Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh! Arc-V
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Autore: tbhhczerwony    22/06/2017    0 recensioni
【sì, mi piacciono i backstage | yuya's pov】
dal prologo:
Appoggio le mie braccia sul banco e ci poggio sopra la testa, fissando la lavagna multimediale che stava sul muro davanti a me. Non riesco proprio a tenere gli occhi ben aperti, stanotte sono stato sveglio la notte a guardare Psycho-Pass e Terror in Resonance, quelle serie mi prendono fin troppo.
Chiudo gli occhi per qualche secondo e, dopo aver sentito dei passi, li riapro, vedendo dei miei compagni entrare.
«Yuya, già dormi?» ridacchia uno dei ragazzi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Yuya Sakaki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Backstage'
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questo capitolo non è proprio il massimo, ma mi sono comunque sforzato abbastanza per farlo nascere, nei meandri del mio cervello c'era ancora un po' d'ispirazione, l'ho solo tirata fuori. ah, non voglio fare spoiler: ma scoprirete presto perché sora ha quel cognome. per ora buona lettura e spero che questa prima parte vi possa in qualche modo piacere.
 
«Fa la prima media?! Ti avevo detto di prenderne uno quattordicenne!».
«Lo so, ma fidati di me, dimostra molto più di quello che ha… sembra quasi un diciassettenne…».
«Voglio proprio vedere».


 
01: Il colloquio - Parte 1


 
Mi guardo in giro un po’ perplesso, notando di non essere né in quel teatro né a casa. Sono in ospedale e non so neanche perché, magnifico.
L’unica cosa che ricordo, è che ho appreso di essere il nuovo protagonista di Yu-Gi-Oh. E la serie come si chiamerà?
Se ero in ansia prima, di sapere in cosa consistesse la nuova serie, avrò ancora più ansia, perché sarò io stesso il protagonista e dovrò dirle io tutte quelle battute. Cosa ne penseranno i miei genitori? Ma soprattutto, perché sono in stanza da solo adesso?
Non c’è neanche qualche bella infermiera a curarmi, mi sembra strano. Vedo entrare un ragazzo, che si avvicina a me; cosa vorrà?
«Allora, come sta, signorino Sakaki?».
Ah, è un infermiere. «Sto molto meglio, grazie» dico, accennando un sorriso.
«Fortunatamente non è stato nulla di grave» mi dice, controllando dei fogli, «Sei solo svenuto per l’ansia».
Ma va? Che scoperta, se è per questo ho l’ansia anche ora, ci manca solo che svenga di nuovo per carenza di ossigeno. Eh, sì, una cosa che non ho detto su di me è che sono un soggetto abbastanza ansioso.
Non di quel genere “ho l’ansia per l’interrogazione di storia dell’arte” o cose così, no, io ho l’ansia per qualsiasi cosa, e non sopporto quelle persone che ho nominato proprio due secondi fa; si fanno “fighi” dicendo “ho l’ansia” ma non sanno davvero che cosa significa essere un soggetto ansioso o claustrofobico, nel mio caso – va bene, i miei sono entrambi i casi.
Quando sto davvero in ansia perdo completamente il respiro, fino ad avere il fiato bloccato e continuare a respirare irregolarmente con la bocca finché non mi passa, oppure svengo direttamente, come questo caso appena capitato non appena ho saputo di essere…
 
Sì, ho perso i sensi di nuovo.
Scusatemi è che… davvero, io non ci posso ancora credere. Sarò mai al livello degli altri che c’erano prima di me?
Pensieri sulla serie a parte, vedo entrare i miei, che mi sorridono e si siedono nelle sedie a fianco al letto d’ospedale.
«Mamma… papà…» balbetto, «Voi sapete…».
Non mi lasciano finire, mia madre mi interrompe: «Sì, lo sappiamo, ce l’ha detto lui stesso».
«E ci ha anche invitato» continua mio padre.
Rimango abbastanza sconvolto dalle loro affermazioni, soprattutto da quella di mio padre. Per che cosa li avrà invitati? Per fare la parte dei genitori del personaggio principale? Ma non è un po’ strana, come cosa? Di solito si scelgono attori diversi per fare i genitori dei personaggi, invece vogliono proprio usare i miei veri genitori.
«M-ma… non è fuori dall’ordinario?» domando, inarcando un sopracciglio.
Loro ridacchiano, «In effetti sì, ma è comunque un’idea carina, no?» dice mia madre, sorridendomi.
In effetti l’idea non è affatto male, anche perché si possono evidenziare le somiglianze tra i genitori e figli, ma nelle serie TV la somiglianza tra genitori e figli non c’è mai, a volte la genetica è persino diversa; tra l’altro, se qualcuno ha come battuta “vi somigliate” forse è solo per lo stesso colore di capelli o perché il regista di tale serie TV o film ha scelto molto accuratamente gli attori giusti.
Anche se effettivamente, io e i miei genitori non sembriamo tanto uguali: mia madre è bionda, mio padre è corvino e io sono verde e rosso. E non è per genetica, semplicemente me li sono tinto, prima ero biondo – e ne ho approfittato per metterci sopra la tinta, appunto. Invece ho preso gli occhi bordeaux da mio padre, che tra l’altro si intonano con il rosso che ho nei miei capelli.
Ad ogni modo, spero solo che non succeda qualcosa durante le riprese della nuova serie. Come ho già spiegato, sono un tipo molto ansioso, può capitare spesso che io perda il respiro o il fiato, soprattutto durante le battute o la registrazione davanti alle telecamere.
Sospiro e, sentendo il dottore che dice ai miei genitori che posso tornare a casa, mi alzo dal letto, prendo i miei vestiti messi su una sedia vicino alla porta della camera e mi dirigo in bagno a cambiarmi.
Non appena finisco, mi guardo allo specchio e mi metto a riflettere su ciò che sta accadendo attualmente. Davvero ho la stoffa per fare il protagonista? Anche se, mettendomi a pensare in questo modo, mi sento davvero un protagonista: il protagonista della mia storia, perché la sto raccontando io stesso, anche se non c’è pubblico ad assistere. O forse c’è, e non me ne rendo conto, e non parlo delle divinità, almeno credo. Quest’ultime riderebbero della mia vita.
Esco dal bagno, seguendo i miei genitori e uscendo dall’ospedale, dirigendoci insieme verso la macchina, nella quale mio padre si mette alla guida.
Mi chiedo pure quale sarà l’intero cast, se saranno persone okay, o se saranno simpatici, o peggio, più grandi di me – non vado contro i maggiorenni, ma la maggior parte delle volte non riesco ad andare con loro, perché se mi conoscono e sanno la mia età, mi trattano da bambino, quando invece non lo sono, sono appena entrato nell’età dell’adolescenza.
«Yuya!» sento esclamare mia madre, e mi risveglio dai miei lunghi pensieri, che potrebbero sicuramente durare settant’anni di questo passo.
«Sì, mamma?».
«Ti stavo dicendo che uno dei tre della compagnia ha detto che domani mattina, per le nove, dobbiamo andare a incontrare il cast, di conseguenza non andrai a scuola» mi spiega, e penso che questa cosa sia grandiosa, non che vada male a scuola, ma essenzialmente domani non ci volevo proprio andare. Però sento che mia madre ha in serbo qualcos’altro…
«Ma…» sì, eccola che comincia, «Ci dovrai andare da solo, tuo padre e io siamo impegnati con una riunione importante in un’altra compagnia».
Sapevo che sarebbe andata così, e ora mi sta rivenendo l’ansia, spero di non essere così anche domani. «E a che ora devo andare?» chiedo, sbuffando leggermente.
«Verso le dieci, cerca di svegliarti almeno alle nove per prendere l’autobus delle nove e mezza» mi risponde, «Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene».
«Mamma, mi conosci, non ce la faccio a stare tranquillo così facilmente» le dico, prendendo un respiro profondo e aprendo il finestrino sinistro, mi ci avvicino e cerco di prendere un po’ d’aria. Per precisare, sono claustrofobico, ma la macchina è sufficientemente grande per me, solo che stavo sentendo un po’ caldo – e dire che siamo solo a fine marzo, roba da matti.
Spero solo che questa giornata finisca in fretta, credo che non appena tornerò a casa mi chiuderò in camera, mi metterò davanti allo specchio e cercherò dei saluti adatti per il cast che incontrerò.
 
Infatti è quello che sto facendo adesso, ho preso lo specchio e l’ho appeso nel muro davanti alla mia scrivania, in modo tale da starci più vicino e non alzarmi ogni volta. Sto scrivendo in un quaderno ciò che vorrei cercare di dire alle persone che incontrerò: sono sicuro che saranno tutti più grandi di me, di conseguenza ho bisogno di essere formale, breve, ma soprattutto, con un portamento adatto. Non intendo dire che devo per forza vestirmi elegante e comportarmi come un aristocratico, basta che sia adatto alla situazione.
Mi alzo dalla sedia e mi guardo allo specchio, rimettendomi un po’ a posto i capelli con la mano destra, mentre con la sinistra tengo il quaderno: quella pagina è completamente pasticciata, accidenti a me che scrivo con la penna.
Schiarisco un po’ la voce e inizio a recitare ciò che c’è scritto. «Buongiorno, io sono Sakaki Yuya, è un vero onore conoscerla e averla come collega…» mi fermo, guardando ciò che avevo scritto, e lo cancello subito pasticciandolo di nuovo, «E se fosse giovane? Non posso dare loro del lei…» mi dico, sedendomi nuovamente davanti alla scrivania.
Sento bussare alla mia porta e, non appena dico “avanti”, mia madre entra in camera mia. «La cena è pronta» mi dice, e successivamente richiude la porta, uscendo.
Non le ho risposto, più che altro perché non so se cenerò stasera, dato che voglio impegnarmi di più su cosa dovrò dire domani mattina; ma se forse mangio qualcosa riuscirò a calmarmi, giusto?
Non appena scendo in sala da pranzo, noto che ci sono tre scodelle con dentro del ramen. Voglio precisare: non un semplice ramen, ma quello fatto da mia madre, che ha una ricetta speciale. Né io né mio padre sappiamo l’ingrediente segreto per renderlo diverso e più buono, ma forse è così che deve andare.
In tavola parliamo del fatto che domani mattina devo andare da solo a quella riunione con il cast scelto per la serie. Mi dicono che devo stare tranquillo, che di solito il cast è composto da persone che possono essere anche mie coetanee. Questo in effetti mi calma un po’, però non sono comunque sicuro.
Quando torno in camera continuo con la mia “sessione di saluti” ormai la chiamo così, anche perché mio cugino mi ha mandato un messaggio chiedendomi “come va con la sessione di saluti?”. E non me l’ha chiesto all’improvviso, anzi, ne stavamo parlando da quando scrivevo sul quaderno, quindi più o meno dalle cinque del pomeriggio. Io gli rispondo con un banale ma sempreverde “bene, ma non benissimo”.
In effetti sta davvero andando in quel modo: i saluti stanno migliorando – mah, neanche tanto – ma non va tutto così bene come speravo. Da quando i miei genitori mi hanno detto che potrebbero esserci alcuni miei coetanei nel cast, non so più cosa fare e, dato che mi sto stancando, decido di strappare le pagine completamente pasticciate e chiudere il quaderno.
Appoggio la penna dall’inchiostro nero sopra il quaderno e mi alzo dalla sedia, prendo il telefono e mi corico sul letto, ricominciando a chattare con mio cugino.
“Okay, ho smesso adesso, stavo cominciando a stancarmi”.
“Fai bene! Ti stavo già immaginando: saresti stato sveglio fino alle tre di notte continuando a scrivere e interpretare, e domani mattina saresti arrivato con l’aspetto di uno zombie e le borse agli occhi che arrivano fino a terra”.
Certe volte è davvero esagerato. Non mi pare neanche di averlo presentato: si chiama Yuto Sakaki, è figlio del fratello di mio padre, ha diciassette anni e fa il secondo anno delle superiori. Va al liceo vicino alla mia scuola e qualche volta, la mattina, ci incontriamo.
“Sei esagerato, ma sicuramente sarà come mi sentirò: dopotutto devo svegliarmi presto, e in più devo prendere un autobus per andare allo studio”
“Un autobus? I tuoi non vanno?”.
“Hanno un’altra riunione”.
E continuiamo a parlare fino alle undici di notte. Al che gli do la buonanotte e mi metto a dormire, se non avessi tutti questi pensieri in testa: devo alzarmi presto, devo prendere l’autobus, devo incontrare gente che non conosco— sospiro e chiudo gli occhi, cercando di calmarmi per dormire.
 
Ho dormito veramente da schifo, e in più in questo autobus ci sono degli individui che sono facilmente odiabili a pelle. Ci sono dei bambini che agli ultimi posti fanno chiasso, delle signore che parlano del fatto che i giovani sono attaccati ai cellulari anziché ad altro, e… quelli ai primi posti sono okay.
Forse Yuto aveva ragione, passerò la giornata a sembrare uno zombie. Spero proprio di non addormentarmi qua in autobus.
 
Mi sono appena svegliato, devo scendere e mi sento ancora peggio di prima, fantastico; ma almeno sono arrivato. Non appena mi avvicino all’edificio, apro la porta ed entro, guardandomi in giro e cominciando a camminare.
«Buongiorno, è permesso?» chiedo, continuando a guardarmi intorno. Non vedo nessuno, spero che non abbiano dato buca.
«Ah, Yuya» beh, come si dice in latino “lupus in fabula”. «Buongiorno, a quanto pare sei il primo ad arrivare».
Ma va? Non mi dire, adesso sono cieco, sordo e muto. Non c’è nessuno, è intuibile che sia il primo ad essere arrivato. Mi invita ad accomodarmi nei divanetti e le poltrone vicino alla segreteria, e io mi siedo in una delle poltrone. La cosa peggiore? Quando sono seduto si nota di più che sono stanco: schiena abbassata, testa poggiata sullo schienale e le gambe comodamente allargate.
Mi aspettavo da lui un “guarda che non sei a casa tua” come fanno i professori quando sono in classe, ma si limita a guardarmi e ridacchiare.
«Mi ricordi me da giovane» mi dice dopo qualche secondo di silenzio. Davvero? Ma perché mi dicono frasi simili ogni volta? Non è che se vedi un adolescente che fa qualsiasi cosa – compresa respirare – devi dirgli per forza “sembri me da giovane”.
Mi limito a ridacchiare e lui se ne va. Dato che sto cominciando ad annoiarmi prendo il mio telefono e cerco qualcosa da fare, magari potrei giocare a Pokémon con l’emulatore del Game Boy. Ma non faccio in tempo a premere “start” che un ragazzino si siede nel divanetto a fianco alla poltrona su cui sono seduto.
Cerco di guardarlo senza che lui mi noti, è abbastanza particolare: ha gli occhi verdi e i capelli azzurri abbastanza lunghi, ed è vestito con una felpa a maniche corte bianca, dei pantaloncini con motivo militare blu e delle Converse nere. Sposto di nuovo lo sguardo verso il mio cellulare e riprendo a giocare a Pokémon Giallo, ma di nuovo, non faccio in tempo a far camminare il mio personaggio che…
«Sei qui anche tu per il cast?» mi chiede, e io mi volto verso di lui, cercando di sedermi composto.
«Sì, perché?» no, no, no, un momento: mi state dicendo che lui è nel cast con me? Un ragazzino che forse è più piccolo di me?
«Oh, meno male, non sono da solo. Io mi chiamo Shingetsu Sora, piacere!».
Shingetsu? Ho già sentito questo cognome. «Io sono Sakaki Yuya, il piacere è tutto mio» gli dico, e ci stringiamo la mano. Non credevo fosse così facile, e non pensavo neanche che ci fosse anche gente più piccola. «Ma… dimmi una cosa… tu quanti anni hai?».
«Dieci, ma presto ne farò undici, non vedo l’ora!».
Dieci anni? Avevo detto che sembrava più piccolo di me, ma non immaginavo di addirittura tre anni. Ridacchio, un po’ imbarazzato, «A-ah… ecco… io ne ho tredici».
Sora mi guarda spalancando leggermente gli occhi. Io rimango un po’ perplesso dalla sua reazione e lui si mette a ridacchiare. «No dai, non puoi avere tredici anni, ne avrai minimo sedici!».
«No, ne ho tredici».
E niente, a quanto pare non ci vuole credere. Mi chiedo ancora perché quando dico la mia età la gente rimane sempre un po’ incredula.
Sento la porta d’ingresso aprirsi e mi volto a guardare. Entra una ragazza— ma che dico, anzi, è una ragazza stupenda: ha i capelli rosa che arrivano fino alle spalle, gli occhi blu e davanti a quelli degli occhiali con montatura quadrata e colorata di nero, indossa una camicia bianca con sopra un cardigan grigio e una gonna blu che arriva fino alle ginocchia, infine delle semplici scarpe da ginnastica nere.
«Non l’hai neanche vista e già ti piace?».
Arrossisco e mi volto verso Sora, che se la sta ridendo di gusto. «N-non farti sentire!» gli dico, cercando di abbassare il tono della voce il più possibile.
«Scusate, anche voi siete qui per il cast di Yu-Gi-Oh ARC-V?» ci chiede poi lei, avvicinandosi a noi. Ecco come si chiama la nuova serie allora, ma hanno messo “ARC-V” per indicare che è la quinta serie o cosa?
«Sì, tu chi sei?» e da lì noto che Sora è molto più sociale di me. Io non riesco a parlare, sono ancora stupito da quanto sia bella, e dovrei farmi passare questo stupore, perché potrebbe anche darmi un calcio nelle parti basse – l’ultima volta che ho fissato per molto una ragazza è successo questo.
«Mi chiamo Hiragi Yuzu, mi hanno detto che devo fare la co-protagonista femminile insieme al protagonista, sapete chi è?».
Lì ovviamente non posso esitare a rispondere, «Sono io» le dico, alzando leggermente la mano destra, «Mi chiamo Yuya Sakaki, piacere di conoscerti».
Yuzu mi sorride e si mette a ridacchiare, «Beh, allora credo che lavoreremo spesso in coppia, vero?».
Spero proprio che sia così, e meno male che non mi è uscita dalla bocca una frase del genere.
«Già, proprio così… è bello, no?»
O quasi. Nel frattempo lei si allontana, andando a farsi un giretto da sola per lo studio. Mi volto verso Sora, che continua a guardarmi con un sorriso ebete.
«Che cosa c’è?» gli chiedo, accennando una risatina.
«Hai fatto colpo» mormora, dandomi delle gomitate sul braccio destro. Di nuovo, mi sento le guance ribollire. Non ci conosciamo neanche, come sa che lei ricambia i miei sentimenti? – che tra l’altro non sono neanche nati, insomma, ho detto solo che è molto bella, ma non so ancora se la amo o meno!
«Non dire così, non so nemmeno se le sembro una persona okay oppure no».
«Come no, amico, tu sei più che okay!»
«Sarà…»
Sospiro e mi butto di nuovo nello schienale della poltrona, mostrando nuovamente la mia comodissima posizione, mentre sta entrando qualcun altro. È di media altezza e biondo, porta gli occhiali da sole e indossa uno strano abbigliamento, che io chiamerò “abbigliamento da riccone” – quello che lui sicuramente non è. Si toglie gli occhiali da sole e mette in mostra i suoi occhi grigi e se posso dirlo, anche delle sopracciglia enormi che non gli rendono giustizia.
Si volta a guardare prima me e Sora, poi si volta verso Yuzu, cominciando a camminare verso di lei.
«Mi scusi, è qui lo studio di produzione Mugen?» le domanda. Yuzu lo guarda inizialmente stranita, poi si mette a ridacchiare. Mi sembra anche ovvio che lo faccia, non solo fa ridere come è vestito, ma anche come si atteggia.
«Sì, tu chi sei?».
«Il mio nome è Sawatari Shingo, sono stato chiamato per una parte».
«La parte di quale personaggio?».
«Non me l’hanno detto».
Come sarebbe a dire “non me l’hanno detto”? Secondo me non ha semplicemente ascoltato ciò che hanno detto i produttori. In questo caso lo capisco, non so quante cose mi avranno detto a parte “sei bravo a recitare, in più sei adatto al ruolo…” e bla, bla, bla, il resto non l’ho ascoltato.
«Ma lei è una delle segretarie?».
«No, mi chiamo Hiragi Yuzu e sono qui per la parte della co-protagonista femminile».
Mi chiedo se quel ragazzo ci è o ci fa. Non mi pare che lei abbia l’aspetto di una segretaria; certo, è vestita abbastanza elegante per avere la mia età – o almeno, spero che abbia la mia età – ma si vede che non lo è. Successivamente Shingo si volta verso di noi e inarca un sopracciglio, dandosi a mio parere un po’ troppe arie.
«E voi?».
«Io sono Shingetsu Sora».
«E io sono Sakaki Yuya, per la parte del protagonista».
Gliel’ho detto giusto per provocarlo, e infatti rimane abbastanza stupito. Si avvicina a me e si mette a ridacchiare, «Tu saresti il protagonista?».
«Beh, così mi hanno detto».
«E quanti anni hai?».
«Tredici».
Sawatari scoppia improvvisamente a ridere, e mentre lo fa indossa nuovamente gli occhiali da sole. Dopo un po’ smette di ridere e mi indica, «Davvero uno come te deve fare la parte del protagonista?» e continua a ridacchiare.
«Che c’è da ridere?!» esclama Yuzu, in quel momento mi volto verso di lei, abbastanza stupito, «Se l’hanno scelto significa che lui ha fatto valere il suo ruolo! Forse non dovrei dire la stessa cosa di te, mi sbaglio?».
Il ragazzo rimane abbastanza scosso dalle sue parole, io invece non so se esserne contento o divertito, più che altro dalla reazione del finto riccone, che subito dopo scoppia a ridere di nuovo. Rimango abbastanza perplesso, e allo stesso tempo mi fa anche arrabbiare.
«Scusatemi, ragazzi» ci dice, togliendosi gli occhiali da sole, «Quando non conosco nessuno voglio sempre recitare la parte del ragazzo che non sono, a quanto pare sono riuscito a colpirvi, eh?».
In effetti è proprio così. Non pensavo che stesse recitando, anche se, in effetti, chi andrebbe mai in giro vestito in quel modo? Ridacchio e mi complimento con lui, e ricambia i complimenti perché nonostante la mia età, farò la parte del protagonista.
«Giusto una curiosità» gli dice Sora, «Ma tu quanti anni hai?».
«Vi basta sapere che faccio scuola di recitazione da quando avevo quindici anni».
Caspita, allora è più grande di noi. Guardandolo bene gli darei almeno diciassette o diciotto anni, ma sicuramente mi sto sbagliando.
«Ho ventidue anni, comunque. E voi?».
Molto bene, al solito mi sono sbagliato, è persino maggiorenne. Da lì scopro che Yuzu è più grande di me di un anno. La differenza è di solo un anno, però rimango comunque deluso. Speravo fosse mia coetanea, invece non c’è mai via di mezzo, o sono più grandi di me o sono più piccoli.
«Ah, siete qui»
Uno dei produttori si avvicina a noi e io e Sora ci alziamo dalle poltrone, «Seguitemi, devo farvi vedere il posto in cui faremo le riprese dall’interno» e seguiamo l’uomo. La strada è abbastanza lunga e, lì abbiamo tempo fra noi quattro di farci una chiacchierata.
Non appena arriviamo a destinazione, mi metto ad ammirare l’intera stanza. Ho sempre adorato gli schermi verdi e i vari strumenti su cui fare gli effetti speciali, e finalmente vedo queste cose dal vivo.
«Fujiwara, vedo che li stai già guidando» dice una voce maschile. Noi cinque ci voltiamo e vediamo un uomo alto e molto serio. Il produttore si inchina, «Sì, regista. Ho qui con noi anche il protagonista, Sakaki Yuya».
Il regista?!
Non appena il produttore mi prende per le spalle e mi mostra davanti a lui, sento il mio respiro che si fa sempre più irregolare, ma cerco di tranquillizzarmi e mi presento all’uomo, che continuava ad osservarmi.
«Mh… dall’aspetto sembra adatto. Ma gli hai fatto recitare qualcosa del copione del primo episodio?».
«Oh, no! Ma può sempre provare adesso, vado a prendere i copioni».
E il produttore corre via dalla stanza, lasciando noi quattro da soli con il regista.
«E voi siete gli altri personaggi che ho chiamato, vero? Suppongo che il resto non sia ancora arrivato».
Vedendo le loro espressioni, ho intuito che anche loro avevano un po’ d’ansia. Mi sento meno solo, però loro non hanno certo la stessa ansia che ho io. Spero solamente che questo colloquio finisca in fretta e, spero anche di essere bravo nella recitazione del mio copione come prova al regista.
Non appena il produttore torna, mi consegna un foglio con scritta la battuta che dovrò dire il giorno delle riprese del primo episodio. Prendo un respiro profondo e comincio a recitare, sperando che vada tutto bene.
   
 
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