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Autore: Aliseia    21/06/2017    3 recensioni
Tristan sapeva di aver detto la cosa sbagliata quando l’altro lentamente ma inesorabilmente tornava ad avvicinarsi, ma senza arrivare dritto e subito alla meta, bensì girando intorno al tavolo in un accerchiamento sempre più stretto.
«Mi hai toccato.» confermava il Conte, gli occhi fissi al morbido riflesso della propria faccia sul tavolo.
«Intendi così?» sussurrava allora Elijah all’orecchio dell’altro, quando ormai era alle sue spalle, la mano che pizzicava con decisione il sedere.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elijah, Tristan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Part Des Anges'
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Fandom: The Originals
Genere: Romantico – Introspettivo - Erotico
Personaggi: Elijah Mikaelson, Tristan De Martel; 
Pairing: Tristan/Elijah
Note alla Serie: Questa serie si intitola “La Part des Anges”. La parte degli angeli. Per la precisione sarebbe quella parte di alcool che evapora nella distillazione del Cognac. Non troppo romantico, vero? Io non m’intendo di liquori, ma conoscevo già questa espressione, e la trovavo invece particolarmente poetica. Scrivendo il secondo racconto della serie, Lover To Lover, mi sono trovata a descrivere un particolare liquore, l’Armagnac, un’acquavite di antichissima preparazione, con un aroma complesso come quello che mi serviva nel racconto… Anche l’Armagnac produce “la parte degli angeli”, e il titolo mi è sembrato perfetto per l’intera serie. Perché anche in Covered In Roses, il primo racconto, c’erano curiosi riferimenti agli angeli. E per via di una particolare scena nell’episodio 4x10 degli Originals. Phantomesque. La mente di Elijah era un lungo corridoio bianco nel quale si aprivano le porte dei ricordi. In una di queste c’erano due ali d’angelo. Con la mia amica Miky abbiamo deciso che proprio dietro quella porta c’erano i ricordi della sua lunga storia con Tristan. La serie è riferita al particolare AU che segue il mio finale della quarta stagione, quello del viaggio in Francia. 
Dedica: A Miky, in qualche parte delle sue e delle mie fantasie queste cose sono già accadute.
A Cris, che mi ispira con i suoi bellissimi racconti, anch’essi dedicati alla nostra amata, sofferta OTP. 
Rating: VM18
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a Lisa Jane Smith, Julie PlecMichael NarducciDiane Ademou-John, nonché agli altri autori della serie e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa. 
 
 
 
 
Lover To Lover
 
 
I've been losin' sleep
I've been keepin' myself awake
I've been wandering the streets
For days and days and days

Oh if I'm row to row
Back to back, lover to lover
And black to red, but I believe
I believe

There's no salvation for me now
No space among the clouds
And I've seen I'm heading down
That's alright, that's alright
That's alright, that's alright

And I've been taking chances
I've been setting myself up for the fall
And I've been keeping secrets
From my heart and from my soul

Going from row to row
Back to back
Lover to lover
Black to red

(Lover To Lover – Florence + The Machine)
 
 
 
 
Spalancava gli occhi. «Smettila di palparmi ogni volta che ti avvicini» Tristan rimbrottava l’altro che rapidamente si allontanava.
«Non mi sembra di averti toccato. Non come intendi tu…» Elijah assumeva allora l’espressione più seria, labbra tirate e fronte perfettamente liscia in un’impeccabile faccia da schiaffi.
Da quel momento era prevedibile che la scena si ispirasse a un copione già noto.
Tristan sapeva di aver detto la cosa sbagliata quando l’altro lentamente ma inesorabilmente tornava ad avvicinarsi, ma senza arrivare dritto e subito alla meta, bensì girando intorno al tavolo in un accerchiamento sempre più stretto.
«Mi hai toccato.» confermava il Conte, gli occhi fissi al morbido riflesso della propria faccia sul tavolo.
«Intendi così?» sussurrava allora Elijah all’orecchio dell’altro, quando ormai era alle sue spalle, la mano che pizzicava con decisione il sedere.
Tristan si guardava bene dallo scomporsi, anche se un po’ di sangue fluiva rapidamente alle guance e non solo.
«Così, sì.» rimarcava leggermente acido. Senza voltarsi, lo sguardo obliquo e le labbra che s’increspavano in un sospiro, fresche come petali.
«Perché non mi guardi?» Difficile stabilire se dava più calore la sua voce bassa nell’orecchio o il suo fiato sul collo.
A quel punto c’erano due scuole di pensiero per capire come uscire dalla situazione, entrambe apprezzate dall’unico studioso in materia.
La prima, di solito abbastanza efficace, consisteva nell’ignorare completamente l’altro.
Guardarsi bene dal voltarsi, e continuare con calma gelida e invidiabile a fare quello che già faceva, che fosse una telefonata o versare due dita di ambrato Armagnac, da far roteare nel calice a tulipano.
Se giocava bene le sue carte, senza permettere al cuore di accelerare o alla mano di tremare leggermente sul cristallo, c’erano buone probabilità che Elijah si dileguasse senza una parola.  
Magari un po’ offeso, ma non tanto da non tornare all’attacco alla sera, sorprendendolo mentre davvero telefonava ad Aurora. Costringendolo a chiudere tutto, nel momento in cui gli strappava la camicia sul petto e lentamente la sbottonava sul ventre. Rivelando, mentre scendeva per i primi morsi, l’aroma del bourbon che aveva consolato la sua frustrazione.
In definitiva, Tristan avrebbe trascorso una serata di attesa e di agonia e poi una notte di fuoco, e non si capiva bene perché tale strategia dovesse considerarsi vincente.
Forse solo alla scopo di terminare la prima delle telefonate in questione, o di godersi in santa pace quelle due dita di liquore.
L’altra opzione, quella più rischiosa, prevedeva di voltarsi subito nello stretto spazio a disposizione.
Sempre più stretto a mano a mano che Tristan procrastinava la manovra.
Era dunque necessario farlo immediatamente, se non si intendeva passare da uno sfiorarsi casuale e leggermente malizioso a un audace strusciare che non lasciava posto agli equivoci.
A quel punto la mossa successiva era: sguardo gelido e frasi brevi. Sempre che quel contatto non fosse già diventato troppo intimo per entrambi, e non li avesse già costretti a liberarsi dei risibili ostacoli di stoffa tra loro.
Un soave “ti dispiace?” indicando il telefono poteva già bastare.
Nel caso del bicchiere di Armagnac porgerne uno anche a lui poteva essere un’iniziativa interessante.
Purché l’altro non ignorasse l’offerta per bere direttamente dal suo.
E a quel punto si sarebbe arrivati in poche tappe al bacio, allo struscio, all’eliminazione dei vestiti. Per poi delegare alla calda superficie del tavolo antico il ruolo di giusta piattaforma su cui approfondire i precedenti approcci.
 
Sebbene in quel momento Tristan fosse solo, l’odore del legno, la percezione di ogni venatura sulla sue pelle sensibile, bastarono a farlo eccitare.
Perché lui chiaramente non aveva alcun interesse ad allontanare Elijah, né allo scopo di telefonare, né per indulgere nel complesso aroma, vaniglia, legno, agrumi, di un liquore invecchiato cinquant’anni.
Non c’era nulla, se non una questione di vita e di morte che riguardasse l’amata sorella, che potesse venire prima dell’uomo che aveva voluto per sé da tutta la vita.
Dunque egli stesso non riusciva compiutamente a spiegarsi perché a volte lo allontanava.
Perché trovasse scuse, perché opponesse bronci insolenti alle sue profferte amorose.
L’aveva fatto proprio il giorno prima.
Una rischiosissima giravolta con Elijah già a pochi millimetri da lui. Il suo fiato prima nell’orecchio e poi sul collo, e a raffreddare il tutto il sorriso impassibile di Tristan, il suo sguardo di ghiaccio, un dito elegante a indicare il telefono ancora spento.
Con altrettanto rapido garbo Elijah lo aveva lasciato solo.
Perché? Perché doveva sprecare così quei momenti, quando in mille anni ne avevano avuti talmente pochi? E sebbene Tristan non desiderasse altro che stargli vicino?
 
Arrossì a quel pensiero formulato con tanta precisione, poiché includeva il sesso ma anche altro.
La colazione insieme al Café, che sorgeva come un sogno nell’acquarello azzurro del vicolo.
Le chiacchiere elaborate di Tristan, il sorriso sornione dell’altro che si piegava verso di lui, afferrando la sua nuca con il palmo della mano aperta, il pollice a sfiorare la base della sua testa. Il silenzio improvviso del Conte, un bacio che faceva mormorare qualche vecchia signora in lino bianco e cappellino di paglia.
 
O le loro cene in riva al mare, un tavolo discreto, gli occhi di Elijah che brillavano perché le luci del porto danzavano nella loro oscurità.
La mano di Tristan che si allungava sotto il tavolo, protetta dall’ombra. Che si fermava sulla coscia del suo amante, un attimo prima di diventare volgare, ma abbastanza esplicita da costringere l’altro a bloccarlo, o ancora una volta non avrebbero finito la cena.
Vita. Amore.
Cosa c’era di strano? Di imbarazzante o di allarmante, al punto che, nei primi mesi del loro soggiorno in Europa, Tristan si era ritrovato nello scomodo ruolo del guastafeste?
Intendiamoci, le occasioni per soddisfare la reciproca attrazione erano numerose, sfruttate e apprezzate da entrambi… Ma a volte, come era successo il giorno prima, Tristan si sfilava prima che accadesse l’inevitabile.
Ecco, quella era la parola: inevitabile.
Quando sentiva con sicurezza che poteva succedere, che ogni evento esterno e ogni sguardo congiuravano per quella conclusione, Tristan a volte scappava.
In mille anni tra loro nulla era mai stato scontato. Avevano vissuto tutto fino in fondo, ai massimi livelli, tra pericoli costanti e odio reciproco, a mascherare l’antica ossessione.
Tra loro ogni cosa era stata violenta, melodrammatica, più o meno fatale.
Ora, dopo tanto tempo, avevano l’occasione di rallentare.
Di godersi una cena o un pomeriggio da passare a letto, a fare l’amore o a chiacchierare.
E a Tristan sembrava… una tale liberazione.
Passare qualche ora solo a poltrire tra le sue braccia, a sentire le sue dita che facevano piccoli circoli sulla sua nuca, imbrigliandosi tra i corti riccioli di un biondo scuro.
Era qualche cosa di molto vicino al mitico luogo in cui non credeva: al paradiso.
Ecco perché Tristan temeva i momenti più teneri e tranquilli.
I momenti di una coppia che si prende tempo per stare insieme.
Erano troppo diversi da quello che avevano sempre avuto. Dalla tragedia, dalla furia, dal qui e ora perché domani chissà… potrebbe anche non esserci un domani.
Elijah che apre la porta con un calcio, Tristan che lo accoglie con un commento sferzante.
Le spinte reciproche, le mani che a ogni contatto strappano un bottone.
La mano aperta sulla sua nuca, molto meno tenera, molto più pressante di come era al mattino, l’odore del legno direttamente nelle narici.
Quello era stato fin lì il loro rapporto.
La sera prima era finita esattamente così.
Elijah ubriaco e furioso. Anche se non tanto da diventare un animale. Si erano spogliati a vicenda prendendosi quasi a schiaffi, ma il reciproco consenso era implicito in ogni gesto, in ogni sguardo.
Persino quando con il suo peso lo aveva costretto piegato sul tavolo, il legno premuto in faccia.
Una leggera pressione delle dita sul collo l’aveva costretto a voltarsi. L’aveva guardato, ormai troppo eccitato per dire no.
Elijah aveva annuito, chiudendo gli occhi e stringendo le labbra l’aveva preso per ore, fino a sfinirlo.
Ecco, loro erano un po’ più su quello stile.
Una scopata violenta sul tavolo, senza una parola. Evitarsi per qualche ora, dormire poi da soli.
Tutto questo non spaventava Tristan.
Ma le dita dell’altro che facevano circoli sulla nuca, le sue braccia che lo avvolgevano come un nido, un bacio sul collo prima di dormire…
Parliamoci chiaro: era da loro? E se lo meritavano? Meritavano tanta imprevista dolcezza, dopo la tragedia? E che strana parola gli balzava alla mente: meritare. Quello era un pensiero da Elijah. L’idea di dover pagare tutto il male che avevano fatto, l’idea che non dovessero avere né gioia né perdono. A tal punto era cambiato per il fatto che lo frequentava, a tal punto il potere del suo creatore si riverberava ancora e sempre su di lui, sui suoi pensieri.
Tristan si fermò, lo sguardo perso.
Quelle braccia che lo serravano, il suo odore, quel bacio sul collo soffiato con un mormorio incomprensibile, ma sicuramente dal significato tenero… non erano meno eccitanti delle sue spinte incessanti sul tavolo.
Tutte le cose assurdamente romantiche che facevano  da quando erano in Francia… avevano un’altra sfumatura di eccitazione. Ma non erano meno sconvolgenti e appassionate e conturbanti.
Tristan aveva scoperto che gli piaceva tutto. Tutto di lui: la furia e la tenerezza.
Gli piaceva ogni tono, che fosse più delicato o più acceso, di quell’uomo complicato e irresistibile.
E dunque? Perché scappava…
 
Sentì aprire la porta nell’ingresso, la chiave che girava delicatamente nella toppa.
Niente calci.
Niente bourbon.
Elijah stava per entrare con la sua virile eleganza, la sua aria sorniona, il suo sguardo di indicibile malinconia.
Tristan scappava perché era troppo. E perché temeva di non essere abbastanza.
Non poteva farsi certe domande nel dramma, nella pazzia, nella rabbia di una sera passata a “scopare”.
Ma mentre le ombre si allungavano nel crepuscolo azzurro e marino della loro stanza d’albergo, stretto, quasi cullato tra le sue braccia, quelle domande affioravano eccome.
«Mi dispiace.» mormorò Elijah alle sue spalle.
Tristan scosse la testa, senza voltarsi. «Perché?»
«Perché era un bellissimo tavolo, antico… e ora dovranno restaurarlo»
Tristan rise. Si voltò lentamente.
Elijah restava a debita distanza. «Cosa c’è?» chiese con calma, una sfumatura triste nella voce e negli occhi.
«C’è che… mi sento ridicolo» disse il più giovane con un sorriso che finiva in una smorfia.
«Lo sei. – rispose Elijah senza scomporsi – Perché mi allontani?»
«Perché mi cerchi?- Tristan rispose con una domanda – Ti piaccio? Ti eccito? Ti eccita l’idea di piegare il piccolo Conte insolente ai tuoi desideri?»
«Anche.» rispose Elijah asciutto.
«E quando… quando tutto questo non ti esalterà più, non ti ecciterà più? Io resterò il piccolo mostro che hai incontrato mille anni fa… Tu resterai Elijah, il nobile Elijah. E lei sarà sempre perfetta per te…»
Elijah, che nel frattempo si era avvicinato, chiuse le sue labbra con due dita. Poi sorrise, un po’ beffardo. «È vero. Tutto questo è ridicolo. Un vampiro millenario… che fa i discorsi di una ragazzina romantica. Ridicolo. Puerile. – fu ancora più vicino – Terribilmente eccitante…» Si chinò su di lui come per baciarlo. Avvicinando ancora di più il viso, prese le labbra morbide dell’altro tra i denti, tirando piano. «Forse non mi sono spiegato bene… eppure ci conosciamo da secoli. Dopo averti creato per me, sedotto, rifiutato e ripreso, senza mai perderti di vista in mille anni… Io voglio tutto, Tristan. Il vampiro e l’uomo. La belva millenaria… e il ragazzino romantico.» Fece una lunga pausa. «E tu, Tristan? Tu cosa vuoi?» Elijah fissò negli occhi chiarissimi i propri, neri e implacabili.
Tristan lo guardò come stordito. Poi piegò solo un angolo delle labbra in un breve sorriso. «Voglio che resti» mormorò.
«Sono qui – rispose Elijah con un sospiro che sapeva di sollievo – Non pensare che tutto questo possa mai avere fine»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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