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Autore: QWERTYUIOP00    22/06/2017    1 recensioni
"Ho portato loro il fuoco della vita, ho dato loro i mezzi per competere con gli stessi dei, eppure loro hanno rifiutato. Hanno preferito mantenere le loro vuote abitudini e la loro banale vita che pigramente conducevano fino ad un inevitabile conclusione.
Hanno rifiutato e mi hanno cacciato.
Ma tu sei diversa, lo sento. Il tuo cuore ribolle, la tua anima ferina non attende nient’altro che di spiccare il volo. Che cosa ti trattiene dallo spezzare le tue catene? Questo mondo non ti vuole, casa tua ti ha ripudiato, e tutto il tuo spazio lo hai ottenuto lottando. Lotta ancora una volta, combatti la più grande delle tue battaglie, forza! L’immortalità è lì che ti aspetta!"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La bambina si guardò intorno.
Un fiumiciattolo attraversava la radura; il lento sciabordio dell’acqua che si scontrava contro le rocce nel suo vivace andamento animava il luogo, avvolto in un silenzio mortale.
La riva opposta a quella dove la fanciulla era dolcemente adagiata, cullata da un soffice manto erboso, era spoglia: soltanto un paio di alberi bruciati circondavano un sentiero che conduceva poco più in là.
La bambina si alzò per vedere meglio, aveva il sole in faccia, protendendosi in avanti. Niente da fare, il sole le oscurava comunque la vista.
L’essersi alzata tutta in un momento le aveva fatto girare la testa, si sentiva stanca, molto stanca; pigramente alzò la mano destra per coprirsi dai raggi luminosi che le davano tanto fastidio.
Il sentiero alberato al di là del corso d’acqua portava ad una specie di altare in pietra sopra cui era posato un libro chiuso illuminato dalle fiamme di un grosso braciere.
Il rumore dell’acqua cominciava a metterle sonno; la bambina abbassò il braccio.
L’altra riva non sembrava tanto invitante, e lei era così stanca… decise di andare a casa.



Venni scossa da un attacco di brividi. Lentamente aprii gli occhi guardandomi attorno.
Pian piano, dal buio i contorni dei mobili della mia camera da letto si fecero più netti, dopo una decina di secondi riuscii a vedere lo spazio intorno a me con quanta nitidezza consentiva il buio.
Un altro brivido mi percorse la schiena; nel sonno avevo scalciato via le pesanti coperte, eppure in quel momento avevo un freddo inimmaginabile.
Con un scatto presi i bordi delle mie coperte e mi avvolsi nel loro comodo calore, premendo la faccia contro il cuscino
Mi stavo forse ammalando? Era l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento, proprio l’ultima cosa. Uriel aveva bisogno di me in quel momento, più che in tutta la sua vita.
E io ci sarei stata.
 
 
 
La bambina si coccolava tra le coperte cullata dalla roca voce del padre che leggeva una favola da un piccolo libro stretto saldamente tra le sue mani.
La spada del padre era appoggiata al muro precariamente. Il padre non ci badava e continuava a leggere.
Dall’altro lato della parete della cameretta si sentì un singhiozzo seguito da dei lamenti.
-Che cos’è?- chiese la bambina alzando la testa dal cuscino e aprendo gli occhi, improvvisamente allarmata.
-Niente di cui preoccuparsi- la tranquillizzò il padre accarezzandole una guancia - soltanto Antiochus-
-E perché piange?- domandò l’altra avvolgendo con le braccia le ginocchia, per nulla rasserenata.
-Domani dovrà partire e uscire da questa casa, è diventato grande ormai. Per lui è arrivato il momento di farsi una vita, una casa, una famiglia, tutta sua, per poi crescere dei figli che faranno altrettanto- rispose benevolo l’uomo.
L’espressione della bambina era di puro terrore.
-Ma… ma… pure io?- balbettò la ragazzina.
-No, tu no- rispose il padre con un sorriso -tu rimarrai sempre qui, al sicuro, lontano dai pericoli del mondo, qui con me. Tu vorresti andare?-
La bambina scosse la testa con decisione.
 


Spalancai gli occhi; le mie braccia stringevano il morbido cuscino, artigliandolo.
“Al diavolo il sonno, ne ho abbastanza” pensai fra me e me, per poi alzarmi e affacciarmi al balcone accessibile dalla finestra posta sul lato nord della camera da letto.
Coperta da una pesante tunica, uscii all’aria aperta, facendomi avvolgere dal vento gelido.
Ai miei piedi si estendeva la costa nord di Skyrim, lambita dal Mare dei Fantasmi, le cui onde burrascose attaccavano di continuo le spiagge.
A parte per il bianco della schiuma del mare, tutto il paesaggio era buio.
Tutto era nero, i confini si dissipavano nel paesaggio notturno, tutto era unito in un quadro che non conosceva linee.
Guardai di fronte a me, verso sud, centinaia di leghe più a sud, mio figlio combatteva contro i lealisti della falsa imperatrice.
Ma i loro sforzi si erano rivelati vani: nulla avevano potuto contro gli eserciti che avevo passato anni ad assemblare, attendendo quel giorno in cui avrei potuto riprendermi ciò che era mio. Che era mio di diritto.
E quel giorno era arrivato.
Mio figlio stava assediando la Città Imperiale, in poco tempo l’avrebbe definitivamente conquistata, e sarebbe diventato imperatore. E i miei fratelli non avrebbero potuto far altro che inginocchiarsi e augurare lunga vita all’imperatore Uriel Septim III.
“Presto tornerò a casa” mi dissi, per poi allargare le braccia e lasciare che il vento mi circondasse con tutta la sua forza.
Restai immobile per un paio di minuti, la gemma della collana che avevo al collo, dono di mia madre, che conteneva l’anima del lupo mannaro che i miei genitori avevano ucciso poco prima della mia nascita, brillava vivacemente nella notte.
 


La bambina rimaneva immobile, confusa.
Le rive del fiumiciattolo che aveva osservato il giorno prima erano collegate da un ponticello che era sicura di non aver visto prima.
Un’aquila volteggiava in aria, decine di metri sopra il piccolo altare che il giorno prima era stato oggetto d’interesse per la ragazzina.
La comparsa del ponte la incuriosiva enormemente, ma non la turbava; non era qualcosa che le aveva portato sconforto, anzi, grazie ad esso poteva andare scoprire cosa si celasse sull’altra riva.
La stanchezza del giorno prima era totalmente scomparsa, tanto che non aveva neanche avuto bisogno di sdraiarsi sull’erba fino a quel momento, e il ponte non faceva altro che incoraggiare la curiosità della bambina.
Timidamente, guardandosi attorno per controllare che nessuno la stesse osservando o, peggio, attirando in una trappola, cominciò a fare i primi passi, per poi fermarsi subito dopo, richiamata da un urlo che aveva lacerato l’aria, dandole anche fastidio alle orecchie.
Sollevando il capo, la fanciulla capì che quello era in realtà il verso dell’aquila, che in quel momento la stava guardando torva.
Una volta aveva sentito la storia di un uomo, colpevole di qualcosa che non le era mai stato ben chiaro, che era stato legato ad una roccia con delle catene mentre un’aquila gli strappava il fegato. Da quel momento aveva sempre avuto paura delle aquile.
Istintivamente si coprì l’addome con le braccia, indecisa se tornare indietro o no.
Si sentiva strana; era sicura che vi fosse qualcosa di strano in lei quel giorno.
L’idea di andare a casa la spaventava invece che rassicurarla, la figura di suo padre le incuteva soltanto timore e odio invece che fiducia. Decise di andare avanti.
Riprese a camminare, continuando ad osservare l’aquila, che, stranamente, rimaneva ferma a vegliare.
Era arrivata al ponte, ormai, rimanevano soltanto un paio di metri.
Un sibilo nell’aria. Una brezza si sollevò, il terreno si ruppe davanti a lei.
Terrorizzata, la bambina cacciò un urlo, per poi chiudere gli occhi e fare un balzo indietro.
Davanti a lei, a mezzo metro di distanza, era conficcata per terra una freccia.
Terrorizzata la bambina si guardò attorno, non vedendo però nessuno, a parte l’aquila.
Una risata compiaciuta l’avvolse.
 


Riaprii subito gli occhi, sollevandomi dal letto.
La luce del sole entrava dolcemente nella camera attraverso la finestra; l’alba doveva essere passata già da un pezzo.
Mi alzai dal letto in fretta e chiamai la mia cameriera.
-Buongiorno, mia signora- disse lei entrando -tra poco avete un colloquio con il sovrintendente-
-Posticipalo- ordinai con voce secca mentre mi vestivo -Convoca la sacerdotessa Agna-
-Come desiderate, mia signora- rispose l’altra.
Quindi era successo.
Avevo convocato una sacerdotessa per curare i miei bisogni spirituali invece di occuparmi dei miei doveri… forse stavo diventando vecchia...
Mi misi a ridere di gusto.
Alla fine arrivò la sacerdotessa, che, appena entrata, si inchinò ossequiosamente.
-Buongiorno, mia signora. Ho atteso a lungo che questo giorno arrivasse- esordì -sentite il bisogno di pregare i Nove?-
“Oh, povera” pensai “dovrai far meglio di così. Di molto”
-Ti ho convocata perchè ho bisogno di confidarmi riguardo certi… eventi che sono capitati di recente- risposi -ma prima devo stabilire che, naturalmente, tutto ciò che verrà detto tra queste mura… non lascerà queste mura. E confido tu sia abbastanza furba da non cercare di vedere cosa succederebbe in caso contrario-
La sacerdotessa annuì, chinando il capo ancora una volta: -Certamente, mia signora-
Il tono sicuro di prima era svanito.
Chiusi la porta e  mi adagiai su uno scranno posto di fianco alla finestra, e lo stesso fece Agna.
-Di che cosa intendete parlarmi, mia signora?- domandò questa.
Presi un fiore da un vaso che era posato affianco alla mia sedia e me lo portai al naso, annusandolo.
-Sogni- risposi indicando con la testa il letto dietro di me -o incubi, chiamiamoli come ti pare-
Agna annuì.
-E questi… sogni… la spaventano?- chiese.
Sorrisi maliziosamente e rimisi a posto il fiore.
-Ci vuole ben altro per spaventarmi, sacerdotessa. Te lo posso assicurare. E non saranno un paio di visioni a scuotere la mia sicurezza, si ricordi che io sono, o comunque sarò presto, la regina madre- dissi studiando le sue espressioni e reazioni a ciò che dicevo. Fino a quel momento aveva ostentato un certo distacco, ma sapevo bene che in realtà pendeva dalle mie labbra.
-No, questi sogni non mi spaventano- continuai -Mi turbano. Non mi fanno dormire. Perchè non li capisco, non colgo il loro significato, o ciò che vogliono dirmi-
Fu la volta della sacerdotessa a sorridere.
-Quindi ha chiamato un’interprete- concluse Agna -In effetti i sogni possono spesso “consegnarci” messaggi, avvertimenti, anche dal futuro, oppure spiegare molto di noi stessi… le nostre paure, i nostri desideri, i nostri rimpianti… spesso sogni come questi sono mandati dagli Dei, o comunque qualcuno dotato di certi...poteri, non so se mi spiego-
-Quindi c’è qualcuno che sta cercando di dirmi qualcosa su me stessa?- domandai.
-È possibile, sì, ma non posso esserne sicura. Del resto, non conosco i contenuti di questi sogni- rispose prontamente la mia confessora -Lei era presente nel sogno o era soltanto spettatrice?-
Esitai a quella domanda.
Era riuscita senza problemi a mettermi alle corde… e subito capii perché.
Non stava giocando.
Dal suo viso percepivo un sincero interesse per il mio problema, ma interesse fine solo al trovarne una soluzione, nessun altro scopo personale.
Quella donna voleva sinceramente aiutarmi.
-Ero… ero una bambina, nel sogno- dissi con voce indecisa.
-Quindi è possibile che ciò che avete sognato fosse qualcosa riguardante la vostra infanzia?- chiese dopo un attimo di riflessione la sacerdotessa -Da come ne parlate non è stato un sogno bello, quindi magari è legato ad un evento spiacevole, un trauma che avete vissuto da bambina? Sarebbe una cosa comune, molto spesso capita nei sogni-
Sgranai gli occhi, pentendomi subito dopo di non essermi controllata.
La casa… il padre… il bambino che doveva andar via…
Un brivido mi percorse la schiena quando mi ricordai il nome.
Antochius. Mio fratello.
Mio padre aveva mandato via mio fratello. Ma questa sapevo essere solo nella prima parte del sogno, quella corrispondente ad una mia fantasia.
Ma alla fine avevo visto il mio incubo, che nient’altro era che la mia vita vera.
Non era stato mio fratello ad essere allontanato.
Agna aveva fatto subito centro, ma ancora non capivo cosa c’entrasse quello con le altre parti del sogno.
Ciò che sapevo è che per quel giorno ne avevo abbastanza.
-Ha per caso avuto un’idea in proposito, mia signora?- domandò paziente la sacerdotessa.
-No- risposi prontamente -ma ci penserò su. Per oggi può bastare-
Sorpresa, la donna si alzò.
-Oh- esclamò -allora tolgo il disturbo-
-Oh, non è necessario- la fermai -trattieniti un attimo. Gradisci qualcosa, frutta, vino, acqua...-
-Ah, non si scomodi, mia signora, sono a posto. Ma grazie- rispose.
-Non farti problemi, è tutto a disposizione- replicai -Ma dimmi qualcosa di te, Agna-
-Di me? Oh, di me non c’è nulla da dire- rispose quella -Sono nata a Whiterun, dalla famiglia Manto grigio, ho studiato alla camera dei morti della città e sono diventata sacerdotessa di Arkay, poi sono stata trasferita qui a Solitude, al Tempio dei Nove, ed eccomi qua-
-E come mai sei diventata una sacerdotessa, con tutte le scelte che avevi come membro dei Manto Grigio?-
Agna rise.
-Questa è una bella domanda, ma la risposta non è nulla di che- disse -non ho mai avuto ambizioni particolari o grandi desideri… io… io ho visto il tempio, ho visto i sacerdoti, ho visto come vivessero la propria vita bene e facendo del bene. Era una vita che dava tante soddisfazioni, ed era una vita semplice. Aveva il conforto degli dei e l’amore dei cittadini. Vi erano tante strade da poter percorrere, eppure quella era la più ovvia, e io non sono una persona molto inventiva. Ho scelto il bene perché era banale-
Sorrisi.
-Grazie, Agna, puoi andare- dichiarai.
-Grazie a voi, mia signora- rispose quella prima di lasciare la stanza.
Dopo aver trascorso un paio di minuti in silenzio, chiamai la cameriera a gran voce.
-Sì, mia signora?- chiese quella, entrando.
-Chiama il sovrintendente Thonnir- ordinai.
-Subito, mia signora- rispose la cameriera.
 
 
 
-La corte vi sta aspettando, regina- annunciò il nord dopo essere entrato nella stanza.
-Ci sono notizie dalla Capitale?- chiesi ansiosa -è caduta, alla fine?-
-Non ancora- rispose il sovrintendente -ma i rapporti indicano che ciò accadrà al massimo tra un giorno o due-
Dovevo ancora aspettare, il giorno non era ancora arrivato.
Ma mancava poco, pochissimo.
-Dei miei fratelli invece ci sono notizie?- domandai con voce stanca.
-Cephorus riteniamo sia arrivato a Sentinel per rifornirsi dopo le sconfitte subite nelle Highlands Coloviane, mentre Magnus sta ancora cingendo d’assedio Tear. Pare che la città non possa resistere ancora a lungo, ma se vostro fratello non si sbriga le nostre forze lo raggiungeranno presto- rispose raggiante Thonnir.
“Stai accarezzando l’idea di essere in cima alla lista dei funzionari che aiuteranno mio figlio, eh, vecchio?” sorrisi a mia volta, tenendo per me stessa il vero motivo.
-Molto bene- dissi infine -cosa vi è oggi per la corte?- domandai andando a prendere il mio mantello.
-I rivoltosi di Ivarstead si sono arresi. Il loro capo, un ex legato dell’esercito di Kinthira II di nome Adamus Bruiant. Costui è stato scortato nelle nostre prigioni e adesso attende il vostro giudizio. Poi vi sono vari mercanti, nobili minori e cittadini venuti a corte ad esporre i loro problemi-
-Solita routine, insomma- dichiarai.
Altrochè se mi ricordavo i rivoltosi di Ivarstead; quelli che assalivano soldati, carovane di mercanti o anche solo cittadini di passaggio che alla domanda “chi è il legittimo monarca di Tamriel?” non rispondevano “Kintyra II”.
“Quella sciocca ragazzina ne sarebbe orgogliosa, ne sono certa, ma dalla finestra della sua cella a Glenpoint dubito riesca a sentire le loro proclamazioni di fedeltà” mi dissi.
-Bene, Thonnir- annunciai -andiamo-
Uscimmo dall’ala ovest del palazzo e entrammo nella sala del trono.
A quel punto il sovrintendente urlò a gran voce: -Tutti in piedi! Lo Jarl di Solitude, e presto regina madre dell’Impero, Potema Septim!-  
 
 
 

   
 
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