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Autore: fran79    22/06/2017    1 recensioni
Stagione 1, episodio 5.
Abbiamo visto i Braccialetti uscire di nascosto dall'ospedale per andare al funerale di Davide: sappiamo chi li ha aiutati e come ci sono arrivati. Dopo la cerimonia, li abbiamo visti rientrare. Ma chi li ha riaccompagnati, e che cosa è successo dopo? Come hanno reagito i medici alla loro disobbedienza?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dottoressa Lisandri, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. I personaggi appartengono alla Palomar Television & Film Production.



Il carro funebre che conduce Davide alla sua ultima dimora è ormai scomparso dietro la curva, mentre il lungo corteo di auto diretto verso il cimitero sta lentamente facendo altrettanto. Sul sagrato della piccola chiesa affacciata sul mare, insieme a poche altre persone, sono rimasti i Braccialetti, Piera, Nicola e i tre medici: Abele, la Lisandri e Carlo.

I ragazzi si tengono in disparte. Stavolta l’hanno davvero fatta grossa: più del murale in Oncologia, delle scorribande notturne nei reparti, della partita di basket in terrazza con rissa annessa. Sono scappati dall’ospedale senza permesso e senza che le loro famiglie ne sapessero nulla, e se qualcuno scopre che Johnny e gli operai della lavanderia li hanno aiutati finiranno anche loro nei guai: altro che la finta sfuriata del dottor Carlo per il dipinto del leone! Sono un po’ dispiaciuti per queste persone, ma per il resto non hanno certo paura: anche se li puniranno severamente – e quel mastino della Lisandri non gliela farà passare liscia di sicuro – sanno di aver fatto la cosa giusta. Non potevano non salutare Davide.

Sentono gli adulti discutere di come organizzarsi per riaccompagnarli in ospedale.

«Se vuole, dottoressa – è Piera che parla – sulla mia macchina ci sono ancora due posti: ne prendiamo due io e due lei, va bene?»
«Grazie, Piera, ma preferirei riportarli tutti io. Non è mancanza di fiducia, ci mancherebbe, ma la loro responsabilità ricade principalmente su di me. – Piera sorride e annuisce. – Se fosse così gentile da dare un passaggio ai miei colleghi insieme a Nicola… Ecco, magari le lascerei una carrozzina, temo che nel mio bagagliaio non ci sia spazio per tutte e due.»
«Va benissimo. Allora vado a prendere la macchina.»
«Vado anch’io. Ci ritroviamo qui. Dottore – è Carlo il destinatario della richiesta – resti con i ragazzi, per favore.»

Le due donne, insieme al dottor Abele e a Nicola, si allontanano. Appena la Lisandri non è più a portata di voce, Carlo si volta concitato.

«Ragazzi, avete un’idea di che cosa…»
«Tu che avresti fatto?» lo interrompe seccamente Leo.

Carlo si sente quattro paia di occhi addosso. La sua adolescenza non è così lontana, l’affetto viscerale che a quell’età si prova per gli amici nemmeno. La morte di Davide ha sconvolto anche lui. Capitola.

«Lo stesso – sospira. – Ma non è questo il punto. Avete rischiato grosso e l’avete combinata bella, in tutti i sensi. Sapete che ne pagherete le conseguenze, vero?»
«Sì… e cominceremo subito – interviene Toni con il suo sonoro accento napoletano. Tutti lo guardano un po’ interdetti. – Mezz’ora in macchina con la Lisandri: e che non è già una punizione questa?»

Non credevano di averne voglia, ma ridono tutti. Compreso Carlo.

Dopo una decina di minuti ecco arrivare le due automobili, che si fermano a pochi metri da loro. Il dottor Carlo fa cenno a Piera di non scendere, solo di aprire il bagagliaio con il comando interno per poter caricare una delle due carrozzine. La Lisandri invece è scesa e sta aprendo tutte le portiere. I ragazzi si sono già avvicinati, in silenzio: non è il momento di far chiasso o di discutere.

«Venite.»

È la prima parola che pronuncia, rivolta a loro. Senza nessuna inflessione particolare. Prima, però, li ha guardati negli occhi uno a uno. E loro hanno sostenuto tranquillamente il suo sguardo.

«Vale, sali davanti, dovresti essere più comodo, la gamba ha ancora i punti ed è meglio non rischiare di sbatterla. Cris, tu che non hai problemi a muoverti siediti in centro. Leo, fai attenzione. Toni, lascia le stampelle, le mettiamo nel baule insieme alla carrozzina.»

Ha parlato con il suo solito tono impersonale, ma nel frattempo ha controllato che Leo riuscisse a salire senza difficoltà e aiutato anche Toni. Intanto il dottor Carlo ha sorretto Vale mentre prendeva posto e ora sta sistemando la sua sedia a rotelle, piegata, nell’auto di Piera. Nel suo bagagliaio, la Lisandri fa lo stesso con quella di Leo e le stampelle di Toni. Poi Carlo sale con Piera, la dottoressa si mette al volante e partono.

Per tutto il tragitto nessuno parla. I ragazzi pensano a Davide: l’enormità di quanto è accaduto li sovrasta ancora. Inutile dire che, tuttavia, una piccola parte di loro pensa anche a ciò che li aspetta una volta in ospedale, perché sanno bene che la punizione arriverà e stavolta sarà dura. Se tacciono, anche se non lo confesserebbero nemmeno sotto tortura, è anche perché temono che basti una parola a far “scoppiare” la Lisandri: ed è un momento che è bene ritardare il più possibile, perché saranno dolori.

In realtà i Braccialetti si sbagliano, almeno in parte, perché la dottoressa, più che essere arrabbiata, sta riflettendo. Certo, non è contenta per niente: i ragazzi hanno disobbedito, sono usciti senza permesso e all’insaputa delle loro famiglie, e la faccenda è grave perché, se fosse successo anche un minimo problema, sarebbero stati guai seri. Chi li ha aiutati, poi, è un emerito incosciente che, se è un dipendente dell’ospedale, meriterebbe almeno una sospensione dall’incarico. Però… vederli coprire di fiori la bara, sentire Leo parlare, sentirli cantare… è stato bellissimo. Vuole che lo sappiano. Lo desidera, anche se non sa spiegarsi il perché. Esattamente come non sa spiegarsi il fatto che, nonostante da tanto tempo lei abbia imparato a chiudere le emozioni in un angolo del cuore, a non lasciarsene dominare in alcun modo, tanto meno a permettere loro di trapelare all’esterno, ultimamente, davanti all’amicizia così spontanea e profonda che lega i Braccialetti, questo le riesca più difficile: oggi più ancora del solito. Ogni tanto, guidando, senza farsene accorgere, con la coda dell’occhio guarda Vale e nello specchietto retrovisore i tre seduti dietro. E pensa a quali parole usare per salvare capra e cavoli, per comunicare quello che prova senza “perdere la faccia” né ridimensionare minimamente l’abissale sciocchezza che hanno commesso.

Le due auto giungono nel parcheggio dell’ospedale una dietro l’altra e si ripetono, al contrario, le operazioni di poco prima. Quando tutti sono scesi e sono sistemati con le carrozzine e le stampelle, la Lisandri chiude il bagagliaio e si volta.

«Andate nel mio studio, sedetevi e aspettatemi lì.»

Li ha guardati appena e ha parlato con tono assolutamente incolore. I ragazzi si avviano in silenzio verso l’ospedale, captando una rapida occhiata preoccupata del dottor Carlo. All’ingresso una piccola folla di medici, infermieri e pazienti li accoglie sollevata: appena si sono accorti che non erano nelle loro stanze, hanno trascorso la mattinata a cercarli e solo meno di un’ora fa una telefonata del dottor Abele ha dissipato la preoccupazione. Molti parlano e sorridono, qualcuno dà loro pacche sulle spalle, ma loro sembrano non vedere niente e non sentire nessuno. Hanno fatto il loro dovere, hanno salutato un Braccialetto Rosso: il resto conta fino a un certo punto.

Passa circa un quarto d’ora prima che la Lisandri li raggiunga nel suo ufficio, dove si sono diretti subito e l’hanno aspettata senza parlare. È passata nello spogliatoio dei medici a cambiarsi: il severo tailleur scuro che indossava in chiesa ha lasciato il posto all’abituale completo di tela verde e al camice bianco. Per i ragazzi è un’immagine decisamente più familiare, e senza accorgersene tirano tutti un impercettibile sospiro di sollievo: per quanto possa sembrare strano, così sembra loro meno temibile. Non tanto meno, a dirla tutta… ma insomma.

La dottoressa prende posto alla scrivania.

«Toni, cosa fai in piedi appeso alle stampelle? Cris, anche tu: mi pareva di avervi detto di sedervi.»

Obbediscono. Ora sono tutti e quattro seduti a semicerchio davanti al tavolo. Lei li guarda di nuovo negli occhi uno per uno, come prima: solo che stavolta lo fa a lungo. Uno sguardo serio, impassibile, da cui si aspetta che prima o poi loro allontanino il proprio, ma non accade. E non c’è traccia di sfida, neppure in quello di Leo, che di ribellioni se ne intende: solo la compostezza di chi, anche senza parlare, ti sta dicendo che non avrebbe potuto agire diversamente, che ha fatto l’unica cosa possibile.

Quando il silenzio comincia a farsi pesante persino per lei, annuisce e decide di infrangerlo.

«È perfettamente inutile che io vi chieda chi vi ha aiutato, e come. Non me lo direste. E io preferisco non indagare perché, se lo scoprissi… e vi assicuro che potrei riuscirci… a norma di legge questa persona, o persone, rischierebbe il posto e anche una denuncia. Quando vi si dice che una cosa non è possibile, nessuno lo fa perché è crudele e malvagio e prova piacere nel negarvi qualcosa: c’è sempre un motivo valido che tutela innanzitutto voi e la vostra sicurezza, poi le vostre famiglie e in terzo luogo chi, lavorando qui, vi ha sotto la propria responsabilità. Se non sapevate quali potevano essere le conseguenze di quello che avete fatto, ora lo sapete. È andata fin troppo bene perché non è successo niente, ma bastava un piccolissimo incidente per rovinare per sempre la vita delle persone di cui avete eluso la sorveglianza e di tutte quelle che vi hanno aiutato a uscire. Ricordatevi, la prossima volta che penserete di non comportarvi secondo quanto vi è stato detto, che le conseguenze possono essere gravissime e non riguardare solo voi, ma coinvolgere molti altri, anche incolpevoli. Potete andare.»

I ragazzi sono disorientati. Non è questo che si aspettavano.

«Non… ci dà una punizione?» chiede Cris, con voce un po’ incerta.
«L’avete già avuta, una punizione. Prima ancora di disobbedire.»
«Quale?» interviene Leo, brusco.
«Quella per cui oggi siete fuggiti. Andate.»

Beh, questo proprio non lo avrebbero mai immaginato. La Lisandri che gliela fa passare liscia?

Si avviano verso la porta, ancora frastornati.

«E comunque… – la voce della dottoressa li raggiunge sulla soglia, con la porta già aperta – i vostri fiori colorati e la vostra canzone… a Davide sarebbero piaciuti molto.»

Si bloccano, scambiandosi occhiate incredule. Ma le hanno sentite davvero, queste parole?

Si voltano. Ma lei non li sta guardando, è china sulla scrivania e sta firmando dei fogli.

I Braccialetti escono dalla stanza, sorridendo. Ma guarda. Vuoi vedere che la Strega ha un cuore?

E, così facendo, non si accorgono che Maria Pia Lisandri ha alzato gli occhi, e che sorride anche lei.



Grazie a chi leggerà e vorrà lasciare un pensiero.
   
 
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