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Autore: TheSlavicShadow    22/06/2017    2 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Maggio 1998

 

Avevano continuato a frequentarsi quasi come se non fosse successo nulla tra di loro, ma sapevano entrambi che era cambiato tutto. Non stavano insieme. Ognuno aveva continuato con la propria vita. Natasha tra Boston e New York. Steve tra Washington e ovunque lo S.H.I.E.L.D. decidesse di mandarlo. C’erano state notti intere passate al telefono. Notti in cui si erano addormentati con telefonate ancora in corso solo per poi risvegliarsi a causa della voce dell’altro che mormorava un buongiorno. Messaggi stupidi solo per informare l’altro cosa stessero facendo. Dal menù della colazione a Natasha che si stupiva di avere del cibo commestibile in frigorifero. Natasha che gli mandava foto di Dum-E e Steve che le mandava foto di paesaggi. Steve era venuto a trovarla a Boston un paio di volte, e lei era andata a Washington con la scusa di dover vedere Fury e aveva passato il weekend con Steve.

Non era cambiato nulla ed era cambiato tutto.

Avevano passeggiato tenendosi per mano. E si erano baciati al tramonto, uscendo dallo Smithsonian. Steve l’aveva stretta a sé e Natasha aveva avuto la sensazione di non aver mai baciato nessuno veramente.

E non erano mai andati oltre a questo. Qualche bacio rubato. Dita intrecciate. Abbracci caldi e forti come se fossero stati l’ancora di salvezza che nessuno dei due voleva lasciar andare.

Il weekend a Washington lo avevano passato visitando la città. Avevano pranzato in un ristorantino poco distante dal Campidoglio. E avevano poi passeggiato fino a quando non aveva iniziato a piovere.

Erano arrivati all’appartamento di Steve bagnati come due pulcini. Il Capitano aveva mormorato qualcosa di molto simile ad un “Una volta mi sarei preso una polmonite a causa di una pioggia simile” e Natasha aveva riso alle sue parole prima di attirarlo a sé e baciarlo.

Sembrava tutto così semplice. Sembrava tutto così naturale.

Se ne stava seduta sul divano, dopo una doccia bollente, e guardava Steve che preparava del tè caldo per entrambi. Lo guardava e riusciva solo a pensare che non aveva avuto nulla di simile con nessuno, neppure con Tiberius Stone, che era stato la cosa più simile ad una relazione che avesse mai avuto. Osservava la schiena di Steve e si chiedeva cosa gli passasse per la testa, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo per paura di rovinare tutto quello che avevano costruito.

Steve si era seduto accanto a lei, appoggiando le due tazze sul tavolino, e Natasha non aveva perso tempo prima di appoggiarsi tutta addosso a lui. Il biondo aveva passato un braccio attorno alle sue spalle ed erano rimasti così per un tempo che le era sembrato infinito e che non avrebbe mai voluto finisse.

Ripensava col cuore pieno di dolcezza e nostalgia a quel weekend a Washington ogni volta che pioveva.

“No, papà, sto tornato adesso a casa. Sono quasi davanti al palazzo.” Stava cercando le chiavi di casa nella borsa, camminando velocemente sotto il cielo grigio di quel pomeriggio. Quando era uscita al mattino per andare in biblioteca c’era un sole che spaccava le pietre. Era rimasta poi tutto il giorno china su dei libri e non aveva fatto assolutamente caso ai cambiamenti climatici che succedevano all’esterno. Se ne era resa conto solo quando era uscita, dopo che Obadiah Stane le aveva mandato un messaggio. Un messaggio che non prometteva nulla di buono, come le nuvole che scure che avevano coperto il cielo.

Non uscire di casa. Non rispondere al telefono. Se qualcuno ti ferma per strada, non fermarti.

“Papà, so come comportarmi con i giornalisti. Gli mostro il dito medio e me ne vado.” Aveva silenziosamente esultato quando aveva trovato le chiavi di casa sotto tutti i libri che aveva nella borsa. Forse avrebbe evitato di lavarsi totalmente.

Non va bene neppure questo, ma ho come la sensazione che lo farai qualsiasi cosa io ti dica.” Poteva immaginarselo di fronte ad una delle enormi finestre del suo ufficio. Probabilmente aveva un bicchiere in mano e stava sorseggiando un po’ di whisky. Guardava la città che si estendeva ai suoi piedi e si congratulava con sé stesso per l’ennesimo ottimo affare. “Steve ha detto che sarebbe venuto a Boston non appena ha saputo la notizia.

“Non mi serve un babysitter. Posso cavarmela da sola.” Aveva sbuffato e poi si era fermata di colpo. Tiberius Stone, l’ultima persona che voleva vedere in quel momento, se ne stava di fronte all’ingresso del palazzo in cui lei viveva. “Papà, sono arrivata a casa. Ti chiamo più tardi.”

Aveva chiuso la conversazione prima che suo padre potesse ribattere qualsiasi cosa e si era avvicinata al giovane uomo che se ne stava appoggiato al muro.

“Ty, non dovresti essere con tuo padre adesso?”

“Potrei farti la stessa domanda. Non dovresti unirti ai suoi festeggiamenti ora che finalmente è riuscito a rovinarci?” Tiberius si era staccato dal muro e le si era avvicinato di più. Era furioso, ma lei non batteva ciglio. Quando cresci con Howard Stark ti abitui alla cieca rabbia delle persone e impari a rimanere fermo ed immobile, incurante di quanto loro invadano il tuo spazio personale.

“Volevo invitarti a salire per una birra, ma credo non sia il caso, no? Eppure era da così tanto che non ci vedevamo. Novembre? Dicembre? Pensavo ti fossi dimenticato di me.”

Tiberius l’aveva guardata, facendo una smorfia e poi un passo indietro.

“Tuo padre ci ha rovinati, Natasha! E tu riesci solo a fare una battuta del cazzo?”

“E’ quello che mi viene meglio in effetti.” Aveva incrociato le braccia al petto e lo guardava negli occhi. Aveva anche iniziato a gocciolare e lei voleva solo andare a casa, ma aveva paura che Tiberius l’avrebbe in qualche modo seguita e questo voleva evitarlo. Soprattutto in quel momento. E soprattutto perché sapeva come finivano di solito i loro litigi.

Avevano sempre litigato quando il padre di uno dei due faceva qualcosa per sabotare i piani dell’altro. I due cercavano di rovinarsi a vicenda ancora da prima delle loro nascite. E ora ci erano riusciti.

“Ty, torna a casa. Non è il caso che tu rimanga qui.”

“Perché hai paura di cosa potrebbero scrivere i giornali? La malfamata Natasha Stark in compagnia di uno Stone! Magari potrei raccontare a tutti come ti ho scopata in lungo e in largo per anni!”

“Non mi pare ti sia dispiaciuto mentre ti succhiavo l’uccello.” Aveva inarcato un sopracciglio e lo aveva guardato male. Sapeva che ne era capace. Ed era sicura che lo avrebbe fatto. Lo avrebbe raccontato ai peggiori giornali della nazione e tutti ne avrebbero parlato per mesi. Anche solo perché lei non aveva ancora compiuto neppure 18 anni. “Sei libero di fare il cazzo che ti pare, ma preparati alle conseguenze.”

“Mi minacci anche? Sei solo una lurida cagna che metà campus si è scopato e ti ritieni nella posizione di avere una reputazione da difendere? Mi chiedo se tuo padre non abbia utilizzato le tue doti sessuali anche per ottenere tutti quei contratti militari. Non me ne stupirei affatto.” Le si era avvicinato di nuovo e non aveva smesso di guardarla negli occhi. E lei riusciva ancora a controllarsi. Lo guardava a sua volta ed elaborava dei piani d’azione.

“Beh, credo che ora dovrai andare a battere per salvare il tuo di padre. Probabilmente dare il culo non sarà piacevole e devi anche lavorare un po’ sul sesso orale. Sai, devo dirtelo. Fai abbastanza pena con la lingua.”

Lo aveva visto contrarre la mascella e se fosse stato Howard la mossa successiva sarebbe stato uno schiaffo. Uno di quelli che l’avrebbe fatta piangere. Ma non sapeva come avrebbe reagito Tiberius. Lo guardava e cercava ancora di rimanere calma. Anche solo per non richiamare l’attenzione di nessuno.

“Sei solo una puttanella da quattro soldi. Tutti ti si avvicineranno sempre solo perché sei Natasha Stark. Credi davvero che qualcuno potrebbe mai amarti? Ricordalo sempre. Nessuno ti ama o ti amerà mai. Anche quel tipo che frequenti ora, ti scopa solo perché vuole arrivare ai tuoi soldi. A nessuno importa di te.”

Quello aveva fatto male. Quello l’aveva colpita più di uno schiaffo fisico. Quelle parole avevano toccato tutti i suoi punti deboli, quelli che lei faceva finta di non avere, che sapeva nascondere bene. Perché era una Stark e gli Stark sono fatti di ferro. Ma quelle parole l’avevano ferita più di qualsiasi insulto potesse uscire dalla bocca di Tiberius. Perché erano una delle sue più grandi paure e fin troppo spesso la cruda realtà.

“Beh, vedremo quante persone resteranno vicine a te ora che hai perso tutto.” Aveva sorriso. Le era venuto fin troppo naturale distendere le labbra nel suo solito ghigno.

Stava per andarsene, anche perché stava iniziando a piovere più forte e lei non voleva rovinare i libri e appunti che aveva nella borsa, quando Tiberius l’aveva presa per un braccio impedendole di muoversi. Questi erano i momenti in cui malediceva il suo essere esile e non potersi liberare da sola.

“Lasciami andare, Ty!”

“Te la farò pagare cara. A te e a tutti voi Stark.”

“Vaffanculo e lasciami andare.” Aveva strattonato ancora il braccio, ma la presa era troppo forte. Era sicura le sarebbe rimasto il segno delle sue dita per almeno un paio di giorni.

“Sbaglio o ti ha detto di lasciarla andare?”

La stretta sul suo braccio era svanita di colpo e lei aveva alzato lo sguardo su Steve Rogers. Sembrava furioso. La mascella serrata e gli occhi fissi su Tiberius Stone, il quale sembrava ora dolorante a causa della stretta di Steve sul suo polso. Sembrava così arrabbiato che non stava controllando la sua forza.

“Steve, lascialo andare.” Si era aggrappata al braccio di Steve e lo guardava. Se c’era lui allora era salva. Se c’era lui allora potevano salire in casa e rimanere lì fino a quando non si calmavano le acque.

Steve l’aveva ascoltata e aveva lasciato andare l’altro uomo, ma non aveva smesso di guardarlo. Lo guardava in modo così intenso che sembrava lo stesse uccidendo solo con lo sguardo. Tiberius teneva stretto il polso, e per un piccolo istante Natasha si era preoccupata che potesse essere rotto.

“Andiamo dentro.” Steve aveva parlato pianissimo, senza mai smettere di guardare l’altro uomo. Aveva lentamente abbassato lo sguardo su di lei e Natasha gli aveva sorriso debolmente senza mai lasciare il suo braccio.

“Attento a non prenderti qualche malattia quando te la scopi!” Quelle erano state le ultime parole di Tiberius Stone che erano riuscite a raggiungerli quando Natasha aveva chiuso la porta del proprio palazzo. Steve non la guardava, dirigendosi subito verso l’ascensore, e con un sospiro lei lo aveva seguito.

Sembrava ancora arrabbiato. E da un lato lei era felice che fosse così arrabbiato per lei.

Aveva aspettato che Natasha aprisse la porta dell’appartamento e solo una volta entrato aveva parlato.

“Non riesco a crederci che stavi con quello. Sul serio, Tasha. Con uno stronzo simile?”

“Ho quasi paura a chiederti da che punto hai sentito la nostra conversazione.” Aveva appoggiato la borsa sul divano, dirigendosi subito in cucina per mettere su del caffè. Ne aveva bisogno. Era stata una giornata così bella. Aveva raccolto tutto il materiale che le serviva per finire un saggio. Dum-E non aveva distrutto casa in sua assenza. E Steve era nel suo salotto.

Anche se sembrava più infuriato di un toro durante la corrida.

“Tasha, perché Bucky Bear è sul divano?”

Si era voltata solo per vedere Steve sulla porta della cucina con un orsetto di peluche in mano. Un regalo di suo padre. Non si ricordava neppure in quale occasione glielo avesse regalato. Sapeva solo che lo aveva da sempre.

“Perché fare le maratone di notte da soli non è divertente.” Gli aveva sorriso. Era brava a sorridere anche quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare era affondare il viso contro il suo petto e sentirsi sicura tra le sue braccia.

Lo aveva osservato mentre scuoteva la testa e osservava il peluche che teneva tra le mani. Nessuno aveva dimenticato James Buchanan Barnes. Era pur sempre un eroe di guerra, oltre ad essere il miglior amico di Capitan America.

“Ogni volta che vedo questo orso mi viene da ridere se penso quanto prendesse in giro sua sorella quando cuciva dei vestiti per il proprio orsetto.”

“Fossi in lui, sarei mortalmente offesa.” Aveva preso due tazze, versandoci subito del caffè e porgendo una tazza a Steve quando gli si era avvicinata. Voleva ringraziarlo per essere arrivato in tempo, ma non sapeva come fare. Non sapeva quali fossero le parole giuste da utilizzare in quel momento.

Invece di prendere la tazza che lei gli stava porgendo, Steve le aveva accarezzato una guancia. Sorrideva solo un po’, ma sembrava pensieroso, quasi triste.

“Vorrei tornare là fuori e fargliela pagare a quel ragazzo per le cose che ti ha detto.”

“Non è nulla di troppo lontano dalla realtà in fondo. Anche se non so esattamente a quale parte ti riferisci. Ha detto molte cose.” Aveva appoggiato entrambe le tazze sul tavolo e poi lo aveva guardato. Aveva anche recuperato l’orsetto e lo aveva messo accanto alle due tazze. “Ormai mi conosci da qualche tempo. Sai che sono uscita con moltissime persone in questi anni.”

“Non è vero che nessuno potrà mai amarti.”

Steve l’aveva pronunciato in modo così serio che non era riuscita a sostenere il suo sguardo, abbassandolo subito sui propri piedi. Aveva sentito la parte peggiore di quella penosa conversazione. Quella a cui non aveva saputo ribattere in modo decente. Quella che l’aveva ferita più di molte altre parole che le erano state dette.

“Non ha tutti i torti però, sai? Non è che le mie relazioni, se così le posso definire, siano state un successo.” Si era passata una mano sul viso, soffocando un sospiro contro il palmo. “Sono tutti così. Tiberius è come tutti loro. Era diverso perché è come me, ma stava con me solo per il cognome che porto. Tutti lo faranno sempre.”

Quando anche l’altra mano di Steve aveva raggiunto il suo viso, aveva alzato lo sguardo e gli aveva fatto un piccolo sorriso. Non avrebbe pianto, anche se sentiva le lacrime che iniziavano a pizzicarle gli occhi. Non lo avrebbe fatto perché era fatta di ferro e quella era solo una stronzata che avrebbe dovuto superare senza tante scene.

“Tu sei molto amata dalle persone che ti circondano. Credimi.” E come a voler confermare quelle parole, Steve Rogers si era abbassato e l’aveva baciata. Era un bacio casto. Uno di quelli che si erano scambiati qualche volta al volo, era come uno dei tanti baci che si erano rubati in quei mesi, senza che nessuno osasse dare un nome a quello che si stava creando.

Steve la baciava piano, con delicatezza, come se lei fosse un prezioso vaso di cristallo che lui aveva paura a maneggiare. Aveva sorriso sulle sue labbra e le era venuto nuovamente da piangere. Nessuno la baciava mai così. I baci casti e innocenti non erano mai stati la norma con le persone con cui usciva.

Con Steve sì. Steve la baciava sempre piano. Con delicatezza. E il suo cuore sembrava voler esplodere. Con dei semplici baci riusciva a farla sentire importantissima.

Aveva risposto ad ogni suo bacio e alla fine aveva preso coraggio e li aveva approfonditi. Aveva passato le braccia attorno al suo collo e non aveva lasciato le sue labbra neppure per un secondo. Steve aveva ricambiato. Non si era staccato. Non si era fermato. Aveva ricambiato i suoi baci spostando le mani dal suo viso ai suoi fianchi e l’aveva stretta a sé.

“Tu sei importante. Per me sei importante.”

Lo aveva guardato. Si era specchiata nei suoi occhi e poi lo aveva baciato di nuovo. Si era lasciata trasportare dall’attimo e dalle emozioni che stava provando.

Era con Steve. Steve era lì per lei. Steve le aveva detto che era importante per lui.

All’improvviso non sentiva più il pavimento sotto i propri piedi, letteralmente e metaforicamente. Le sue gambe si erano allacciate attorno alla vita di Steve quando questi l’aveva alzata da terra e non aveva smesso di baciarla. Aveva passato le dita tra i suoi capelli e lo aveva guardato negli occhi. Steve le sorrideva e lei non poteva non ricambiare. Quello sembrava un sogno. Stare così con Steve era un sogno. Qualcosa che non avrebbe mai osato neppure sperare.

“Steve…” Non riusciva a dirglielo. Neppure in un momento simile riusciva ad esternare quelli che erano i suoi veri sentimenti. Avrebbe voluto pronunciare quelle parole, ma le morivano in gola ogni volta che cercava di farle uscire. Poteva parlare per ore di qualsiasi argomento. Ma non sapeva come parlare di sentimenti.

Steve le aveva di nuovo accarezzato una guancia. La sorreggeva con un braccio e non era riuscita a trattenersi. Rovinare quei momenti magici era qualcosa in cui poteva tranquillamente avere già un paio di dottorati.

“Vogliamo prendere quei dati sulla durata media di un supersoldato?”

Si era bloccato. Per un attimo l’aveva guardata sbattendo solo le palpebre un paio di volte e poi aveva riso. Aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla e aveva riso.

“Non ci posso credere. Tra tutte le cose che potevi dire proprio questa…” Aveva mormorato, voltando poi leggermente la testa per darle un bacio sul collo.

“Era il modo più diretto che mi è venuto in mente.” Aveva chiuso gli occhi godendosi quella sensazione. Le labbra di Steve sembravano bollenti contro la sua pelle. Non si era mai sentita così. Era stata con diversi ragazzi, troppi anche. Ma non c’era mai stata una sensazione simile da un semplice bacio sul collo.

Aveva preso il viso di Steve tra le mani e lo aveva baciato con passione. Voleva con quel bacio fargli capire quanto lo stava desiderando.

Steve si era allontanato solo quando lei aveva sentito il materasso sotto la propria schiena. La guardava intensamente e lei aveva solo allungato un braccio, appoggiando la mano all’altezza del suo cuore. Lo sentiva battere forte, batteva impazzito proprio come stava facendo il suo.

Steve aveva messo una mano sulla sua. L’aveva stretta piano prima di portarla alle proprie labbra e baciarla.

Era stato tutto lento. Tutto era una nuova scoperta. Era sicura di essere arrossita quando Steve le aveva tolto la maglietta e sfiorato il seno. Lo aveva visto sorridere mentre sfiorava il bullone sul suo petto. Sentiva le guance andare a fuoco mentre lo baciava e stringeva a sé. Era rimasta ad osservarlo per un attimo troppo lungo quando anche la maglia di Steve aveva raggiunto la sua da qualche parte sul pavimento.

Era perfetto. Era un’opera d’arte. Ed in quel momento era suo.

Le calde mani di Steve sul suo corpo la facevano fremere di desiderio. Voleva di più e voleva che quel momento non smettesse mai. Se avesse potuto, avrebbe cristallizzato quel momento per poterlo rivivere all’infinito. C’era una sensazione di completezza nell’appartenere a Steve. Non era qualcosa che aveva mai provato prima, ma non che prima fosse stata a letto con qualcuno per cui avesse provato dei sentimenti tanto forti.

Steve l’aveva presa con desiderio e delicatezza. Aveva lasciato che modellasse il suo corpo con il calore delle sue mani. Gli si era donata senza riserve.

E aveva mormorato quelle due parole che voleva dire da mesi e di cui era terrorizzata da morire.

 

✭✮✭

 

Aveva aperto gli occhi quando un rumore fastidioso era giunto alle sue orecchie. Le molle del materasso si erano mosse mentre l’uomo che le aveva dormito accanto fino a quel momento si metteva seduto. Aveva osservato la sua schiena nuda. Osservava i suoi muscoli e le sue spalle che si alzavano e abbassavano dopo un lungo sospiro.

Steve era rimasto seduto ancora per qualche istante, mentre il suo cellulare smetteva di suonare, e lei non si era mossa. Aveva continuato a guardarlo, ad imprimere nella memoria ogni centimetro della sua pelle.

Era rimasta in silenzio anche quando Steve si era alzato dal letto e si chinava per prendere il cellulare che era nella tasca dei suoi pantaloni. Aveva osservato la curva del suo fondoschiena e ricordava di avervi affondato le unghie mentre Steve la prendeva.

Aveva chiuso gli occhi mentre Steve infilava i boxer e usciva dalla stanza per richiamare chiunque lo avesse chiamato all’alba. Fuori continuava a piovere, e il rumore della pioggia che si infrangeva contro la finestra era fin troppo rilassante.

Aveva continuato a piovere tutta la notte, senza mai accennare a fermarsi.

Non era stato un sogno. Steve aveva davvero passato la notte con lei. Si era addormentata tra le sue braccia, dopo averlo preso un po’ in giro per la sua superforza e la sua velocità di ripresa. Steve era arrossito, mormorando quanto fosse imbarazzante tutto quello che stava uscendo dalla sua bocca.

Non aveva risposto alla sua dichiarazione, ma l’aveva semplicemente baciata e quello le era bastato.

Quando aveva riaperto gli occhi, Steve si stava vestendo in silenzio. Si era passato una mano tra i capelli e aveva lanciato il cellulare sulla poltrona accanto alla finestra.

“Brutte notizie?”

“Fury vuole che torni subito a Washington.” Si era voltato allora verso di lei, muovendo qualche passo verso il letto e inginocchiandovisi accanto. Le aveva accarezzato una guancia, e lei non riusciva a decifrare il suo sguardo. “Potrei non aver avvertito nessuno di questo viaggio.”

“Capitano, sono cose che non si fanno. Poi a Fury sale la pressione e non credo gli faccia bene.”

Steve le aveva sorriso, ma c’era qualcosa fuori posto. E sapeva che non le sarebbe piaciuto.

“Ti sei pentito, vero?”

L’aveva guardata e poi aveva sospirato. Si era passato una mano tra i capelli, ma non si era spostato, né aveva spostato la mano dal suo viso.

“Mi stavo chiedendo se sia giusto. Tu sei così giovane, mentre io…” Aveva spostato allora la mano, e a lei era sembrato che con quel gesto avesse strappato anche il suo cuore dal petto. Si era seduta, portando le coperte con sé per nascondere il proprio corpo nudo.

“Non ero così giovane ieri notte però.”

“No, è vero. Non lo eri.” L’aveva guardata ancora, e Natasha avrebbe voluto solo dargli un pugno. Forse due. “Ma cosa ti posso dare io? Guarda anche adesso, devo andare e non so neppure quando sarò di ritorno. E non è la prima volta che succede. Quante volte ci siamo visti in questi mesi?”

Poteva contarle sulle dita di una mano, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di dirlo a voce. Non voleva dargli ragione in alcun modo.

“Quindi vuoi fare finta che non sia mai successo nulla?” Lo aveva guardato e l’espressione sul volto di Steve le faceva venire voglia di urlare, di alzarsi e andare a chiudersi in officina fino a quando l’uomo non se ne fosse andato. “Tutti questi mesi non hanno significato nulla per te?”

“Sai che non è così, Tasha. Per me sei davvero importante. Fin troppo.”

“Per questo farai quello che fanno tutti, no? Uscirai da quella porta e tanti saluti. Ci siamo divertiti, è stata una notte piacevole, ma finita lì.” Si era alzata dal letto, dandogli le spalle mentre velocemente si infilava gli slip e una maglietta. “Sai dov’è la porta, Rogers.”

“Tasha, ti prego.”

“No, lo reputi un errore? Qualcosa di moralmente sbagliato? Perché fisicamente abbiamo 8 anni di differenza o perché sono la figlia di Howard? E giusto perché tu lo sappia, sono stata a letto anche con gente più vecchia di te. Ma no, 8 anni sono troppi per Mister Giustizia. Sono stata così idiota da credere alle tue parole! Ti credevo diverso da tutti gli altri, ma a quanto pare Tiberius Stone aveva ragione anche su questo!” Si era fermata di fronte alla finestra. Aveva guardato il grigio cielo di Boston e la pioggia che continuava a cadere incessante. Sembrava che il cielo stesse versando anche le lacrime che lei si rifiutava di versare.

Era di ferro. Neppure il rifiuto di Steve l’avrebbe piegata.

Anche se lei stupidamente gli aveva detto che lo amava. Nell’enfasi del momento, mentre si era sentita totalmente appagata e soprattutto amata, lei gli aveva detto che lo amava.

Non sapeva cosa la ferisse di più in quel momento; il silenzio di Steve o l’espressione del suo volto. Non lo aveva mai visto così triste, ma lei non aveva bisogno della sua pietà. E qualsiasi cosa l’uomo avesse detto in quel momento l’avrebbe vista a quel modo.

“Saluta Fury da parte mia e ringrazialo per avermi fatto aprire gli occhi su Capitan America.”

Gli era passata accanto per uscire dalla stanza e rinchiudersi nella propria officina. Dum-E le si era subito avvicinato mentre lei si lasciava scivolare contro la porta. Non voleva piangere. Non voleva dare importanza a quello che era appena successo. Non voleva pensare al fatto che non si era mai sentita così ferita e umiliata in tutta la sua vita.

Aveva sentito i passi di Steve fermarsi davanti alla porta. Era rimasto lì per qualche minuto, e c’era una piccola parte del suo cervello che stava sperando bussasse o semplicemente dicesse qualcosa.

Ma non aveva detto niente, e mentre sentiva i suoi passi allontanarsi e la porta d’ingresso chiudersi il suo cuore si era spezzato e non era più riuscita a trattenere le lacrime.

 
   
 
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