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Autore: ilcielopiangequalchevolta    20/06/2017    0 recensioni
A volte, per ricominciare da capo e ammettere i propri sbagli, è necessario scappare per poi tornare indietro.
Sabrina Vacciello è una ragazza timida, abituata a contare esclusivamente sulle proprie forze e con un grande segreto sulle spalle. Ha una sublime conoscenza delle lingue e tanta voglia di viaggiare; comunque partire e abbandonare tutto è difficile, così si ritrova bloccata in Italia fino ai vent'anni. Un giorno una domanda la sprona ad allontanarsi dal suo paese per riscoprire sé stessa.
Proprio Sabrina si scontra con James Harrison, un ricco imprenditore dall'animo saccente. Quando l'amore si interpone prepotentemente sulla sua strada, egli deve solo farsi trasportare dalla magia di questo sentimento.
James vuole avvicinarsi a Sabrina, l’unica donna che riesce a fargli battere il cuore, però lei non è ancora pronta a lasciarsi il passato alle spalle e a gettarsi in quel turbine di emozioni quale è l’amore. O forse si?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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EPILOGO 

SABRINA’S POV

-Dai, amore di mamma! Mangia.- tono stucchevole, velato di mille suppliche implicite, espressione facciale di cui si sarebbe vergognata a vita, strana pappetta in un vasetto tra le dita che, volente o nolente, noi mamme avevamo fatto assaggiare ai nostri bambini, biberon a portata di mano sul tavolino e cucchiaino a forma di mucca. – Vuoi l’areoplanino?- replicò. Si preparò per quell’improvviso giochetto che tutte avevamo sperimentato e che, stranamente, contro ogni nostra prognosi infantile, ci aveva anche divertito fare. Mimò con la bocca il suono di un velivolo. Quando la punta della posata toccò le labbra ancora serrate della bambina, queste si dischiusero un po’ intimorite. Il suo sguardo verde divenne furbo in un nanosecondo e, prima che io o la sua genitrice potessimo accorgerci delle sue intenzioni, mia nipote sputò tutta la sua colazione proprio davanti a sé, colpendo il viso di mia sorella. Alice imprecava in mille modi, mentre la piccolina di appena due anni se la spassava saltellando nel suo seggiolone per le troppe risa. –Sarah!- urlò, facendola ammutolire all’istante. La marmocchia assunse un aria dispiaciuta, con lucciconi agli occhi annessi. –Non vuoi mangiare? D’accordo, salterai la colazione, allora!-
-Dai, fai provare me…- proposi, prendendo il suo posto e schioccando un bacio alla pupa, che riacquistò un po’ della sua allegria, ancora intrisa di senso di colpa. –Tesoro di zia. Fa’ la brava e mangia tutto.- ordinai perentoria con tono dolce.

Dopo le prime due imboccate, Alice si rese conto che la situazione procedeva bene e andò a cambiarsi borbottando tra sé e sé per il comportamento della piccola. La frugoletta indossava un completino rosso e bianco con una gonna resa vaporosa grazie alle numerose balze, delle spesse calze bianche le coprivano le gambe, le manine erano intrecciate in grembo e la testolina era incorniciata da capelli biondi e lisci come la seta.

Passarono quindici minuti e la pargoletta, ormai sazia, giocava in salotto con sua sorella Eva e i suoi fratelli Luca e Marco. La prima stava in disparte a pettinare le bambole. Aveva 7 anni, una chioma castana, le guanciotte paffutelle perennemente arrossate e il naso piccolino. Gli altri, 6 e 5 anni, si litigavano l’attenzione delle mie figlie.
-Ali, ricordati la crostata. Io scappo a lavoro!- le dissi, raccattando la mia borsa abbandonata sul divano ed il mio cappotto con guanti e sciarpa. Imbacuccai Michael, il mio primo genito di ormai 9 anni e mezzo. La sua criniera marrone gli si era appiccicata alla fronte e la bocca era incurvata in una linea gioiosa. Sistemai Amanda, il mio secondo capolavoro di 6 anni. E per finire, mi concentrai sull’ultima arrivata, la nostra principessina: Elettra, 3 anni appena. Schiuse le labbra  e notai un buchetto proprio al centro del suo sorriso, a causa di un paio di dentini mancanti.

Quella mattina ero andata da Alice per consegnarle un dolce che avrebbe dovuto portare la sera stessa ad una cena di famiglia. Mi diressi, con tutta la mia ciurma, alla macchina e ricevetti una telefonata da mio marito.
-Amore…- risposi, tenendo l’apparecchio incastrato tra la spalla e l’orecchio e tentando di agganciare per bene Elettra al passeggino. Intanto Michael aiutava Amanda con la cintura.
-Dove siete? Qui ci sono dei clienti francesi ed avrei bisogno di te per contrattare…- ammise con una certa urgenza.

Ci accordammo che massimo venti minuti sarei stata in azienda e avviai il motore. Portai i miei bimbi a casa di Carly. Ad aprirmi la porta fu proprio mia suocera e mi spupazzò raggiante uno zigomo. Mi salutarono anche le figlie di Kevin ed Alexis. Kimberly aveva 7 anni e Victoria 4  e mezzo. Fisicamente erano molto simili, però, la differenza stava essenzialmente nel carattere: Kimberly era dolcissima, premurosa, gentile ed ubbidiente. Victoria, invece, era testarda, cocciuta e quando si impuntava nessuno poteva contraddirla! Stava facendo impazzire i suoi genitori, ma d’altronde anche quello era il sale della vita.

Raggiunsi James a velocità supersonica. Feci le scale per evitare il malloppo di gente che si creava agli ascensori e arrivai a grandi falcate alla mia scrivania. Mi spianai le pieghe del tailleur rosso che portavo. mi avviai in sala riunioni e, appena mi vide, il mio consorte mi venne in contro, mentre di fronte a lui c’erano due uomini di mezza età palesemente stranieri.
-Finalmente sei arrivata! Non riesco a capire nulla di quello che dicono!- affermò esasperato, baciandomi fugacemente sulle labbra.

Tradussi tutta la loro conversazione per filo e per segno. Quando finimmo uno dei due clienti mi chiese il mio nome.
-Je m’appelle Sabrina.- risposi cortesemente, intanto che il suo socio firmava il contratto sotto l’occhio vigile del mio imprenditore.
-Mr. Harrison est son mari?- “Il Sig. Harrison è suo marito?” domando, avvicinandosi. Mi allontanai di riflesso,  per il  tono di voce da predatore che aveva usato, e lo scrutai attentamente.
-Oui, il est mon mari. Nous sommes heureusement marriès. Je ne cherche pas un amant.- “Si, è mio marito, siamo felicemente spostati. Non cerco un amante.” liquidai la faccenda e lo vidi alzare le spalle indifferente.
***
-Sono distrutto!- ammise James, dirigendosi alla mia scrivania. Aveva gli occhi arrossati e stanchi e si buttò frustrato sulla sedia.
-Hai mal di testa?- mi preoccupai, carezzandogli la mandibola  e sporgendomi su di lui. Annuì mestamente e io racimolai da dietro le mie spalle la borsa. Frugai leggermente al suo interno e trovai una medicina contro l’emicrania. Mi alzai, presi un bicchiere d’acqua, mischiai il rimedio con essa e gliela porsi. –Bevi.- gli consigliai. –Riposati, a me serve ancora mezz’ora per finire il lavoro.- esclamai, indicando con un cenno il portatile sopra il tavolo. Mi risedetti al mio posto e lui poggiò il suo capo sulla mia spalla.
 
Montammo nell’auto e guidammo fino alla villa di Charlotte. Racimolammo i nostri figli e tornammo nella nostra dimora. Nell’atrio, vidi il mio compagno barcollare in cucina.
-James!- lo richiamai, prendendolo per un braccio. –Non ti reggi in piedi! Stenditi sul divano e cucino io.-
-Amore…- sospirò lui, intrecciando le sue braccia dietro il mio collo. –Io ti amo, ma non offenderti se ti dico che in cucina sei un vero disastro…- annunciò impertinente e scaltro. Risi, dandogli ragione,  e gli baciai il mento.
-Giusto, ma abbiamo delle cose pronte in frigo. Devo solo scaldarle.- confessai, regalandogli un occhiolino.

Dopo pranzo mio marito si stese sul materasso della nostra camera con Elettra spaparanzata sul suo torace. Misi Amanda a letto per il suo sonnellino pomeridiano e mi sdraiai con lei per farle prendere sonno. Quando si abbandonò tra le braccia di Morfeo, raggiunsi mio figlio sul divano.
-Dormono tutti?- chiese Michael innocente, salendo sulle mie ginocchia. Io annuii e lo tenni stretto a me, vedendo la tv.  
 
James parve rinsavire grazie al suo riposino e Elettra ci costrinse ad assemblare un gigantesco puzzle tutti insieme.
Quella sera eravamo stati invitati da Amber e Ryan per festeggiare il ritorno di quest’ultimo dall’Austria. L’attività di Lexy e Kev andava a meraviglia, tuttavia la loro agenzia di viaggi aveva delle esigenze ed era necessario che quel week-end un rappresentante andasse a Vienna per recensire un albergo importante. Kevin aveva girato mezza New York per trovare qualcuno da spedire in Europa. Ryan si era offerto ed era stato incaricato di trascorrere 48 ore in quella struttura.

Vestii i miei piccoletti e corsi a prepararmi il più in fretta possibile.  
-Mamma, sei bellissima!- ammise Michael appena mi notò, con  i palmi congiunti ai lati della bocca. Arrossii inevitabilmente. –Io e il papà siamo gelosi!- continuò, imbronciandosi e abbracciandomi. James ridacchiò e lo assecondò annuendo, mentre gli accarezzava la nuca.
-Pensa quando anche Amanda ed Elettra diventeranno belle come la mamma!- gli rinfacciò, ricevendo in risposta una mia gomitata e dei risolini dalle dirette interessate.
-Beh, dovremo tenere lontani tutti i maschietti da loro.- decise mio figlio, contento della sua stessa idea. Sospirai afflitta, pensando che le mie bimbe non avrebbero avuto vita facile con un padre ed un fratello tanto pessessivi.

 Dopo esserci immersi nel traffico sostenuto della Grande Mela, Elettra adocchiò un cagnolino sul bordo della strada.
-Papà, papà! Fermo! Prendiamolo!- urlò agitandosi sul seggiolino. Da un po’ di settimane ci stava facendo ammattire con questa sua voglia irrefrenabile ed era quasi riuscita a convincerci, solo che, alcuni giorni prima, una deliziosa palla di pelo aveva scambiato James per un pezzetto di terra dove potersi liberare dei suoi bisogni fisiologici e lui aveva saltellato schifato per cinque minuti buoni.
-Elettra, ho detto di no!- concluse perentorio, lanciandole un’occhiata ammonitrice dello specchietto retro-visore.

Arrivammo a casa di Amber e Ryan in perfetto orario e fummo accolti dai nostri bellissimi nipoti. Travis aveva ormai raggiunto i 10 anni e i suoi capelli rossi erano cresciuti a dismisura, ciò nonostante per qualche strana ragione sembrava aver paura del parrucchiere, perché non voleva mai tagliarli ed erano acconciati perennemente come una zazzera arruffata. Immediatamente si chiuse in camera con mio figlio per combinare qualche marachella delle loro. Quei due avevano uno splendido rapporto che, ne ero sicura, sarebbe rimasto tale anche con il trascorrere del tempo. Amber e Ryan avevano dato alla luce anche due gemelli identici: David e Connor. La loro mamma era solita correre a destra e a manca per stargli dietro, dopotutto avevano ancora 6 anni.

Nel bel mezzo della cena, Kevin fece cadere dell’acqua. Tra le sue imprecazioni e i rimproveri di Lexy, sul suo viso si dipinse un sorrisetto da ragazzino. In quegli anni ne aveva combinate davvero di tutte i colori e avevo capito che non avrebbe mai abbandonato la sua aria da eterno Peter Pan. Al matrimonio di Andrew e Alice regalò alla neo-sposa un pacchetto rosso fuoco con un fiocchetto al centro della scatolina. Sussurrò qualcosa alla sua amica che corse immediatamente in bagno. Kevin prese un microfono ed iniziò a dettare le regole di un gioco. Acciuffò  una sedia, la posizionò al centro della sala in cui si stava svolgendo la cerimonia e fece accomodare mia sorella. Chiamò anche Drew e lo fece inginocchiare difronte alla moglie. Spiegò di averle regalato  una giarrettiera e che il suo compagno doveva toglierla, utilizzando solo i denti.
Appena l’uomo riuscì a sfilare il pezzetto di pizzo fino al piede di Alice, si sollevò inviperito e rincorse Kev per tutta la location, buttandolo in piscina.

Mi riscossi dai miei pensieri tornando al presente, grazie alla voce di Amanda che chiedeva dell’acqua. Travis, seppur arrossendo, le riempì il bicchiere. Avevamo  capito che era stracotto di lei. Le sue guance si tingevano del colore dell’amore in sua presenza, le stava sempre accanto e non le rivolgeva mai la parola. Ogni volta che rimanevano da soli, Michael li seguiva e li teneva sotto controllo.

Mi guardai attorno, godendomi il clima familiare che si era creato tra di noi dopo anni ed anni di conoscenza, e mi beai di quell’aria piacevole. Avevo trovato senza dubbio il mio posto nel mondo, ero soddisfatta della vita che conducevo e ringraziai il cielo per avermi spedita in America. Non avrei cambiato una sola virgola della mia storia, neanche il mio arrivo trafelato a New York quando, distrutta e delusa, ero alla ricerca di un nuovo inizio.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Con questo sguardo al futuro si conclude ufficialmente questa storia! Da una parte sono felicissima, ma dall’altra sono davvero triste. Non scriverò più di James e Sabrina e di tutti i loro amici.
Ringrazio di cuore chi ha seguito quest’avventura, chi ha recensito, chi mi ha spronato a continuare e chi ha semplicemente letto.
Spero di avervi resi felici almeno la metà di quanto lo sono io ora e mi auguro di rivedervi anche nelle mie prossime storie.
Alla prossima spero, ciao SS
   
 
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