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Autore: Jade_S    21/06/2017    0 recensioni
Brux Erol ha diciassette anni. Nonostante la sua giovane età, i suoi sogni, le sue capacità e il suo desiderio di essere qualcuno è, purtroppo, costretta a lavorare per potersi mantenere: suo padre è in giro per il mondo; lui è Alfons Erol, un imprenditore molto importante e conosciuto ma, nonostante ciò, non passa un centesimo ai figli.
Sua madre invece è malata ed è in ospedale da molto tempo; i due si sono ritrovati ad affrontare una rottura qualche anno prima.
Si ritrova sola con il fratello Jake e la sorella Elvira, rispettivamente di ventidue e diciannove anni.
Jake, pur aiutando economicamente le due sorelle non ha abbastanza soldi, poiché deve mantenere anche suo figlio Karl di quattro anni avuto con Carol, studentessa di vent'anni.
Elvira lavora in un bar, nonostante il suo compagno Mark la aiuti molto ma, presto, si troverà in una situazione che renderà tutto molto più difficile.
Brux, invece, lavora in un negozio di abbigliamento; è qui che incontrerà qualcuno che, pur non avendo delle buone intenzioni su di lei, la farà ammattire e innamorare. Qualcuno che nonostante tutto la renderà felice. Qualcuno che la salverà da tutto.
Lei verrà rapita, a seguire, per motivi a lei sconosciuti.
Genere: Drammatico, Erotico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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«Brux svegliati, devi andare a lavoro e sono già le otto!» Mi sveglio con questa terribile frase: lavoro e otto nella stessa frase, oh no. Non riesco a decifrare la voce di chi mi ha svegliata poiché sono ancora nel mondo dei sogni; non riesco ad aprire gli occhi e vorrei stare a letto tutto il giorno, ma non posso. Devo alzarmi, devo andare a lavorare. Aspetta! Se ho sentito bene, sono le otto! Non posso arrivare in ritardo, Jason si incazzerà e devo ringraziare non so quale santo, se non mi caccia. Apro gli occhi di botto, per poi richiuderli data la luce accecante. Dopo averli riaperti lentamente, prendo il cellulare per vedere l'ora e mi stupisco di me stessa per aver dimenticato di attivare la sveglia alle sette. Brava Brux, complimenti. Sono le otto meno cinque, così mi alzo dal caldo letto. Poggio lentamente i piedi sul pavimento congelato, poi realizzando che alle otto e un quarto dovrei già essere al negozio, corro in bagno per fare una doccia veloce: spero bastino cinque minuti. Senza fare caso all'acqua leggermente fredda, che io odio, mi lavo velocemente: sarà pure inverno e farà pure freddo, ma l'adrenalina sul mio corpo quando sono in ritardo è tanta. Esco fortunatamente dalla doccia dopo pochi minuti e dopo essermi vestita con un paio di jeans, maglione e Vans, perché la comodità va prima di tutto, sistemo il mio viso da zombie con un po' di trucco: correttore, mascara e tinta labbra, ciò che mi salva la vita. Appena esco dal bagno e torno in camera, prendo il mio cellulare e il mio cappotto. Non ho neanche il tempo di sistemare la camera, che è sottosopra, perché sono già le otto e undici. Scendo frettolosamente di sotto, rischiando di cadere e rompermi una gamba, per poi andare in cucina e prendere la mia borsa che sta sul tavolo, preparata ieri sera. L'odore di caffè mi invita a sedermi sul tavolo e fare una buona colazione, ma questa è l'ultima cosa che devo pensare. Qui c'è mia sorella Elvira che prende il suo caffè, appoggiata sul bancone della cucina, con la tazza in mano e addosso la sua vestaglietta viola: non dovrebbe essere a lavoro? «Buongiorno ritardataria, il letto ti ha fregata?» dice ironicamente, sorseggiando la sua bevanda. «Non me ne parlare, se Jason se ne accorge mi caccia! Tu, piuttosto, non dovresti essere a lavoro?» chiedo, sperando non sia stata licenziata. «Questa settimana ho il turno dalle sedici alle ventuno. Sai che palle stare a lavoro fino a quell'ora! Poi il proprietario è un vecchio fastidioso, stare sotto i suoi comandi è una seccatura.» sbuffa lievemente. Annuisco ma solo adesso mi accorgo che sono ancora più in ritardo di prima: «Dio, santo. Io vado, a dopo!» dico salutandola frettolosamente, poi prendo la borsa e le chiavi ed esco. Non ho una macchina poiché sono ancora minorenne e non ho nemmeno un motore, anche se dovrei comprarlo, ma con la disponibilità economica di questo periodo è quasi impossibile poter comprare una moto; ammetto che è una vera tortura dover andare a lavoro a piedi, soprattutto in inverno quando nevica o quando piove. Da casa mia al negozio ci sono tre minuti di strada in macchina, mentre cinque minuti a piedi. Il mio capo è una persona che tiene alla precisione, agli orari e all'ordine: -8:15, tutti i dipendenti devono arrivare puntuali per sistemare i nostri capi negli appositi reparti. -8:30, cominciare ad aprire e accogliere i clienti. -12:30, metà parte del personale può fare un piccolo break. -13:00, chiusura. -16:30, apertura. -18:30, metà parte del personale può fare un piccolo break. -21:30, chiusura. Questo è un regolamento che Jason stesso ha fatto, scrivendolo sul suo computer e stampandolo. Lo ha consegnato ai suoi dieci dipendenti, due dei quali però si sono arresi e, di conseguenza, licenziati per via della tarda chiusura di sera. Guardo l'orario dal cellulare e vedo che sono le otto e diciassette: dai, posso farcela! Mancano due minuti di strada, speriamo bene. Guardando le notifiche dal cellulare trovo una chiamata persa da Abby, una mia collega di lavoro ma anche una mia grande amica: perché mi ha chiamata? Per togliere ogni dubbio, decido di chiamarla. «Brux, dove sei?» dice lei non appena risponde, così mi affretto a dire: «Sto arrivando, che succede?» Lei sospira dalla parte opposta del cellulare, sembra affannata più che altro: «Jason oggi è fuori di testa, sta delirando!» dice, non capisco. «Come sta delirando? Spiegami...» «Allora, -sospira e prende fiato- Jason è fuori di testa perché sono l'unica oggi, a parte Bernadette, ad essere puntuale; siamo qua dalle otto e dieci, lui era qua già alle otto. Non capisco questo suo comportamento.» dice. Per evitare di ridere, concludo con un semplice: «Tranquilla, sto arrivando.» e riattacco. Jason è un uomo un po' così, tiene molto al suo lavoro: c'è un motivo se è così fuori di testa a volte, ed è una cosa che solo pochi sanno in città, me compresa. Tramite amiche di mia madre ho scoperto che la sua relazione con la moglie non è delle migliori perché si suppone che lei abbia un amante; spesso Jason impazzisce per poco e l'unica cosa che ha di prezioso sono i suoi figli e il suo negozio che ha aperto con tanti sacrifici, da quel che so. A volte è insopportabile, e bisogna ammetterlo, ma è anche una persona affettuosa e comprensiva: tranne quando ritardi a lavoro, e in questo caso sì, è insopportabile. Finalmente arrivo, anche se non in orario: sono le otto e ventuno. Apro la porta ed entro, vedo Abby che viene verso di me e dice: «Non parlare, non fiatare, sopporta e basta.», cos'è, un avvertimento? So già che è riferita a Jason, così annuisco e poso la mia roba sotto il bancone per avere tutto a portata di mano: mi guardo intorno, Bernadette, chiamata anche Benny, si avvicina con un dolce sorriso per salutarmi, così ricambio il saluto. Mentre Benny si allontana per fare il suo compito, io guardo tante scatole di nuove collezioni, così mi metto a lavoro. Vedo Jason dirigersi verso di me, resto indifferente cominciando a sistemare vari capi di Gucci, Armani, Liu-Jo e quant'altro. «Bridgitte Roxana Erol.» sento chiamarmi con il mio nome completo, segno non positivo. È il mio caro vecchio capo. «Buongiorno, signor Traynor.» dico, girandomi verso la sua direzione e sfoggiando uno dei miei sorrisi più preoccupati di sempre, cercando di rimanere tranquilla: non tengo proprio a perdere il mio lavoro che, in fondo, mi piace. E no, non sto esagerando se dico che potrebbe licenziarmi per uno stupido ritardo. È capitato altre volte che molte dipendenti siano arrivate in ritardo, proprio in quelle giornate dove Jason era di luna storta, decidendo poi di licenziarle perché secondo lui non erano all'altezza: adesso non direte più che sto esagerando. Lui mi lancia uno sguardo un po' "criminale", poi, indeciso su cosa fare, valutando se urlarmi o lasciarmi stare, dice: «Hai fatto un ritardo bestiale, seguimi.» Oh merda. La paura si impossessa del mio corpo, che cosa dirò a mio fratello se dovesse licenziarmi? "Sai Jake, Jason mi ha licenziata perché sono arrivata in ritardo, ma tranquillo mi troverò un altro lavoro al più presto". Decisamente no. So quanto è difficile per lui, un giovane ragazzo di soli ventidue anni, avere sotto tutela due sorelle e un figlio: fortunatamente il piccolo Karl non chiede troppo, non è un bambino viziato e a volte, quando mi ritrovo qualche soldo in più, decido di fargli un regalino: mio nipote è tutta la mia vita, l'unica bella notizia avuta in questi ultimi anni. Lo amo come fosse un figlio perché, in fondo, per me è un figlio. Carol, ringraziando il cielo, è una mamma bravissima e una cognata dolcissima. Invece mio fratello è il padre migliore del mondo: sta facendo da padre anche a me ed Elvira, ed io gli voglio un bene immenso: meriterebbe una statua. Ed è brutto sapere che, mentre tu stai lottando per andare avanti, per farcela, per sconfiggere la crisi interna ed esterna che ti divora, dall'altra parte del mondo c'è un imprenditore che è tuo padre, colui che non ha intenzione di mandarti un misero dollaro, colui che non ti ha mai voluto, colui che ti considera uno sbaglio. Dopo tutta questa lunga riflessione, sospiro e seguo Jason, continuando a pregare. Lo vedo fermarsi, così faccio lo stesso io. Lui incrocia le braccia e comincia a guardarmi: «Bridgitte, vedi..-» comincia, ma lo interrompo: odio quando mi chiamano Bridgitte. «Brux, per favore, mi chiami Brux.» lui annuisce e continua: «Va bene, Brux. Allora, sai la fine che hanno fatto tutte le tue colleghe che hanno ritardato di...-si ferma per guardare l'orologio al suo polso, poi mi guarda nuovamente abbassando il braccio-...di dieci minuti, giusto? Non vorrei fare lo stesso con te perché, intendiamoci, detto tra noi sei un membro fondamentale del nostro negozio, la gente ti stima, viene qua non solo per la qualità, ma in seconda posizione anche per la tua gentilezza. Si rivolgono a te e sei sempre disponibile, diciamo che tu sei stata la mia prima dipendente e questo è una cosa importante...» comincia. Annuisco, mordendomi il labbro inferiore. Non so cosa fare, sinceramente. Lui mi guarda e fa un ghigno: «Bene...-ricomincia- per questo ho deciso di non mandarti via, capita a tutti di ritardare una volta sola. Ci siamo intesi, Brux? Sai che tengo a questo negozio, ai suoi orari e ai suoi tempi.» «Va bene, signor Traynor, mi scusi. Sono mortificata, non capiterà più. E la ringrazio per non avermi cacciata.» dico, ancora più felice. Lui mi guarda, annuisce e poi dice: «Bene, adesso vado.» Sorrido e annuisco, sono davvero felice che mi abbia dimostrato fiducia. Mi incammino verso la folla: sono già le nove, com'è possibile? Il negozio è pienissimo di gente che cerca informazioni, gente che prova abiti, chi acquista, chi li riporta indietro per cambiarli. Mentre sistemo gli abiti della collezione Louis Vuitton, vedo che Abby si avvicina a me, con in mano un paio di jeans. «Brux, guarda là fuori... -dice, indicando fuori-, quel ragazzo è sempre lì fermo a guardarti, tutti i giorni alla stessa ora.» dice, facendomi accorgere del ragazzo. È impossibile che guardi me, tra tutta la folla. «Scherzi Abby? Non può guardare proprio me, ogni giorno viene un mucchio di gente qui, non penso mi spii. Possibilmente guarda te!» dico, ridendo. Lei alza gli occhi al cielo: «Se così fosse, Cameron gliele suonerebbe, mia cara.» dice, nominando il suo ragazzo. Io ridacchio e poi sospiro: «Sei sicura che guardi me?», dico tornando seria. «Secondo me sì. Ogni giorno è lì, non te ne sei mai accorta?» chiede. Nego con la testa e lei mi guarda, facendo spallucce. Passano due ore circa, dopo quella chiacchierata, fin quando qualcosa dentro un camerino maschile attira la mia attenzione: è un portafogli, dentro vi è la carta d'identità, molte carte di credito e qualche banconota. Apro la carta d'identità per vedere di chi è, così scopro che il nome del ragazzo è Harry Styles. Fortunatamente in questi documenti vi è anche la residenza: lo porterò all'indirizzo segnato appena uscirò da qui. Povero ragazzo, chissà se adesso starà cercando come un disperato il suo portafogli. Guardo meglio la foto del possessore di questo documento, fin quando mi accorgo che questo ragazzo in foto, è il ragazzo che secondo Abby mi guarda ogni giorno: sarà un caso? Non facendo caso più di tanto a quel documento, mi dirigo al bancone e poso l'intero portafogli dentro la mia borsa, lo restituirò io stessa. Mentre la gente si avvicina per pagare, mi allontano un attimo, per sistemare le ultime cose. Non capisco perché la gente debba strappare le etichette ai vestiti se poi non li acquista, a che cosa servirà mai? Sono sicura che andremo fuori di testa senza cartellini con prezzi e codici scritti. Raccolgo i vestiti da terra, perché devono buttare i vestiti a terra? Dio santissimo, non capirò mai la gente. Sospiro piegando le ultime maglie buttate a casaccio dentro il camerino, per poi sentire una strana presenza dietro di me, come se ci fosse una strana attrazione tra me e la persona che mi sta dietro. Mi giro e mi accorgo che il ragazzo che ha perso il portafogli è dietro di me, a tre metri di distanza. Sorrido e sospiro: «Ehm...scusami?» dico, avvicinandomi a lui. Il ragazzo si gira e mi guarda, per poi dire: «Parli con me?», e si indica. Porta moltissimi anelli tra le dita, ha un tatuaggio con una croce, che mi colpisce subito, ed ha le mani estremamente sexy; le vene sulle sue mani lo rendono ancora più affascinante. Io sorrido: «Sì! Aspetta...allora tu sei Ha-...ehm...Harry!» dico, cercando di ricordare il nome, lui continua con: «Harry Styles.» sospiro, e dico: «Hai perso il portafogli, l'ho messo in borsa intenta a riportartelo, ma adesso che ci sei te lo restituisco.» Tocca le sue tasche posteriori, poi dice: «Oh, vero, che sbadato. Grazie mille, ti aspetto qui.» poi sorride. Mi allontano per andare a prendere il portafogli e vedo Abby che mi guarda con un sorrisino malizioso: «Ah, ecco! Vi ho beccati!» dice. Ridacchio e dico: «Veramente ha perso il portafogli nel camerino e glielo sto restituendo, Abigail.» Lei alza gli occhi al cielo: «Ah, sono tutte scuse: ha fatto tutto ciò perché gli interessi, voleva provare a parlare con te.» «Ma smettila, sarà anche fidanzato. È troppo grande per me, e poi io non sono così affascinante per un tipo come lui.» «Sì che la sei, sei una bella ragazza, Brux.» Alzo gli occhi al cielo, prendo il portafogli e dico: «Vado a restituire ciò che non mi appartiene.» lei sorride e mi fa un'occhiolino, io la guardo e sorrido. Vado verso il ragazzo che mi guarda e poi mi ringrazia: «Grazie mille, è difficile trovare persone come te in giro. Se non fossi stata tu a trovarlo, qualcun altro mi avrebbe derubato.» «Già, ma delle buone basi familiari servono, se ti basta ciò che hai, non proveresti mai a rubare.» sorrido. Lui sorride e mi porge la mano: «Harry Styles, comunque.» «Brux Erol, piacere.» dico e stringo la sua mano. Al suono del mio nome il suo viso impallidisce, deglutisce e stringe la mia mano ancora di più poi, dopo qualche secondo, sorride nuovamente: «Tutto bene?» chiedo, lui annuisce: «Sì, tutto bene, tranquilla.» «Comunque, sei forse inglese? Dal tuo accento si direbbe di sì.» lui annuisce e poi dice: «Già, ma sono qui poiché sono solo... anzi qui ho qualche amico, ma in Inghilterra andava tutto male: mio padre è morto tre anni fa, mia madre  si è risposata e non mi considera più un figlio, i miei "amici" erano cattive compagnie... bello no?» dice guardando altrove, poi guarda me. «Ti capisco, è difficile vivere senza un padre, senza una madre... -dico, pensando al mio di padre, poi vedo Jason guardarmi, così mi interrompo.-, magari ci vediamo un'altra volta per parlare di più, se il mio capo mi vede qui a parlare mi uccide.» lui annuisce e dice: «Alle tredici magari, va bene? Ti aspetto qui fuori.» dice, così annuisco. Ne sono sicura? Insomma, lo conosco da quindici minuti. Comunque sia sarà solo una chiacchierata, e ne sarò felice, magari mi farò qualche amico qui, poiché ho solo Abby e Benny. Lui esce dal negozio sorridendomi, e salutandomi con un cenno della mano, io sorrido e poi continuo a lavorare, sperando che quella che avverrà sia una chiacchierata tranquilla.
   
 
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