Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: ilcielopiangequalchevolta    20/06/2017    0 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
30) Say three, f**k!


•CIRCA UN ANNO DOPO•
JAMES'POV
Rimirai il soffitto per cinque minuti buoni, con le palpebre che faticavano a restare aperte. Dovetti sforzare un poco gli occhi per allontanare la stanchezza della prima mattina. Mi volsi verso destra e notai che mancava poco meno di un minuto al suono della sveglia. Mi affrettai a spegnarla senza muovermi troppo e evitando accuratamente di destare mia moglie. Poi mi voltai a sinistra, dove giaceva addormentata Sabrina, con la testa sulla mia spalla, un braccio intorno alla mia vita ed la sua gamba intrecciata alle mie. Sapevo quanto odiasse essere disturbata da quel rumore assordante, fastidioso e acuto, perciò quando potevo preferivo chiamarla io stesso.
Mi chinai lievemente su di lei, poggiando il palmo della mia mano sulla sua nuca e le massaggiai la cute con calma. Le baciai il collo con studiata lentezza e la rimpinzai di attenzioni.
-Amore…- mormorai per non turbarla, mentre con le mie labbra erano giunte al suo orecchio. Le morsi delicatamente lo zigomo e le rubai una carezza sul fianco.
Lei mugugnò contrariata e scosse la testa. Mi finsi offeso dal suo gesto e le diedi le spalle. Dopo circa dieci secondi avvertii le sue piccole e gentili dita cingermi il bacino e la sua bocca vezzeggiare il mio lobo. Tentò di farmi stendere di schiena sul materasso con tutte le sue forze. Nonostante le limitate capacità motorie che aveva, ci riuscì e si mise a cavalcioni sul mio ventre. Lambì la mia lingua pigramente e spinse il suo seno contro il mio torace.
-Buongiorno…- disse, accucciandosi su di me e affondando il naso sul mio petto.
-Sono arrabbiato con te!- esclamai non molto convinto, faticando a tenere a bada il desiderio dirompente di farla mia e perdere il senno dentro di lei.
-Ah, si? Allora…- iniziò sensuale e scaltra, sollevando il mento e sfidandomi con lo sguardo, però venne violentemente interrotta da un conato di vomito.
Si alzò velocemente dal letto e si precipitò in bagno. La seguii rapidamente e la aiutai a piegarsi sul water. Mi fece segno di allontanarmi, ma non l’ascoltai come tutte le altre volte e le tenni i capelli mentre rimetteva. Ultimamente le succedeva molto spesso, tuttavia lei aveva incolpato un’intossicazione e aveva anche fatto delle analisi per scoprire il cibo che la riduceva in quello stato. Mi preoccupavo da matti per la sua salute e non vedevo l’ora di leggere quei risultati, che sarebbero stati pronti quel giorno. Quando finì, Sabrina si appoggiò con la testa alle mattonelle del muro. Era esausta e priva di forze, con un colorito biancastro e il respiro tremolante.
-Tesoro, oggi non venire a lavoro, ci penso io in azienda.- le consigliai, ricevendo da parte sua un cenno negativo. Sbuffai e provai a farle capire che in quelle condizioni non doveva affaticarsi, malgrado ciò mi regalò un’espressione contrita e cocciuta. Gemetti sconfitto, ricordandomi che la donna di cui ero follemente innamorato, era anche la persona più testarda che avessi mai conosciuto.
 
Si rimise in piedi, seppur barcollando. Si lavò i denti ed io andai in camera per cambiarmi. Mi imbattei nella foto ritraente me e Brina nel giorno delle nostre nozze. Io indossavo uno smoking blu cobalto, con un gilet celeste, una camicia bianca e una cravatta a righe trasversali e la mia compagna un bellissimo abito da sposa, con un corpetto a cuore in brillantini, che si allargava e si trasformava in una gonna morbida e ampia, rifinita con decorazioni floreali. Era stato un matrimonio da favola, non sfarzoso, e la cerimonia si tenne a Roma. Mangiammo ad un ristorante con una vista stupenda su Castel Sant’Angelo e la sera stessa partimmo per il nostro viaggio di nozze. Girammo l’America on the road per un mese intero.
All’aeroporto di Fiumicino, mi scontrai con un bambino dai profondi occhi marroni e capelli biondo cenere. Lo afferrai prima che sbattesse il viso sul pavimento e fui immediatamente imitato da sua madre. Mi preparai a sorriderle e a dirigermi dalla mia consorte, quando mi imbattei in uno sguardo verde stupefatto come il mio. Riconoscevo quei tratti, quella chioma mora, quella pelle scura, quel naso dritto, tempestato di lentiggini. Quella ragazza era Chiara, la madre di Tommaso, l’unico figlio di Mattia. Li avevo conosciuti in tribunale, durante il processo che era scaturito in seguito alla denuncia di Sabrina. Quel bastardo aveva ottenuto la giusta pena, anche se la sua prole sarebbe cresciuta senza un padre. Lei si era scusata con noi, ammettendo di non sapere ciò che il suo fidanzato avesse fatto.
 
 
Appena io e mia moglie ritornammo a New York, ci accolse una notizia che lasciò tutti di stucco. Amber era in dolce attesa da ben oltre tre mesi e nessuno di noi, a parte Ryan, se ne era accorto. La sua pancia crebbe a dismisura fino a che non diede alla luce Travis.
Sabrina mi distrasse dal flusso dirompente dei miei pensieri e mi invitò a seguirla per fare colazione. Mi offrii di accompagnarla all’ospedale per ritirare gli esami, tuttavia non ottenni la risposta sperata:
-James, hai una riunione dalle 11.00 alle 12.30! Stai tranquillo, vado con Lexy.- mi rammentò e gemetti frustrato.
 Giunti in azienda la salutai e mi diressi nel mio ufficio, mentre lei si accomodò alla sua scrivania.


SABRINA'S POV
Adocchiai il telefono vicino il computer e lessi celermente l’ora. Mi alzai dalla sedia forse un po’ troppo speditamente e fui colpita da un brutale capogiro. Mi aggrappai alla superficie piana del tavolo e tentai di tranquillizzarmi come mi aveva consigliato la dottoressa. Uscii da quel palazzo bianco e montai sull’auto di Alexis, gettandomi sul sedile a pezzi.
-Hai un aspetto orribile, sai?- domandò retoricamente la mia migliore amica ed io la trafissi con un’occhiataccia.
-Parti!- digrignai a denti stretti e tenni lo sguardo fisso sulla strada, nel momento in cui la macchina cominciò a muoversi.
Ci fiondammo a casa e ci buttammo sul divano.
-Dovresti dirglielo.- affermò, abbracciandomi goffamente. Mi quietò come meglio poteva ed io mi abbandonai alle sue premure, ripensando per la centesima volta a come rivelare quel enorme macigno che mi opprimeva il cuore a mio marito.
Mi portai una mano sull’addome e lo coccolai sovrappensiero. Circa da due mesi a quella parte avevo degli intensi voltastomachi e la mia stanchezza era triplicata. La mancanza del ciclo mestruale aveva spazzato via tutti i dubbi ed avevo comprato un test di gravidanza al settimo cielo. Risultò positivo e, nello stesso istante in cui vidi le due linee rosse, mi chiesi se James volesse veramente un bambino. Non ne  avevamo mai parlato e forse mi avrebbe intimato di abortire, poiché spaventato.  In quel caso, probabilmente, avremmo divorziato perché mai e poi mai avrei distrutto un pezzo della mia stessa vita. Oppure il mio uomo sarebbe direttamente scappato, lasciandomi a crescerlo da sola.
Sospirai afflitta e mi rifugiai ancora sulla clavicola di Lexy. Rimanemmo in silenzio a lungo e fummo costrette a staccarci a causa del rombo di un motore che proveniva dal parcheggio.
–Segui l’istinto e diglielo! Sarà felicissimo!- mi consigliò,  correndo via dalla porta sul retro.
 
Un secondo dopo, James varcò la soglia trafelato e, tolto il giubbotto, si precipitò verso di me.
-Allora?- strepitò impaziente, accomodandosi sul sofà – Che dicono le analisi?-
-N…non… erano ancora…pronte.- balbettai colta alla sprovvista. Mi ero dimenticata di accampare l’ennesima bugia e fui costretta ad arrampicarmi sugli specchi.
-Cosa? Ma…- farfugliò, deluso dalle mie frottole.
-Sai come vanno queste cose! I medici hanno detto che c’è stato un problema in laboratorio  e che i risultati saranno pronti lunedì prossimo!-
-Preparo il pranzo.- soffiò amareggiato, non bevendosi la mia menzogna, comunque non indagò più a fondo per fortuna.
                         
Si chiuse in un mutismo selettivo e non mi rivolse mezza parola. Non sopportavo questo suo tenersi tutto dentro e non condividere i suoi dubbi con me. Era un asso nel nascondere le emozioni, una vera faccia da poker, e ancora non riuscivo a decifrare i suoi sentimenti.
 Non assaggiò il mio dolce e fuggì da me, non aiutandomi neanche a lavare i piatti. Di solito ci divertivamo a schizzarci come due bambini vicino al lavello.
 
Il mio cellulare trillò e mi avvisò dell’arrivo di un sms di Amber:
“James è a casa mia. Non preoccuparti se non lo trovi in ufficio.”
La scongiurai di convincerlo a raggiungermi e calamitai quel poco di coraggio che avevo. Ad una sua replica affermativa, attesi lo impaziente e ansiosa. Trottai verso lo sgabuzzino e acciuffai quella scatoletta. Impacciatamente, in bagno, eseguii le istruzioni e mi rinfrescai anche il viso.
Quando la serratura scattò, sobbalzai come un grillo, però mi costrinsi a non darmela a gambe levate. Il mio coniuge avanzò con passo cadenzato e mi trafisse con le sue gemme celesti, velate da un sottile strato di rabbia e sconforto. Lo invitai  a sedersi su di una sedia della cucina e mi appollaiai sulle sue ginocchia.
-Io non ho mai fatto delle analisi.- rivelai, accarezzandogli una guancia e inalando quanta più aria possibile nei polmoni per raccontargli la verità. Lui non mi sembrò per niente sorpreso e la stizza nel suo sguardò aumento, gelandomi e pietrificandomi. –Io… non mi sentivo tanto bene. All’inizio ho dato la colpa alla stagione, ma sapevo che non era per questo.- spiegai, cercando di mantenere la voce ferma, nonostante il bruciore incessante che mi opprimeva la gola. –E’ una cosa molto bella secondo me.- confessai, non fermando la prima di una lunga serie di stille che mi bagnarono copiose le gote. Condussi un suo palmo sulla mia pancia, bombata così dolcemente era ancora impossibile capirne il motivo.
-E’ solo stanchezza? Nulla di grave?- domandò lui, massaggiandomi il grembo senza aver compreso ciò che volevo dirgli. Risi tra le lacrime e mi affrettai ad essere più esplicita.  Gli porsi un cofanetto di cartone e lo incitai ad aprirlo.
-Circa un mese fa ho fatto un test di gravidanza. Questo che hai in mano è un altro che ho fatto circa mezz’ora fa.-
-Oh, mamma… Ne sei sicura?- proruppe, indicando il risultato positivo. Si dimenò inquieto sotto di me.
-Si… ho fatto un controllo con una ginecologa. Sei felice?- bisbigliai, racimolando le ultime forze che mi restavano.
-E me lo chiedi anche? Sono felicissimo! E’ una notizia meravigliosa.- disse, un attimo prima di congiungere le nostre bocche. Mi lagnai appena si staccò da quel tenero contatto troppo presto e puntò i suoi occhi sul mio ventre. Lo vezzeggiò con calma mista a timore. Premetti le mie dita sulle sue e lo sollecitai a intensificare la pressione. –Vi amo!-esclamò contento, abbassandosi per baciare il mio addome.
***
I mesi passavano in fretta. Alla trentacinquesima settimana avevamo finalmente deciso di chiamare nostro figlio Michael. Il giorno dopo, nel bel mezzo della solita cena di famiglia, mi alzai per aiutare Carly a sparecchiare, nonostante le lamentele di tutta la tavolata. Mentre portavo due piattini di frutta, venni prosciugata di tutte le mie energie. La vista mi si annebbiò un istante e avvertii la mia prole scalciare. I muscoli si atrofizzarono per una manciata di secondi e non risposero a nessuno dei miei comandi. Sembravo svuotata dalle mie emozioni e non avevo più la percezione del mondo intorno a me. I suoni cessarono e le mie orecchie non captarono nulla. L’unica cosa che sentivo, e che mi fece reagire, fu un dolore lancinante alla pancia. Feci cadere le stoviglie, che si frantumarono emanando un rumore stridulo. Mi afflosciai su me stessa ed urlai talmente tanto da farmi ardere i polmoni.
Spalancai gli occhi solo quando avvertii mio marito urlare il mio nome al mio fianco e arpionare le mie spalle.
-Oh, cazzo…- imprecò Kevin nella confusione più totale puntando un dito dritto ai miei piedi. I miei pantaloni erano fradici e anche il pavimento che mi circondava. -Le si sono rotte le acque…-
-Chiamate un’ambulanza!- ordinò sua madre, ricomparendo dalla cucina con un ventaglio per farmi aria.
Le fitte erano sempre più violente, squassanti. Non c’era nulla che potessi fare per fermarle o lenirle. Piangevo ormai disperatamente, pregando affinché quella tortura finisse al più presto. Gridavo, urlavo, inveivo in tutti i modi che conoscevo per distrarmi da quel supplizio.
I paramedici mi caricarono sull’ambulanza e ci fiondammo in ospedale. In sala parto l’atmosfera era tutt’altro che spensierata e festosa. Respiravo a fatica e scortavo anche poco garbatamente il dottor Jones, l’ostetrico, per far nascere Michael. Era un uomo paffuto, bassetto, fastidioso, insopportabile, irascibile e odioso, ma in quel momento  era la mia unica salvezza.
-Allora, signorina! Spinga al mio tre!- esclamò il medico, posizionandosi in mezzo alle mie gambe.–Uno… Due…-
-Dica “tre”, cazzo!- abbaiai nella sua direzione incurvando la schiena a causa dell’ennesima stilettata. Lui schiuse le labbra per ribattere, però le serrò saggiamente scuotendo la testa.
-Tre!- mi concesse infine ed iniziai a spingere. Con tutta la forza, la volontà e la voce che avevo in corpo. Ad ogni colpo stringevo la mano di James e le sue ossa scricchiolavano in dissenso.
Dopo molto sudore e tante imprecazioni, finalmente la mia sofferenza cessò. Poggiai il capo alla barella e fissai Jones tendermi un neonato sporco e piangente. Lo cullai sul mio seno. Era piccolissimo, indifeso e gemente, tuttavia parve tranquillizzarsi quando la mano tremante di suo padre gli toccò lievemente la nuca.
***
    Mi stiracchiai intorpidita ed esausta. Quel materasso era davvero scomodo e non vedevo l’ora di ritornare a casa. Venni inondata da una serie di sguardi curiosi e impavidi. Andrew, Alice, Kevin, Alexis, Amber, Ryan e Carly fissavano impunemente me e James, appisolati sul letto di quella clinica. 
-Michael?- chiesi al ragazzo di fianco a me, dandogli una gomitata nelle costole.
-E’ qui.- asserì, indicando una culla alla mia destra. I pochi capelli castani erano sparati in tutte le direzioni sul cuscinetto, una manina era adagiata vicino alla sua boccuccia leggermente aperta. Si alzò, lo prese e lo allungò verso di me. Lo adagiai sul mio cuore e lo dondolai.
-James…- irruppe suo fratello –…guarda Sabrina! Dopo il parto ha un aspetto stupendo. Tu, invece, sei pietoso!- 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ilcielopiangequalchevolta