alla sua sinistra con un sorrisetto; Mick restò a fissarlo per un po’, e l'ospite ricambiò lo sguardo: «Mi piaci.» gli fece

l'occhiolino. «Lasciami il tuo numero.»

Risero tutti e tre prima di chiudere gli occhi e riaprirli un'ora dopo.

 

Mick beveva un mini alcolico, scrivendo delle cifre su un block notes bianco con il logo della casa, che lasciò accanto ai vestiti di

quell'attraente visitatore.

Presa la giacca e se ne andò con del whiskey, guardandolo ancora addormentato tra le coperte con un ghigno negli occhi verde palude.

Fuori sentì Dora mentre accontentava un altro cliente.

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

Gioie del periodo natalizio e non.

-Yes, Mick Davies, non è morto, si è solo trasferito nella nostra ff e condivide gioie.

PS: prima volta che scrivo dell’hetsex e si vede, lo so *chiede perdono* -Sarandom

Ringraziamo tutte le 14 persone che hanno messo la storia nelle seguite e gli abituali che recensiscono. E’ importante per noi sapere che ci siete e che questa avventura stia piacendo. 

   
 
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