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Autore: nuvolArcobaleno    22/06/2017    1 recensioni
«Io… mi chiamo Axel. Axel Carpenter» Provò a tenderle la mano, ma la ritirò subito. Che stupido.
Quella situazione era assurda.
Forse avrebbe soltanto dovuto porre fine a tutto.
«Scusami» sentenziò sinceramente dispiaciuto. Sperò che lei capisse quanto gli dispiacesse. Si avvicinò alla porta. Alzò il pugno per dare due colpi. Momento di esitazione.
«Garla»
Axel si bloccò di colpo.
«Come?»
«Garla. E’... è il mio nome»
«... Garla?» Garla annuì.
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Evasione

Tra il momento in cui finì di bussare e quello in cui la guardia aprì lo sportellino della porta blindata una moltitudine di pensieri si sovrapposero nella mente di Axel.

Questo piano non funzionerà mai. Moriremo. Cazzo. Devo tornare a casa. Devo tornare devo assolutamente. L’avevo promesso. Cazzo. E ora invece morirò qui. Saranno contenti quei bastardi. Loro e le loro leggi del cazzo. Stupido re stupidi finti consiglieri stupide leggi e stupide cazzo di leggi sociali. Certo perché se non fai come vogliono loro sei un degenerato un debole un’aberrazione. Maledetti. Mi avevano anche dato la possibilità di tornare. Sarebbe stato tutto come prima. Sarei tornato e mi avrebbero accolto. Mi avrebbe accolto. Certo come se niente fosse. Ma per favore! Menti a te stesso. Sei proprio un coglione. Dovevi rifiutare. Dovevi rassegnarti e invece no. Hai accettato. Idiota. Non ce l’avresti mai fatta non ce la farai mai. Sei proprio un debole. E’ perché sei debole che hai accettato di mettere in scena sto piano del cazzo. E ora morirete tutti. Morirai tu morirà lei che neanche conosci e con te non c’entra niente. Sei un’ameba. Mi fai schifo. Dovevamo fare come dicevano loro. Dovevamo andare con la corrente. Nessuno ci avrebbe disprezzato. Ma lei sì. Lei sarebbe morta. In tutti i casi sarebbe morta. Ora capisco perché vuole provarci. Ma io perché? Perché che voglio tornare a casa? Ma voglio tornare a casa? Non avrei comunque avuto speranza. Probabilmente lo sanno già tutti. Sarei morto comunque anch’io.

«Che vuoi?» La sua voce era odiosa e gracchiante. L’astio che trasmetteva verso il suo interlocutore faceva venire voglia di fargli abbassare la cresta. Questo diede coraggio ad Axel.

«Senti,» cominciò con voce calma e misurata, si stupì di quanto sembrasse a suo agio nel chiedere «Non vuole collaborare, ho il permesso di fare a modo mio?»

Dall’altra parte della piccola fessura si sentì come un sussulto.

«Apperò! E dimmi, ti serve qualcosa in particolare?»

Axel provò un mix di disgusto e stupore nel trovare se stesso dire «Una frusta»

La guardia disse che l’avrebbe portata subito e si allontanò ondeggiante sghignazzando tra sé. Da dentro la cella piastrellata si sentiva il rumore dei suoi passi pesanti allontanarsi.

Siccome nessuno si sognerebbe mai di voler uscire da una stanza dove si è chiusi a chiave con una bella donna, o almeno così diceva il regolamento, nessuno era lasciato come guardia di riserva ai due prigionieri. Quel giorno non faceva eccezione.

Intanto Garla era abilmente riuscita a bloccare con le manette lo sportellino dal chiudersi. Dopo averlo riaperto completamente con l’aiuto di Axel, Garla controllò l’esterno.

«Tutto libero, come da programma»

«Come fai a dirlo? Io da qui non vedo praticamente niente» ma lei non diede il minimo ascolto alla voce che gli sussurrava scettica all’orecchio.

«Tanto per sicurezza, mi ripeti il piano?»

«Distraiamo la guardia, apriamo la porta, sgattaioliamo nel condotto dell’aria, e usciamo senza farci sorprendere»

Questo piano non ha senso fu l’unico pensiero che riuscì a formulare Axel. Innanzitutto, come avrebbero fatto ad aprire la porta?

Axel iniziò a guardarsi nervosamente intorno, ma Garla sembrava perfettamente tranquilla. Appoggiò entrambe le mani sulla porta e chiuse gli occhi. Guardando meglio, gli sembrò che stesse borbottando qualcosa. Axel non riuscì a capire cosa stesse facendo, complice un po’ il buio, un po’ la massa di alghe davanti al viso e la completa inutilità dell’azione dal suo punto di vista.

Si stava spazientendo. Da un momento all’altro la guardia sarebbe tornata con la frusta. Lui, nella disperazione più piena l’avrebbe presa e avrebbe tentato di strozzarla. Avrebbe fallito e li avrebbero giustiziati entrambi. Il finale che si aspettava, ci rimase quasi deluso.

Fu riscosso alla realtà da una serie di rapidi “click”. Garla era tornata accanto a lui e guardava la porta. Che si stava aprendo.

 

Axel era rimasto a bocca aperta. Non sapeva più che dire. Non sapeva più che pensare. La sua mente si era svuotata davanti a un fatto tanto straordinario. Garla stava probabilmente cercando di dirgli qualcosa, ma lui non sentiva, era stato inghiottito dallo stupore.

Poi uno schiaffo.

La realtà gli piombò addosso violenta e irrazionale qual era. La sua mente ripercorse in fretta gli eventi degli ultimi giorni per riprendersi: la lite, il malinteso, il furto, l’incarcerazione, la proposta ignobile, la tizia dai capelli di alghe, il piano impossibile, la frusta, la porta che si apriva come per magia. E tornò al presente.

«Eh?»

«E’ la nostra occasione, sbrigati, il condotto dell’aria dovrebbe essere di qua!»

Axel seguì Garla come per inerzia. Voleva farle delle domande ma non riusciva a trovare le parole.

Il corridoio era stretto e lungo, ci passavano due persone accanto a fatica. La porta da dove erano usciti si trovava in fondo al corridoio, l’altro accesso alla cella era in un corridoio speculare a quello, come se avessero murato lo stesso passaggio a metà. Come nella stanza, era tutto pavimentato a mattonelle, anche pareti e soffitto.  Mattonelle bianco sporco che ti opprimevano e ti schiacciavano al suolo. Se non ci fossero state le lampade a neon, non avresti distinto quale fosse il sopra e quale il sotto. Le lampade illuminavano di una luce bianca e opaca l’atmosfera, creando ombre flebili e tremolanti. L’ambiente nel complesso era spoglio e asettico e tuttavia disturbante.

I due impiegarono dei minuti per adattarsi alla luce improvvisa. Ma Garla sembrava già sapere dove fosse la conduttura e andava spedita tastando il muro. Axel brancolava nel buio, vedeva debolmente dove era la ragazza ma anche procedendo a tentoni non riusciva a concentrarsi con tutti quei flash che gli baluginavano davanti tutte le volte che provava a chiudere gli occhi.

«Trovata!» annunciò gioiosa Garla.

Ritrovata parzialmente la vista, Axel aiutò l’altra ad aprire la grata ed entrarci dentro. La condotta era larga appena il necessario per farci passare un uomo. Axel avrebbe dovuto stringersi nelle spalle. Si chiese come mai avessero bisogno di condutture dell’aria tanto ampie.

Axel stava giusto spingendosi dentro lo stretto cunicolo quando sentì risuonare l’eco di uno sghignazzo in lontananza. Il sangue gli si gelò nelle vene.

«Che c’è, che succede?» Garla era già un pezzo dentro.

Si fece coraggio.

«Resta immobile e non parlare»

Da dentro l’oscurità del condotto, Garla sentì Axel scendere, il suono metallico della grata che si appoggia al vano, il suono sinistro e cupo di qualcosa di pesante che si chiude. Sentì un “clang”.

 

La guardia si fermò un attimo all’inizio del corridoio. Gli sembrava di aver sentito un rumore. Tuttavia il corridoio era come lo aveva lasciato e, una mano appoggiata alla cintura e nell’altra la frusta richiesta, si avviò verso la camera.

Non aveva mai veramente capito perché il governo tutelasse quel programma. Ma non si era mai neanche interessato veramente a saperlo. La cosa, d’altro canto, non lo riguardava, non influiva sul suo lavoro. Che gli importava a lui se il regno era disposto a perdonare quei criminali che avessero accettato di mettere su famiglia? Tanto, in breve tempo sarebbero tornati lì, in un modo o nell’altro. Se uno diventa criminale resta criminale, diceva sempre lui, non importa cosa. Non gli piaceva tuttavia essere assegnato a quel programma. Come guardia, doveva solo portare il prigioniero nella camera, aspettare, portargli ciò che gli serviva in caso di non collaborazione e aspettare ancora. Certe volte doveva solamente dire “Sì, hai il permesso.” Non gli era concesso neanche sbirciare. Era un lavoro tremendo. Non poteva neanche lamentarsi con qualcuno di quell'ingrato compito, perché l’altra entrata era bloccata alla sua vista da una parete e la guardia dall’altra parte non era umana, quindi non avrebbe comunque fatto conversazione. Certo, in effetti non aveva senso mettere una vera guardia dall’altra parte: la ragazza non sarebbe dovuta riuscire prima delle ventiquattro ore dopo, e non sarebbe potuta comunque scappare. Nessuno corre più veloce di un robot, o almeno non è abbastanza veloce da schivare i suoi colpi.

Tra tutti questi pensieri, la guardia arrivò a passi pesanti davanti alla pesante porta.

Aprì lo sportellino. Dentro non si vedeva niente.

«Ehi!» ma nessuno rispose.

La guardia estrasse le chiavi dalla cintura con non poca ansia. Che fosse successo qualcosa? Doveva controllare. Che diceva il regolamento in questo caso?

Mise la chiave nella serratura e provò a girare. Ma la porta non era serrata.

Aprì lentamente l’immensa porta di acciaio e legno.

Uno scricchiolio tetro risuonava nel silenzio mentre entrava nella camera.

Ancora sulla soglia, provò a guardarsi intorno. L’oscurità gli inghiottiva i mille pensieri sconnessi che lo tartassavano.

Silenzio.

Dalla pece uscì una possente mano che lo prese e lo scaraventò nel vuoto della cella. Le piastrelle apparivano perle impolverate viste da vicino. Alzò la testa terrorizzato. Due cerchi bianchi lo fissavano sospesi sopra di lui. La follia e la morte brillava in quegli occhi.

L’aria intorno a quei demoni vibrò e una forza oscura si avventò su di lui.

Fu il buio.

 

Nel condotto, Garla iniziava a sentirsi a disagio. I rumori che sentiva dietro di sé erano vicini e inquietanti.

La tensione le gocciolava lungo le tempie mentre pregava che andasse tutto bene.

Rumori sordi le arrivarono come dietro la nuca. Il terrore le faceva battere il cuore nelle orecchie.

Silenzio.

Cercò di captare anche il minimo rumore. Ma sentì soltanto la grata che si riapriva e sussultò.

«Possiamo andare»  la voce di Axel suonava greve e spenta.

«Che è successo?» Dietro di sé sentiva il compagno d'evasione arrampicarsi a fatica nello stretto condotto. Sembrava tenesse in mano qualcosa.

«Niente… Ho solo- mi sono equipaggiato»

I due continuarono in silenzio nel cunicolo.

«Secondo te, quanto tempo è passato da quando siamo entrati nella cella?» Garla non ne aveva idea.

«No lo so, perché?»

«Perché da quando siamo entrati avevamo due ore di tempo prima che qualcuno venisse a controllare che tutto procedesse liscio…

E quando arriveranno non ci metteranno molto a capire cosa sia successo»

Garla raggelò. Questo non lo aveva calcolato nel suo piano.
 

Note
La mia intenzione nel primo primo paragrafo di questo capitolo era di rendere uno "stream of conciousness" o "flusso di coscienza" per i comuni mortali. Mi sono resa conto che non potevo effettivamente farlo, anche perché non si capiva niente, cioè... meno di così. Lo stesso vale per la guardia, ma ho cercato di differenziare tra loro i due discorsi per rendere diverse impressioni: nel primo caso Axel sta pensando molto in fretta e fa pensieri più sconnessi; mentre nel secondo la guardia è più rilassata, quindi ho aggiunto della punteggiatura, per spezzare il ritmo.
Inoltre, sì, mi ci è cascato l'elemento fantastico. Eh lo so, mi dispiace. Non sarà propriamente magia, ma è comunque nella sfera del fantastico e inspiegabile.
Vi ricordo inoltre che questa storia procede sotto il segno dell' "improvvisazione" e che quindi potrebbe finire per cercare modi un po' trash, diciamo, per sbrogliarsi dalle situazioni più spinose. Cercherò tuttavia di non farlo accadere così spesso.

   
 
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