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Autore: blitzkingful    21/06/2017    1 recensioni
Dopo quanto accaduto ai Giochi del Drago, Raven Queen inizia sempre di più a temere di non potersi fidare veramente di nessuno a scuola. Le cose devono cambiare, ora più che mai, o tutta la comprensione di cui Raven è capace non basterà per andare avanti.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Apple White, Nuovo personaggio, Raven Queen, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Raven era sinceramente convinta che sarebbe riuscita a voltare pagina anche quella volta. 
Non avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto che il preside Grimm avesse piegato il capo alla richiesta (ordine) di Biancaneve di lasciare correre i madornali errori della figlia (e di Bianca stessa): a Ever After, ingiustizie del genere erano all’ordine del giorno, specie per chi come lei sfidava le tradizioni. 
Eppure, mentre si congedava da sua madre (che continuava a vivere nel suo mondo) e raggiungeva l’arena dei Giochi del Drago, la giovane Queen si sentiva tutto tranne che in pace con se stessa.

Raven si sorprese da sola, quando, giunta all’arena, vedendo Apple salutarla sorridente e baldanzosa, si ritrovò a pensare che la principessa aveva proprio un bel coraggio a comportarsi come se fosse tornato tutto magicamente a posto. Quanto successo nell’ultima settimana continuava a tornarle in mente, senza accennare a smettere. Tale stato d’animo non influì positivamente sulla sua performance durante la partita. 
Raven continuava a far volare Maipiù di qua e di là, incapace di concentrarsi su un obiettivo. La sua testa era altrove, e la squadra di Apple manteneva intatto il vantaggio, con somma gioia del pubblico. Quando però proprio Braebyrn le sfrecciò accanto, vedendo di sfuggita Apple qualcosa scattò nella giovane strega, e spronata violentemente la sua draghessa, si gettò all’inseguimento. Più per la forza della disperazione che per vera e propria abilità, Raven riuscì a tagliare la strada alla principessa bionda, raccogliendo un gruppo gemme che l’avversaria aveva puntato. Subito partirono fischi dagli spalti: evidentemente non avevano apprezzato che la cattiva avesse tentato la rimonta. La negatività degli spettatori non giovò a Raven, che ormai stava per prendere e abbandonare il gioco ancora una volta. 
Sennonché Darling Charming, membro della sua squadra, riuscì a passarle la palla, facendo tornare in sé la strega. Per poco. 
Con la palla tra le mani, a cavallo di Maipiù e con Apple dritta davanti a lei, Raven si ritrovò a ricordare nitidamente i momenti in cui, durante la partita d’inaugurazione, la figlia di Biancaneve aveva ferito Darling di proposito e aveva cercato di provocarla, per farla dare di matto e renderla così la cattiva che avrebbe reso possibile la fiaba. Improvvisamente svuotata, Raven lanciò via la palla, che venne intercettata da Lizzie Hearts, che giocava per la squadra di Apple. 
La quale, alla fine, vinse la partita. 

Raven non rimase per la premiazione. Si era imposta, all’inizio, di rimanere ferma  ad assistere, per pura sportività, ma quando il preside iniziò a sperticarsi in lodi verso la famiglia White, per il fulgido esempio che davano ai buoni di tutto il regno, qualcosa in lei si spezzò. Uno sbuffo di fumo viola ed era sparita. Apple aveva notato che durante la partita qualcosa non andava, e avrebbe voluto andare a cercarla per chiederle cosa fosse successo, ma fu intercettata dall’intervista di Blondie Lockes. Incastrata ancora una volta dai suoi doveri di Reale verso le pubbliche relazioni, si dimenticò dei problemi della compagna di stanza. 

Lontana dall’edificio scolastico, appoggiata alla balaustra di un ponte alla periferia di Libropoli, Raven cercava senza successo di combattere la rabbia e i brutti pensieri che continuavano a riaffacciarsi nella sua mente. 
Era strano, nel modo peggiore: Raven non era mai stata tipo da covare rancore, specie perché meglio di chiunque altro sapeva come ci si sente quando il mondo intero ce l’ha con te. Stavolta, invece, non riusciva a trattenersi dall’augurare le peggio disgrazie a chiunque incontrasse a scuola. 
Ok, nessuno le aveva dato retta riguardo al lasciare libera sua madre, e pure le sue amiche si erano decise ad aiutarla solo quando ormai il danno era stato fatto…  la Regina Cattiva continuava a essere folle e, per quanto si ostinasse a sostenere il contrario, del tutto incurante dei sentimenti della figlia… e, sì, non si sarebbe mai aspettata un tiro mancino simile da Apple, né che il resto degli studenti tornasse a detestarla al primo imprevisto… ma, davvero, a guardare indietro, con esperienze del genere Raven ci conviveva praticamente dalla nascita! Cosa c’era di diverso, stavolta?

“Mi scusi” fece all’improvviso qualcuno alle spalle della ragazza, “lei è mica Raven Queen?” 
Strappata al suo rimuginare, Raven si voltò e vide un ragazzo,  a occhio della sua stessa età, dagli occhi dorati e dalla capigliatura scura, con una coda di cavallo che gli arrivava poco sopra alla vita. A giudicare dagli indumenti che indossava, doveva essere un comune paesano, dalla vita semplice e che di certo non comprendeva nessun Destino o simili strazi. “Chi vuole saperlo?” chiese Raven, non molto gentilmente. Il suo umore continuava a non migliorare. 
“Oh! Ha-ha r-ragione, scusi!...” balbettò il giovane, imbarazzato, per poi abbozzare un inchino con la testa “Hiram Patchfield, piacere di conoscerla. Sono solo un contadino di passaggio a Libropoli per fare un paio di acquisti e, ehm, volevo solo cogliere l’occasione per ringraziarla.” 
Raven sgranò gli occhi, interdetta. Lo sbalordimento iniziale fece posto a una lieve soddisfazione, data dal fatto che per una volta qualcuno approvava le sue azioni, ma… “Ringraziarmi per… cosa, esattamente?” “Per la faccenda dei Giochi del Drago. Sa, opporsi alla Regina Cattiva, reimprigionarla nello specchio… Ha salvato la pelle a tutti. Grazie.” Concluse, solenne. 
Raven arrossì. Era davvero poco abituata ai giudizi positivi, soprattutto ai giudizi positivi riguardo l’essere buona. Hiram si rabbuiò “Non dev’essere stato facile. Era pur sempre sua madre.” Commento, insicuro. 
Raven sorrise amaramente “Ho rinunciato tempo fa a cercare di avere un rapporto normale con quella donna.” spiegò. Una domanda si fece largo dentro di lei: Allora perché continuo ad andarci a parlare?! Prima che potesse pensarci sopra, Hiram riprese la parola: “Mi dispiace. Non volevo rovinarti la giornata… posso darti del tu?...  Grazie.  Volevo solo farti sapere quanto significa per un umile suddito che almeno una, ai piani alti, abbia un cervello sotto la corona.” 
“Che cosa vuoi dire?” domandò Raven, inarcando un sopracciglio.
Hiram si appoggiò alla balaustra, voltandosi verso Raven: “No, dico, se aspettavamo gli altri… Grimm, i tuoi insegnanti, i tuoi compagni… ti hanno pure accusato di quell’incendio, così a caso… si sono svegliati giusto all’ultimo secondo. Puah! Perfino Biancaneve, la nostra sovrana, quella che dovrebbe avere a cuore l’incolumità di qualunque creatura vivente…  ha ordinato di lasciar libera tua madre per ragioni tutte sue. E sua figlia? Ha confessato di essere stata lei a rompere lo specchio-prigione. E alla fine l’hanno pure passata liscia tutte e due, non sia mai che si possa rimproverarle di qualcosa.” 
Hiram Patchfield non sbagliava. Raven aveva pensato molto a riguardo, fino a poco tempo prima. Avrebbe voluto difendere Apple, ma non le riuscì. Era tutto vero e non c’erano giustificazioni. Né per Biancaneve, né per Apple, né per nessun altro alla Ever After High e dintorni.  
Tutto il dolore scaturito dalla vicenda le aveva mandato testa e cuore in subbuglio, ma… ora c’era qualcuno che la pensava come lei, e parlandoci la giovane strega aveva avuto modo di mettere ordine nei suoi pensieri. E a dargli voce: “E’ assurdo.” mormorò. Hiram la fissava. “Dopo tutto quello che ho dimostrato, che abbiamo passato insieme… alla prima difficoltà torna tutto a pagina uno.” 
“Immagino sia difficile cambiare le proprie idee quando sono vecchie di generazioni” affermò Hiram “Non che sia una scusa per tutto il casino.”
”Sai” commentò Raven “Sembri saperla davvero lunga. In genere i comuni cittadini si fanno ancora meno domande dei Reali riguardo alle tradizioni. Senza offesa…” 
“No, tranquilla,  è vero.  Io sono diverso perché i miei genitori erano diversi. Devono aver scoperto qualcosa da giovani, perchè non si sono mai bevuti la recita da santarellina di Biancaneve. E non è che di altri personaggi fiabeschi avessero un’opinione migliore. Pensa, non gli piaceva nemmeno raccontarmele, le fiabe che tutti gli altri da queste parti ritengono sacre.” 
“Davvero?” fece Raven, sorpresa 
“Già. Mamma diceva sempre che oramai non erano più in grado di insegnare nulla. E papà preferiva raccontarmi storie diverse, scritte in terre lontane, dove, a suo dire, avevano ancora un senso.” Ci fu una breve pausa. “Me ne ricordo soprattutto una” fece poi il giovane contadino, con la nostalgia negli occhi “L’Alce Gentile, credo si chiamasse.” 
“Di cosa parlava?” chiese Raven, affascinata “Di, appunto, un alce gentile. Pure troppo.” 
Raven  era curiosissima. 
Hiram non aspettava altro.

“Inizia tutto con un piccolo insetto che chiede all’alce di ospitarlo sul suo enorme palco di corna. L’alce, di buon grado, accetta, ma l’insetto se ne approfitta e chiede che vi possano salire altri animali. I quali a loro volta chiamano altri animali. Sempre più grossi, inutile dirlo. L’alce vorrebbe far notare che la situazione si sta facendo parecchio scomoda, che con tutto quel peso ha parecchi problemi a muoversi, e che i suoi coinquilini potrebbero essere un attimo meno rumorosi, soprattutto visto che è il periodo in cui gli umani vanno a caccia. Ma gli ingrati non lo ascoltano e gli danno pure dell’egoista perché pensa solo alle sue esigenze, anche se ne ha tutto il diritto.” 
Raven ebbe la strana sensazione di aver già sentito quella storia. 
“Le cose non tardano a complicarsi: i cacciatori umani spuntano fuori e, adocchiato l’alce, pregustano già l’idea di un nuovo trofeo. La povera bestia scappa più veloce che può, con quella zavorra fra le corna che continua a lamentarsi perché si muove troppo e quindi non si riesce a stare comodi. Ma non può mica rimanere fermo e farsi sparare, no?” “Certo che no!” gli diede ragione Raven. 
Hiram proseguì: “Bene o male, l’alce riesce a non farsi beccare e raggiunge un fiume. Basterebbe attraversarlo e sarebbe fuori dalla zona di caccia! Ma gli invasori fra le corna glielo proibiscono, perché non vogliono bagnarsi. E intanto, i cacciatori si fanno sempre più vicini.” Hiram fece una pausa ad effetto “A quel punto, al colmo dell’esasperazione, l’alce da una poderosa scrollata di testa e il palco di corna, con ospiti sgraditi annessi, si stacca. Alleggerito, l’alce guada il fiume e il pericolo e scampato. Lieto fine.” 
“Wow.” commentò Raven, impressionata.  Le venne però un dubbio: “Ma, aspetta, e cosa ne è stato degli altri animali?” 
“Ha davvero importanza?” ribattè Hiram “Si sono approfittati dell’alce e questi ci sarebbe rimasto secco. Non è proprio il caso di preoccuparsi di loro.” Concluse, con tono improvvisamente duro.  “Ad ogni modo” annunciò poi, malinconico, mentre si allontanava dalla balaustra “ora sarà meglio che vada. Ho ancora un sacco da fare. Mi scuso per averti disturbato così a lungo. Addio.” 
“Addio.” Fu tutto quello che Raven riuscì a dire. La ragazza rimase sola sul ponte per qualche attimo, a fissare l’orizzonte. 

Hiram Patchfield, ormai fuori Libropoli, si guardò la mano destra. Si stava velocemente colorando di grigio, e in corrispondenza delle vene iniziavano a spuntare piccoli bagliori verdastri. “Ho fatto appena in tempo.” Commentò, per poi alzare lo sguardo e… “Taglia corto e cambia scena.” Uh… va bene…

B.P.: Eh?! Hiram può sentirci?! Come Maddie e Kitty…! Avevo capito capito che venisse dal regno di Biancaneve, non dal Paese delle Meraviglie…
N.N.: Infatti… strano… ma anche interessante. Visto che valeva la pena approfondire di più questa storia?
N.D.: Vi rendete conto che potreste aver appena causato un altro disastro?
N.U.: Ormai è troppo tardi, comunque…

Raven sentì una voce squillante chiamarla, e voltandosi vide Apple, ancora con la divisa dei Giochi del Drago indosso, correrle incontro. Il pessimo umore di qualche attimo prima tornò. “Apple.” Grugnì. 
“Raven! Eccoti qui! Tutto bene?” Raven annuì, apatica. “Sei sparita così improvvisamente dopo la partita… ti ho cercato dappertutto!” 
“Non prima di farti bella davanti alle telecamere, immagino.” 
“Oh, uhm, lo sai com’è…” 
“Sì, lo so fin troppo bene.” 
“Dai, non arrabbiarti, sarà per la prossima volta...” 
“Purchè ai tuoi fan vada bene.” 
“Raven, ma sei sicura di stare bene?” 
“Come se t’importasse.” 
“Cosa?” 
“Niente.”

B.P.: Oh, adesso c’è tutta la parte con Crystal Winter…
N.N.: Chissenefrega. Restiamo su Raven.

Il cosiddetto Inverno Leggendario non fece altro che peggiorare lo stato d’animo di Raven Queen. Intanto, aveva dovuto accompagnare sua madre (dentro lo specchio)  a una conferenza di… non aveva capito bene cosa. Accompagnarla, come se nulla fosse, come se fosse un normale genitore e non una pazza criminale che solo poco tempo prima aveva minacciato il reame e stravolto la sua vita. Per l’ennesima volta. Poi, scoppiato il gelo dentro la scuola a causa del padre di una certa Crystal Winter, tutti pretesero di venire riscaldati dal soffio infuocato di Maipiù. Tutti la ringraziarono, certo, ma ciò non la fece sentire meglio. Quando vi serve qualcosa, che sono buona ci credete pensava la giovane strega. Era pronta a scommettere che, se il Re delle Nevi non avesse dato di matto davanti a tutti, avrebbero incolpato lei per la tormenta. In effetti, ci furono un paio di commenti del genere, una volta che si scoprì che tutto il disastro era partito dai frammenti dello specchio da cui era scappata la Regina Cattiva. Specchio infranto da Apple White, ma nessuno disse niente a riguardo. Ovviamente. Ciò non rese Raven molto disposta ad ascoltare Apple circa la faccenda del non avere più un principe per la sua storia. La lasciava parlare, senza ascoltarla davvero, sperando che finisse in fretta e chiedendosi quanto ancora avrebbe potuto tenere duro in quella scuola.

Se non le fosse stato ricordato da Maddie e gli altri, Raven quel mese si sarebbe scordata della visita. Qualche tempo prima sarebbe andata nel panico all’idea. 
Varcata la porta dell’ufficio del preside, si avvicinò all’uomo per poter firmare il registro. Milton Grimm, per l’ennesima volta, volle ricordarle di non toccare lo specchio. “Non è a me che deve dirlo.” Lo interruppe  Raven a denti stretti. 
Se anche il preside afferrò l’allusione, preferì fare finta di niente. Distolto lo sguardo dall’occhiata raggelante della ragazza, le intimò di fare in fretta e le aprì il passaggio segreto. Raven salì verso lo scantinato con ancora meno entusiasmo delle volte precedenti. 
Sapeva esattamente di che cosa avrebbe parlato con sua madre, della stessa cosa di cui parlava tutte le volte, dell’unica cosa che sembrava importarle e che nel suo delirio pensava interessasse anche alla figlia, non importava quante volte Raven cercasse di farle capire il contrario. 
Raggiunta la stanza, polverosa e isolata, si mise davanti allo specchio, fece un saluto svogliato e come d’incanto sulla superficie vetrosa apparve l’immagine della Regina Cattiva. 
“Raven! Tesoro!” fece la donna, con voce dolce ma piena di secondi fini. “E’ passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che sei venuta!” 
“Hm-mmm.” Rispose Raven, senza nemmeno provarci. 
A sua madre non sfuggì lo scarso interessamento: “Cosa c’è, uccellino mio, qualcosa non va?” 
“Fai te.” Ribattè atona la ragazza. Non si sforzò di entrare nei dettagli, sapeva che sarebbe stato inutile. Era sempre inutile. 
 “E’ per l’ultima partita, vero? Eh, lo so, i “buoni” sanno essere davvero odiosi…!” dichiarò la Regina. 
Raven roteò gli occhi. Ormai da mesi, se qualcuno notava il malumore di Raven, subito lo riconduceva alla sconfitta subita ai Giochi del Drago. “Fammi indovinare: hai in mente un qualche complotto assurdo per sabotare gli avversari la prossima volta?” chiese poi, non dando tempo alla madre di proseguire. 
“Uh, bè, io… perché, sei interessata?!” chiese la donna, sorpresa e inquietantemente entusiasta. 
“Devo andare.” Sbottò Raven, facendo dietro front e dirigendosi in tutta fretta verso le scale. 
“E-ehi! Sei appena arrivata…!” balbettò sconcertata sua madre, assistendo impotente alla porta che si richiudeva. “Raven…?” mormorò incerta la Regina Cattiva, nel silenzio dello stanzone.

“Ehi, signor Narratore, Raven ultimamente è davvero, bè, ben poco meraviglio nastica. Parla sempre meno con gli altri, soprattutto coi Reali. E anche con me, o Cedar o Cerise non è che ormai ci dica granchè… Ho capito che non le è piaciuto quello che è successo con sua madre, ma…” Mi dispiace, Maddie, ma temo che stavolta non ci sarà un finale semplice… il problema di Raven ha delle radici molto, molto profonde, e quanto successo ultimamente è solo… oh, eccola. Scusa, Madeline, devo andare. Tieni duro. Credimi, ne avrai bisogno. “V-va bene…” 
Erano tutti sorpresi di rivedere Raven uscire dalla torre così presto. In genere i colloqui con la madre non duravano meno di un quarto d’ora. Raven ignorò gli sguardi dei suoi compagni. Blondie provò a intercettarla, incuriosita dallo strano comportamento, per intervistarla. Ottenne solo di farsi incenerire il MagicPad da un lampo di magia viola. 
E che pensassero pure che era divenuta malvagia. Non le importava più nulla di cosa pensavano. La sua unica preoccupazione in quel momento era raggiungere camera sua, stendersi sul letto e dormire fino a data da destinarsi. 

Raggiunta la destinazione, allungò la mano verso la maniglia della porta, sperando che Apple non fosse dentro. 
Speranza vana. Aperta appena la porta, sentì distintamente la voce di Apple mormorare: “…non so se sarà possibile…” Raven, sospettosa, sbirciò dallo spiraglio e vide la sua compagna di stanza parlare al magifonino.  Ebbe uno spiacevole dejavu. Apple continuava a parlare: “So bene quali sono i miei doveri, mamma, vedrai che…” 
A quel punto Raven aprì di colpo la porta, annunciando la sua presenza. Apple si voltò terrorizzata, mentre Raven si limitò a dirigersi verso il suo letto, con sguardo spento. 
“R-Raven! Ha-hai fatto presto… “ balbettò la bionda principessa, terminando bruscamente la telefonata.
 “Appena in tempo, direi.” Ribattè indifferente la giovane strega, armeggiando con qualcosa dietro il letto “Come sta Biancaneve?” chiese poi, con intenzione. 
Apple distolse lo sguardo “Uh… bene. Mi aveva chiamato per…” 
“… suggerirti come rendermi cattiva.” 
“Raven, io…” 
“Basta così.” la interruppe Raven, la voce che si faceva sempre più esasperata “Ogni volta ricomincia tutto da capo. E io ormai sono stanca di continuare. Con te, con mia madre, con il preside… con chiunque da queste parti.” Si rialzò in piedi, mettendosi in spalla uno zaino. 
Apple inorridì: “Raven, cosa…?!” 
“Ormai è chiaro che non è qui che troverò il mio Lieto Fine. E io intendo trovarlo, che a voi piaccia o no.” 
Apple era ormai devastata: “Ti p-prego, parliamone…” 
“Per convincermi che sono nel torto? No, grazie.” Raven fece per uscire, ma la figlia di Biancaneve le si parò davanti: “N-non puoi andartene così come se niente fosse!”singhiozzò. 
Raven assottigliò le palpebre: “Ah no?” ringhiò, alzando sempre di più la voce “Dopo tutto quello che mi avete fatto passare, dopo che niente di quello che abbiamo passato è servito a qualcosa, dopo che tu mi hai pugnalato alle spalle, come credi che potrei anche solo riuscire a guardarvi in faccia?!” 
Apple sgranò gli occhi “R-Raven… c-credevo che avessimo già risolto quella faccen…” 
“Certo che lo credevi. Comodo per la coscienza, vero?” 
Apple scoppiò in lacrime: “Sei ingiusta! Se me la fossi presa così per il Giorno della Promessa…” 
Raven non la fece finire. Un gesto della mano e una nuvola viola la avvolse, teletrasportandola al pozzo magico più vicino. “Per loro sarò sempre la cattiva, in un modo o nell’altro.” Pensò, mentre digitava un messaggio sul suo magifonino “Tanto vale esserlo senza farmi venire il nervoso”.

Poco lontano, nascosta fra gli alberi, una strana figura osservò Raven Queen entrare nel pozzo che l’avrebbe portata magicamente chissà dove. Un ghigno compiaciuto si delineò sul volto grigio pallido e illuminato di verde dalle sinistre pupille dei suoi occhi. 
“Era ora.” mormorò “I ragazzi non avrebbero aspettato ancora a lungo.”
  
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