Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    21/06/2017    5 recensioni
1827. Andrew Spencer, erede del titolo degli Harford, parte per il Grand Tour europeo assieme ai suoi migliori amici, Keath e Leonard. Il viaggio ha sì lo scopo di fare nuove scoperte e conoscenze - come effettivamente avverrà - ma serve ad Andrew come via di fuga dal suo annoso, terribile problema. Il suo cuore sanguina per una donna che pensa di non poter avere.
Violet Phillips, al tempo stesso, è alle prese con un problema non dissimile: la Stagione a Londra, mille potenziali cavalieri e nessuno che realmente colpisca il suo cuore... poiché esso è già impegnato, e dall'uomo per lei più inavvicinabile di tutti.
Potrà il Grand Tour aiutare Andrew a chiarirsi le idee, e trovare il coraggio che ora gli manca per dare voce al suo cuore?
E potrà Lucius Bradbury, cugino di Alexander Chadwick, aiutare Violet nella riscoperta di se stessa e di una forza che non crede di avere? - SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'" e "SOTTO IL VELO DELLA NOTTE"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
4.
 
 
 
 
Roma – 19 Agosto 1827
 
Il buon vino italiano era una gioia per le papille gustative, ma aveva anche un piccolo difetto secondario, e di non poco conto.

Ubriacarsi con quei sapori corposi e pieni era quanto mai semplice, ma recuperare una parvenza di dignità, e sanità mentale, era assai più difficile.

Ne sapevano qualcosa Andrew e i suoi amici che, dopo un’allegra serata passata a Piazza di Spagna per ammirare dei musici gitani, si erano attardati in una locanda per bere.

Il risultato era stato inevitabile, quanto prevedibile.

Troppo stanchi – e ubriachi – per tornare al loro albergo, avevano dormito direttamente in loco, scivolando su letti deplorevolmente duri come se fossero stati confezionati con le piume.

L’essere ubriachi aiutava a soprassedere su un sacco di cose.

Il giorno seguente, però, risvegliarsi e accorgersi di dove fossero finiti, era stato meno piacevole.

Aprire le imposte delle semplici stanze della locanda doveva avevano dormito, ancor peggio.

Il sole si era dimostrato dannatamente forte, quella mattina, o forse i loro occhi erano stati più sensibili del solito.

A ogni buon conto, quando erano usciti dalla locanda Da Renato, erano riusciti a raggiungere l’albergo solo molto tempo dopo.

E dopo diversi errori di percorso.

Gli addetti dell’albergo non dissero nulla, nel vederli tornare a tarda mattina, e si limitarono a chiedere loro se desiderassero pranzare o meno in camera.

Al loro assenso collettivo, un valletto si avviò silenzioso verso le cucine, mentre loro salivano stancamente verso le camere.

Una volta raggiunte, trovarono al loro interno le vasche in rame per il bagno.

“Dio ti ringrazio” sussurrò Andrew, suonando il campanello per chiamare la servitù con l’acqua.

Ricordava poco della sera precedente, tranne alcuni particolari che, anche a distanza di ore, gli fecero battere forte il cuore.

Quella gitana dalla chioma bruna e gli occhi neri lo aveva fatto infiammare, con il suo flamenco danzato in maniera magnificente.

Per un attimo, era stato tentato di chiederle i suoi programmi per la serata ma, alla fine, aveva desistito.

Come sempre, del resto.

Era mai possibile che fosse così idiota da non riuscire a togliersi dalla testa Violet?

Già. Violet.

La dolce, gentile, generosa, delicata Violet.

In qualsiasi modo rigirasse la situazione, si finiva sempre con lui nella parte del cattivo, e lei in quella della vittima inconsapevole.

Lui era suo amico, l’aveva vista nascere, in nome di Dio! Le loro famiglie erano praticamente l’una la continuazione dell’altra, molto più che semplici amici.

Il fratellastro di Violet, poi, era suo cugino di primo grado!

Ma tu la ami come donna, non come sorella, gli disse una vocetta nella testa, mandandolo in bestia.

Andrew imprecò tra i denti, mentre recuperava abiti a caso con cui cambiarsi. Keath, che era suo compagno di stanza, si accorse subito del suo malumore.

“Ehi, amico… tutto bene?” domandò subito il giovane, rivolgendo un’occhiata preoccupata ad Andrew.

Il giovane Spencer si volse a mezzo, colse la preoccupazione nello sguardo ceruleo dell’amico e, con un sospiro, asserì: “Sempre il solito problema.”

“Oh. E dire che, per un attimo, avevo pensato che tu e quella ballerina avreste combinato qualcosa, finalmente” sospirò a sua volta Keath, togliendosi calzoni e camicia.

Andrew scosse il capo, si denudò a sua volta e si infilò nella vasca, asserendo: “Per un istante ho desiderato farlo, ma poi…”

“… poi è comparsa Violet, giusto?”

Keath era l’unico a conoscenza del suo segreto. Neppure Leonard sapeva i motivi che lo tenevano lontano dalle donne, così come dai loro caldi segreti.

Forse, un giorno si sarebbe sbilanciato anche con Leonard ma, per il momento, già averlo detto a Keath era umiliazione sufficiente.

Inoltre, non voleva angustiare Leonard con simili problemi, visto che l’amico ne aveva già a sufficienza – e ben più pressanti – a casa.

Non gli piaceva fare la parte del malato d’amore, pur se lo era incontestabilmente.

Chi era che rifiutava una donna bella come la ballerina della sera precedente, e solo per rispettare una ragazza che neppure conosceva i suoi sentimenti?

Solo un folle malato d’amore, per l’appunto.

E dire che non si era neppure accorto di essersi messo da solo, e con grande efficienza, il cappio al collo.

Era successo semplicemente, come lo scorrere del tempo muta le foglie sugli alberi, e lui si era ritrovato a osservare Violet con occhi sempre meno fraterni, e sempre più passionali.

Era abituato da una vita a stare in sua compagnia.

Andrew aveva sempre accompagnato le loro rispettive madri in giro per orfanotrofi per dare una mano, e Lettie si era sempre unita a loro, desiderosa di aiutare.

Violet aveva dimostrato un’indole filantropica fin da piccola, e non aveva mai pensato all’incolumità personale, anteponendo sempre i bisogni degli altri ai propri.

Era da sempre stata convinta di doverlo fare per ripagare il mondo per ciò che aveva, e lui le si era sempre accodato per darle una mano, proteggerla, sorreggerla in caso di bisogno.

Soprattutto, Violet aveva avuto la certezza che, facendo del bene a tutti, il mondo sarebbe divenuto un luogo più bello in cui vivere.

Avesse voluto il cielo che più persone l’avessero pensata come lei, ma Andrew sapeva bene che così non era.

Le loro vicende familiari parlavano da sole.

Suo padre era stato vittima, in primis di un padre violento e fratelli senza cuore e, in seguito, della guerra, che quasi gli aveva portato via una gamba.

Suo zio Andrew, di cui portava il nome, era invece morto nella stessa guerra che aveva graziato suo padre, ma non altri uomini, morti per il loro re e per la patria.

Per la terra.

Per mero interesse politico.

Tantissime persone erano perite, davvero troppe per poter pensare che il semplice gesto singolo di Violet potesse fare la differenza.

Ma sarebbe stato ingiusto sminuire la sua determinazione e il suo impegno e, come lui, anche la famiglia l’aveva sempre lasciata fare, appoggiandola e intervenendo ogni volta che lo avevano ritenuto necessario.

Violet, così generosa d’animo, andava preservata dal male e dal mondo ostile che la circondava, per quanto possibile.

“Non credi che dovresti dirglielo, a questo punto? Rovinarti la vita perché vuoi stoicamente rimanere in silenzio, non mi pare la scelta più ovvia. O sposi una donna e cerchi di dimenticarla, o dovrai affrontare il problema, prima o poi.”

“E come? Suo padre mi staccherà la testa nel momento stesso in cui aprirò bocca, e darò un dolore immane a mio padre. Dovrei vederla come una sorella!” sbottò Andrew, passandosi una mano tra i capelli castani, gli occhi verde-oro che brillavano di rabbia e rassegnazione.

“E perché mai, di grazia? Non è tua sorella, neppure tua parente, se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro. Ma, se anche fosse stata tua cugina, sai quanti matrimoni vi sono stati, tra consanguinei, negli anni passati? Potrei citartene a centinaia” sottolineò Keath, passandosi la spugna sul torace.

Andrew affondò nella vasca, rimanendo fuori dall’acqua solo col capo e, con tono più tranquillo, affermò: “Lo so che, in teoria, avresti ragione. Quando sono ottimista, me lo dico da solo, ma…”

“Ma tu sei un pessimista matricolato. E vedi solo il tuo ruolo di protettore, non quello di uomo o, Dio non voglia, futuro marito di Violet” sospirò Keath, già conoscendo il problema.

Andrew, nonostante tutto, emise un risolino e, annuendo, borbottò: “Ti ho detto un po’ troppe cose, se finisci le frasi per me.”

“E’ che ti voglio bene, oltra a conoscerti bene, amico mio. E dovresti parlarne anche con Leo, credimi. Ti capirebbe, e saprebbe tirarti su di morale come io, invece, non riesco” gli fece notare Keath, sorridendogli da dietro il bordo della vasca.

“Ci penserò su” mormorò Andrew, affondando de tutto nell’acqua, tentando invano di dilavare il suo senso di disagio con il semplice passaggio di quel liquido morbido e tiepido.
 
***


Mare del Nord – 10 Agosto 1827
 
La goletta volava spedita sul pelo dell’acqua, slanciandosi in avanti spinta da venti favorevoli di tribordo.

Il cielo terso, di un azzurro così intenso da rivaleggiare con gli occhi di Violet, era spezzato all’orizzonte da esili cirri, oltre che da qualche veleggiante gabbiano.

Il loro viaggio di risalita verso il nord, iniziato il giorno addietro, nel tardo pomeriggio, sarebbe terminato il dì seguente, se le condizioni del mare si fossero mantenute stabili.

Per certi versi, Violet avrebbe preferito durasse un poco di più, ma non voleva costringere nessuno a sopportare i suoi capricci.

Già visitare Aberdeen e il ridente clan Chadwick, sarebbe stata soddisfazione sufficiente.

Inoltre, le mancava Rose, e il pensiero di rivederla era di per sé stimolo sufficiente per farle gradire l’arrivo in tempi brevi.

Ergo, perché continuava a sentire il desiderio impellente di non scendere dalla goletta, prendere il mare aperto e continuare la navigazione?

Il comandante in seconda, in piedi al suo fianco, le sorrise benevolo e, nel passarle le carte nautiche che teneva in mano, mormorò: “Ebbene, miss Violet? Dove attracchereste, ora?”

Tornando al loro argomento iniziale, lei sorrise e, con competenza, studiò un istante la carta prima di asserire con sicurezza: “Senza alcun dubbio qui, capitano Williamson. Lo scafo non avrebbe alcun problema a reggere il mare, anche con queste secche nei pressi della costa. Saremmo al sicuro fino a questo punto. Oltre, non andrei davvero, neppure se fossi inseguita dai pirati.”

L’uomo, poco più che trentenne e dal sorriso contagioso, assentì orgoglioso e, nel ripiegare la carta, intrecciò le mani dietro la schiena e sospirò contrariato: “Volesse il cielo che permettessero a donne come voi di studiare nautica, mia cara. Sareste un capitano di vascello davvero temibile, in battaglia.”

Violet rise spontaneamente, sapendo quanto ci era voluto perché, negli anni, gli uomini della goletta di suo padre la accontentassero nei suoi desideri.

Aveva iniziato con domande semplici, quasi casuali e, poco per volta, si era guadagnata la loro fiducia, cambiando il loro iniziale riserbo nei confronti delle donne.

Nel corso degli anni, aveva persino convinto il capitano a farle tenere il timone della goletta, dimostrando di saperla guidare con competenza.

Naturalmente, non sotto gli occhi di suo padre. Se lo avesse saputo, probabilmente avrebbe avuto qualcosa da ridire… prima di svenire, naturalmente.

Era stato un segreto suo e dell’equipaggio, che ormai l’adorava.

Chiedere che le venisse spiegata la teoria alla base della navigazione, però, non aveva disturbato suo padre, perciò quelle lezioni aveva potuto sostenerle alla luce del sole, nel vero senso della parola.

Le mancava, però, non tenere le mani sul timone come aveva provato quella notte di un anno prima, di ritorno dall’Isola di White.

Con un sospiro, Violet si guardò attorno e sorrise lieta nel vedere Paul rincorrere Sarah e Lorainne, mentre Max controllava attento la situazione.

Amava le sue sorelle e il suo tenero fratellino di nove anni, eppure, le sembrava di essere estranea a tutti, di non percepire più un contatto diretto con nessuno di loro.

Quando lo sguardo le cadde sui genitori, impegnati in una ridente chiacchierata con i loro amici, gli Spencer, quel senso di vuoto si accentuò, unito a un vago senso di contrizione.

Volgendo in fretta gli occhi, Violet si aggrappò al parapetto, reclinò il viso a scrutare le fiancate slanciate della goletta e l’acqua che la urtava con violenza.

Per un attimo, desiderò piangere.

Sarebbe stato sciocco, ma ne sentiva l’esigenza.

Perché sapeva benissimo a cos’era dovuto quel senso di vuoto, e non poteva colmarlo con niente e nessuno.

O meglio, quel qualcuno in grado di riempirlo esisteva, ma non era sulla goletta e, se anche si fosse trovato lì, nulla sarebbe cambiato, per lei.

“Che ne dite se vi mostro le carte nautiche delle Antille, miss Violet?” le domandò a quel punto il comandante in seconda, vedendola così giù di corda.

Lei lo ringraziò con un sorriso ma scosse il capo così l’uomo, scusandosi con lei, la lasciò sola ai suoi pensieri.

L’abbraccio improvviso quanto irruento di Sarah, però, le impedì di piangersi addosso e Violet, nel sorridere alla sorellina di tredici anni, disse: “Ehi, ciao! Allora, come sta andando l’inseguimento?”

“Abbastanza bene. Paul ha preso Lorainne ma non me, che ora sono in zona franca” sorrise Sarah, illuminando il viso tutto fossette, e circondando da morbidi boccoli bruni.

“Oh… io sarei la zona franca?” esalò divertita Violet, avvolgendo le spalle della sorella con un braccio.

“Esatto. Max ha decretato che, qualora ci fossimo stancati di correre, avremmo potuto ricorrere a una zona franca in cui riposare… tu, per l’appunto” le spiegò Sarah, scrollando le spalle.

“Ho capito. E lo scopo di questa rincorsa, ha un nome, o che?”

“Oh, sì. Stavolta si chiama ‘se mi prendi, ti ho un dolce’. Ma, per ora, Paul ha agguantato Lorry solo una volta, e zero me. Avrà vita magra, stasera” ironizzò Sarah, ammiccando con i suoi caldi occhi color cioccolato.

“Uhm. Un dolcetto andrebbe anche a me. La zona franca non ottiene niente, per caso?” si interessò a quel punto Violet, ben decisa a scacciare la tristezza.

“Ci devo pensare. Non lo abbiamo stabilito” ammise Sarah, volgendosi a scrutare il loro giudice prima di urlare in modo ben poco signorile: “Max! La zona franca può ricevere un premio?!”

Diversi marinai sorrisero benevoli, mentre Anthony scoppiava a ridere, esalando: “Gesù, tesoro! Un po’ di contegno!”

Sarah si coprì la bocca per nascondere una risata che, però, coinvolse tutte le persone presenti sul ponte e Violet, nel lasciarsi andare a sua volta, abbracciò la sorella e mormorò: “Ti voglio tanto bene, Sarah!”

“Anch’io, se è per questo” replicò la sorellina, stringendola a sua volta. “Anche se stai ridendo della mia ennesima gaffe. Prima o poi diventerò come te, ma mi ci vorrà ancora un pochino.”

“Rimani te stessa, tesoro, e mi renderai la sorella più orgogliosa al mondo” asserì onestamente Violet, scuotendo il capo. “Una persona remissiva, in famiglia, è più che sufficiente.”

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Sarah mormorò confusa: “Remissiva? Perché ti definisci così?”

“Non lo sono, forse? Non ho il coraggio di Lizzie, o la tua esuberanza, o ancora la bravura sopraffina di Lorainne per la musica, che si esibirebbe anche dinanzi al re senza morire d’imbarazzo… cosa che capiterebbe a me, se succedesse. Sono assai ordinaria, e per nulla coraggiosa” si lagnò bonariamente Violet, sorridendole.

Sarah, allora, la fissò divertita e asserì: “Forse, perché sei molto dura con te stessa. Se tu mi hai detto di rimanere come sono, perché ti paragoni ad altre persone, lagnandoti di ciò che sei?”

Touché” ammise la sorella maggiore. “Soltanto, credo di essere ben poco interessante.”

“E perché mai dovresti crederlo? Io ti ammiro molto, e anche Lorry… o Paul. Ma lui non lo ammetterà mai, perché è un maschio” disse Sarah, scrollando una mano nell’accennare al fratello. “Inoltre, pensi che una persona ordinaria saprebbe incantare un intero vascello come fai tu?”

Violet sorrise divertita, e la sorella aggiunse con singolare maturità: “Sei buona nel senso più puro del termine, e ti prodighi per chi ne ha bisogno. In questo, somigli a Lizzie, ma il modo in cui lo fa lei è più… irruento?”

“Può essere” assentì Violet, ripensando al giorno in cui Elizabeth e Alexander erano scappati nella notte per salvare dei bambini rapiti.

Lei non avrebbe mai potuto compiere un gesto simile, pur volendolo. Non ne avrebbe mai avuto la forza, e questo la faceva sentire davvero un’inetta.

“Forse non sparerai come un uomo, o non salterai gli ostacoli come fa Max con Spartan, ma nessuno sa disegnare navi come fai tu. E poi, sei una sorella maggiore bravissima” sottolineò Sarah, tutta sorridente.

“Oh, grazie” ammiccò Violet.

“Capisci tutto quello che dice papà, quando parla di quel che succede a Londra, mentre io mi perdo alla grande” sospirò a quel punto Sarah, scuotendo il capo.

“Imparerai col tempo” la rincuorò la sorella, sfiorandole il viso con una mano.

“Ecco, vedi? L’hai rifatto.”

“Cosa?”

“Confortarmi, anche per una piccolezza come quella che ti ho appena detto. Il solo pensiero che qualcuno possa soffrire, ti spinge ad agire, dando tutto l’amore che hai da offrire” le spiegò Sarah, intrecciando le mani dietro la schiena nel guardarla con affetto. “Ci fai sentire protetti, ed è una sensazione molto bella.”

“Anche papà, mamma e Randolf lo fanno.”

“Sì, lo so… ma, conoscendo come vanno le cose nelle altre famiglie, ti stupisci che il tuo comportamento ci faccia piacere?” le domandò con ironia Sarah, ammiccando.

Violet comprese bene cosa intendeva dire. Non era insolito che, nelle famiglie numerose, i figli più piccoli venissero bistrattati dai più grandi.

Anche tra le famiglie nobili… anzi, soprattutto.

Conosceva personalmente svariati casi in cui questo avveniva, e anche il padre e lo zio di Max erano stati a loro volta vessati dai parenti, per cui, di che stupirsi del pensiero di Sarah?

“Beh, da me non dovrete mai temere nulla” le sorrise Violet. “E ora, andiamo a giocare con gli altri. Ho voglia di correre un po’ anch’io.”

Con uno strillo ben poco elegante, Sarah la afferrò alla mano e la trascinò con sé in una corsa sfrenata, facendo ridere sia Paul che Lorainne, e sorridere Max.

Lasciandosi coinvolgere da quell’irrefrenabile gioia, Violet sollevò appena l’orlo della gonna per meglio correre e, quando raggiunse il fratellino, lo afferrò alla vita e lo abbracciò stretto.

Lui si contorse per scivolare via – non amava essere abbracciato in pubblico – e Violet, ridendo, gli stampò un bacio sulla guancia prima di lasciarlo andare e scappare via.

Paul, tra le risa e l’imbarazzo, si mise a rincorrerla e, finalmente, Violet riuscì a liberarsi per qualche istante dei suoi crucci.

Era così fortunata ad avere una famiglia così unita ma, a volte, era così difficile convivere con essa!
 
***

Tracciando l’ultima riga sul suo schizzo, che ritraeva i Fori Imperiali in tutto il loro splendore, Andrew si disse soddisfatto e, nel riporre il foglio nella carpetta, sorrise a Eli e disse: “Io ho terminato. Tu come sei messo?”

“Se Patrick fosse un po’ più serio, nel suo ruolo di centurione, sarebbe più semplice finire questo schizzo preliminare” ironizzò Eli, lanciando un’occhiata ai loro quattro amici, in posa poco innanzi a loro.

Pur se abbigliati elegantemente, come si conveniva alla loro levatura sociale, Eli li stava schizzando con toghe o divise militari dell’epoca romana.

Con grande sorpresa da parte di Andrew, che apprezzava molto le arti, aveva scoperto in Eli un eccellente ritrattista, oltre che un buon paesaggista.

Nel corso delle settimane, insieme avevano schizzato un sacco di paesaggi, prendendo poi appunti sulle tonalità di colore e sulla luce.

Certo, non sarebbe stato come dipingere dal vero ma, se avessero dovuto impegnarsi in tal senso, non sarebbero mai riusciti a partecipare a tutti gli eventi che avevano poi visto.

Quello, era un buon compromesso per avere un ricordo dei loro viaggi, oltre che per non perdere la mano su ciò che amavano fare.

Quando si ritenne soddisfatto, Eli mise giù il carboncino, ritirò il foglio e cominciò a smontare il cavalletto.

A quel punto, Patrick e gli altri si sgranchirono le braccia e Keath, ammiccando, si passò una mano sullo stomaco e disse: “Ora, però, desidero una ricompensa.”

“Solo Dio sa come tu possa mangiare tanto, e mantenere una linea invidiabile” ironizzò Leonard, dandogli una pacca sulla spalla.

Solomon e Patrick risero divertiti e Andrew, nel raggiungerli assieme a Eli, disse: “Sono sicuro che molto di quel che mangia finisce in energia spesa assieme a gentili donzelle. O sbaglio?”

“Non posso rispondere negativamente, visto che affermi il vero” sorrise divertito Keath, passandosi svogliatamente le unghie sul bavero della giacca.

I ragazzi risero nell’uscire dai Fori Imperiali e, con calma, si avviarono alla ricerca di un locale dove poter rifocillare l’affamato Keath.

La settimana seguente sarebbero scesi al Sud, in Puglia e, da lì, avrebbero preso un clipper che li avrebbe condotti fino ad Atene, dove si sarebbe chiuso il loro viaggio.

Lì, avrebbero soggiornato per un mese, visitando salotti, scoprendo le meraviglie artistiche della città e facendo conoscenza con le personalità del posto.

E forse, in tutto quel divagare, Andrew si sarebbe finalmente messo il cuore in pace.

Non vi credeva molto, ma tutto era possibile, a questo mondo.

Inoltre, era ingiusto sospirare per amore, quando era in compagnia dei suoi amici.

Avrebbe rischiato di farsi notare, e rovinare così quei bellissimi momenti vissuti assieme.

Dopo quel Grand Tour, sarebbe stato difficile mantenere i contatti con tutti loro, visto che le loro dimore erano sparse per tutta la Gran Bretagna, e gli impegni si facevano sempre più pressanti.

Doveva sfruttare al meglio quel tempo, e lasciare per un secondo momento i suoi tristi pensieri e le sue beghe amorose.

Alla fine del Grand Tour, Keath sarebbe tornato al nord, a Carlisle, mentre Leonard avrebbe iniziato a darsi da fare per imparare a gestire il suo ruolo di primogenito, oltre che di futuro duca Walsingham.

Birmingham lo attendeva a braccia aperte, quindi, così come Edimburgo attendeva il ritorno di Eli, Patrick e Solomon.

Le occasioni per vedersi si sarebbero ridotte ai meri impegni politici da tenersi a Londra, o a rare feste organizzate a casa dell’uno piuttosto che dell’altro.

Una nuova via si apriva per ognuno di loro, in un angolo diverso del regno, perciò  avrebbero dovuto fare del loro meglio per essere degni del nome che portavano.

Questo, dopotutto, non lo spaventava come, invece, lo terrorizzava pensare a un eventuale fidanzamento di Violet.

Mamma e papà non ne avevano fatto alcun accenno, nella loro lettera, ma tutto poteva essere successo, visto che era passato più di un mese dalle ultime notizie ricevute.

Come avrebbe reagito a un suo eventuale fidanzamento?

Davvero non lo sapeva ma, quando incrociò lo sguardo con Keath, si costrinse a sorridere e, non appena entrarono in una locanda ricca di vita e musica, lasciò da parte tutto, per stare liberamente con gli amici.

Lontano da casa, non poteva fare nulla. Tanto valeva godersi ogni attimo senza brutti pensieri a corollario.







Note: i nostri due eroi continuano, l'uno lontano dall'altra, a pensare al loro problema apparentemente irrisolvibile, non sapendo quanto si siano rispettivamente ingannando sui rispettivi sentimenti.
Che dite, se ne accorgeranno prima che uno dei due commetta un errore irrimediabile? Lo scopriremo, pur se non ora.


  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark