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Autore: Kat Logan    22/06/2017    5 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Devil, devil
Clever devil, devil
How quickly they do sell their souls
For the feast and the promise of gold
But devil that won't be me
 
Devil Devil – Milck
 
 
 


I capelli sciolti sulle spalle scoperte di Minako le ricadevano morbidi sulle sue curve femminili.
Le pagine di un libro aperto sul suo ventre si sfogliavano da sole a causa della brezza che si era insinuata nella stanza per la porta a vetri aperta e quel vestito dai colori sgargianti, non eccedente in stoffa,  le scopriva sin troppo le gambe.
Se sua madre l’avesse vista in quella maniera le avrebbe dato della svergognata, mentre Akira – se solo non fosse stato troppo preso a parlare con se stesso e ad affettare minuziosamente quel potpourri di verdure – avrebbe abbandonato ogni pudore o galanteria per farla sua su quel divanetto.
«Akira…» miagolò lei abbandonandosi ancor di più tra i due cuscini lilla «ora che non usi più la pistola cucinerai per sempre?».
Il coltello arrestò il suo battere ritmato sul tagliere in legno.
Il moro parve fissare il fornello come a dover ponderare la sua risposta e abbandonando sul piano la lama si pulì le mani al grembiule allacciato in vita.
«Con per sempre intendi dire fino alla fine dei miei giorni o…?»
«Occuperà la tua mente, le tue mani, tutto te stesso, per la maggior parte del tempo?».
Gli occhi chiari sondarono il viso di lui, mai invecchiato o segnato dai giorni trascorsi dal loro primo incontro nonostante tutti gli avvenimenti che avevano scosso le loro vite. Era ancora bello e intrigante come lo era stato al primo sguardo, eppure, pur non sapendo descriverla, Minako aveva la sensazione che Akira fosse come offuscato. Come se tutta quella routine non gli si addicesse sino in fondo.
«Mina» alle lande gelide di lui non sfuggì la sua dea. La sua vera ragione di vita, il suo tutto. Entrambi legati tanto saldamente dal filo invisibile del destino che l’uno senza l’altro sarebbero svaniti dalla faccia della terra perché non avrebbero avuto senso d’esistere divisi.
«Mai nulla potrà distogliere la mia mente, il mio cuore, le mie mani e tutto quello che fa parte di me da te».
Ogni sillaba proferita giurava amore e fedeltà; lei non avrebbe mai potuto dubitare di lui.
Minako tacque. Ma lui sapeva leggerla come fosse il suo romanzo preferito e notò l’incurvatura delle sue labbra.
«A cosa pensi? Cosa c’è in quella testa bionda?».
«Credi durerà?».
L’antardide negli occhi di Akira si adombrò istantaneamente.
«Che cosa?».
«La quiete dopo la tempesta».
«Hai paura?».
Minako non ne aveva mai avuta. Nemmeno per un momento. Nemmeno tra le sue braccia in bilico tra la vita e la morte.
Lui si avvicinò. Gli bastarono un paio di falcate e le sue mani raggiunsero le gote di lei.
«Io ti proteggerò finché avrò respiro, lo sai».
«Lo so».
«E allora che c’è?».
«Penso dovremmo…» non poté finire la frase perché il viso paonazzo di Haruka comparve interrompendola.
 
«Oddio, siete vivi».
Jadeite spuntò alle sue spalle col fiato corto.
«Ciao anche a te» disse Akira lasciando un’ultima carezza sulla testa dell’amata che si drizzò all’arrivo degli altri due.
«Qual è il problema? Sentivi la mia mancanza il primo giorno di lavoro?» aggiunse un sorriso per punzecchiarla. A lui la complice mancava ma non l’avrebbe certo ammesso in quella sede e in quel momento.
«Scemo…».
«Credo la tua pista fosse sbagliata» intervenne Jadeite annusando l’aria. «Cos’è questo profumo?» aggiunse poi con fare da segugio.
Haruka lo guardò incredula «sul serio?!».
Jadeite alzò le spalle e Akira soppresse ogni dubbio culinario immediatamente. «Un condimento vegetale da accompagnare al granchio in salsa di guacamole da inserire nel menù di venerdì».
«Ci sono problemi?» chiese Minako avvicinandosi ad Haruka con il ciarlare in sottofondo dei due ragazzi.
«Dev’essere stato solo un abbaglio. Tranquilla…» la rassicurò l’altra prendendo un respiro profondo. Eppure quella sensazione non se ne andava. L’impressione di essere braccata le stava mordendo i garetti. Strizzò le palpebre, visualizzò mentalmente ancora una volta il tabellone in centrale cercando di cogliere una connessione che doveva in qualche modo esserle sfuggita.
«Ci siete voi vicino alla Nakagin Capsule Tower, io non capisco. Forse è l’ora sbagliata o…».
«Non so cosa tu stia cercando ma per essere esatti nei pressi c’è anche L’Ongaku Institute, proprio dietro l’angolo».
La bocca dello stomaco di Haruka cominciò a fare i capricci.
«E’ dove lavora Michiru» esalò un istante prima di precipitarsi in strada.
 
 
***
 
 
L’Ongaku Institute; una trappola mortale di diciassette piani.
Il cuore di Haruka si era trasformato in un martello pneumatico, faceva quasi male respirare e sapeva di non avere nemmeno il tempo di tirare il fiato.
Strinse i denti entrò nell’atrio del palazzo e scorse velocemente le insegne di un verde satinato indicanti gli esercizi presenti in ogni piano.
«Maledizione…».
Sentiva i piedi fremere, non riusciva a stare ferma.
«Haruka non c’è nulla qui. Un altro buco nell’acqua» la voce di Jadeite la raggiunse seguita da una mano sulla sua spalla.
A quel contatto la ragazza si scostò come colpita da una scarica elettrica.
«Sarà un buco nell’acqua quando mi sarò accertata che andrà tutto per il verso giusto» disse con voce macchiata dall’insofferenza per poi dirigersi verso l’ascensore.
«Vado al settimo».
«Vengo con te».
«No» Haruka bloccò le porte automatiche con un braccio lasciandolo fuori dalla cabina.
«Dovrei fare le scale?».
«Comincia a fare il cavaliere. E occupati dei primi sei».
Ora quello scocciato era Jadeite, ma in fin dei conti sapeva come si faceva ad essere un gentiluomo per quanto tenesse quella parte di sé stesso solo per le occasioni speciali.
«Mi devi un favore».
«O una bevuta» Haruka spinse il numero sette con foga e giurò di averlo sentito sibilare tra i denti un “non finisce qui”.
 
 
 
Al settimo piano un’orda di ragazzini su di giri la bloccarono nel bel mezzo del corridoio.
Come una carpa in fiume, controcorrente, Haruka si fece strada per uscire dal nugolo di divise tutte uguali che l’avevano assaltata.
Mocciosi.
Si domandò come faceva Michiru ad avere la pazienza di istruire un branco di scapestrati del genere tutti i giorni e indirizzarli verso la nobile arte della musica. Ma non ci volle molto ad Haruka per trovare una risposta in una veloce auto analisi. Michiru aveva già a che fare con lei di testa calda. Lo faceva tutto il tempo. E di sicuro riuscendo a tener testa a lei, degli adolescenti in piena crisi ormonale non dovevano rappresentare chissà quale ostacolo alla sua infinita pazienza.
 
Michiru nei suoi pensieri.
Il suo sorriso.
Il suo modo di scostarsi i capelli.
Il suo sguardo.
Il suo farle battere il cuore ogni volta come fosse la prima.
Michiru che si doveva ritrovare a salvare ogni volta come la principessa costantemente in pericolo delle fiabe.
Non era cambiato nulla in fin dei conti. Che lei fosse dalla parte dei buoni o dei cattivi si ritrovava sempre allo stesso punto.
Non è il momento, Haruka. Quel pensiero la rese nuovamente lucida. Il tempo per prendersela con se stessa avrebbe dovuto aspettare.
 
Le note di Shumann nell’aria.
Haruka le seguì come fossero le briciole di pollicino.
«Michiru».
Ma quando spalancò la porta nessuna cascata di capelli verde acqua l’accolse.
Le corde del violino stridettero interrompendosi e dietro due spesse lenti una ragazza la guardò con aria interrogativa.
«Cercava Kaiō Sama?».
«Si, l’hai vista?».
«Quaranta minuti fa».
«Dov’è ora?» la incalzò frenetica.
«Non lo so, mi spiace».
«Okay. Ragazzina…».
«Si?».
«Esci di qui, subito».
«Come? Perché?! Kaiō Sama è nei guai?» domandò quando mise a fuoco la divisa di Haruka.
 
«Mi auguro davvero di no» e con un sibilò la trascinò fuori dall’aula.
 
 
*** 
 
 
Lo stridere delle ruote sull’asfalto, il rumore delle lamiere piegate, l’esplodere di vetri e poi un boato e il suo eco.
Fiamme; lunghe lingue aranciate danzanti.
“Benvenuta all’inferno”.
 
Rei sgranò gli occhi ritrovandosi in un bagno di sudore.
Disorientata si guardò attorno riconoscendo la stanza d’ospedale dal carrello delle medicazioni accanto alla porta.
Era fuori dall’incubo, era scappata dall’inferno anche se alle volte credeva ancora di esserci con tutti i piedi dentro.
«Tutto bene?» due colpi leggeri alla porta e poi una zazzera blu a far capolino sulla soglia la ridestarono totalmente.
Ami tenne le mani nelle tasche del camice e si dondolò appena sul posto a debita distanza.
«Cos’hai lì?» domandò sospettosa Rei.
«Io…niente. Mi svuotano letteralmente le tasche!» la rassicurò Ami accennando un sorriso.
A star lì dentro sarebbe diventato paranoico chiunque, figurarsi una persona divorata da un trauma come il suo.
«Dovremmo andare».
«Dalla strizza cervelli che valuterà se posso fare ancora il mio lavoro?».
Ami non la contraddisse. In fondo le parole di Rei – sebbene la scelta di termini fosse poco appropriata – rispondevano a verità.
«Vuoi che chiami un’infermiera?».
 
«Eccola, eccola! LARGOOOO» la voce squillante di Minako arrivò prima della sua presenza.
«Pronta al vostro servizio. Ti faccio bella, Rei!» esultò come se dovesse prepararla al gran galà.
«Io…non…».
«Oh su, non vorrai mica andarci col camice come una derelitta?».
«MINA!» Ami sgranò gli occhi intimandola di essere un po’ meno sincera, ma con lei c’era poco da fare. Aveva la lingua che andava più veloce dei suoi pensieri e in fondo era una della cosa che la rendeva unica.
«Mi hanno tolto tutto questi psicoquelchesono ma non mi fregano. Tadan!!». Senza venir scalfita da commento alcuno Minako sfilò dalla propria crocchia un ferma capelli a pettinino e lo mostrò orgogliosa alle altre due per poi sistemare alla meglio le lunghe ciocche corvine di Rei.
Ami con lo stetoscopio ascoltò il battito leggermente accelerato di Rei che parve essersi acquietata sotto le cure dell’altra. Segnò i suoi parametri sulla sua cartelletta dopo di che le passò alcuni vestiti puliti che qualcuno aveva fatto recapitare per lei.
Rei dapprima guardò incuriosita la busta poi si lasciò andare ad un borbottio.
«Non credo sia per me».
«No no, sono proprio per te. Li hanno lasciati in accettazione ieri sera».
«Ma non sono miei» insistette.
Minako, senza farsi scrupoli, tirò fuori gli indumenti come se dovessero avere la sua approvazione per finire su una rivista di moda o in passerella.
«Ora lo sono» sentenziò staccando le etichette ancora a penzoloni dai capi.
Chi mai si sarebbe preso la briga di comprarmi dei vestiti?
E giù di deduzioni come solo un vero detective avrebbe fatto.
 
 
Rei nel suo nuovo completo nero e rosso camminava pensierosa per il corridoio.
Aveva scartato l’ipotesi dei suoi genitori. Chiunque fosse stato non aveva le chiavi di casa sua o avrebbe scelto dal suo guardaroba. Inoltre doveva trattarsi di qualcuno che conosceva la sua taglia o per lo meno che sapesse all’incirca come fosse fatta perché tutto le calzava a pennello.
Da tale lista aveva depennato Sadao, poiché essendo ricoverato lì dentro non sarebbe certo andato in negozio a fare shopping per lei.
Ami e Minako le camminavano a fianco in un continuo pigolare per condurla in pasto a chi avrebbe deciso del suo futuro.
«Quindi glielo hai detto ad Akira?».
«Non ancora».
«Ti è mancato il coraggio?» le domandò cauta Ami.
«NO! Mi ha interrotto Haruka».
«Cosa centra Haruka in tutto questo?».
«E’ comparsa tutta trafelata. Era preoccupata ci stesse accadendo qualcosa e…poi è andata a cercare Michiru».
Ami si portò una mano alla fronte inspirando ed espirando profondamente.
«Ancora guai? Dimmi di no ti prego. L’ultima volta sei quasi morta qui dentro».
«Si ma c’eri tu a salvarmi, no?! Toh. Guarda chi c’è! Il tuo amore segre-».
«Ssht Mina, ma sei impazzita?!».
«Hai una cotta per il tuo capo?» intervenne dal nulla Rei.
«Molto più di una cotta» commento maliziosa Minako strizzandole l’occhio e salutando come nulla fosse Mamoru che portava sotto braccio un plico di radiografie.
«Ma accidenti!» masticò sottovoce Ami.
 
«Ami Mizuno è attesa in accettazione» l’alto parlante la salvò dall’imbarazzo.
«Corri Ami. Scappa pure!» la prese in giro bonariamente Minako.
«Tu pensa per te!».
«Prima o poi la dovrai affrontare!».
«Pure tu con Akira».
«Auch». Minako mimò un colpo al cuore. «Colpita e affondata. Vai pure, penso io a Rei».
«Grazie» e con un sorriso Ami si dileguò.
 
 
***
 
 
Haruka aveva fatto evacuare il piano. Non rimaneva nessuno né aveva traccia di Michiru.
Salì all’ottavo e compose il numero di cellulare della compagna ma la voce dell’operatore telefonico la informò della sua impossibilità ad essere raggiunta.
La bionda non si diede per vinta, altri due piani erano adibiti alla scuola musicale.
L’avrebbe trovata. L’avrebbe fatto sempre.
Aprì una porta dietro l’altra e all’ennesima interruzione di lezione dove non vi trovò Michiru qualcosa l’allarmò.
Una cortina di fumo grigio e denso si levò per il corridoio.
«Oh no, no, no! Uscite. TUTTI! Forza è un’evacuazione!».
Il cellulare le squillò. Haruka con una mano davanti alla bocca tossì.
«Che c’è!?».
«Ho piacere di sentirti anche io» disse sarcastico Jadeite nel sentirla rispondere.
«Trovata?».
«SECONDO TE?!».
«Dalla tua frustrazione direi di no».
«Ok, Jadeite devi farmi incazzare? Non ci voglio morire qui dentro chiaro? Quindi chiudiamo in fretta la chiamata».
Dall’altro capo lo sentì sbuffare.
Ad Haruka bruciarono gli occhi e un’altra ondata di fumo la investì.
«Gli ultimi piani sono sfitti. Arriva fino al nono e poi torna giù. Ho già avvisato i pompieri ma…Haruka…».
«Cosa?!» tossì lei con la vista annebbiata.
«Non ci sono ancora fiamme».
La linea cadde e con quella il cellulare dalle mani di Haruka.
 
Un senso di stordimento le provocò un capogiro.
Haruka si poggiò ad una parete. La stanza le parve sotto sopra per un momento.
L’inferno rotante le tornò alla mente.
Setsuna che faceva scudo a Rei e lei che sbalzava dietro le loro figure.
«Dov’è il fuoco?» sibilò confusa.
 
«Povera, povera Haruka».
In quella fitta nebbia una sagoma si fece strada verso di lei.
Daisuke?
Impossibile.
Ken?
Lo aveva visto fare da scudo umano alla regina rossa.
«Credevo fossi più furba. Ma le aspettative spesso deludono».
La bionda cercò di mettere a fuoco, ma ogni disperato tentativo si stava rivelando un vero e proprio fallimento.
Una maschera antigas. Riuscì solo a riconoscere quella.
«Il fuoco arriverà».
«Che cazzo sta succedendo?».
Pure la rabbia stentava ad uscire.
Sentì le gambe venir meno e cedette con le ginocchia al pavimento.
Faceva un caldo infernale e oltre a quello riusciva a sentire solo la disperazione farsi strada in lei.
«Tra poco sarai nel mondo dei sogni quindi è inutile che ti stia a spiegare di fumogeni e gas nervino. Ehi, sveglia. Mi stai ascoltando?».
Le arrivò uno schiaffo in pieno volto, ma Haruka non riuscì a reagire.
«Odio che non mi si presti attenzione».
«Dov’è?».
«Non sei nella condizione di fare domande».
«Dov’è lei?» insistente fino alla fine, caparbia fino allo stremo.
Il suo interlocutore rise.
Ad Haruka sembrò di avere il deserto in gola e anche il braccio che aveva tentato di sorreggerla appoggiato a quel muro si fece pesante.
«Sei stupida. Non sei portata a fare la poliziotta. Sei finita dritto nella tua trappola».
Il fuoco stana le prede dei cacciatori.
Loro, lui, di chiunque si trattasse volevano essere trovati. Non stavano fuggendo. E lei li aveva accontentati era esattamente dove loro volevano che fosse.
«Michiru…» un ultimo filo di voce.
«Non è qui».
«Grazie a Dio».
«Io non ringrazierei» un’altra risata.
«Buona notte Haruka. Forse una notte eterna chissà».
Haruka scivolò distesa sul pavimento.
Intravide le suole del personaggio misterioso allontanarsi nella nebbia.
Poi uno scintillio e l’incendio fu appiccato nell’esatto momento in cui le sue palpebre si chiusero.


Note dell'autrice:
Ci volevano le stampelle per far sì che mi mettessi a scrivere e potessi pubblicare! Eccomi qui dunque. A furia di scrivere stava saltando fuori un poema quindi ho deciso di dividere il capitolo in due parti ma don't worry! La seconda parte mi metterò già a scriverla or ora e provvederò a pubblicarvela al più presto (SUL SERIO!).
Come sempre voglio soffermarmi a ringraziare chi ha sempre qualche parola per ciò che scrivo. Leggere le vostre recensioni è sempre un piacere! Ma grazie anche a chi segue in silenzio da una vita e a chi scopre ora questa saga. 
Per il resto, come sempre, vi aspetto per curiosità, scleri di vario genere e quant'altro sulla mia pagina.
A prestissimo.

 
   
 
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