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Autore: DramioneMalfoy    23/06/2017    3 recensioni
Essere la figlia di uno dei più influenti gerarchi nazisti può essere un vantaggio o una condanna ai primordi del terzo reich. Lo sa bene Kathrein Bergmann, costretta a mentire e dissimulare i propri pensieri. All'esordio di una nuova era è costretta a fronteggiare la realtà della pura razza ariana di cui fa parte e scendere a patti con la propria coscienza, non senza un coinvolgimento emotivo straordinario che si snoda attraverso esperienze al limite e affetti inseguiti sino in fondo al baratro. In questo connubio di sentimenti e colpi di scena Kathrein si lascia trasportare dalle sue emozioni e dall'affascinante e misteriosa vicinanza dello standartenführer Diedrich Schneider, con il quale vivrà un'intensa e passionale storia d'amore che sarà lo spiraglio di luce nel tunnel degli orrori della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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I segreti del Terzo Reich

 

Berlino, 1 settembre 1931

«Il popolo tedesco a suo tempo è sopravvissuto alle guerre con i romani. Il popolo tedesco è sopravvissuto all'emigrazione dei popoli. Poi, il popolo tedesco è sopravvissuto alle grandi lotte del primo e del tardo medioevo. Il popolo tedesco è sopravvissuto anche alle lotte religiose del periodo successivo. Il popolo tedesco è sopravvissuto quindi alla guerra dei trent'anni. E dopo, il popolo tedesco è sopravvissuto alle invasioni napoleoniche, alle guerre di liberazione, persino ad una guerra mondiale, persino ad una rivoluzione. Ma è tempo di cessare questo stato di sopravvivenza, è arrivato il momento di agire e di rendere il popolo tedesco fautore del proprio glorioso destino.»

Ci fu un attimo di pausa e quelle parole così soppesate risuonarono concitate nella sala, sovrastando e azzittendo qualsiasi forma di chiacchiericcio e brusio. Kathrein si guardò intorno per la stanza gremita e notò che l'espressione dipinta sul volto di ogni invitato trasudava un senso di ammirazione misto al desiderio di riscatto.

Le parole del loro leader aleggiavano gravemente nell'aria e Hitler troneggiava sulle loro teste dall'alto dell'ampia scalinata.

«Possa Dio onnipotente concedere la sua grazia al nostro lavoro, orientare la nostra volontà, benedire la nostra intelligenza e colmarci della fiducia del popolo! Perché vogliamo combattere non per noi stessi, ma per la Germania!»

Agitava in maniera esasperata i pugni per aria e il suo sguardo non era puntato su nessuno in particolare ma l'empatia che emanava la sua figura era evidente e palpabile.

"Nessun altro, meglio di lui, potrebbe rappresentare il partito o la nostra Germania, Kathrein!"  le diceva sempre suo padre.

Heinfried Bergmann era un uomo di poche parole, non amava colloquiare più del dovuto e preferiva nettamente discorrere su argomenti politici e sui grandi progetti del NSDAP*; ma quando si trattava di sua figlia, della sua dolce e meravigliosa Kathrein, avrebbe volentieri speso più di qualche ora ad ascoltarne i pensieri e, persino, le futilità.

Aveva solo sedici anni ma in lei vedeva già il gene della grandezza e l'incarnazione della perfezione ariana, la rappresentazione più vicina a tutte le virtù che una buona moglie tedesca avrebbe dovuto possedere nella Germania che lui e i suoi colleghi stavano progettando. Ne ammirava l'intelligenza e l'arditezza, l'audacia e la sete della conoscenza ed era del tutto favorevole al farla partire alla volta della Francia per studiare, consapevole che, una volta ritornata, avrebbe adempito nel migliore dei modi ai suoi doveri nei confronti della nazione.

"D'altronde un uomo non vuole una donna troppo invadente, ma nemmeno esageratamente stupida." le ribadiva sempre con un cipiglio corrucciato.

Kathrein avrebbe voluto ridere ogni volta che glielo diceva e fargli presente che, ad ogni modo, l'intelligenza di una donna non si basava sulla quantità dei suoi studi, ma sulla qualità della sua bramosia di affermarsi. Ma poi restava in silenzio, perché sapeva che suo padre, seppur rispettoso nei suoi riguardi, e nessuno degli uomini con cui aveva avuto a che fare nel corso della sua breve vita avrebbero condiviso il suo modo di vedere le cose.

Semplicemente non era nemmeno lontanamente concepibile che una donna, per di più tedesca, studiasse per la sua indipendenza. Il coronamento più alto e l'aspirazione più grande nella vita di una donna poteva culminare solamente nel matrimonio con un tedesco, un buon partito a cui avrebbe dato un erede per assicurare la continuazione della razza pura.

 Il coronamento più alto e l'aspirazione più grande nella vita di una donna poteva culminare solamente nel matrimonio con un tedesco, un buon partito a cui avrebbe dato un erede per assicurare la continuazione della razza pura

«Quando saliremo al potere non ci sarà più spazio sul nostro suolo per gli stranieri! Non esisterà più alcun popolo diverso da quello tedesco che potrà godere dei frutti e della rigogliosità della nostra amata madrepatria. Ciascuna donna tedesca avrà consorte tedesco e in questo modo sarà garantita l'unicità della nostra stirpe.»

Kathrein, pur cercando di non darlo a vedere, storse il naso e s'incupì. Non le andava proprio giù che quell'uomo plagiasse in quel modo le menti di tutti i suoi sostenitori, manipolandone e influenzandone il modo di pensare, oltraggiando la figura della donna e riducendola ad un mero strumento di procreazione subordinato all'uomo e al suo totale volere. Tuttavia, seppur con riluttanza, Kathrein riconosceva che, indipendentemente dall'atteggiamento pienamente carismatico di Hitler, questo pensiero era comunque largamente diffuso e ampiamente condiviso anche dalle donne stesse.

Questa amara constatazione l'aveva tratta guardando l'atteggiamento pacato e accondiscendente di sua madre e di tutte le sue amiche nei confronti dei propri mariti, trattati quasi alla stregua di alcune divinità e visti come il pilastro fondamentale della loro intera esistenza. Ne era stata totalmente sicura, poi, quando aveva capito che in una donna era preferibile che sapesse suonare il pianoforte per allietare le serate del proprio uomo dopo una giornata di lavoro, piuttosto che conoscere una lingua straniera. Le donne erano semplicemente compagne di vita e, pur dovendo possedere alcune qualità, dovevano essere soprattutto mansuete e saper stare al proprio posto molti gradini più in basso rispetto al proprio marito e la loro capacità di pensiero non era poi così indispensabile.

Lei si promise che non avrebbe mai abbassato la testa davanti ad un uomo e che non avrebbe permesso a nessuno di imporle il proprio punto di vista. Kathrein amava la vita e amava studiare e conoscere tutto quello che nel tempo era stato portato alla luce e non voleva perdersi nemmeno la più piccola dell'esperienze e dei viaggi che il mondo poteva offrirle.

Solo qualche anno più tardi, però, avrebbe scoperto a sue spese che la morsa della guerra condanna molti dei tuoi progetti e li rilega nei meandri più oscuri e sconosciuti del cassetto, strappando e spezzando i tuoi sogni più intimi per sempre.

«Chiunque in passato abbia cercato di abbatterci, di trascinare la Germania nella polvere della disperazione e di confinarci nella sponda degli sconfitti pagherà questo imperdonabile affronto. Cesseranno le restrizioni che il trattato di Versailles ci ha imposto con la contrattazione con i repubblicani che non hanno esitato a vendere il nostro onore per avere le tasche piene di denaro. I nostri democratici, che invece di rappresentarci hanno preferito inseguire il beneficio economico più vantaggioso, saranno pesantemente sconfitti alle prossime elezioni grazie a voi, al vostro grande senso morale e al vostro desiderio di tornare a far parte attivamente del più importante e nobile reich del mondo.» 

Nel salone scoppiò un applauso vigoroso e si alzarono echi di approvazione e Kathrein, intimata dallo sguardo ammonitore di suo padre, fu obbligata a battere le mani per un discorso di cui non aveva approvato nulla.

Lei aveva studiato tanto e, ora che si accingeva a frequentare un prestigioso istituto francese, sapeva quanto per l'economia e il progresso della società di un paese fosse importante garantirne la multi-etnia. Senza contare che la popolazione tedesca fosse costituita per la maggior parte da ebrei che, sebbene suo padre li additasse come degli usurpatori del lavoro ai danni dei cittadini tedeschi che si ripiegavano in agricoltura lavorando come contadini, erano i proprietari della maggior parte dei negozi di lusso di Berlino e altri ancora erano i principali funzionari delle sedi burocratiche del paese. Molti di loro avevano sposato donne e uomini tedeschi e, anche se da matrimoni misti, erano nati bambini che avevano tutto il diritto di poter vivere sul territorio germanico. Se mai il loro partito fosse asceso al potere in maniera irreversibile, avrebbero strappato a centinaia di uomini il proprio lavoro e costretto tante famiglie lontane dalla propria terra natia.

L'indignazione di Kathrein fu tale da costringerla a reprimere un conato di vomito e un'espressione di disgusto di fronte all'espressione adorante di alcune donne poco più in la che guardavano l'uomo quasi in visibilio. Tra alcune di loro scorse il volto di un amica di sua madre: Magda Ritschel, futura signora Goebbels, che proprio quel giorno era diventata un membro effettivo del partito nazionalsocialista e che sosteneva la politica del nuovo leader con fervente ed ardimentosa esaltazione.

Poco più in là Kathrein notò l'elegante e posata figura commossa di Eva Braun di soli tre anni più di lei e, sebbene non ci avesse mai scambiato nemmeno una parola, sua madre le diceva sempre che era un esempio di fedeltà e lealtà al futuro cancelliere di Germania. Per Kathrein, invece, rappresentava solo l'ennesima ragazzina dalle ingenue aspettative riposte in un uomo folle e sconsiderato.

Kathrein si guardò sempre bene dal dire ciò che pensava e si limitava a ricambiare saluti e dispendere sorrisi nella perfezione della sfera di cristallo in cui era nata e cresciuta. Le sarebbe mancata la Germania, ma non l'alta società da cui era circondata. A loro non importava davvero la sorte di quei poveri contadini di cui continuavano a fingere di preoccuparsi, perché la Grande Depressione che era seguita alla grande guerra non aveva intaccato minimamente gli agi e i lussi della grande borghesia e, questo, bastava a sedare qualsiasi tipo di riforma o ribellione.

Chi comandava avrebbe continuato a farlo e, pur di riuscirci, si proclamava difensore dei diritti dei più deboli. Hitler e il suo partito facevano leva sulla disoccupazione e identificavano il problema della povertà tedesca nella razza ebrea.

La realtà era che di tutta la parte più bassa della società nessuno se ne occupava davvero e questa avrebbe continuato a pagare gli oneri e i pesanti tributi per i danni che il conflitto del 1914-18 aveva causato. Una società, già ridotta alla miseria, che avrebbe continuato a pagare per gli errori di altri che, invece, erano considerati superstiti ed eroi di guerra. Una guerra che era stata voluta proprio da tutta quella gente ben pensante che al momento si trovava in quella sala a godere dello sfarzo e degli ozi futili.

Più tardi...

Il resto della serata trascorse in maniera piuttosto irrilevante e nessun altro comizio attirò l'attenzione dei commensali. Gli invitati si destreggiavano nell'ampia stanza adibita alla sala ricevimenti della residenza Bergmann tra bicchieri di champagne e balli dai movimenti più disparati; alcuni uomini, rigorosamente con la svastica cucita sulla divisa, colloquiavano di politica intorno al crepitare del camino mentre, altri ancora, si spostavano nella stanza adiacente per dedicarsi ad una partita a biliardo.

Non accadde alcun altro avvenimento degno di nota e Kathtrein credette di essere finalmente vicina al tanto agognato momento in cui tutti avrebbero lasciato la sua abitazione e finalmente avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza

Non accadde alcun altro avvenimento degno di nota e Kathtrein credette di essere finalmente vicina al tanto agognato momento in cui tutti avrebbero lasciato la sua abitazione e finalmente avrebbe potuto ritirarsi nella sua stanza.

«Kathrein!»

La giovane di casa Bergmann si voltò a questo richiamo e riconobbe la figura gracile della dolce Geli Raubal, la nipote del folle che poco prima aveva arringato la folla.

Sebbene Geli avesse qualche anno in più di lei, avevano subito stretto amicizia e, durante il suo soggiorno estivo a Monaco, avevano condiviso notti intere a parlare del più e del meno e, soprattutto, condividevano l'antipatia per l'atteggiamento morboso della Braun verso lo zio della ragazza che ora le stava di fronte.

Per le strade di Monaco si mormorava che l'astio della Raubal nei confronti della Braun derivasse dall'inizio della relazione incestuosa che la ragazza condivideva con suo zio. 
Kathrein, invece, conosceva bene la sua amica e sapeva che la sua personalità dal carattere fragile la portava a vedere un semplice luogo di protezione in suo zio e che provasse solo un grande senso di ammirazione per lui.

Tuttavia le voci di strada non potevano considerarsi del tutto infondate data la mentalità imprevedibile e, secondo Kathrein, instabile di quell'uomo. Era più che certa che, Hitler, esercitasse quel certo tipo di possessione su Geli per impedire che lei cercasse conforto in altre figure maschili.

Angelina, però, sembrava completamente padrona del tipo di rapporto che aveva con suo zio ed era pienamente consapevole dell'ascendente che esercitava su quell'uomo e non si preoccupava minimamente di mettere a tacere i pettegolezzi della popolazione.

«Geli, come stai?»

Senza accorgersene Kathrein aveva mosso dei passi verso di lei e posò due baci sulle sue guance. Era felice di rivederla, nonostante si fossero salutate solo qualche giorno prima dopo aver passato quasi tutta l'estate insieme, ma era davvero stanca e sperava di poter defilarsi dalla festa senza che nessuno se ne accorgesse.

Ad ogni modo non si sarebbe mai perdonata di aver evitato una piacevole conversazione con l'unica ragazza a cui seriamente portava del rispetto. Di Geli, infatti, apprezzava il fatto che, nonostante avesse un carattere più docile del suo, non si facesse mettere i piedi in testa da nessuno e, a volte, ricavava del vantaggio dal rapporto che la legava a suo zio.

«Bene ma Monaco è davvero noiosa senza di te» rispose con un sorrisetto sghembo la ventitreenne.

Geli non aveva mai davvero dato peso al fatto che Kathrein fosse sette anni più piccola di lei, ed anche se si divertiva a trattarla e proteggerla come se fosse la sua sorellina più piccola, sapeva quanto in realtà la Bergmann fosse matura, indipendente e coraggiosa, a volte anche più di lei.

Nei suoi sedici anni di vita, Kathrein era stata preparata per il ruolo che avrebbe ricoperto nell'alta società ed aveva un gusto raffinato ed elegante, una grazia armoniosa ed una bellezza tipicamente tedesca che faceva girare la testa a qualsiasi ragazzo per strada. Ma Kathrein, come l'aveva conosciuta Geli durante le loro notti nei locali di Monaco, non era poi così ingenua e docile come tutti credevano e, insieme, ne avevano combinate di tutti i colori.

«Sono certa che avrai comunque trovato il tuo personalissimo modo di divertirti, piccola Geli» ribattè ridendo Kathrein, lanciandole uno sguardo eloquente e invitandola ad accompagnarla a fare due passi nel giardino, dove avrebbero potuto chiacchierare tranquillamente lontane dal frastuono e dal chiasso della musica e delle urla.

«Oh, sì!» asserì con un risolino la Raubal correndo e abbassandosi a schizzare dell'acqua alle paperelle che si trovavano nel lago.

Kathrein con infinita eleganza si sedette sulla sporgenza del tronco della quercia che suo padre aveva fatto piantare il giorno della sua nascita e si perse a scrutare l'espressione divertita della sua amica mentre stuzzicava i poveri animaletti.

Kathrein amava quel posto, era sempre stato il suo naturale rifugio quando il suo precettore o sua madre troppo perfettina la cercavano per sgridarla o invitarla ad adempiere ai suoi doveri a volte troppo noiosi. Si rifugiava lì, credendo di non essere vista e scoperta da nessuno. Poi, dopo un tempo non quantificabile, arrivava suo padre e si sedeva accanto a lei, ridendo delle urla isteriche della moglie che non riusciva mai a trovare la figlia. Kathrein si beava di quei momenti innaturalmente magici e scollegati dal resto del mondo; adorava perdersi nei lunghi discorsi con suo padre e li trovava molto più produttivi della didattica del signor Schwarz o delle regole e delle buona maniere su cui sua madre si fossilizzava eccessivamente. Poi, però, il tempo che suo padre aveva a disposizione per lei si era irrimediabilmente ridotto da quando era diventato un SS delle truppe di Hitler.

Lei non aveva mai capito fino in fondo cosa facesse suo padre e, in fin dei conti, non le interessava nemmeno troppo saperlo. Le faccende politiche di cui si occupava non le sarebbero comunque mai state esposte pienamente, in quanto rimaneva comunque una donna. Parlava sempre più spesso dei progetti del nazionalsocialismo e sempre e costantemente di quell'uomo. Era proprio così, ancor prima di conoscerlo, che Hitler aveva cominciato a starle antipatico. Quell'uomo così avido di potere che sarebbe stato disposto a barattare la propria anima al diavolo pur di ottenere il controllo, aveva sottratto molto del tempo che Kathrein trascorreva con suo padre e, sempre più spesso, si limitava a vederlo sporadicamente a cena.

«Ricordi quel ragazzo che ti faceva gli occhi dolci ogni sera nel locale in cui andavamo sempre negli ultimi tempi?»

Kathrein si ridestò dai suoi pensieri e si ricordò di star intavolando un discorso con la sua amica. Assunse quindi una posizione più comoda e corrucciò un attimo lo sguardo cercando di ricordare qualche particolare del ragazzo di cui le stava parlando Geli. Ci mise un po', erano state in tanti locali di nascosto a suo padre e allo zio della ragazza; in più Kathrein aveva visto entrare e uscire tanti ragazzi poco più grandi di lei nella sua casa e nello studio del generale Bergmann ultimamente e faticava a ricordare in quell'ammasso di volti qualcuno in particolare. Poi annuì distrattamente.

«Il pianista?»

Geli sorrise imbarazzata e fece un cenno di assenso con la testa, ridendo sommessamente quasi come una bambina che è stata scoperta a fare qualche marachella.

«Beh da quando sei andata via da Monaco sembrava molto triste e l'ho rivisto un paio di volte»

Kathrein si irrigidì impercettibilmente, intendo il senso che la sua amica aveva voluto dare al verbo "rivedersi".

"Rivedersi meglio sotto le coperte" pensò e per un attimo fu in imbarazzo per l'amica, ma poi lasciò perdere e si focalizzò su qualcosa di più importante.

«Geli è un ebreo. Tuo zio lo sa?» il tono della sua voce era volutamente basso per paura che qualcun altro potesse sentirle. Nonostante fossero tutti dentro a divertirsi in una serata che sembrava non finire mai, aveva imparato a muoversi cautamente e a cercare di passare inosservata, per quanto la sua sfrontatezza e la sua bellezza glielo permettessero, in quel mondo di militari e politici senza scrupoli.

Il viso di Geli improvvisamente diventò pallido e si affrettò a negare con la testa, avvicinandosi a Kathrein e prendendole le mani.

«Cielo certo che no Kath. Non lo dirai a nessuno vero?» l'espressione della ragazza era un misto di tensione e paura.

«Ovviamente no Geli, ma è molto pericoloso. Sai com'è fatto tuo zio e cosa pensa degli ebrei. Non credo prenderebbe bene la notizia che la sua amata nipote ne frequenti uno. Non devi più rivederl0.» affermò con risolutezza la Bergmann.

Angelina sembrò rilassarsi a quelle parole e fece un passo indietro rispetto a dove si trovava la sua amica e le diede le spalle. Mosse qualche passo verso il laghetto e poi si voltò a guardarla nuovamente con un sorriso indecifrabile.

Si portò una mano sul ventre e semplicemente le rispose: «Non posso.»

Kathrein Bergmann non si scomponeva mai per nulla e la rigida educazione che le era stata imposta non la faceva sorprendere di niente. Ma in quel momento, anche la sua severa compostezza era andata a farsi benedire, lasciando spazio ad uno sgomento totale.

Si alzò repentinamente dal tronco e cominciò a camminare forsennatamente avanti e indietro sotto lo sguardo divertito dell'amica, come se per Geli fosse tutto un gioco e non capisse davvero l'entità del problema. Kathrein non si preoccupò delle guardie oltre il cancello che al buio potevano benissimo scambiarla per una pazza che continuava a fare su e giù apparentemente senza motivo e, quindi, neutralizzarla.

«Com'è potuto succedere?» mormorò solamente, fermandosi e capendo che ormai bisognava solo trovare un modo di uscirne.

«Beh come succede sempre Kath»

«Non è divertente Geli» la sua espressione era mortalmente seria e il suo sguardo tradiva un senso di inquietudine.

«Oh Kathrein lui è così bello ed è l'unico che mi si avvicina senza aver paura di mio zio. È disposto a prendersi cura del nostro bambino. Noi ci amiamo Kath e vogliamo scappare insieme»

A quell'affermazione Kathrein si girò di scatto e strinse gli occhi ad una fessura, sperando che da un momento all'altro la ragazza di fronte le sarebbe scoppiata a ridere in faccia confessandole che si trattasse solamente di uno scherzo. Quando capì che non sarebbe stato così, si decise suo malgrado a parlare.

«Hai idea di come darà di matto tuo zio? Santo cielo è un ebreo» mormorò più a se stessa che a Geli.

«Kath io sono stanca di vivere in quella casa con lui. Sappiamo bene che darebbe di matto anche se fossi incinta di un tedesco. È totalmente cambiato, mi tratta come un suo oggetto. Sono stanca delle sue occhiate viscide e languide, provo ribrezzo e inizio a vergognarmi delle dicerie della gente. Mi sento sporca anche se so che non sono vere. Hermann è la mia unica possibilità di riniziare lontana da mio zio. Ti prego aiutami» i suoi occhi erano lucidi e Kathrein non se la sentiva di spegnere quel piccolo barlume di speranza che si annidava in essi.

Sospirò e cercò di riprendere aria in quell'afosa sera di fine estate. Poi fece un cenno d'assenso e la ragazza con molta poca grazia le balzò al collo, stringendola in un abbraccio caloroso.

«Grazie piccola Kath, sei la migliore»

Kathrein inspirò profondamente il tenue profumo di camomille che la sua amica era solita portare e ricambiò l'abbraccio. Poi qualcosa le venne in mente e si affrettò ad esporlo alla sua amica.

«Geli io domani partirò per la Francia e andrò da una lontana zia di mia madre. Non potrò aiutarti a fuggire»

Ma Angelina si limitò a sorriderle con le lacrime agli occhi e a scuotere il capo, prendendole nuovamente le mani e portandosele al cuore.

«Non devi preoccuparti di questo Kathrein. Hermann si è già occupato di tutto. Tu dovrai solo fingere di non sapere che fine abbia fatto se ti faranno qualche domanda. So che ti chiedo tanto, ma sei l'unica persona con cui sono così amica e credo potrebbero volere una tua testimonianza»

«Dove andrete?»

«Penso sia meglio che tu non lo sappia. Ma andrà tutto bene e ti scriverò appena ci saremo sistemati.»

Il loro scambio di parole fu interrotto da alcuni passi pesanti di anfibi militari sul graffiante selciato. La brecciolina faceva un gran rumore man mano che i passi si avvicinavano nella loro direzione. Per un attimo ebbero paura che qualcuno avesse ascoltato tutta la loro conversazione. Poi si tranquillizzarono quando capirono che i passi provenivano dall'interno del palazzo.

Fecero capolino, in mezzo alle siepi, prima le teste e poi le divise di Adolf Hitler e del suo più fedele consigliere, il padre di Kathrein, accompagnati da un soldato di cui, sotto l'elmetto e la pallida luce lunare, era possibile scorgere solamente gli occhi magnetici color ghiaccio che, Kathrein ancora non sapeva, avrebbero continuato a tormentarla negli anni.

«Come vi dicevo mein führer, ero sicuro che mia figlia fosse qui. Ecco qui le nostre ragazze» esordì suo padre, rivolgendole un ampio sorriso. Le piaceva vederlo così sereno e, anche se quella serenità era dovuta alla presenza di quell'uomo, ne fu comunque felice.

Kathrein trattenne una risata a quell'appellativo così inusuale e rivolse un sorriso cordiale ad Hitler che, nonostante il suo carattere combattivo, le incuteva comunque un certo timore.

Aveva passato molti pomeriggi in sua compagnia quando alloggiava presso la sua casa a Monaco durante l'estate e quel briciolo di follia che gli vedeva scritto negli occhi non sembrava abbandonarlo mai.

«Hai davvero una figlia deliziosa Heinfried. Ho avuto il piacere di avere a che fare con la sua argutezza e di sentirla suonare il pianoforte ogni tanto. Di sicuro è una delle migliori offerte a cui un tedesco sano di mente non potrebbe mai rinunciare. Risponde pienamente ai canoni del nostro reich e, spero, che il suo soggiorno in Francia possa servire a farla maturare ulteriormente prima di dedicarsi alla sua nazione quando sarà finalmente un'adulta» si compiacque Hitler con il suo gruppenführer. Poi si avvicinò a Geli e le posò una mano alla base della schiena.

Kathrein vide il corpo dell'amica tendersi inevitabilmente come le corde di un violino, ma in quel momento era troppo occupata a pensare al fastidio che il modo in cui quell'uomo aveva parlato di lei le aveva procurato. Rimase comunque in silenzio, sapendo quanto per suo padre fosse importante quella sottospecie di complimento che il suo leader gli aveva fatto.

«Adesso dobbiamo andare piccola Geli. Saluta la signorina Bergmann e non dispiacerti, quando vorrà potrà venire a trovarti» sorrise sinistramente nella direzione della diretta interessata, come se sapesse qualcosa sul suo conto che non sapeva neppure lei. Kathrein scacciò quella sensazione e si fece travolgere per la seconda volta in un abbraccio forte dalla sua amica.

«Grazie di tutto Kath. Ti voglio tanto bene. Ci vediamo presto» aveva sussurrato al suo orecchio Geli, quasi a voler imprimere quell'attimo per sempre.

«Divertiti in Francia e fa buon viaggio.»

"Anche tu" pensò Kathrein.

Kathrein non era mai stata abituata a quel tipo di affetto e, nonostante i suoi genitori le volessero bene e non le avessero mai fatto mancare nulla, non era solita sentirsi dire così apertamente quel genere di cose. Perciò si limitò ad abbracciarla più forte che poté senza dire nulla in aggiunta.

Solo nel tempo si sarebbe pentita di non aver risposto a quel 'ti voglio bene', di essere stata così fredda e di non aver saputo godere fino all'ultimo di quel momento che, più che un arrivederci, sembrò un addio a tutti gli effetti.

Sapeva che Geli non sarebbe mai ritornata in Germania e, forse, non l'avrebbe rivista mai più. Kathrein non poteva immaginare che qualcosa di più forte della distanza le avrebbe irrimediabilmente separate per sempre.

«Ricordati la promessa» le rammendò la Bergmann riferendosi alla lettera che avrebbe dovuto scriverle appena arrivata nel suo nuovo paese e poi si staccò da quell'abbraccio così carico di aspettative e speranze.

Geli annuì e trattenne alcune lacrime che minacciavano prepotentemente di uscire dai suoi meravigliosi occhi cerbiatti.

«Schneider, accompagna mia figlia nella sua stanza»

«Ja mein herr.»

Il soldato che sino ad allora era rimasto rigidamente in disparte si mosse e andò nella direzione di Kathrein. Lei salutò rispettosamente il führer e diede la buonanotte a suo padre e a Geli.

Poi si allontanò con quel militare e, poco prima di sparire oltre la siepe, si voltò di nuovo verso quel trio e vide suo padre parlare animatamente con Hitler. Poi vide la figura gracile e graziosa di Geli, spezzata dai tormenti e le angosce. Si guardarono un ultima volta e un sorriso sancì il loro ultimo incontro.

In quel momento furono entrambe consapevoli che quella sarebbe stata davvero l'ultima volta che si sarebbero viste.

Kathrein dovette fare uno sforzo immenso per reprimere il senso di sconforto che ciò le stava causando dopo tutti i momenti e le avventure vissute insieme a Monaco. In contrasto con quella che era la sua rigida educazione sarebbe voluta correre indietro e abbracciarla di nuovo, ma non avrebbe potuto farlo perché sarebbe stato troppo sospetto e lei non poteva mettere in pericolo nessuno, soprattutto la sua migliore amica.

Kathrein sarebbe stata la custode eterna del più grande segreto di Angelina Raubal e, in cuor suo, sperò che potesse finalmente trovare la felicità lontana dall'ossessione di suo zio che la tormentava da tre anni.

Quel pensiero le faceva così male che fu costretta più volte a focalizzare l'attenzione sui suoi passi per evitare di incespicare a causa degli occhi appannati dalle lacrime e prendeva ampie boccate d'aria nel tentativo di regolarizzare il battito cardiaco.

«Si sente bene, signorina Bergmann?»

La voce del militare accanto a lei la risvegliò da quello stato di trance e Kathrein capì che il turbamento del suo stato d'animo non doveva essere passato inosservato agli occhi del ragazzo.

Si perse qualche secondo ad ammirarlo

Si perse qualche secondo ad ammirarlo. Era davvero bello, si ritrovò ad ammettere a se stessa Kathrein. Il taglio della sua mascella era tipicamente nordico e i suoi lineamenti erano decisi come quelli di qualsiasi tedesco. Ora che si era tolto l'elmetto Kathrein poté notare una corta chioma bionda che accompagnava alla perfezione il colore vitreo dei suoi occhi. Poteva avere al massimo due anni più di lei. In quel momento lo sguardo della ragazza si fermò ad osservare il fucile stretto dalle forti braccia che erano nascoste dalla divisa.

Kathrein si chiese come facesse a non sentire caldo, poi una sferzata di aria gelida le colpì le candide braccia lasciate scoperte dal vestito e si ricordò che, anche se era inizio settembre, era comunque sera e a Berlino l'inverno arrivava prima del previsto.

Una calda giacca fu posata sulle sue spalle e la visione della svastica cucita su di essa le provocò un singulto di timore che si premurò di nascondere con un sorriso.

«State tremando» disse solamente il soldato quasi come a voler giustificarsi di quel gesto.

Kathrein pensò ironicamente che quegli uomini, per come gli aveva conosciuti, paradossalmente si giustificavano quando facevano qualcosa di buono e giusto e invece non avevano alcuna remora a progettare un paese da cui avrebbero cacciato qualsiasi straniero.

«Siete un ufficiale?» chiese con semplicità la ragazza indicando il fucile e riprendendo a camminare al suo fianco. Il vialetto verso la villa era un bel po' lungo e ci avrebbero impiegato ancora un paio di minuti per arrivare alla porta di ingresso, tanto valeva soddisfare la sua curiosità piuttosto che ripiombare in un silenzio imbarazzante.

Il ragazzo, invece, sembrava essere perfettamente a suo agio nel silenzio più totale e, Kathrein, si ritrovò a pensare tristemente che forse quei ragazzi erano abituati al silenzio e che l'addestramento gli rendesse macchine che non avevano il bisogno di parlare o esprimersi.

Inaspettatamente, però, il ragazzo scoppiò a ridere e, anche se si trattava di una risata senza alcun tono, Kathrein pensò che fosse bellissima e che, poi, forse non era così asettica la loro dura disciplina militare.

Tuttavia, nel tempo, Kathrein capì che coloro che indossavano quella divisa e riuscivano ancora a ridere di quei tempi erano i più folli e che i visi d'angelo alla fine si tramutavano sempre nei peggiori demoni.

«No signorina Kathrein, ma è quello che punto a diventare. Ora sono un soldato semplice. A diciotto anni cominciamo tutti così.»

A dispetto del suo viso giovane, la voce tagliente e la fermezza dei suoi gesti mostravano più degli anni che in realtà aveva.

Per qualche secondo Kathrein rimase in silenzio, ma,quando si accorse che questo inevitabilmente la riportava a pensare a Geli, decise di rispondere alla domanda che le aveva posto il soldato quando stava per scoppiare a piangere.

«Avete mai avuto la sensazione che un pezzo di voi sia stato perso per sempre?»

Non sapeva perché stesse parlando di qualcosa di così personale con uno sconosciuto, per di più un uomo di suo padre, un militare che, dal modo ritmico e cadenzato che aveva di camminare, sembrava non aver tempo per i sentimenti o per gli impicci di quel genere.

Forse il fatto che quel ragazzo avesse solo due anni più di lei o il tentativo disperato di non focalizzarsi sull'addio della sua amica, l'avevano indotta a cercare un colloquio con lui.

«Indossare questa divisa comporta necessariamente delle rinunce signorina.» rispose semplicemente e in maniera coincisa mentre le indicava la porta della sua stanza.

Kathrein indirizzò lo sguardo dove puntava la mano grande del militare e si rimproverò per quanto poco avesse prestato attenzione al tragitto al punto da non accorgersi di essere arrivata e, soprattutto, si chiese come il ragazzo accanto a lei facesse a sapere dove si trovasse la sua stanza.

Poi si diede mentalmente della stupida pensando che, essendo forse una guardia del corpo di suo padre, conosceva ogni angolo di quella casa. Eppure si sarebbe ricordata un volto così bello tra quel mucchio di soldati che vedeva sempre in giro per la sua abitazione. Scosse la testa come a voler scacciare quei pensieri e gli restituì la giacca, ringraziandolo.

«Buonanotte, herr Schneider» mormorò timidamente la ragazza. Una timidezza che mai le era appartenuta ma che, di fronte a quell'uomo che la faceva sentire disarmata, le usciva del tutto spontanea.

«Buonanotte, signorina Bergmann»

Poi sparì dietro l'angolo del corridoio e Kathrein ci mise qualche secondo ad entrare nella stanza dopo quel piacevole incontro.

Gettò uno sguardo all'orologio davanti sulla parete di fronte ed appurò che fosse molto tardi e che l'indomani si sarebbe dovuta alzare molto presto per il viaggio, così spinse la sua porta e si spogliò.

Quando si distese nel letto l'ansia per Geli l'attanagliò di nuovo e si ritrovò a pregare, dopo lungo tempo che non lo faceva, affinché la sua amica e il suo bambino stessero bene.

L'ultima cosa a cui penso, però, prima di cadere in un sonno senza sogni furono due occhi freddi come il ghiaccio e cerulei come il cielo che non avrebbe mai potuto dimenticare. 

24 settembre 1931, Parigi

Kathrein si era ormai stabilita da quasi tre settimane in Francia e l'aria parigina l'affascinava come mai nient'altro aveva saputo fare nella sua vita.

Quel giorno, però, arrivò la notizia che avrebbe piegato una parte della sua anima per sempre.

Nella lettera che adesso stringeva con mani tremanti sua madre le raccontava la sorte impietosa che aveva colpito la sua dolce piccola Geli.

Hermann era stato brutalmente assassinato prima che la sua fuga con Geli fosse messa in atto e non si conoscevano i colpevoli. Nessuno avrebbe mai indagato per la morte di un ebreo, il caso sarebbe stato archiviato e basta.

La lettera continuava a bagnarsi di lacrime, mente Kathrein rileggeva quelle righe e l'intensità del suo pianto aumentava man mano che continuava a leggere quella sequenza di notizie tremende.

Geli, il giorno prima, la sua meravigliosa amica piena di allegria e voglia di vivere, la ragazza che le aveva fatto da sorella maggiore per tutta l'estate pur essendo gracile e nascondendosi quasi sempre dietro la figura di Kathrein più piccola di lei, si era suicidata.

Un colpo di pistola era stato sufficiente a spazzare via lei, il suo bambino, il suo amore e tutti i suoi sogni.

Un semplice colpo di pistola aveva irrimediabilmente cambiato le sorti di una nazione intera.

Hitler era rimasto del tutto sconvolto dal suo gesto e gli effetti del suicidio della nipote alimentarono la sua instabilità mentale.

In un attimo si erano spezzate tre vite e l'unica donna che avrebbe potuto frenare le follie di quell'uomo a capo del partito nazionalsocialista adesso non c'era più.

In quell'attimo eterno del 23 settembre 1931, era svanita la sua più grande amica e l'unica vita che avrebbe potuto salvarne altre migliaia, l'unica anima che avrebbe potuto cambiare la storia della Germania e di tutto il mondo solo qualche anno più tardi.

_______________________________

*NSDAP Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori guidato da Hitler dal 1921 al 1945.

Salve! ❤️
Questa è la mia prima storia in assoluto in ambito storico, per cui chiedo venia se dovessi fare qualche errore imperdonabile ma cercherò di essere il più possibile fedele agli avvenimenti storici. 
La storia comincia con questa introduzione nel 1931 dove incontriamo una Kathrein ancora sedicenne e ripercorriamo uno degli avvenimenti che più l'hanno segnata, ma poi sarà proiettata esclusivamente durante gli anni della guerra. 
Spero vi abbia incuriosito e ringrazio in anticipo coloro che saranno arrivati fin qui a leggere. 
Un bacio.
HeyC.

  
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