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Autore: Lucius Etruscus    23/06/2017    2 recensioni
Libera reinterpretazione del mitico film "I sette samurai" (1954) di Akira Kurosawa - plagiato poi per "I magnifici sette" (1960) di John Sturges - ma con i Predator al posto dei samurai. Una storia inedita ma con personaggi che strizzano l'occhio ai Predator visti in film, fumetti e videogiochi.
Un pianeta sperduto, una colonia umana aggredita da spietati Bad Blood. L'unica speranza per gli umani: sette guerrieri senza onore...
Genere: Azione, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Presentazione

Nel terzo episodio della mia saga Aliens vs Boyka ho immaginato che la Casata Yutani e gli Yautja avessero stretto un’antica alleanza e che le due razze vivessero a stretto contatto. L’idea nasce ovviamente dalla scena finale del film Alien vs Predator: Requiem, con la “Signora Yutani” che recupera un’arma appartenuta ad un Predator.

In questo universo narrativo, in cui su alcuni pianeti gli umani e i Predator convivono più o meno pacificamente, cosa succede quando dei guerrieri Yautja invece di distinguersi in battaglia... si macchiano di disonore? Scacciati dai propri clan o costretti ad allontanarsene per non essere perseguitati, si ritroverebbero costretti a vivere fra gli umani, con tutti i problemi che ne conseguirebbero.

Dove non espressamente specificato, tutti i dialoghi del racconto sono da intendersi in lingua Yautja.

Alla fine del testo riporterò tutte le fonti utilizzate, ma tengo a precisare che malgrado il titolo “tarantiniano” il racconto è in realtà una libera reinterpretazione del film I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa – e quindi del suo plagio americano I magnifici sette (1960) di John Sturges: in fondo il codice d’onore dei samurai è in pratica lo stesso dei Predator!

1

Pianeta LV-617
Colonia Weyland-Yutani
Stazione mineraria “Shimada’s Hope”

Quando l’astronave yautja atterrò dolcemente sulla superficie del piccolo pianeta, nessuno dei coloni se ne accorse: la mimetizzazione Predator era eccellente quanto la strumentazione della colonia era fatiscente e non perfettamente calibrata. “Shimada’s Hope” era un ferro vecchio, e ormai i coloni umani si erano abituati ad un livello di vita a bassa tecnologia. Le miniere si stavano esaurendo e la Compagnia aveva perso interesse nella colonia: tutti gli abitanti erano sicuri che nel giro di qualche anno avrebbero dovuto cercarsi un’altra casa.

Quando l’imponente Yautja scese dalla passerella, indossando con scioltezza l’ingente peso di un’armatura strapiena di trofei, si assicurò di annusare l’aria: adorava assaporare l’odore di un pianeta prima che sapesse tutto di morte.

I suoi guerrieri uscirono rapidamente e cominciarono ad allestire il campo base. Non c’era fretta di calare sulla colonia dove vivevano le vittime umane: avevano tutto il tempo del mondo per “giocare” con loro.

Mentre l’imponente Yautja studiava una mappa dell’insediamento, così da organizzare i prossimi “giochi”, un suo guerriero gli si presentò stringendo fra le mani un animale: solo all’ultimo istante si rese conto che era un umano. Un cucciolo di uomo, per la precisione, che li stava spiando da dietro un cespuglio. Probabilmente si trovava lì per caso quando erano atterrati, perché era difficile che gli umani fossero così vigliacchi da mandare i loro cuccioli in avanscoperta.

Il Predator fissò dall’alto il bambino tremante negli occhi, poi gli accarezzò dolcemente la testa. «Sei perfetto», gli disse gracchiando con voce profonda, senza che il cucciolo d’uomo potesse capirlo. «Ho giusto uno spazio vuoto nella cintura della dimensione della tua testa.»

L’orrore era appena arrivato a “Shimada’s Hope”.

~

Pianeta LV-2230
Anderson City

Il Predator ormai si era abituato ad attraversare le piccole porte dei piccoli edifici umani, non sbatteva più la testa come i primi tempi. Ma le sedie erano ancora un incubo, ed era incredibile quanto si seccassero gli umani quando lo invitavano a sedersi e lui gliele rompeva. Perché non si procuravano sedie più grandi?

Quando entrò nell’ufficio di collocamento sapeva che lì avrebbe potuto contare su una grande sedia fatta di legno di quercia, perfetta per il peso e per l’anatomia yautja. Sicuramente era stato qualche Predator a costruirla, perché gli umani non avevano quella considerazione: anche i locali che accettavano Yautja come clienti non si preoccupavano minimamente di fornire sedie resistenti, preferendo infuriarsi una volta rotte quelle che avevano.

«Accomodati», disse la donna alla scrivania.

Il Predator era entrato goffamente nella stanza, perché aggirarsi fra le strutture umane era terribile, ma finalmente poteva sedersi comodamente sull’ampia e resistente sedia di legno. Ne avrebbe voluta una uguale per casa propria, se avesse avuto una vera casa.

«Ho qualcosa per te», iniziò la donna, «ma devi assicurarmi che stai facendo il bravo.»

Lo Yautja annuì abbassando lo sguardo. Era terribile dover subire ramanzine dagli umani, eppure quelli che vendevano alcol ai Predator non si facevano problemi a prendere i loro soldi: quando poi si ritrovavano con bestioni di due metri ubriachi e violenti ecco che iniziavano le lamentele e le denunce.

«Mi servi pulito», continuò la donna, «perché l’occasione è buona. Conosci i campi di meloni di Mr. Majestyk, subito fuori la città? A quanto pare hanno avuto problemi di personale e devono sbrigarsi a raccogliere i meloni prima che vadano a male. Pensaci», la donna sorrise, «un bel lavoro all’aria aperta, senza smog e rumori molesti delle maledette città umane. Tu adori il sole, no? Certo che l’adori, sei uno Yautja, quindi pensa che opportunità: ti sgranchisci le ossa sotto il sole, respiri aria buona, ti tieni in forma e ti pagano pure!»

«Detta così non sembra neanche una merda totale.»

La donna sbuffò. «Che cosa vuoi che ti dica? Sto cercando di venirti incontro, provaci anche tu.»

Il Predator cambiò posizione sulla sedia, per il nervosismo. «Non c’è qualche lavoro al chiuso? Possibilmente senza umani intorno?»

La donna lo fissò. «Certo che c’è, ed è esattamente il lavoro da cui ti hanno licenziato!» Il suo tono era duro ma a quanto pareva c’era bisogno di una ramanzina. «Non sai quanti riesco a sistemare come guardiano notturno, perché appena c’è un cartello “Locale protetto da Yautja” i tentativi di rapina o anche solo di vandalismo praticamente si azzerano. Gli umani adorano affidare ai Predator lavori notturni, che così gli operai di giorno non si innervosiscono, però...» Lo sguardo della donna era spietato. «Quando la mattina trovano l’ufficio distrutto e uno Yautja ubriaco a terra, reagiscono male.»

Il Predator scosse la testa e gracchiò a bassa voce. «È stato solo un incidente...»

«No, è stata una idiozia. Per essere rimborsati dei danni hanno dovuto sporgere denuncia, ed è stato solo perché ho pregato in ginocchio non so più quanta gente che non sei finito dietro le sbarre. Gli umani vanno fuori di testa quando si ubriaca uno Yautja: se al tuo capufficio staccavi la testa forse sarebbe stato meno grave.» Il Predator bofonchiò, ma la donna continuò senza starlo ad ascoltare. «Con una denuncia nel tuo fascicolo puoi scordarti qualsiasi lavoro di responsabilità: sono obbligata per legge ad avvertire i datori di lavoro della tua fedina pernale, e puoi immaginare che non facciano salti di gioia. Ci sono tante cose che posso far finta di dimenticare o posso mascherare dietro linguaggio burocratico, ma una denuncia per danni dovuti ad ubriachezza non posso farla sparire, e questo ti costringe ad accettare solo lavori non di responsabilità. Lavori duri e sgradevoli, che gli altri Predator non sempre accettano.»

Lo Yautja continuava a stare con la testa bassa, come un bambinone sorpreso a rubare la marmellata e sgridato dalla maestra. La donna sospirò. «So che non è facile, credimi: conosci la mia storia, sai che...»

«Grazie», disse d’un tratto il Predator. La donna non se l’aspettava e rimase in silenzio, stupefatta. Dopo qualche secondo di silenzio lo Yautja continuò, sempre guardando in terra. «Grazie per non avermi scacciato dall’agenzia e aver continuato a cercarmi un lavoro. Dopo la figura che ti ho fatto fare...»

La donna arrossì per quelle parole. «Non mi hai fatto fare nessuna figura», disse con tono affettuoso. «Tutti sanno quanto sia difficile la vita per un guerriero senza onore...»

Il silenzio cadde pesante nella stanza, finché la donna continuò con tono amichevole. «So che è sgradevole, ma devo ricordartelo. Se decidi di ucciderti, ricorda di lasciare ben scritto il clan da cui provieni, così da poterlo informare. Lo dico a tutti perché è capitato ad alcuni miei clienti: quando finalmente hanno trovato la forza di fare la cosa giusta, non hanno lasciato scritto nulla così...»

«La cosa giusta....» ripeté il Predator con un fil di voce.

«Sì, la cosa giusta. Lo sai tu come lo so io: l’unico modo per riacquistare parte dell’onore è togliersi la vita. Solo così il clan potrà tornare ad inserire il tuo nome fra i propri membri. Ti consiglio quello che dico a tutti i miei clienti: non aspettare l’ultimo momento, scrivi il tuo clan da qualche parte e portati l’appunto sempre indosso, così se un giorno finalmente trovi la forza...»

Lo Yautja alzò lentamente la testa e mostrò alla donna due occhi tremendamente tristi. «Se avessi la forza di fare “la cosa giusta”, l’avrei fatta tempo fa. Perché pensi che abbia cercato sollievo nel vostro alcol?»

«Non esiste sollievo», replicò la donna, senza alcun tono di rimprovero. Gli occhi dei due si guardarono con pena reciproca, finché la donna non sbatté una mano sul tavolo. «Ok, questa cosa ci sta sfuggendo di mano. La ramanzina te l’ho fatta e ti ho detto quello che ti dovevi dire: ora basta», e un sorriso le si aprì sul volto. «Oggi è venerdì e quindi c’è tempo per decidere se accetti il lavoro di raccogli-meloni. Stasera mi vedo con degli amici per una serata rilassante: perché non vieni anche tu? Mi sa che ne hai bisogno...»

Il Predator la guardò allibito. «Amici?»

La donna rise. «Tranquillo: niente umani. Ho detto “rilassante”.»

I due risero e lo Yautja accettò. «Torno stasera, allora», disse alzandosi. «Grazie per tutto quello che fai per noi», disse prima di uscire. «Grazie, Machiko.»

La donna sorrise, salutandolo.

   
 
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