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Autore: queenjane    21/06/2017    0 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Aveva preso un colpo di freddo visitando le truppe, starnutendo così forte da avere una violenta emorragia al naso, tanto che il suo tutore Gilliard e il medico imperiale avevano violato l’ordine tassativo di Nicola II di non essere disturbato, che era in corso una riunione informale, importante, tranne che lo zarevic contava di più, la sua salute aveva la precedenza .



Ero rientrata alla Stavka, ennesimo periplo, vestita da ragazzo, i capelli corti come il mio nuovo uso, con una stanchezza millenaria nelle ossa quando bussarono all’ufficio dell’imperatore, mentre controllava le mappe e le avanzate con me, mio zio e Andres.

Per esperienza, in quei momenti concitati, sapevo che nessuno badava a chi tampinava lo Zar, eravamo tutti anonimi, ombre sfuocate, quindi gli ero corsa dietro. Il cuore mi rotolava dentro il petto, e mi ero fermata, impalata rigida, quando lo avevo visto, respirando rapida e superficiale, come quando Andres mi aveva tirato un pugno sullo stomaco, sbattendomi per terra.


No. NO, No. Il palmo contro le labbra, vedendo la cauterizzazione, le bende impregnate di sangue. NO.


I suoi lamenti.. era l’inferno, un dolore che non meritava. Come ricevere un ulteriore colpo sul viso, sullo stomaco.

NO. NO. Come quando il principe Raulov mi aveva frustato, incidendo la mia schiena, chè avevo osato contrastarlo, picchiava mia madre per l’ennesima volta. NO. NO. Mi ero morsa le dita a sangue. No, Aleksej, no.



“.. deve stare su.. è agitatissimo.. Speriamo che…” Brusii soffusi “ I suoi marinai sono esausti..non vuole stare fermo” Ha paura.. idioti, ha dolore ed ha paura.. come ne avrei io, come chiunque, dategli un bacio, non toccatelo solo per fargli male.. Male per dire, occorre per le medicazioni, e nelle pause dell’emorragia non merita forse di essere confortato?Dategli una carezza, stringetegli una mano, imbecilli..



“Vuole ..insomma quando riusciva a parlare voleva sua madre, le sorelle e..Cat..? “ “Il gatto..”




“Qui ne abbiamo altri due, di marinai” la voce di Andres, gli avevo posato una mano sul braccio, parla tu, svelto in azione, Fuentes “Scusate.. eccoci “e tanto Botkin, uno dei medici imperiali, mi aveva riconosciuto al volo, e sarebbe stato ben muto, il suo viso era una maschera, io mi ero inclinata nell’ombra.


“Troppa gente.. Maestà, proviamo con questi nuovi, tutti fuori..” “Cosa avete combinato?”Scosse la testa, il medico che mi aveva assistito tanti anni prima ritenne saggio omettere altre indagini“Nulla di particolare.. Mi sa che Cat sono io, mi chiama sempre così”


“Aleksej, zarevic..”mi ero inginocchiata davanti a lui, era sporco di sangue e sudore, gli occhi appannati per il dolore e le lacrime, agitato senza rimedio. “Zarevic sono Catherine..” in tono basso “Mi ci metto io, vuoi, a tenerti sul divano?”Una pausa “Ora ti pulisco il viso, non so il dolore che provi,sst, tranquillo, ci sono, sei Achille, un eroe, resisti a tutto, sei fortissimo” Gli avevo tamponato le macchie di sangue e sudore, e tanto era meglio se mi mettevo dietro, stupida che ero. E mi aveva riconosciuto, gli occhi si spalancarono, infiniti, azzurri “Va bene se Andres ti tiene sollevato, fidati, è bravissimo, solo un attimo, il tempo di sedermi..” quando era piccolo, piccolo davvero, intendo, e aveva una crisi, e il dolore lo intontiva, lasciandolo prostrato, che non mangiava o dormiva, solo gemeva, andavo (se era possibile) e mi accostavo vicina, senza toccarlo.. Che avevo paura di fargli ancora più male, parlando per minuti od ore, alla fine ci addormentavamo, e mi ritrovavo le sue manine sul viso, tra i capelli, entrambi esausti, che cercava un contatto, e quando stava bene non facevo pari a tenerlo in braccio, a giocare con lui, a viziarlo.



Ora era diverso, ero diversa, io, ammaccata e lucida, era il mio zarevic, il mio fratellino, c’ero e dovevamo affrontarla insieme, se voleva. Appoggiai la schiena al divano, una posizione sgraziata, maschile, e aprii le braccia “Ci siamo, piano eh.. che c’è? Andres..” “ Salve zarevic, ora vi lascio, c’è Catherine, va bene.. Ssst, andrà tutto a posto, sst querido”Sussurrò qualcosa in spagnolo, in quel suo linguaggio melodioso, che ricordava la musica del vento tra le foglie, me lo appoggiò addosso come se fosse un tesoro. Gli posai una mano sul petto, si sollevava con minore affanno “Zarevic, sono qui”



“Tienilo calmo, sarai meglio di una medicina, lo sa solo lui quanto ti voleva” Risposi con un cenno della testa. Lo zar si allontanava, non sopportava a lungo i gemiti di Alessio,come al solito, Andres lo seguì per chiedere istruzioni, i suoi occhi verdi avevano incrociato i miei per un breve momento, saldandosi insieme, poi rientrò. Sussurrai “Sono qui, Alessio, amore ”Scemenze per distrarlo, o consolarlo, oppure distrarre me stessa, almeno un poco, non so nemmeno se mi ascoltasse, sennò non sarei stata io, giusto due frasi per non smentirmi, ne dubito, anzi, stava troppo male, pure ebbe ancora una piccola reazione, mi serrò il polso mentre alzavo il busto, non ti lascio, sussurrai, tranquillo. Sono qui, non è il delirio ci sono davvero, resto, vuoi?. Forse sussurrò Cat, uno strazio reciproco. .



Ero appoggiata contro il grande divano, la schiena di Alessio contro il mio torace, lo avvolgevo tra le braccia, la testa che quasi sfiorava la sua, le ciocche castane mescolate, ogni tanto mi toccava il polso, spostandosi mi posava la guancia sul seno, o aspirante tale, che di curve non avevo tante, ero snella fino alla magrezza estrema. Che ironia, mesi prima quando lo avevo portato a cavallo, non era successo nulla, era bastato un raffreddore per ridurlo in quelle condizioni, la pelle color carta, il battito irregolare. Già. Sono qui. Sei qui. Non ti lascio, tieni duro, la passiamo insieme, va bene?cerco il coraggio, il distacco, sempre, tranne che ti adoro, Zarevic, non mi lasciare sola, se puoi. So che soffri, e io non posso fare a meno di te, sei la mia parte migliore, con te non sono dura, arrogante e distaccata, superba come Lucifero, rimani ancora un poco, resisti, bambino mio, e che posso fare, se non tenerti tra le braccia.. e ti voglio tanto bene, perché non te lo ho detto a voce, invece di scriverne.. sono una disgraziata, una cretina..


I chirurghi imperiali avevano cauterizzato la narice, un processo doloroso, senza guardare chi lo teneva tra le braccia, cambiando le bende quando si impregnavano di sangue, uno valeva l’altro, bastava tenere calmo il regale paziente. E tanto erano vincolati dal segreto professionale, Botkin, poveraccio, era abituato alle mie stranezze da anni. Avevo badato a parlare il meno possibile, cercando di non mettermi a piangere nel sentire i suoi gemiti, sapevo che i singhiozzi lo agitavano ancora di più. Ero stanca, piena di pena e rabbia. “Deve stare su che da sdraiato rischia un maggiore sanguinamento” Nicola aveva mandato un telegramma a sua moglie, che stava volando alla Stavka, reputando prudente non farlo muovere in treno per riportarlo alla capitale. Mancava una settimana a Natale, almeno a quello di rito cattolico,realizzai. La nascita del Salvatore, ma cosa festeggiare se l’erede di tutte le Russie fosse morto, il mio era un pensiero blasfemo, cosa raccattare in quei momenti. E serrai lo Zarevic, gli avevo promesso di tornare per il Natale cattolico e non così. Non volevo, non era giusto, ne avevo tante da farmi perdonare e non poteva morire a undici anni per una epistassi.. Per lui, è un bambino malato e ha una voglia di vivere che rompe ogni argine, a te di morire non importa nulla e .. Aleksey..Sillabo il tuo nome, torno al presente, mi calmo, a te serve una persona lucida, non una isterica. Ho più paura adesso di quando ero vicina alle trincee e il rumore delle granate rombava nell’aria, sono qui e vorrei essere da un’altra parte, rinuncio a comprendere, manco ci provo. O, in semplicità, quando soffre chi ami vorresti che fosse un incubo ed essere altrove e mica funziona così.


“Sei incredibile, lupo” “In genere sostieni che sono una scocciatura” “Siamo una buona squadra e sì, ti ho fatto un complimento. “Strinsi ancora più forte Alessio, osservando che le bende erano candide da almeno sei minuti, vigile, non parlava ma ascoltava. Gli sfiorai una guancia, se riflettevo che ai tempi della crisi dopo Spala, al palazzo di Alessandro, neanche lo volevo prendere in braccio, vi era di che ridere, seriamente. E ora ero una spia, un membro della polizia segreta, una peccatrice senza fallo, che lo stringeva e cullava, scherzando. Se ti rimetti, Alessio, ti porto a cavalcare e a sparare, fidati. Ci provo, guarderò te e non l’emofilia, vedrò il principe, il guerriero, non il malato, fammi provare, non lasciarmi.. Ti prego, perdona tutto il tempo che ho sprecato. Lasciami provare, fidati di me, e non lo merito. “Raccontami di Ahumada e di quando cacciavi i lupi, e di come hai catturato una preda eccezionale, ovvero mio zio, o quasi” Sfiorai la tempia bendata dello zarevic, percependo che era in una pausa dai dolori, R-R era 1 e 85, per quasi 90 chili, era curioso di conoscere, gli pareva una barzelletta e ben si prestava, povero zio. Intanto gli baciavo la fronte, i capelli, delicata, sapevo che gli faceva piacere, si distraeva, una pausa per entrambi. Che il processo di cauterizzazione era dolorosissimo, meritava di avere un momento di conforto, essere toccato in modo gentile. Andres sbuffò. “Ahumada, in punto di cronaca per lo zarevic, come già detto in altre occasioni,è un castello sui Pirenei, sul versante spagnolo, circondato da boschi e foreste, la casa dei miei avi, che siamo stati marchesi, poi diventati principi, i Fuentes dai mille talenti. Nel fitto del bosco, si dava per certo che vi fossero dei lupi. Avevo tredici anni e stavo fuori con ogni tempo, alla peggio dormivo in un capanno di caccia e scavavo buche,mi davo da fare una trappola che poi ricoprivo d’erba e terra, e facevo passeggiate e giri di ricognizione, con il mio fratello più grande Jaime. Ci divertivamo anche a pescare ad un torrente, facevamo trappole per conigli .. I due vagabondi, ci appellavano al castello, mio padre da un lato ne rideva, dall’altro non sapeva che farsene di due teste matte come noi due. Comunque, doveva venire un ospite e io e Jaime eravamo latitanti nel bosco..Catherine, cazzo, sanguina di nuovo.. ” Sospese il racconto, mentre rientravano i chirurghi, le bende erano di nuove intrise di sangue. Cauterizzarono, Andres, immobile, in un angolo, le dita di Alessio contro il mio polso, una stretta così forte da lasciare il segno, sussultava per il dolore, appena un gemito rivelava il grado della sofferenza . Sentivo i mormorii, il nuovo marinaio infermiere, sul serio i miei travestimenti erano ben fatti e poi ci lasciarono soli, avevano riscontrato che tante persone agitavano Alessio, lo serrai cercando di tenere ben alto il busto, gli massaggiai lo stomaco, le costole, movimenti improvvisati, colmi di delicatezza, ti voglio tanto bene, zarevic, cerco di tenerti tranquillo, taccio che le storie le racconta Andres, io intervengo a tratti, sono con te, sempre, e so che ti reca conforto essere toccato in modo dolce, gentile. Pregai che Alessandra giungesse presto, che fosse sempre vivo. Intanto, le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, la voce del mio principe un incantesimo contro il buio. E che lo amavo, non lo avrei più lasciato senza un saluto vero. “Racconta Andres” “Rostov Raulov era venuto in Spagna per un libro di memorie, sul vostro capostipite., Felipe, mio padre Xavier dei Fuentes lo accolse e lo invitò a fare un giro. Il principe cadde nel fosso.. Passeggiava e finì come un allocco nella mia trappola. Poi gli sono rimasto simpatico..Lasciamo perdere” Risi per non piangere, Alessio si mosse, credo che ne rise anche lui di quella cosa inopinata. In parte, serrò la schiena contro il mio sterno, percepii il movimento delle sue dita sui polsi, mi rovesciai un poco in avanti, rafforzando la stretta delle braccia, e si calmò, ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo. “E andiamo con le storie dei Fuentes e dei pirati, queste so, non ho grande inventiva, che spetta a te, cara Catalina ”Andres mi passò un asciugamano, asciugai la fronte allo zarevic, potevo solo abbracciarlo. Quando ero arrivata a Spala, non avevo visto tutto. Alessio capiva Catalina in spagnolo, Catherine, lui intuì prima di me e Andres dove saremmo finiti.


Compresi la zarina, il suo strazio, almeno un poco. I particolari, ossessivi. La trama di legno delle pareti, le ciocche di Alessio che si intrecciavano alle mie quando chinavo la testa contro di lui, l’eco della cauterizzazione nell’aria ferma, fuori era caduta la neve, l’impronta delle falangi dello zarevic sui miei polsi, mi aveva stretto così forte mentre i medici facevano il loro lavoro,da lasciarmi poi i lividi, oltre che il segno delle unghie, il corpo inarcato e teso per il dolore, tenevo il busto alto, i pantaloni che indossavo,grigi, con un piccolo strappo sulle ginocchia, che ancora non avevo rammendato, gli avevo accostato la testa sul seno, a tratti.. ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo. Alla fine era stato Andres a portare dell’acqua, una caraffa e una ciotola di ghiaccio in cubetti, glielo avevo sussurrato piano. Bevvi avida, avevo sete e fame, il mio corpo baro, eterno Giuda, si ricordava sempre di vivere. Diede una carezza al ragazzino sulla fronte, poi gli passò un cubetto di ghiaccio sulle labbra riarse, a farlo bere non si fidava, che poteva venirgli un attacco di tosse, pessimo nelle sue condizioni, ma era disidratato, con infinita pazienza ne passò quattro o cinque. Appena accennavo a muovermi mi stringeva ancora di più, come se lo volessi lasciare, e avevo sete, mi raccomandai ad Andres. Se non l’ho amato in principio, ho cominciato allora. Dico di Andres, che volevo bene a Alessio da un pezzo. Ed anche allora sapevo di mentire a me stessa, le scuse che tiravo fuori, le balle per non dare ai sentimenti il loro nome.. Io e il mio armadio personale avevamo fatto l’amore dieci giorni esatti dopo il nostro primo incontro, nell’ora che precedeva l’alba ognuno era per l’altro uno sfogo, una tregua. Anzi, sesso, come lo definivo, uno sfogo di lussuria, potevamo non sopportarci in principio, tranne che a letto siamo andati d’accordo fin da subito. Ed era una difesa, era piacere e amore, i nostri corpi erano ferro e calamita, acqua per purificare, fuoco per la reciproca attrazione. Pure ammettere di amare qualcuno richiede coraggio. Quali negazioni formulare, chè, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, ti amavo, Fuentes maledetto. Per le cicatrici sulla schiena aveva rilevato che era insieme a mio zio quando avevano sistemato Pietr Raulov, si era solo rammaricato di non avergliene suonate più forte. E che non dovevo vergognarmi di nulla, avevo agito per giustizia, per difendere mia madre. “Alessio, ascolta, la tua mamma sta arrivando. Probabilmente non rimarrai qui alla Stavka, tornerai al Palazzo di Alessandro” Le parole scorrevano piano, avevo la gola roca”Per la convalescenza. Io non mi posso far vedere, lo sai, per le coperture. Non ti agitare, ascoltami. Torno a Pietrogrado, non ti lascio, cerco di fare pace con Olga, va bene, tra poco vado via, sono qui e ci vediamo presto.. “Lo avevo spostato sul braccio sinistro, tenendolo con l’altro, con una fatica immane mi sfiorò una guancia, l’unico segno di colore che aveva sul viso erano le mezzelune viola sotto gli occhi e le sopracciglia castane” Va bene, sto zitta, qualcosa ci inventiamo, piccolo principe.” Sbatté le palpebre due volte, come a dire no. quando non riusciva a parlare aveva elaborato quel sistema, due volte no, una sì. Non capivo. Tamburellò le dita sulla mia guancia, a fatica, e la toccai. Era salata di lacrime. “Non devo piangere, va bene. Hai ragione, non me ne ero proprio accorta” Per discrezione, Andres aveva voltato le spalle, osservava con interesse la tappezzeria del muro. Aspettò che mi ricomponessi, mi riuscì a tirare fuori un sorriso poi scambiammo la posizione, staccare il bambino dalla mia stretta fu una amputazione. Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Dotato di umanità, non si tirava indietro dinanzi a nulla, fosse un ingaggio che consolare un ragazzo malato. Passai Alessio nelle sue braccia, gli diedi un bacio, non osavo affermare ci vediamo presto, aspettavo i secondi, ogni minuto che passava senza che le bende si impregnassero di sangue era ottimo. “Io vado, ragazzi. A presto. Ciao Alessio, ciao Andres” mi persi a asciugare la fronte del bambino, era madida di sudore, come la gola, la carotide batteva sotto le dita, in affanno, ma stava un poco meglio, gli tamponai i capelli sudati e l’avevo detto.. Idiozia. Gli appoggiai il viso per un momento contro il plesso solare, senza premere. “ A PROPOSITO, sono tornata.. E ci rivediamo, sai come riesco a essere petulante e egocentrica, no” Gli baciai le mani, ridendo, sommessa, i palmi più piccoli tra i miei,stringendoli, ricambiò“Alessio, amore, ora devo andare davvero, mi spiace, e ci ritroviamo. Guarda, non piango, cerca di stare tranquillo, sì, perfetto, ti voglio tanto bene, so che lo sai, e lo devo dire, so che mi vuoi bene pure tu.. arriva a casa, diamoci due o tre giorni di tregua, di riposo, poi arrivo, mi vuoi vero”Un battito di ciglia” Solo diamoci un poca di tregua, che è stata lunghissima, soprattutto per te..”Tacqui e ci scambiammo una occhiata preziosa, miele contro zaffiro, senza sillabe. Seppi, una sorta di prescienza, che sarebbe rimasto. “Riposati, amore,a presto, sono con te. Ora no, ma se vuoi al Palazzo di Alessandro ti tengo in braccio, dormo con te, ti porto fuori, ora che vuoi?“avevo inteso e non stavo capendo male il gesto , mi ricomposi.”Il mio monello preferito, eh,ripassamelo Andres, tutto a posto, vuole che lo tenga ancora!”Me lo raccolsi addosso, tenendolo in alto”Poi quando vado, non ti agiti ..” Inarcò le sopracciglia, era un sì. “Aleksej, bambino mio, tesoro mio grande” declinai ogni forma di amore e tenerezza, osservai che doveva mangiare, che poi me lo divoravo seduta stante, ora sei tutto ossa e volontà, tesoro mio.. Mi diede un bacio sulla guancia, aveva le labbra secche, riarse, gli feci bere un poca d’acqua e gli cambiai la casacca militare. “Aleksej..” mi prese una mano, rimanemmo in silenzio, lui era il mio guerriero, un lottatore, ora e sempre. Era tra le mie braccia, dalla finestra vedevamo la luna che era sorta, ricordai i fiori, le ore e le ore, una piccola ferita, una favola dolce amara.
   
 
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