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Autore: TheHellion    20/06/2017    3 recensioni
Il mondo è caduto in mano a una forza oscura sconosciuta e subdola che avvelena la società di ogni nazione. Nessuno sembra volersi opporre alla rovina, nemmeno il giovane Ioria. Nonostante sia dotato di immensi poteri egli ha scelto di vivere in pace, lontano dai ricordi dolorosi, fino a quando il passato non torna a bussare alla sua porta.
Zodiak è una storia AU, un retelling della celebre storia di Kurumada in chiave fantascientifica. Ritroverete tutti i più amati personaggi della serie.
Genere: Avventura, Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I am a man who walks alone...
 
Dopo l'arpeggio, Bruce Dickinson inizia a cantare le prime strofe di Fear of The Dark, mentre la mia corsa accelera, gradualmente, poco a poco, come il ritmo del mio respiro.
Correre mi aiuta a liberarmi da ogni pensiero. Sento solo il battito del cuore, il rombo del sangue sulle tempie che sovrastano la musica.
 
And when I'm walking a dark road At night or strolling through the park...
 
Le luci delle auto che provengono dalla direzione opposta mi abbagliano. Gli occhi sono troppo abituati al buio. Il marciapiedi è bagnato e scivoloso, inospitale per quelli che sono costretti a viverci. Ormai li conosco tutti, anche se non so i loro nomi. I loro visi sporchi, i capelli ingrigiti e arruffati, gli abiti logori mi raccontano la loro storia in silenzio, mentre passo di corsa. Atene è diventata una città povera per colpa della lunga crisi economica che ha colpito la Grecia. Quelli che una volta erano i quartieri popolari, ora non sono altro che accozzaglie di casupole fatiscenti, palazzoni grigi senza personalità, tomba di sogni di chi non ce la fa più. Sono anni ormai, per l'esattezza cinque, che vedo tutto dal basso e mi sono abituato a essere uno dei tanti invisibili.
 
When the light begins to change I sometimes feel a little strange A little anxious when it's dark...
 
Gente che non rileva né esistendo, né scomparendo. Gente alla quale alcuni pensano di poter far tutto. Dello stesso avviso è il gruppo di ragazzini annoiati che si è radunato attorno a una vecchia senza tetto, una mia sconosciuta conoscenza.
Li conto. Sono in quattro. Avranno su per giù quindici anni, anche se tentano di farsi più grandi con vestiti estrosi e anelli di metallo sul viso.
La corsa si fa camminata fino a che entrambi i piedi si fermano alle spalle di uno dei quattro, il più alto. Ha capelli biondi e corti, rasati dietro la nuca. Quando si volta, gli occhi nocciola si fanno taglienti. Ha le sopracciglia rasate e un pearcing appuntito che gli perfora la pelle sopra l'occhio destro.
«Che cazzo vuoi, riccioli d'oro?» mi irride, provocando l'ilarità molesta degli altri tre. Non mi curo di loro. Gli occhi scorrono sulla figura della donna riversa a terra che punta le mani curve dal tempo sul marciapiede sporco. Do una brusca spinta al biondo che mi ha preso in giro senza controllare la mia forza. Lo faccio compiere due passi barcollanti all'indietro e rovinare a terra. Non bado alle sue imprecazioni e mi concentro nel sollevare l'anziana donna.
«Grazie! Grazie mille, figliolo» esprime la sua gratitudine.
  Le rispondo con un sorriso. Vorrei aggiungere anche qualche parola ma le grida degli energumeni alle mie spalle surclassano tutte le mie buone intenzioni. Mi volto appena, in modo da incontrare uno dei loro sguardi con un'occhiata obliqua.
«Non hai idea di quello che hai fatto, bastardo. Nessuno mi offende né con i gesti né con le parole» replica il ragazzo che ho spinto.
«Tu ci hai provato...» continua.
 
Fear of the dark, fear of the dark...
 
«E per questo motivo pagherai, bastardo!»
Il suo movimento verso di me appare lento e goffo ai miei occhi. Non mi è difficile schivarlo compiendo giusto un passo indietro. Non mi muovo più, nonostante con la coda dell'occhio veda un altro membro della banda che scatta verso di me, con il braccio destro pronto a colpirmi. Tendo il braccio destro lateralmente e fermo il suo pugno all'interno della mia mano. Lo vedo sforzarsi per contrastare la mia forza. Dubito che ci riuscirà mai. I suoi compagni decidono di attaccarmi da tutti i fronti in modo da trovarmi impreparato.
«Stolti» commento il loro comportamento prima di liberare quello che avevo catturato, scaraventandolo contro la vicina vetrina sporca e in disuso. La caduta dei frantumi di vetro copre il rumore dei miei rapidissimi passi quando mi scaglio contro gli altri tre, che respingo con pugni così veloci il cui spostamento è impossibile da seguire per un occhio umano. Ogni mio gesto può raggiungere la velocità della luce. Mi percepiscono come se fossi immobile, per questo motivo la meraviglia dipinge i loro visi quando, sconfitti e a terra, mi fissano con gli occhi sgranati e le labbra tremule.
«Che mostro sei?» chiede il biondo che mi ha affrontato per primo. Mostro?
 Sposto lo sguardo sulle mie stesse mani. Questi pugni sono le zanne del leone. Quella frase attraversa la mia mente come una dolorosa scarica. L’ho già detta e mi basta ripeterla in silenzio. Cerco di scacciare i pensieri chiudendo gli occhi e inspirando profondamente.
«I mostri qui siete voi. Che mai più vi veda alzare un dito su una persona innocente o...»
 Il biondo solleva le braccia in segno di resa. Piagnucola una serie di parole biascicate a causa del sangue che gli inonda la bocca e fuoriesce dalle labbra a corposi rivoli.
«Eviteremo questa zona...lo giuro...»
 Non contento della sua risposta, carico un pugno e faccio per scagliarglielo in faccia, ma blocco i miei movimenti a pochi centimetri da lui.
«Eviterete di fare del male a chicchessia, perché vi terrò d'occhio e se vi vedrò ancora intenti a ferire chi non può difendersi, farò in modo che vi alzerete solo grazie a una barella, chiusi in uno spesso sacco nero. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì!» dice, prima di scoppiare a piangere e farsi piccolo piccolo nella paura che io lo colpisca.
«Ora andatevene, prima che vi faccia a pezzi» tuono io, minaccioso.
 In qualche modo si raccolgono e si alzano in piedi. Si allontanano come possono, mentre estraggo il mio IPhone dalla tasca dei pantaloni da jogging e cambio canzone. Decido per Acacia Avenue 22, sempre degli Iron Maiden. Prima che possa premere il play, avverto il tocco delicato della mano dell'anziana senza tetto sulla spalla. Mi volto subito verso di lei e rimuovo un'auricolare.
«Serve aiuto?» chiedo con tono affabile.
«No, figliolo. Mi hai salvato la vita, non posso chiederti di più» risponde bonaria, mentre porta la mano sui miei capelli biondi e li accarezza.
«Sembra che mi abbiano mandato un angelo oggi» afferma, sognante.
«No, ma cosa dice?.Non sono un angelo. Sono soltanto un uomo sudato che fa jogging tutte le sere» spiego, ma lei scuote il capo.
«"I loro pugni possono fendere il cielo e i calci frantumare la terra."» dice solenne, come se parlasse di una profezia. Le sue parole mi fanno trasalire, poiché fanno parte di un ricordo lontano, uno di quelli che a tutti i costi voglio rimuovere.
«Dove ha sentito quella frase?» le chiedo, allarmato.
«Ha forse importanza?» mi risponde lei.
«Sì, ne ha e molta» replico bruscamente. Lei sposta lo sguardo sulla via che ci circonda e gli occhi si velano di lacrime.
«Vedendoti lottare contro quei balordi, ho ricordato una cosa, una vecchia favola, ma guardandomi attorno ora...Oh, non pensare alle parole di questa vecchia, figliolo.»
Annuisco appena e le do conforto accarezzandole una spalla. Non insisto per strapparle la verità, poiché come ha detto lei, tanto il suo che il mio ricordo, appartengono a un passato perduto. La saluto cordialmente prima di infilarmi di nuovo l'auricolare e far ripartire la musica, questa volta a un volume più alto di prima. Invece di farmi tutto il giro del quartiere, decido di tagliare corto fino a casa. Senza aprirlo scavalco il basso cancelletto del giardino. L'erba è troppo alta e ha seppellito i fiori e le piante che Castalia ha piantato e coltiva con amore. Ecco il motivo del suo broncio ogni volta che dà un occhio al giardino o alla giungla, dipende dai punti di vista. Mi fermo di fronte alla porta di casa. Dapprima busso, poi mi attacco al campanello, finché lei non viene ad aprirmi. I rossi capelli sciolti e ribelli fanno da contorno al suo viso rotondo e aggraziato. Le labbra morbide e rosee sono imbronciate e assieme alle sopracciglia aggrottate, dipingono un'espressione corrucciata.
«Se è per il giardino, prometto che lo sistemerò domani» la anticipo e riesco a strapparle un sorriso.
«Il tuo domani, Ioria, è un punto indefinibile del futuro» scherza, facendosi fa parte per lasciarmi entrare. Varco l'uscio, ma non compio altri passi, perché cingo tra le braccia la vita di Castalia e dopo aver perso il mio sguardo nel suo, le do un lungo bacio che lei interrompe, allontanandomi con una debole spinta sul petto.
«Non ti perdonerò con così poco» dice, dopodiché è lei a portare una mano sulla mia nuca e accarezzare i miei capelli con le dita. Mi ruba un bacio per poi posare la fronte contro il mio petto.
«Tuttavia il problema non è il giardino, Ioria. So che vuoi evitare quel discorso, ma...»
Mi irrigidisco alle sue parole. Serro i denti e sbuffo, spostando lo sguardo verso l'uscita. Ho già capito di che cosa vuole parlare, poiché è diventato l'argomento scomodo e onnipresente nei nostri ultimi discorsi.
«Dobbiamo fare qualcosa, Ioria.»
Mi allontano da lei, compiendo qualche passo all'indietro. Tolgo le cuffie ormai mute e lancio il cellulare sul divano, prima di dirigermi verso il bagno.
«Non puoi dimenticare chi sei!» mi grida dietro.
Rimango fermo con le mani posate ai lati dell'entrata del bagno. Tiro un profondo respiro e mi volto, riluttante, verso Castalia che mi osserva con uno sguardo determinato.
«Quel giorno, quando il progetto Zodiak è stato cancellato, noi ottantotto ci siamo sparpagliati in tutto il mondo. Ognuno ha iniziato a seguire i suoi interessi e il mio è quello di vivere in pace.»
«Gli interessi di alcuni di loro stanno devastando le vite di intere comunità. Davvero non ti importa?» grida contro di me, facendomi innervosire. Sotto le dita il legno della porta si ammacca e si sgretola. «Ho detto che non interverrò più. Zodiak è scomparso! È un'utopia che fa parte del passato!» la mia voce è più alta della sua. I suoi occhi si assottigliano come le labbra.
«Non ti riconosco più...» vomita fuori quelle parole come se fossero veleno, prima di voltarsi e sfuggire dal mio campo visivo in pochi, veloci passi. Detesto litigare con lei. Quando abbiamo lasciato lo Zodiak ho concentrato tutta la mia attenzione su di lei, considerandola l'unica luce di speranza e non sopporto di suscitarle rabbia o delusione.
Allontano le mani dalla porta e osservo con rammarico il segno che lì ho lasciato solo con la pressione delle dita. Anche se mi nascondo dietro questo alone di normalità, non sono nient'altro che uno degli ottantotto prescelti per cambiare in meglio questo mondo.
Siamo stati selezionati secondo strane norme astronomiche e una volta radunati nello Zodiak siamo stati addestrati a rifiutare gli interessi personali, a resistere a ogni tentazione, a sopportare qualsiasi tipo di dolore fisico e morale. Nessuno di noi conosce il viso e il calore della propria madre. Il primo legame affettivo è stato reciso per toglierci un’ipotetica debolezza.
Io non ero completamente solo, però, perché avevo un fratello e insieme a lui facevamo parte dell'élite: dodici, come dodici segni dello Zodiaco, i vertici di Zodiak.
Siamo stati considerati una sorta di peacekeeper, armi da utilizzare contro i meccanismi sbagliati del mondo. Era questa la volontà degli idealisti di Thule che concepirono la follia in cui crebbi.
«Castalia» la chiamo lungo il corridoio buio. Mi fermo sulla porta della camera. Lei è lì, seduta sul letto con lo sguardo distratto sull'abatjour che illumina fioca la stanza.
 Mi siedo al suo fianco e le cingo le spalle con un braccio, mentre la tiro al mio petto. Lei si lascia guidare, non si oppone ma nemmeno mi rivolge l'attenzione dei suoi occhi.
«Ho scelto te» le sussurro ad un orecchio. «E voglio viverti. Te lo avevo promesso quando eravamo ragazzini.»
«Lo so...» ammette, spostando una mano sul braccio che ho stretto al suo busto. «È solo che...ho ricevuto notizie terribili.»
«Sono lontane» le dico sottovoce, mentre le bacio il capo. «Fuori dalle nostre vite.»
 Si volta verso di me e saggia le mie labbra con un bacio timido.
«Quanto durerà questa calma apparente? Quanto tempo passerà prima che la tempesta raggiunga anche noi?» mormora sulla mia bocca.
«Non lo farà mai, non finché saremo insieme» le sussurro, tra un bacio e l'altro. Vorrei tanto aver ragione, eppure la mente lascia qualche spazio al dubbio che mi tormenta. Lo sedo con il calore dell'amore che provo nei confronti della mia donna. Ho solo lei, voglio solo lei e nell'immensità dei miei sentimenti mi perdo. Smetto di sentirmi come una preda in fuga, adagiandomi sulla sensazione di pace e completezza che mi dona la nostra unione. Più che mai sono convinto che sia questo ciò che ho sempre voluto che ho sempre cercato. Il lavoro modesto alle dipendenze di un falegname, i pasti semplici, la musica che fa da sottofondo ai miei pensieri, le notti di sogno e passione: queste sono le uniche cose di cui un uomo non dovrebbe mai fare a meno. Non serve essere eroi per vivere al massimo, basta la semplice e piccola routine di gesti ripetuti e sicurezze.
Il frinire dei grilli accompagna il mio ritorno a casa. Come sempre, prima di onorare la notte con il riposo, tengo allenato il corpo con una corsa in cui scarico ogni tensione. Sono sudato, visto che l'umidità e la calura non hanno lasciato tregua a questa giornata d'agosto.
Come sempre scavalco il cancello. Proprio ieri ho sistemato il giardino. Se le piantine di Castalia potessero parlare mi ringrazierebbero. O mi insulterebbero per la prolungata incuria. Sorrido a quello sciocco pensiero e busso alla porta che cigolando si apre. La spalanco ed entro. Chiamo a voce alta il nome di Castalia, ma non ricevo risposta. I pochi soprammobili che abbellivano il nostro salotto sono a terra. Alcuni di loro sono rotti. Le pareti sono segnate da evidenti segni di lotta. Castalia non risponde e questo mi fa ghiacciare il sudore sulla fronte, soprattutto quando avverto di non essere solo. C'è qualcuno assieme a me, qualcuno che ridacchia alle mie spalle.
«Chi sei?» chiedo a denti stretti, voltandomi di colpo. I petali di una  rosa rossa danzano sospesi nell'aria per qualche istante, prima di ricadere a terra in un leggero volteggiare.
«Non mi riconosci?» mi chiede una voce di uomo dal timbro piuttosto alto, leggero, dannatamente familiare.
«Aphrodite» affermo deciso, stringendo tutti e due i pugni. «Che cosa hai fatto a Castalia? Dov'è?» chiedo gridando. Sento l'interruttore che scatta e la luce del lampadario illumina la sagoma slanciata del mio interlocutore. I suoi capelli azzurri uniti al viso bello e quasi femminino non lascia dubbi: è Aphrodite, nato sotto il segno dei Pesci.
«Placa la tua ira, Leone. La tua bella è al sicuro. L'abbiamo presa come garanzia» spiega con calma, per nulla impressionato dalla mia rabbia crescente.
«Non hai risposto, Aphrodite. Dov'è Castalia?» scandisco lentamente le parole. Lui tira un profondo sospiro e incrocia le braccia al petto.
«Eh no, non funziona così, Ioria. Puoi rivederla illesa soltanto se mi seguirai.»
Scatto verso di lui a tutta velocità, come non facevo da tempo. Carico e scaglio un pugno in direzione di Aphrodite, ma le nocche affondano tra decine di petali di rose rosse. È sparito dalla mia vista. No, si è spostato veloce come la luce, ma io ero troppo distratto dalla rabbia per accorgermene. La sua mano preme sulla mia spalla.
«Basta. Avrai capito che non voglio combattere contro di te» ribadisce.
«Avresti dovuto pensarci prima di rapire Castalia!» grido mentre mi volto bruscamente pronto a colpire davvero stavolta. Aphrodite cattura il mio polso con entrambe le mani e fa un'immensa fatica a trattenerlo fermo.
«Vuoi ascoltarmi?» chiede esasperato.
«No! Non mi interessa niente di quello che ti riguarda! Voglio riavere indietro la mia donna, adesso!»
 Colpisco l'addome ormai scoperto di Aphrodite con la forza del mio sinistro. Lo costringo a piegarsi in due e allentare la presa sulla mano. Sono libero di compiere un passo indietro e ergermi solenne di fronte a lui. L'ho sconfitto, è chiaro. Sono sempre stato uno dei più forti e veloci del progetto Zodiak. La sua risatina spavalda cerca di demolire la mia convinzione. Lo sento inspirare ed espirare profondamente, mentre un forte profumo di rose si diffonde all'interno della stanza. Mi pizzicano gli occhi e il respiro è sempre più difficile da tirare. Ogni mio arto si appesantisce e si indebolisce per poi finire immobilizzato. Dovevo aspettarmelo da lui, il maestro dei veleni, nato e cresciuto tra fiori carichi di potere venefico. Il suo corpo si è adattato a quelle sostanze tossiche e le utilizza come arma di attacco e difesa.
 La vista mi tradisce sdoppiando i contorni delle figure su cui poso lo sguardo.
«Mi hai costretto a sedarti per farti parlare. Sei sempre il solito testardo» sottolinea, mentre con il gesto di una mano sistema uno dei suoi riccioli azzurri dietro l'orecchio.
«Micene aveva previsto il tuo comportamento, dopotutto. Ecco perché mi ha consigliato di metterti alle strette.»
«Mi...Micene, mio fratello... ti ha...» balbetto incredulo.
«Sì. Mi ha mandato qui a chiedere il tuo aiuto. Sapeva che non mi avresti ascoltato, perciò mi ha consigliato di spaventarti giusto un po'. Doveva avvertirmi che ci avrei rimesso una costola, forse due.» afferma, prima di portare una mano al suo addome e carezzarlo lentamente.
«Non ho più niente a che fare con il progetto Zodiak. Adesso vivo…lontano da tutto...»
La tosse mi sconquassa il petto e la mancanza di forze mi fa cedere in ginocchio.
«Un misero falegname con le mani callose, la segatura tra i capelli e la polvere sui vestiti. La tua ambizione è di un'infinita bruttezza» mi irride, avvicinandosi a me. Si china in modo da potermi sussurrare all'orecchio.
«Sei nato per essere un eroe, Ioria. Vuoi davvero vivere come il resto del mondo?»
«Voglio essere felice. Non me ne faccio nulla dell'eroismo» controbatto.
«Anche così la tua inerzia è dannosa. Il mondo dove vuoi vivere la tua normalità rischia di sparire se non facciamo qualcosa.»
«Il mondo esiste da millenni, non sparirà proprio adesso» replico ironico, stringendo le dita sulla leggera camicia lilla che copre le spalle di Aphrodite. Sto riprendendo padronanza del mio corpo.
«Invece sì, visto che l'uomo che ha preso il posto dei Thule sta meditando di annientare questa realtà dalle fondamenta.»
Rimango in silenzio ad ascoltarlo. Lo invito a proseguire con un cenno del capo.
«Dopo che Zodiak è stato annullato, l'impero dei Thule è andato a finimenti. La notizia che per anni avevano compiuto esperimenti su "bambini speciali" si è diffusa nel mondo a macchia d'olio. Alman è morto, non si sa se lo hanno assassinato o sia passato a miglior vita dopo aver visto il lavoro di una vita andare in fumo. Tuttavia, la sua unica erede, sua nipote, era troppo giovane per prendere il suo posto, così uno sconosciuto che si fa chiamare "l'Uomo Nero" ha rilevato tutto per due soldi. Nessuno lo ha mai visto, né sentito parlare. Si sa che esiste, ma niente di più.»
Aphrodite svincola da me e va a sistemarsi sul divano consunto. Accavalla le gambe e pone ordinatamente le mani sul ginocchio. Mi osserva in silenzio mentre mi rialzo.
«Da quel momento in poi la società di Thule è diventata ufficialmente un'industria di ricerca tecnologica e ha preso il nome di HEL. Ovviamente è una sigla. High Engeneering Logistics. La sua sede principale è qui ad Atene, ma le filiali sono sparse in tutto il mondo.»
«Sono a conoscenza di questo dettaglio» annuisco. «Meglio così, no? Almeno nessuno farà più quello che hanno fatto i Thule. Nessun addestramento, nessuna lotta fratricida, mai più.»
«Eppure noi sappiamo che alcuni dei nostri sono nelle loro mani. La società di Thule ci aiutava a domare i nostri poteri, la HEL cerca di utilizzarli per i suoi intenti. Secondo Micene, lo scopo della HEL è quello di creare un'aberrazione del progetto Zodiak e imporre il suo dominio su ogni nazione fino a conquistare il mondo.»
Premo pollice e indice destri sulle palpebre chiuse. Le parole di Aphrodite mi suonano come l’esagerazione che rende il racconto ridicolo.
«Un aberrazione di Zodiak, dici? Non ci può essere niente di peggio. Eravamo delle macchine da guerra, anche se ci imbottivano di sciocchezze sulla giustizia» controbatto aspramente. Lui si lascia scappare una risata.
«Sei esilarante, Ioria. Non hai capito che Zodiak era un progetto nato per proteggere il mondo intero e noi stessi dai poteri che ci sono toccati in sorte. "C'è un modo per utilizzare il vostro potere a fin di bene. Per comprenderlo dovrete liberarvi delle vostre ossessioni". Ti sei dimenticato delle parole di Alman?»
Fisso lo sguardo irato sul suo e sbuffo nervoso.
«Castalia...dov'è?» chiedo, a denti stretti.
«Vieni con me e la incontrerai.»
Do un pugno al mobiletto prossimo al divano, a poca distanza da Aphrodite senza controllarmi. Il pianale si rompe in due e lascia affondare la mano serrata fino al contenuto morbido di spartani tovagliati.
«Vuoi costringermi a fare una cosa che non farei nemmeno sotto tortura! Non ritornerò mai e poi mai a fare squadra con voi dopo quello che è successo» alzo la voce mentre il respiro affannoso tortura il torace.
«È ora che tu affronti il passato, Ioria, o non avrai un futuro da scrivere. O sei con noi, o non rivedrai Castalia mai più» ribadisce pacato e serio Aphrodite.
 Faccio una fatica titanica a placare la mia ira, ma riesco a contenermi tanto da annuire appena.
«Fai strada. Portami da Micene e chiudiamo questa storia. Appena parlato con lui ritornerò qui con Castalia.»
  Un sorriso sghembo inclina le labbra truccate di Aphrodite, mentre elegantemente si alza dal divano. Passa una mano su una mia spalla e automaticamente il torpore che mi ha inflitto in precedenza scivola via. Lo seguo all'esterno e mi preoccupo di chiudere la porta alle mie spalle ma la serratura è rotta.
«Su! Non prenderla a male! Dubito che tornerai a vivere qui» finge di volermi placare, Aphrodite, alimentando la mia rabbia.
«Prenderò Castalia e tornerò qui. Questo è quanto.»
«Convinto tu...» si arrende sbuffando e mi accompagna fino a una fuoriserie lucida e nera, parcheggiata a duecento metri dal cancello di casa mia. Addirittura si rovina ad aprirmi lo sportello posteriore e farmi salire con un gesto reverenziale che sa di palese presa in giro. Quando si solleva da una sorta di esagerato inchino i nostri sguardi si incontrano nel tentativo di incenerirsi a vicenda.
«Ti ho mai detto che ti detesto?» chiedo retorico.
«Sì, ma mi fa piacere sentirtelo ripetere, ti rende più simpatico.»
 Non vale la pena commentare ciò che dice, perché avrà sempre una risposta pronta che mi farà innervosire ancora di più. Apro ancora un po' la portiera e mi siedo al sedile del passeggero. Con immenso stupore trovo Castalia seduta accanto a me.
«Tu...?» chiedo, interdetto.
«Perdonami, Ioria, ma era l’ unico modo...» mi risponde con un'espressione livida, preoccupata. Non riesco ad aggiungere altro che la portiera del guidatore si apre e si richiude velocemente. Il motore si accende con un potente rombo e prendiamo subito strada.
«Facci scendere, Aphrodite!» ordino. Le chiusure centralizzate scattano, bloccando le portiere. Potrei tranquillamente sfondarle e uscire, ma qualcosa mi trattiene. Non so se sia un piccolo dubbio che ha instillato in me Aphrodite con il suo racconto, oppure il gesto di Castalia. Non mi ha mai mentito, perciò se ha architettato questo teatrino deve esserci una ragione seria. Non farebbe mai niente per ferirmi. Anche con questa consapevolezza non posso non essere arrabbiato con lei.
«No!» mi contrasta Castalia. «Andremo da Micene, adesso. Basta Ioria! Non c'è tempo da perdere in proteste.»
Rimango in silenzio. Lo sguardo assottigliato e le labbra irrigidite dipingono sul mio viso tutta la delusione che provo dopo aver scoperto il raggiro. Il cuore mi si è fermato in gola quando ho visto casa mia a soqquadro. Ho temuto per la vita di Castalia e adesso la trovo qui, tranquilla, come se nulla fosse. Non ho intenzione di continuare a dare in escandescenza, è fiato sprecato. In questo momento mi sento solo contro il mondo, come se fossi l'unico a credere nel valore della serenità.
Usciamo da Atene, lasciandoci alle spalle gli ammassi di abitazioni tipici della zona urbana. Proseguiamo lungo una strada secondaria accompagnati dalla fastidiosa cantilena della musica R'n'B.
«Odio Rihanna» sfogo appena la mia frustrazione con una constatazione idiota.
«Io la adoro e visto che la macchina è mia, puoi solo adeguarti» mi risponde Aphrodite, raggiungendo il mio sguardo con il suo riflesso dallo specchietto retrovisore.
«Tu vai sempre a piedi?» mi chiede a bruciapelo.
«Sì. Con la mia velocità sarebbe uno spreco di denaro investire su mezzi di trasporto come questo» giustifico così la mia scarsità di disponibilità finanziaria. Nonostante le auto mi abbiano sempre affascinato, non ho mai avuto l'occasione di acquistarne una, specialmente così bella. Sbircio il volante per vedere il fregio. Accidenti è una Maserati. Dove avrà preso tutti quei soldi uno come Aphrodite?
«Certo, ma specialmente quando piove o fa caldo, perché non viaggiare comodi?»
Non replico alla sua provocazione e affondo la schiena sul sedile. Castalia prova ad accarezzarmi una mano, ma io ritraggo la mia.
Imbocchiamo una stradina sterrata che ci conduce fino al sentiero privato di una villa. Superiamo il cancello nero e appuntito e ci troviamo su un piazzale ricoperto di ghiaia candida. Con diverse manovre a mio giudizio piuttosto maldestre, Aphrodite parcheggia e scende nervoso. Il suo comportamento mi strappa un sorriso: è un fastidioso neo nella sua immagine di perfezione in ogni cosa.
Lo seguiamo all'interno, percorrendo il porticato illuminato da faretti dalla luce calda, posti sul pavimento. Il grande portale si apre davanti a noi e ci lascia entrare in un'ampia stanza dai pavimenti di marmo nero e bianco. Una rampa di scale sale al centro di essa e porta al piano superiore. Dalla mia posizione vedo, oltre la balaustra, diverse porte chiuse. Sul lato destro del piano terra si trova l'ampia vetrata rivolta al rigoglioso e curato giardino, illuminato minuziosamente da luci chiare, simili a quelle del porticato.
«Ioria, Castalia, finalmente!» mi richiama una voce maschile che suona familiare. Mi guardo intorno, finché il mio sguardo non cade sul ragazzo seduto sul divano, posto al lato sinistro dell'ampia entrata. Ha i capelli castani e voluminosi, la sua corporatura è minuta, ma la muscolatura si è di molto rinforzata dall'ultima volta che l'ho visto.
«Pegasus?» mormoro appena il suo nome. Lui si alza in piedi e ci raggiunge quasi di corsa.
«Vi avevamo dati per dispersi. Nessuno di noi pensava che avreste cambiato idea dopo quello che...» si interrompe, per poi scuotere il capo. «Scusate» afferma a bassa voce.
«Tranquillo, Pegasus. È ora che Ioria smetta di scappare da quello che abbiamo fatto cinque anni fa» tuona la voce di Micene dall'alto. Mi volto verso la scalinata e seguo la sua pacata discesa tra noi. Non è cambiato di una virgola. I suoi capelli castani e folti si arricciano ribelli. Gli occhi verdi hanno la stessa smeraldea intensità dell'ultima volta che si sono incrociati con i miei, solo che ora sono freddi, mi rimproverano. Da bambino temevo quello sguardo, ma ora che sono un uomo lo affronto con il mio. Micene, nato sotto il segno del Sagittario non mi impressiona più.
«Che cosa dovrei fare?» chiedo gelido. «Partecipare a un’allegra rimpatriata tra fratelli e vecchi compagni? Ricreare Zodiak?»
Ridacchio in cagnesco e scuoto il capo.
«Sei ansioso di ritornare a massacrare qualche tuo altro amico? Io no.»
 Sputo sale su una ferita aperta. Il cambio d'espressione di Micene parla chiaro. Si incupisce, ma il suo sguardo non perde di determinazione.
«Non mi pento di quello che è successo con Saga dei Gemelli. Per quanto fu doloroso uccidere il mio migliore amico, era mio dovere farlo» sentenzia, prima di avvicinarsi di più a me e posare una mano sulla mia spalla destra. Vorrei ritrarmi o protestare, ma la verità è che mio fratello, la mia prima e unica guida, mi è mancato nell'ultimo periodo. Ha ancora il potere di incarnare tutto ciò che c'è di giusto al mondo di fronte ai miei occhi.
«Siamo nati per proteggere la pace e dobbiamo farlo finché siamo in tempo.»
Scuoto il capo.
«Micene, siamo solo uomini, benché forti più del normale. La nostra pace è trovare la serenità delle piccole cose. Perché sobbarcarci tutti i mali del mondo? Ti hanno illuso, come hanno illuso me di poter fare qualcosa che esula dal possibile! Possibile che non ti sia chiaro?»
Micene si fa da parte, mentre un rumore leggero di passi risuona all'interno dell'ampia e silenziosa stanza. È una ragazza giovanissima quella che è appena scesa dalle scale. Ha una cascata di lunghi capelli viola che in lunghezza superano il livello della vita. Gli occhi sono di un puro verde pari al colore dell'acqua cheta. Il lungo vestito bianco le copre anche i piedi, strofinando a terra.
«Non può essere...Lei è...» balletto sconvolto.
«Isabel di Thule» risponde lei con voce forte e solenne. «Forse ti ricordi di me come il risultato del progetto "Atena".»
Atena era un progetto di isolamento a cui Alman aveva sottoposto la sua stessa nipote ancora piccolissima. Psicocinesi, telepatia, abilità di rallentare e velocizzare la materia con la forza del pensiero. Il potere di noi dello Zodiak viene condizionato dalle capacità di questa ragazza che anche ora amplia e alimenta il mio vigore.
«Sono passati ben cinque anni dalla chiusura di Zodiak e dalla morte di Saga» mi ricorda lei. «E le cose sono peggiorate di anno in anno. Questo vuol dire che non possiamo stare qui, con le mani in mano mentre il nostro mondo viene distrutto dalle trame del famigerato Uomo Nero, a capo di HEL.»
Isabel mi supera e si avvicina alla vetrata. Posa una mano sulla superficie trasparente e perde lo sguardo verso il piazzale.
«La città di Atene è il ritratto di un mondo in decadenza. L'economia, i meccanismi della società, le guerre tra affamati e disperati, le ingiustizie, stanno demolendo il futuro delle nuove generazioni. La HEL è il massimo esponente di questo degrado. Con i suoi tentacoli avvelenati condiziona ogni cosa in negativo, utilizzando il potere dei vecchi membri di Zodiak per imporre a forza il suo terrore. Di tutti gli ottantotto, sono rimasti dalla parte dei Thule soltanto Micene, Aphrodite, Pegasus, Castalia, il Grande Mur che vive nel Jamir, Il maestro d'arti marziali Dhoko che risiede in Cina assieme all'allievo Sirio, Crystal che abita le fredde terre di Siberia, Phoenix e infine Andromeda, entrambi qui, in terra di Grecia. C'è anche un altro uomo che potrebbe fare la differenza, ma proprio come te, Ioria, non vuole ascoltare.»
Isabel si volta verso di me. Ha lo sguardo acceso di determinazione.
«Aiutaci Ioria. So che per te è stato difficile affrontare la dura prova di cinque anni fa, però unisciti a noi soprattutto per te stesso. Solo quando il male sarà sparito da questa terra, troverai la tua tranquillità al fianco di chi ami. Non farti del male ancora per ciò che foste costretti a fare. Agendo al nostro fianco, puoi evitare che si ripeta.»
La mia espressione si è di molto addolcita. È il mio cuore a surclassare la mente. Forse è il potere di Isabel a schiacciare la mia ostinazione o forse è il rumore del giusto a far tacere i dubbi.
«Ammesso che accetti, siamo pochi contro il mondo intero» dico a bassa voce, quasi mi vergognassi.
«Siamo pochi, ma ricorda: I vostri pugni possono raggiungere il cielo e i calci fendere la terra. Insieme possiamo affrontare qualsiasi sfida.»
  Isabel si avvicina a me e posa una mano sulla mia. Mi costringe a piegare il bracco e afferra il mio polso tra le dita.
«Insieme, Ioria. Questo è Zodiak. Nessuno di noi deve rimanere a lottare da solo o accettare la sconfitta» afferma con tono dolce e rassicurante.
«Allora che farai fratello?» incalza Micene dopo qualche istante.
«Il leone si sveglierà o continuerà a dormire?» chiede ironico Aphrodite.
«Non possiamo più nasconderci, Ioria. Il male attorno a noi è troppo forte» afferma Castalia.
«Torna a essere dei nostri, amico mio!» mi esorta Pegasus. L'insistenza di tutti mi fa sorridere e annuire appena.
«Sarò dei vostri» mi arrendo infine. Le mie parole accendono i visi degli altri si sorrisi di speranza. Il ricordo del passato inizia a sbiadire di fronte alle aspettative per il futuro, un futuro che ho capito di dover proteggere. Non posso sfuggire dal male, perché se continuassi a scappare esso mi troverebbe. Sono Ioria, il Leone, e fino a cinque anni fa sono stato famoso per il mio indomito coraggio. È giunto il momento di tornare ad affilare zanne e artigli, perché il passato non si ripeta. Nessuno deve rimanere a lottare da solo, nessuno deve accettare la sconfitta.
 
   
 
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