Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Sebbyno    22/06/2017    0 recensioni
Non ho modo di scriverti, né di spedirti niente che non sia il mio pensiero. Spero che possa arrivarti, non so come, non so proprio come, ma spero arrivi, perché ho bisogno che tu sappia che sono vivo, e che se lo sono, è perché ci sei tu che esisti in quella scuola coi miei studenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Oggi è il 10 ottobre del 1940, e non smette di piovere fuori dalla finestra di casa mia.
È un giorno triste, più degli altri, sai che la pioggia mi mette di pessimo umore.
Guardo verso il vetro e rivedo la tua sagoma seduta sul davanzale che osserva le lacrime d'acqua scivolare verso il basso.
Tengo i gomiti sulle ginocchia, e lo sguardo puntato su questo tuo fantasma che trovo in ogni dove; alla finestra, sulla soglia, nella coperta in un angolo del divano, tra i banchi di scuola, così attento e mai distratto, tra i corridoi della mensa, solitario e rispettoso del tuo silenzio, sull'erba verde di quel cortile dalle margherite bianche d'estate, dalla brina ghiacciata d'inverno.
Ovunque io guardi, trovo il tuo volto, e per quanto cerchi un'autoconvinzione per ciò che è successo, non riesco a trovarla. 
Più ci penso, più mi sembra assurda questa tua mancanza.
Assurda, assurda.
Se mi avvicino a quel vetro, la tua immagine sparisce dopo che mi hai rivolto i tuoi occhi spenti, disillusi, e che per troppo poco tempo ho potuto tentare di vederli brillare.
Forse ci sono riuscito, una volta soltanto, e quella volta hai anche riso. Nella migliore delle ipotesi, è stato quel giorno che ho deciso che mi sarei preso cura di te. È strano quando ami qualcuno; non è così istantaneo, non è così definito. Passano fiumi e mari prima che quella massa informe di sentimenti prenda un contorno, e possa darle un nome.
Quel giorno non mi sono innamorato di te, ma ho capito che lo fossi da tempo, irrimediabilmente, e senza nessuna voglia di sfuggire dall'evidenza, l'ho semplicemente accolta.
Ho promesso che avrei sempre fatto del mio meglio per darti la luce da illuminare quel sorriso, tutti i miei anni in avanti solo per incantare il tuo sguardo. Non m'importava neanche se poi, quel sorriso lo avresti dato ad un altro, se avresti accettato la coperta di un altro, la casa di un altro, il cuore di un altro.
Non m'importava. Ci credi? Tutt'ora, non m'importa.
Se posso saperti in pace da qualche parte, anche nel luogo più caldo e lontano di questo pianeta, per me va bene, Levi. Se è ciò che vuoi, va bene anche il deserto.
Ma dov'è che sei ora? Solo Dio e il suo contrario sanno dove.
Ho promesso di darti la luce, e ti ho lasciato cadere nel buio. 
Così, inerme. Perché al mondo non sono nato soldato, guerriero, o eroe, ma soltanto insegnante, che prima di vedere te in quella mensa nel tuo muto deserto, non sapevo neppure cosa fosse la vita.
Ed è vero che non merito neppure più il tuo pensiero, perché ti ho lasciato davvero andare via quel gennaio scorso; avrei voluto gridare, fare a pugni, strappare quelle loro divise dal petto e lasciarti dare alla fuga. Mi sarei fatto ammazzare per darti la libertà, se solo ne fossi stato in grado.
Ma quanta probabilità di riuscita avevo? Una? Due? Nessuna, meno di zero.
Se non ti avessero preso quel giorno, allora sarebbe stato quello dopo, o l'altro ancora.
Mi hai sempre detto che fossi un uomo astuto, e l'intelligenza di un uomo sta anche nel comprendere dove fermarsi: mi sono fermato.
Ho stretto i pugni e mi sono artigliato ad una forza di volontà che non conoscevo, e che tuttora non riconosco. Le tue parole combattive, gli insulti sputati e ignorati quanto l'importanza della tua "razza" che riecheggiano ancora nelle mura di quel corridoio, mi sono entrati nella mente per l'orecchio come lo stridio di un treno sui binari, e frenavano, frenavano, frenavano... Ho tenuto i denti stretti per tutto quel tempo, lasciato le tue urla entrarmi dentro, nelle ossa e nella carne come dieci lame feroci e roventi, lasciando che ti spintonassero, che ti arrestassero, che ti chiamassero "sporco ebreo", e che per sempre, ti togliessero ciò che più amavi di questo nostro mestiere.
Non hai mai parlato di figli, ma guardando con quanta bravura stimolassi i tuoi giovani studenti, mi chiedo se non sapessi di averne già molti.
Fiero dovresti portare quel nome d'insegnante, e fiero io porto quello tuo di battesimo.
"Levi" ti diede quella madre con cui tanta dolcezza e rammarico mi parlasti su questa bagnata finestra, e "Levi" per me rimani, "Levi" si scriverà sui miei ricordi più belli, e "Levi" urlerei a questa Terra, se solo da qualche parte tu potessi sentirlo gridare.
È qui, inginocchiato in questa pioggia infinita che crolla sulle mie spalle come a lavare il mondo da tutto il suo orrido, che un gatto dalle tenebre mi è venuto incontro chiedendo aiuto.
Hai mai sentito un gatto pregare il tuo focolare? 
Fra tanti uomini, un gatto è accorso sulla mia strada; tanto bagnato, tanto solo, tanto quanto è l'Erwin che si piega nelle pozzanghere senza più forza alcuna, per unire lacrime alla pioggia che si abbatte in questo freddo ottobre.
Un gatto nero dagli occhi gialli. Mi chiedo se sia scappato, abbandonato, o accorso alla mia porta per un qualche strano segno del destino.
Ma qualunque sia il suo mandato, l'ho accolto tra le braccia, e dato a lui una dimora, un pasto, delle coperte, qualche carezza.
Ora dorme sul mio divano, su quella coperta che scaldava anche te dall'imperituro pallore.
Dopo la notte non so quanto vorrà restare; passato il diluvio, la porta verrà aperta e l'ospite lasciato andare.
Ho come l'impressione che il suo custode non resterà a lungo in questa casa, in quella scuola.
Solo Dio e il suo contrario hanno le cartine del mondo, e se è all'inferno che sei finito, patteggerò col Diavolo per riaverti.
Lo giuro sul mio nome, sull'anima del mio defunto padre, sul tuo nome: lo giuro, Levi.
Mi arruolerò nell'esercito dei demoni, e farò in modo di trovarti fra di essi, fosse anche l'ultima cosa che faccio, mi costasse anche l'anima, anche la vita.
  
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