Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
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Autore: LeAmantiDiBillKaulitz    21/06/2017    0 recensioni
Prendete Chelsea e Alexandria, due migliori amiche particolarmente male assortite: una, rumorosa, casinista, molto oca e morbosamente ossessionata dal cinema, l'altra acida, nervosa, arrabbiata e decisamente pronta a picchiare tutti. Poi aggiungete Bill, antipatico, isterico, viziato ma terribilmente sexy. Mescolate con un'intervista ai Tokio Hotel per il giornalino universitario, con un Tom molto scemo, un Georg molto martire e un Gustav molto affamato. Il piatto è pronto: tra gaffes, incomprensioni, tacchi alti, litigi e romanticismo-fai-da-te, riusciranno le due ragazze a conquistare l'algido cuore del cantante?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
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-NO. No, no, no, no, e se non hai afferrato, NO. Io non indosserò nessuna gonna in tulle.
-Ma dai, tesorino, vedrai che belle gambe che ti fa.
-NNNO.
-Alexandria, scendi da quella lampada o ti prendo a scarpate- sono cinque minuti buoni che mi minaccia, con la sua faccia da fata malvagia, per costringermi a indossare una stupidissima minigonna in tulle bianco con le stelline. Io mi sono riparata sopra un lampadario.
Sì, ok? Sopra un lampadario. ‘Sti cosi sono talmente intricati ed enormi che potrebbero sorreggere anche il pisolino di un elefante, volendo.
-Alex, ti conviene scendere- cinguetta Chess, mentre si rimira al gigantesco specchio del camerino. –Guarda che è vero che ti fa delle belle gambe!
-No, a me sembrano solo cosce di pollo lentigginose.
Chelsea si gira, infuriata (descriviamo la “Chelsea infuriata”: testa incassata nelle spalle, ginocchia piegate verso l’interno, pugni stretti e guance gonfie di lentiggini e rabbia. Sembra un disegno), e mi punta il suo dito pallido contro:
-TU, amica ignobile, LO SAI che non puoi nominare cibo di fronte a me nelle prime tre ore dopo il pasto!- strilla, assumendo una perfetta espressione da manga.
-Non è colpa mia se hai sempre fame, honey- borbotto, tenendomi salda al filo del lampadario.
-Pensate di discutere delle vostre belle forme ancora per molto, o possiamo cercare qualcos’altro per le vostre gambocce?- esclama Bill, togliendosi uno stivale laccato.
-No, aspetta aspettino, cosa vuoi fare con que…
Si gira verso di me, e si prepara a lanciarmi la sua zeppa di venti centimetri dritto in mezzo agli occhi.
-Hey hey! Calmino, eh! Scendo, scendo… rilassati, bellezza!...- moooooolto lentamente, scendo dal lampadario, ovviamente rischiando di romperlo, ma ciò non importa visto che fra poco saremo fuori di qui. Me lo sento. Fra poco potremo uscire da questo inferno di piumette e cartellini.
-Guarda, siccome il tulle bianco non ti piace proprio, ho pensato di farti provare questa- e afferrando un’altra gonna in tulle, verde fluo con piccoli ananas, mi aggrappo alle mie speranze.
 
-…cavolo, Alex, sei uno schianto!
-Sì, uno schianto in tangenziale, che solitamente porta a qualche migliaio di euro di danni, due morti…- la manina inanellata di Bill mi tappa la bocca, mentre l’altra manina mi allunga una paio di decolleté corallo.
-Ma sei sicuro che non facciano un brutto effetto con i miei capelli?...- sussurro, mentre Chelsea mi infila a forza le scarpe.
-Tranquilla, Spuncione di mamma, lascia fare a chi se ne intende più di te.
Faccio una giravolta su me stessa, e torno a fissarmi nello specchio.
Ecco, quello che mi si presenta è un esemplare bruttino di “piccolo punk con indosso degli ananas”.
-Uhmm… perfetta, perfetta. Adesso cerchiamo qualcosa per Burro.
-Sarei io il Burro?- chiede Chelsea, dal divanetto dove si era distesa per godere di una migliore vista della mia gonna con gli ananas.
-Sì, esatto, ma prima, Spuncione, potresti accostare questa pochette? Credo faccia un bell’effetto con le scarpe- mi allunga un quadrato di lacca dello stesso colore delle decolleté, io lo prendo in mano, e lo tengo sul davanti. Come una vera bella signora.
-Uhmmm… dovremmo lavorarci un po’. Senti Copenhagen, non è che proveresti tu quella roba, mentre ti cerco qualcosa? Forse per Alexia sono preferibili accessori sui toni del blu.
Sorvolo sul fatto che ha storpiato il mio glorioso nome con un nomignolo da modella stupida, e lancio tutti gli ananas e tutti gli accessori a Chelsea, per poi fiondarmi sul divano. Oh, è caldo.
Neanche tempo di sistemarmi per bene su questi comodissimi cuscini rosa cipria, che Coco Chanel 2.0 torna con le mani piene di roba.
-Oh, porco Vitton, Copenhagen, non ti ho detto di metterti la gonna con gli ananas! Senti, toglitela perché ti sta veramente male. Ma mentre lo fai, prova questo tubino. Con le scarpe che avevo portato a lei, per favore. Ah, e quando hai fatto, accosta questa. Io torno subito!
In tredici secondi e mezzo le tendine si richiudono, e lui sparisce lasciandoci sommerse dal raso arancione.
-Come, sta dicendo che io dovrei seriamente portarmi a casa quella cosa verde? Con tutti gli ananas?- biascico, atterrita.
-Sì, e con degli accessori sui toni del blu!- strilla Morticia da fuori, mentre sandali con tacco blu notte piovono da sopra la tendina, rischiando di provocarci un trauma cranico a testa.
Intercorrono due minuti di silenzio, nei quali io compiango la mia lontana esistenza da punk vestita con merchandise rubato, cercando di allacciare questi sandali della malora, e Chelsea gira come una trottola, guardandosi da destra, poi da sinistra, poi da destra verso sinistra e da sinistra verso destra. Sembra un tulipano. Un tulipano arancione. Sono carini, i tulipani. Anche lei è carina, vestita così. L’arancio si abbina con le sue lentiggini.
-Alex?
-Sì?
-Secondo te, come sto?- mi chiede, inchiodandomi nell’ignobile posa in cui sono messa (immaginate un coso punk, con i piercing che scintillano da una parte e i riccioli untuosi che si agitano dall’altra, con indosso solo un reggiseno a teschi e una gonna verde punteggiata di ananas, seduto su un divanetto color pesca e intento ad allacciarsi un paio di sandaloni blu i cui tacchi superano di un po’ la sua altezza. Non suona carino e affidabile?) con i suoi fanali viola, con quella faccia da cerbiatto, e tutti i rotolini di ciccia graziosamente fasciati nel raso arancione.
-Stai benissimo. Sembri un fiorellino.
Potrei giurare che lei si commuove, e storcendosi un piede sui tacchi mi cade letteralmente addosso, forse con il primo intento di abbracciarmi. Poi mi stampa un bacio bavoso sulla guancia.
-Chess, togliti. Chess, togliti!!! Vuoi che mi si storgano due vertebre?! Chess!
Per fortuna, a salvare le mie vertebre ci pensa Fata Morgana, che spunta di nuovo dalla tendina, con le braccia cariche di roba. Cavolo, a vederlo sembra una statuina di vetro, tanto si direbbe fragile. Eppure…
-Oh, Canterbury! Fatti vedere… ma sei splendida! Radiosa! Questo colore ti dona tantissimo. Mi fa una voglia pazzesca di farti provare ogni cosa arancione ci sia in tutto il negozio!- strilla, lanciando per aria tutti i vestiti che si era portato dietro. E potrei giurare, guardando attraverso questa pioggia di vestiti, che la prende e la bacia, oh, cavolo se la bacia, se la sta limonando all’impazzata, con le manine perse nei suoi dread rosa, e lei che gli circonda la vita con le braccia; ma guardali questi due, credo che nessuno Shakespeare sarebbe stato capace di inventarsi una scena più romantica.
Poi però una camicia nera mi cade in testa, e per me che ho ancora le mani impegnate con i sandali e la schiena incriccata dal peso di Chelsea, la scena si chiude così.
 
Siamo usciti dal negozio, con due enormi borse a testa in più e mezzo milione in meno; e ora ci dirigiamo verso un caffè che sta proprio qui di fronte. Io e Chelsea si scambiamo sguardi fiduciosi, contente che finalmente la nostra umanità possa risorgere dalle nuvole rosa pesca della moda e le il ruggito delle nostre pance possa essere placato.
-Beh, che fate? Non è lì che andiamo- fa Bill, pigliandoci per le collottole e trascinandoci lontano dalla vetrina piena di ciambelle.
-Come NO?- protesta Chess, annaspando verso la salvezza dei nostri stomaci.
-Uff, se proprio volete dopo possiamo fare una capatina al VEG-Cafè, ma adesso abbiamo altre faccende da sbrigare.
Eh? Ho sentito bene? VEG-Cafè?
-Scusa, tesorino di Gucci, che significa VEG?- chiedo, sospettosa.
-Significa che è tutto sano e di origine vegetale!- trilla allegro Morticia. Anzi, Morticia-VEG. È così allegro. Mi chiedo cos’abbia che non va, sembra una giapponesina felice che passeggia per i campi con i suoi bei cestini pieni di fiori di loto, forte del pensiero che presto o tardi arriverà il suo bel samurai a prenderla per portarla nel palazzo più bello del mondo, a imboccarsi  il riso a vicenda fino a morire d’amore.
…da quando ti fai questi film mentali, Alex? Che c’è, siamo stati contagiati dal tubero rosa? Soldati, nessuno vi ha dato il permesso, tornate alle vostre postazioni…
-…e che nulla potrà nuocere alle vostre pancette, niente simile a burro, scaloppine impanate, birre scadute o cose del genere- continua, zampettando allegro verso l’entrata di qualcosa simile ad un outlet di Prada. Noi sbuffiamo, un po’ perché abbiamo fame, un po’ perché non vogliamo riempire le nostre pance di merda biologica, un po’ perché quest’angelo dannato ci crea sempre più problemi. Perché il suo sorriso è velenoso, e il suo sorriso vero è ancora più terribile, coltellate al cuore e dolore buono, come morire di ossigeno. Come perdersi nei fumi di un bicchiere di marsala, dipingendo colombe, in una stanza piena di fiori, con un vinile di The Black Album dei Beatles che suona, e una serva vestita alla greca che entra solo ogni tanto per spostare la puntina, ripetutamente, sull’inizio di Oh My Love.
-…io ci faccio abituali scappatelle. Si imparano un sacco di tecniche per dare sapore ai piatti, anche senza dover ricorrere ai dadi da brodo. Sapete? L’altro giorno ho assaggiato un fantastico sformato di carciofo e quinoa. Sapore celestiale- ancora trascinate per le collottole, e povere le nostre magliette, rispettivamente TheWho e BluesBrothers, che erano pure costate tanto. Questo posto è illuminato dalla luce più accecante che i miei poveri occhi di quasi-vampiro abbiano mai sofferto. Oltre a quella che investe il mondo quando Morticia sorride. Oh, come sono mielosa. Devo darci un taglio.
-…ecco, se deste un taglio sano alla vostra alimentazione potreste benissimo portare abiti come questo. Senti Canberra, non è che ti va di provarlo? Magari in viola, sai, non credo che l’azzurro ti doni- prende un vestito lungo quanto il Golden Gate Bridge e largo quanto un quaderno A4 dall’espositore e lo esamina sotto la luce dei fari abbaglianti del negozio.
-Sì, sì, devi sicuramente provarlo. Ecco, tieni, vai. Noi ti raggiungiamo. Ho già individuato un bel pantaloncino per te, Alexia- detto questo, le caccia l’abito in mano e la spedisce verso un camerino, con una potentissima spintarella della sua manina assassina. Lei barcolla mugugnando, e per poco non si scontra con una commessa della corporatura di una palma, con due orecchini che potrebbero sembrare le noci di cocco e dei capelli che potrebbero essere le foglie. Poi sparisce dietro una tendina dello stesso colore della mia nuova gonna con gli ananas. Io, invece, vengo trascinata da tutta un’altra parte del negozio, e riesco a percepire solo qualcuna delle sue chiacchiere, prima che Bill mi copra la visuale con un qualcosa color blu notte, probabilmente un altro vestitone simile a quello di Chess. Poi blatera ancora un po’, e io annuisco vagamente, mentre cerco di localizzare la sua posizione annaspando e rischiando di ribaltare qualche scaffale pieno di borsette più costose di me e tutti gli Spiegelmann messi insieme.
-Bene, andiamo- colgo distintamente, per poi avvertire una stretta mortale ad un braccio ed essere trascinata –suppongo- in camerino. Qui posso finalmente rovesciare tutta la roba che stava sulla mi testa sul divanetto, e la luce mi investe di nuovo, con grande protesta delle mie retine.
-Chelsea…- bofonchio, localizzando una figura violetto che si muove di fronte a me.
-Sì?- lei si gira. È bella. Questo stile la smagrisce. E il colore dell’abito è lo stesso dei suoi occhi. Ha dipinta in viso un’espressione perfettamente imbecille, come un manga stupido. Io l’ho sempre detto, Chelsea Sienna Spiegelmann è un manga stupido, con troppi occhi, troppa ciccia e troppo ottimismo, disceso dal pianeta delle Pretty Cure per illuminare il mondo con la scemaggine dei suoi film incapibili per critici depressi. Spesso, mentre lei stava lì a giocare con la telecamera scassata (rubata al mercatino dell’usato con lo stesso stratagemma del microfono, ovvero con l’aiuto degli amici nerd, e poi rifilata come regalo di Natale), io stavo nella poltrona sfondata, ad ascoltare i suoi discorsi sulla filosofia esistenziale e nel frattempo pensare a come sarebbe riuscito bene un quadro, magari qualcosa fra il Romanticismo e il Realismo, che ci ritraesse in quel momento. Due figure di cui si distinguono più che altro i capelli, una dietro una telecamera e l’altra sprofondata in una poltrona, nello spazio angusto di una soffitta polverosa, tutto illuminato da due lame di luce che penetrano da una finestra semicoperta da una tenda a fiori, sbiadita e stracciata. Un Hayez, un Friedrich, un Füssli solo per noi, da tirare fuori dalla sua tomba, e metterlo lì, a dipingere, con i colori secchi della quinta elementare e i pennelli spennacchiati trovati sotto il divano; una triste colonna sonora, magari un disco jazz, o beat, ecco, sì, qualcosa di molto beat. Un quadro che puzzi di sigaretta e di lucidalabbra, perché il rosa per fare i capelli di una non ce l’avevamo, e nemmeno una cornice decente, e così l’abbiamo lasciato a nudo, con i bordi bianchi visibili, così; brutto, crudo, bello. Quanto brutte e belle possano essere due anime in una soffitta, una persa nei propri sogni di gloria, nella propria Hollywood senza stelle; l’altra concentrata sui granelli di polvere, che, incandescenti per un attimo sotto la lama di luce, spariscono un attimo dopo, morendo, eterni. E pensavo, mentre mi figuravo tutto questo, quante paturnie deve avere, una persona qualsiasi, per venire ad ascoltare proprio i miei, di pensieri, a sentire proprio le nostre, di inutili storie, per ammettere che cavolo, per quanto sia sporca e sbagliata, la nostra filosofia è perfetta, non fa una piega. Spesso, mentre Chelsea giocava con i suoi sogni, racchiusi nella pellicola di una telecamera andata, creando i suoi film per critici depressi, io stavo lì, a fare il pubblico, la platea, la stampa, la stella del cinema, facevo io il critico depresso, dicevo io se andava bene o no. E lo dicevo a caso, ora andava bene, ora no. Lei si corrucciava, io sghignazzavo, e lei tornava al lavoro, alla ricerca di una nuova inquadratura, qualcosa di meglio, di più adatto alle esigenze del suo critico depresso. Ed io, nella poltrona sfondata, guardavo i suoi movimenti, seguivo il filo dei suoi pensieri, piegando la testa, di qua e di là, finché non andava bene, e allora lo ammettevo, che ci era riuscita, per una volta. E a quel punto si festeggiava, un bicchiere di succo al lampone per me, uno per te: “Cin cin, miei prodi, portate anarchia e pace nel mondo. Che Dio benedica l’America! Amen”. Era solo una delle nostre formule pre-bevuta. Le migliori venivano fuori nelle serate da sbronza. Alcune le abbiamo pure messe per iscritto.
E quindi, eccoci qui, di nuovo, in un quadro che, a parte un’illuminazione leggermente più accecante e una telecamera in meno, non è cambiato di molto. C’è sempre lei, che sogna a braccetto con il suo entusiasmo. A questo punto mi viene in mente il discorso sul cambiamento delle nostre vite che mi ha fatto mezz’ora fa. Ovviamente non lo ammetterò mai, ma quanto, in realtà, aveva ragione. Probabilmente senza quell’affare sexy ed urlante saremmo ancora nella buia soffitta, con i tentativi falliti di registrare horror e i vinili degli Oasis a girare in continuazione. Non che non ci piacesse, come realtà… ma si sa, si ha paura della luce del sole, e quando si mette il naso fuori non se può più farne a meno.
…beh, ragioniamoci: non è che Bill si possa poi tanto paragonare alla luce del sole, lui, con i suoi capelli neri, il suo trucco nero, il suo tutto nero, nero e nero e argento. Probabilmente “la luce della luna”. Ma a questo punto il concetto non avrebbe più senso. Sto perdendo senso. Sto uscendo dalla traccia. Non sono solo fuori tema, sono proprio fuori dal foglio, sto scrivendo sul banco. E Chelsea mi sta ancora fissando in attesa di un segno.
Mannaggia a te, Spielberg, e alla tua soffitta! Mannaggia anche a Morticia, e ai suoi raggi di sole che poi tanto luminosi non sono. Mannaggia alla mia inutile laurea in filosofia, che mi ammattisce e basta, forse zia Lauren aveva ragione; per i disastrati di mente come noi, non va bene esporsi così ai concetti da intelligenti, non va bene per niente. Lui, non va bene per niente. Non dovremmo essere qui, in un camerino luminescente, a provare abiti più costosi di metà Germania, alla mercé di una Fata oscura che ci trascina in una fossa senza fondo ogni minuto di più. Eppure… eppure siamo qui lo stesso.
Eppure, per una volta i benedetti sistemi d’allarme sembrano aver fallito, dato completamente le dimissioni, essere andati in pappa. I radar del mio cervello sono andati in cortocircuito, mi sembra quella volta. Ero incazzata come non mai. Sono entrata in un club, era pieno giorno ma tutti gli ubriaconi erano già lì. Ordino un Jack Daniel’s nello stesso momento in cui lo ordina un altro tizio. Il Jack è finito, e ne resta un solo bicchiere. Così, per evitare una rissa inutile, condivido un fondo di liquore con un ragazzo incazzato almeno quanto me, un brutto incrocio fra Elvis Presley e Sid Vicious, che mi fissa storto con i suoi occhi, uno freddo come il ghiaccio e uno del colore del nostro bicchiere condiviso. Non ci eravamo detti niente, ma il resto sono stati tuoni e fulmini. Il ragazzo, tempo dopo, è scomparso sgommando. Io non ho più bevuto Jack Daniel’s. O forse sì? Non mi ricordo niente, di quel periodo. Ho rimosso. Dovrei chiedere a Chelsea, che però l’ha chiuso in un cassetto, buttando via la chiave. Forse ha fatto bene, forse no. Fatto sta che, a questo punto della partita, compare questo essere, questa creatura idilliaca, che sembra aver tanta voglia di sbudellarci da cima a fondo, di rovesciarci completamente e di distruggere tutti i cassetti. Sarebbe veramente terribile, perché ogni male verrebbe fuori e cadrebbe al pavimento, tintinnando. Sarebbe una vera tragedia, perché siamo fatte di mali e false commedie. Sarebbe veramente strano, rimarremmo senza brutte storie, senza tragedie personali, senza copioni tristi da nascondere sotto strati e strati di lividi e musica punk.
Dovrebbero cambiarci, sostituirci, riempirci con qualcos’altro, imbottirci come si fa con i bignè, di una bella crema rosa, fatta di sole e romanticismo. Sarebbe così poco credibile…
Ma forse abbiamo una speranza. In fondo, guardate anche lui. Sarà anche bello, sarà anche ricco, perfetto, una statua, una bambola… ma non è diverso da noi, se lo strappassimo a metà ne uscirebbero i nostri stessi mali. Potrei quasi dire, che è l’unico essere sulla Terra che potrebbe assomigliarci da cima a fondo. Pur essendo così completamente diverso… pensandoci, anche se la nostra fata dovesse aprire tutti i cassetti, ciò che vi troverebbe dentro non sarebbe niente di diverso da ciò che vede ogni giorno in sé stesso. Non sono le stesse tragedie, gli stessi cuori senza speranza? Non è lo stesso, infinito, imbattibile, incurabile veleno? Non siamo solo esseri subumani, ombre che nuotano in una periferia di pugni e baci? Nostri i pugni, tuoi i baci, Morticia. Squarciaci da cima a fondo, possiamo darti tutti i demoni che vuoi, se sarai disposto ad accettarli.
Oh, con delle parole del genere potrei intitolare un opera punk che farebbe un baffo ad American Idiot e 21st Century Breakdown messi insieme; venderei veramente un sacco di dischi, e tutti i presidenti si dimetterebbero in preda alla vergogna, probabilmente dirigendosi a qualche fossa del suicidio.
Ah, ecco dov’era andata Alexandria. Ma guardati. Non sei altro che un ammasso di malvagità senza speranza. Unito ad una pecora-Spielberg con il surrealismo in testa, Bill caro, ti trovi per le mani un Vero Capolavoro.
-Hei… Alex, ci sei?
-UH?- ecco, come al solito, mai perdersi nei monologhi, soldati! Ma che cavolo stavate facendo?...c’è poco da fare, questa luce mi dà alla testa. –Erm, sì, certo. Dicevi?
-Sei tu che mi hai chiamato.
-Ah…- e che cavolo avevo detto? –Ah, sì. Volevo dirti che…
-E’ qualcosa a cui dovrei prepararmi perché potresti non dirmelo mai più?
-Pr… obabilmente. –wow, donna, chi ti dà il permesso di leggermi nel pensiero, vacci piano. –Volevo dirti che stai bene. Vestita così, intendo. Cioè… con il vestito, e tutto. È … dello stesso colore dei tuoi occhi. Insomma, li valorizza- farfuglio. Poi appoggio le mani sulle ginocchia e sfarfallo un po’ le palpebre. Così, magari sembro più convincente.
-Grazie- dice lei, diventando completamente rossa, poi viola, così è un tutt’uno col vestito. È imbarazzante. Non siamo abituate a farci complimenti.
-Allora?!- gracchia la nostra arpia aprendo le tendine di colpo. –Come siamo messi?... oh, tesoro. Fatti vedere! Stai be-nis-si-mo. Hai visto, Spuncione?! Non le dona un sacco questo viola?
Lui inizia a pichignare ogni singola piega esistente e non sul tessuto viola, facendola girare a testa e manca e cinguettando cose sul suo buon gusto.  A quel punto mi rendo conto che sono ancora spaparanzata sul divanetto, semi-coperta da una tuta blu.
Infatti, poco dopo, entrambi iniziano a fissarmi.
-Beh, e che avete?
-Tu pensi di passare ancora molto tempo a fissare il vuoto? Alza il culo e prova quella cosa che ti ho dato. E già che ci sei, ci abbini queste. Forza, su! Lo shopping è fatica, la bellezza è dolore! Non abbattiamoci così presto!- trilla, potrei quasi dire cantando, mentre distribuisce scarpe e borse piroettando.
Io mi alzo a fatica, districandomi alcune collane dalle braccia –quando sono comparse queste?...-, poi mi levo –di nuovo- i jeans malandati e la maglietta dei TheWho e mi infilo nell’enorme drappo blu che fino a un secondo fa stava sulla mia testa.
Quando riemergo, in men che non si dica qualcuno mi ha già fatto salire su due trampoli argentati e me li sta allacciando dietro alle caviglie. Do un’occhiata allo specchio. Sembro una modella anoressica, potrei essere rapita da un fotografo di Vogue e non tornare mai più.
-Ok, lasciami dire che questo blu ti sta d’incanto- borbotta Miss Tulipano Viola.
-E che avevo detto? Tu sei fatta per indossare cose blu. Il blu è il colore della calma, della pace…
-…della depressione-aggiungo, senza però che Chanel 2.0 mi senta.
-…e fa un contrasto meraviglioso con i tuoi capelli. Già, già, ho fatto un’ottima scelta. Quando torniamo, svuotiamo il tuo armadio da cima a fondo, honey.
-…per riempirlo di cose blu?- chiedo, con una vocina flebile flebile che non riconosco nemmeno, dall’alto di questi tacchi da astronauta, davanti ad uno specchio che mi mostra una ragazza bella, stralunata e quasi commossa che non sembro io. Forse sono troppo scioccata dalla mia immagine, ma giurerei di sentire che Morticia mi lascia un bacio sulla guancia, per poi commentare qualcosa di simile a:
-Uhm… ma magari qualche cosa di verde lo possiamo anche lasciare.
 
Finalmente, per grazia di Freddie Mercury e John Lennon, ci stiamo dirigendo verso la salvezza dei nostri stomaci brontolanti. Sarà pure un VEG-Cafè, ma almeno potremmo appoggiare questa decina di borse e mettere qualcosa nella pancia.
-Dunque, allora allora…- Morticia si piazza ad un tavolo, uno di quelli alti con gli sgabelloni che necessiterebbero di una scaletta. Svelto, tira fuori una moleskine nera, e una penna argentata. –Ho bisogno di voi. Cosa abbiamo preso?
“Ho bisogno di voi, gnè gnè, faticate per me, luridi mortali”. Come se non avessimo portato cinquanta chili di shopping a spasso per mezza Magdeburgo.
-Ehm…- Chess si risveglia dallo stato vegetativo in cui era precipitata, rischiando di cadere dallo sgabello e rompersi un osso. –Credo… quattro paia di scarpe.
-Un vestito- aggiungo.
-Due- fa lei, e nel frattempo Bill mette delle crocette su una lista.
-Una gonna con degli ananas- borbotto. –E un vestito arancione.
-Qualche decina di pochettes…
-E dei gioielli, credo.
Lui mette crocette, e quando finisce, resta qualche minuto a fissare la sua lista. –Nessuna calza? E niente bluse trasparenti?!- esclama alla fine, sconcertato.
-Erm… no- mormoro. Sembra terribilmente deluso.
-Uff. Abbiamo completato appena metà della Lista-Per-Rifarvi-Un-Guardaroba-Decente. Dovremmo assolutamente fare un altro giro…- commenta, bevendo rumorosamente con una cannuccia rosa fluo da un bicchierone di carta che un fustacchione con la faccia da vegano gli aveva portato nel frattempo. Io osservo i due bicchieri che ci sono stati piazzati davanti.
-Ma… sei sicuro? Perché noi non abbiamo tutto questo spazio. Nell’armadio, intendo…
-Noi siamo poveracce, Bill, come facciamo a pagare tutta questa roba?- mi interrompe Chelsea, esibendo le più svariate espressioni di disgusto mentre cerca di bere quello schifo.
Lui la liquida con un gesto della mano, puntando gli occhi al cielo. –Ce n’è, ce n’è di spazio a casa vostra. Basterebbe solo eliminare tutti quei CD e quelle cassette…
-EH?!- sputacchiamo roba verde per tutto il bar, guadagnandoci occhiatacce da tutta la clientela. –Sei impazzito, vero? Le luci di Prada hanno dato alla testa anche a te?!- abbaio, sbattendo il bicchiere sul tavolo.
-Dovrai passare sul mio cadavere, prima di sfiorare anche solo UNA delle mie cassette- borbotta Chelsea, mangiucchiando la cannuccia giallo canarino.
-Ok, d’accordo, calmatevi… non serve scaldarsi tanto! Siamo in un luogo pubblico, ragazze- ci zittisce lui, tornando elegantemente alla sua bevanda bio.
-Beh, ci hai fatto prendere un bel colpo. Seriamente, come facciamo a far stare tutta questa roba a casa nostra?
-Compreremo un nuovo armadio!- strilla Morticia, allegramente. 
-Tu sei cosciente del fatto che mi rifiuterò categoricamente di girare per negozi d’arredamento con te, vero?- chiarisco, mollando il bicchiere in mano ad un cameriere di passaggio. –Se c’è una cosa che detesto più dell’umanità, sono i negozi d’arredamento.
-Beh, significa che ci penserò io. Altrimenti, potreste trasferirvi direttamente a casa nostra!
Chelsea sputacchia nuovamente tutto il frullato sul tavolo. Io non lo faccio solo perché non ho più il bicchiere, ma in compenso credo di aver assunto il colore di un lenzuolo pulito.
-Tu… dici sul serio?- miagola Chelsea, da quasi-sotto-il tavolo.
-Ah ah ah, ma certo che no. Prima devo avvisare Amelie di far posto nelle stanze degli ospiti.
Io guardo Chelsea, Chelsea guarda me, noi guardiamo lui.
-Tu sei matto. Matto da legare.
-Sì, sono andato. Fuso. Sarà per questo che mi piacete così tanto- declama, con la sua vocina morbida e mielosa, lasciando un ventone sul tavolo e prendendoci sottobraccio. –Su, forza. Abbiamo ancora un paio di cosette da procurarci!- dice, mentre veniamo investiti in pieno dalla luce arancione del tramonto tedesco. Tra poco inizierà a fare freddo. Glielo faccio presente.
-Beh, ciò vorrà dire che andremo tutti ad abbracciarci come pinguini, sorseggiando tisane diuretiche di fronte al camino di casa Kaulitz- borbotta, adocchiando una vetrina piena di camicie e puntando il negozio.
-Ma… se al posto delle tisane diuretiche facciamo cioccolata calda?- si intromette Chelsea.
Lui ci rivolge uno sguardo truce. Noi, dalle nostre basse misure, rispondiamo con espressioni da eloquenti deficienti. Chelsea occhieggia, muovendo le sue sopracciglia arancioni. Io esibisco lo splendore micidiale del mio sorriso da supercattivo con tanto di canini. Non può resisterci. La combinazione delle nostre mosse-rimorchiatrici potenza 2.0 è imbattibile, nessun sistema di difesa militare potrebbe neutralizzare il suo attacco. Forza, bellezza, cedi. Forza. Forza. Forzaforzaforza. Eddai.
Ad un certo punto lui distoglie lo sguardo, guardando il cielo con una smorfia di disappunto. Adoro le sue smorfie di disappunto. Si succhia il labbro inferiore, e muove gli occhi facendo vibrare le ciglia.
-…avete vinto. Vada per la cioccolata.


Hey dolcezze! Piaciute queste nove pagine e tre righe di Word? E certo, altrimenti non sareste qui a leggere!
Siamo superfelici che qualcuno stia leggendo la nostra storia, ragazzi, vi rassicuro, siete quasi giunti alla fine. Incredibile ma vero! D: Heheee, state tranquilli, questa storia è solo un debutto... ce ne saranno altre, mooooolte altre!
Voi state sempre lì, che noi prima o poi arriviamo. :)))          With All The Love!  (se lasciate un commentino siamo felici :* )  TheTwoOfUs ^^
   
 
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