Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    23/06/2017    1 recensioni
Sono tante le cose che si fanno per amore.
E Mycroft Holmes lo sa bene, anche se non riesce a comprendere cosa spinga le persone a gesti tanto estremi.
Ha visto suo fratello gettarsi da un tetto per proteggere i suoi amici da James Moriarty, rinunciare alla sua vita per due anni per proteggere John Watson, prendersi un proiettile per il suo migliore amico, morendo per mano di sua moglie, soltanto per saperlo al sicuro.
E tutto solo per amore. Quel sentimento che per Mycroft sembra così complicato da comprendere.
Tuttavia, quando Magnussen arriverà a minacciare Sherlock, sarà proprio l’amore a spingere Mycroft a offrirsi al suo posto, mettendo a rischio la propria vita e la propria libertà, per preservare quelle del suo fratellino. La persona che Mycroft Holmes ama più della sua stessa vita.
Perché l'amore ci spinge dove non ci saremo mai aspettati di poter arrivare.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amore
 
 
Capitolo X
Appledore
 
 
 Sherlock e John raggiunsero la villa in meno di un’ora di auto. Trovarono il cancello aperto, segno che Magnussen li stava attendendo. Attraversarono il vialetto in auto e parcheggiarono di fronte alla scalinata d’ingresso della mastodontica villa che avevano di fronte.
 Scesero dall’auto e John affiancò Sherlock. Si scambiarono uno sguardo fugace, poi salirono le scale, raggiungendo la porta, dove uno degli uomini di Magnussen li stava attendendo. Quando i due si avvicinarono, questo li invitò ad entrare con un cenno della mano.
 Holmes e Watson varcarono la soglia e videro che Magnussen era in piedi al centro dell’ingresso, in attesa, le mani giunte dietro la schiena, lo sguardo freddo fisso su di loro.
 «Benarrivati, signori.» esordì con un sorriso freddo, ma carico di malizia. «Immagino che sia nell’interesse di entrambe le parti saltare i convenevoli per venire subito al dunque.» affermò, senza dar loro la possibilità di replicare. «Seguitemi.» concluse e si mosse verso la porta alla loro sinistra.
 Con una spinta la spalancò aprendola completamente. Di fronte a loro si aprì un salotto poco arredato, completamente dipinto e arredato di bianco. L’unico tocco di colore erano le piante da appartamento verdi e brillanti poste al fondo della stanza. 
 Accanto ad esse, inginocchiato a terra, le braccia incatenate alla parete di fondo del salotto, a mezzo metro da terra, c’era Mycroft.
 Il suo volto era coperto di ferite, e il sangue e le lacrime stavano percorrendo la sua palle, sporcandogli il leggero strato di barba che gli accarezzava le guance, e colando sulla camicia bianca che indossava.
 Sherlock e John rimasero senza fiato.
 «Mycroft» ansimò Sherlock, tentando di avanzare.
 Tuttavia venne immediatamente intercettato da uno degli uomini di Magnussen, di guardia accanto alle finestre alla sua sinistra, che lo bloccò tenendolo per un braccio prima che potesse avvicinarsi.
 Il politico li udì e sollevò il capo. Non appena li vide e realizzò che erano realmente lì, i suoi occhi si spalancarono.
 «Lo lasci andare.» ringhiò John, voltandosi verso Magnussen.
 L’uomo aggrottò le sopracciglia. «Perché dovrei?» chiese. «Il signor Holmes è venuto qui di sua spontanea volontà.»
 Sherlock si voltò verso il maggiore. «Myc…» ansimò. «Perché?»
 Mycroft gemette, sollevando il capo verso di lui. «Mi dispiace…» singhiozzò. «Aveva minacciato di fare del male a te e John… non potevo permettere che… mi dispiace tanto…»
 «Lo lasci.» ringhiò il consulente investigativo, voltandosi verso Magnussen. «Lo lasci e prenda me.» aggiunse, senza riflettere.
 La bocca di Magnussen si incurvò in un sorriso malizioso. «Che proposta allettante…» mormorò, leccandosi le labbra.
 «No» ansimò Mycroft, le lacrime che gli rigavano il viso. «Avevamo un accordo… Ha me… deve lasciare in pace Sherlock e John.» disse con voce tremante. «Li lasci andare.»
 Magnussen rise. «Perché dovrei?» chiese, rivolto al politico. «Sherlock Holmes è un così bel ragazzo.» aggiunse, avvicinandosi al consulente investigativo, percorrendo il suo corpo con gli occhi. «La pelle marmorea, i capelli neri come il carbone e due occhi splendidi…»
 Prima che potesse avvicinarsi ulteriormente, John si frappose fra lui e l’amico. «Non provi a toccarlo.» ringhiò.
 «Ma come, dottore? Non vorrà tenere Sherlock tutto per lei?» chiese l’uomo, in tono beffardo. «Una tale bellezza deve essere condivisa. Soprattutto considerato che se così non sarà, Mycroft Holmes potrebbe perdere molto più della sua dignità e del suo occhio, stasera…»
 Gli occhi di Sherlock e John si spalancarono.
 Il moro si voltò verso il fratello e solo in quel momento si accorse che un lungo taglio percorreva verticalmente il suo volto dal sopracciglio destro alla guancia, nascosto dal sangue che continuava a mescolarsi alle lacrime percorrendo la sua pelle.
 Nello stesso istante, la guardia alle loro spalle, gettò qualcosa di fronte a lui e John, che rotolò sul pavimento fino ai piedi Magnussen.
 Sherlock e John inorridirono e indietreggiarono.
 «Oh, mio Dio» sfuggì al medico. Sollevò lo sguardo sul volto di Magnussen, disgustato e furioso, avanzando di un passo. «Bastardo…» ringhiò. «Come ha potuto?» 
 «Questo è ciò che succede quando le persone tentano di ribellarsi a me.» replicò Magnussen, dando un calcio all’occhio, che rotolò di lato sul pavimento. «Mycroft adora ribellarsi…» disse con un mezzo sorriso. «E questo è stato il prezzo che ha dovuto pagare.»
 John strinse i pugni, pronto a ribattere e scattare, ma il consulente investigativo lo bloccò.
 «John» sussurrò. «No.»
 Watson scosse il capo, voltandosi verso di lui. «Non vorrai permettergli di proseguire con tutto questo?» sibilò. «Guarda cosa gli ha fatto!»
 «Lo so.» confermò Holmes, avanzando. «Per questo siamo qui. Per porre fine a tutto questo.» disse, volgendosi nuovamente verso Magnussen. «Come le ho già detto: prenda me. Lasci andare Mycroft e John, e prenda me.»
 «No!» esclamò il dottore, prendendolo per un braccio per trattenerlo. «Non ti permetterò di fare questo. E non gli permetterò di farti del male.» disse, poi si volse verso Magnussen. «Prenda me.»
 «No.» sbottò Sherlock, rivolto verso John, il cuore che batteva a mille, la paura che scorreva nelle vene come veleno. «Non è compito tuo salvare Mycroft. Non ti permetto di farlo.»
 John si voltò nuovamente verso di lui, incrociando i suoi occhi. «E io non ti permetterò di venderti a lui.» replicò. «Non posso lasciare che tu lo faccia. Né tantomeno lascerò che questo mostro si avvicini a te. Non permetterò che ti sfiori neanche con un dito.» concluse e poi si mosse verso Magnussen. «Avrà me e lascerà andare Mycroft e Sherlock. Questo è l’unico accordo che le proporremo, quindi ci rifletta bene.»
 L’uomo sorrise e alla fine annuì. «Perché no?» chiese. «Non ho mai avuto un militare.»
 John avanzò, ma prima che potesse raggiungere Magnussen, Sherlock lo prese per un braccio e lo tirò verso di sé per trattenerlo.
 I loro corpi si scontrarono e i loro volti si fermarono a pochi centimetri gli uni dagli altri.
 «Non te lo lascerò fare.» soffiò Sherlock sulla bocca dell’amico, pericolosamente vicina alla sua. «Non ti permetto di buttare via la tua vita in questo modo.»
 John poggiò una mano sul petto di Holmes per non perdere l’equilibrio. «E io non lascerò che lo faccia tu.» replicò. Esitò, abbassando per un momento lo sguardo sulle labbra dell’amico, per poi riportarlo sui suoi occhi. «Ti prego, lascia che sia io a proteggerti questa volta.» concluse, e gli poggiò una mano sulla guancia.
 «No. Non posso lasciare che ti faccia del male.» disse Holmes, sollevando una mano e poggiandola a sua volta sul viso del dottore. Un sospiro tremante lasciò le sue labbra. Poi chiuse gli occhi, accarezzando il naso di John con il proprio, il cuore che batteva a mille, rimbombando in ogni cellula del suo corpo. La sua voce tremò. «Sei tutto quello che ho. Non posso perderti.»
 «Che scena patetica.» sbottò Magnussen, un malizioso sorriso a deformargli il volto. «Non c’è che dire, sapevo che i sentimenti che vi legavano erano profondi, ma non avrei mai immaginato potessero esserlo in questo modo.»
 Sherlock serrò maggiormente gli occhi, poggiando poi la guancia contro la tempia del dottore; le mani di John si chiusero intorno al suo cappotto, sulla sua schiena, quasi stesse tentando di tenerlo stretto a sé per non concedersi a quell’uomo disgustoso.
 Dopo un momento i due si allontanarono, scambiandosi uno sguardo fugace, poi si voltarono verso Magnussen, ancora in piedi a qualche passo da Mycroft, che intanto si era fatto sempre più pallido.
 «Ma, ahimè, temo che questa discussione sia superflua.» affermò Magnussen, avanzando. «In ogni caso sarò io a decidere quale sarà la prossima mossa da compiere. Credevo che ormai aveste capito di essere completamente nelle mie mani. Ho io il coltello dalla parte del manico, miei cari signori.» concluse. «E voglio lei, Sherlock.»
 «No» gemette Mycroft.
 John scattò in avanti. «Non osi avvicinarsi a lui.» ringhiò.
 Una delle guardie dell’uomo lo bloccò, tenendolo per le braccia e facendolo indietreggiare, allontanandolo dal consulente investigativo.
 «D’accordo.» disse Sherlock, con urgenza, vedendo che lo scimmione aveva puntato la pistola alla tempia di John, caricando il cane, pronto a fare fuoco se si fosse mosso. «Avrà me, ma dovrà lasciarli andare entrambi. Non dovrà più avvicinarsi a loro. Mai più.»
 Magnussen sorrise. «D’accordo. Li lascerò andare e li lascerò in pace, se è quello che vuole.» concesse. «Ma anche io ho delle condizioni, signor Holmes. Condizioni che se non rispettate, faranno ricadere terribili conseguenze sul dottor Watson e sul suo amato fratello.»
 Sherlock sentì un groppo chiudergli la gola e le lacrime salirgli agli occhi.
 «Lei non si ribellerà.» aggiunse Magnussen, avvicinandosi a lui. «Sarà completamente mio, a mia completa disposizione per qualsiasi cosa, ed esaudirà ogni mia richiesta. Non le sarà permesso lasciare Appledore. Non senza di me. Non avrà più contatti con nessuno a parte me. Non rivedrà John Watson mai più.» concluse. «Accetta?»
 Sherlock sentì il suo cuore andare in frantumi. Chiuse gli occhi, sentendo la debolezza impadronirsi del suo corpo e la nausea invaderlo.
 Sottomettersi a Magnussen.
 Fare tutto ciò che gli avrebbe ordinato.
 Non vedere John mai più.
 Come avrebbe potuto accettare?
 Prese un profondo respiro, poi riaprì gli occhi, puntandoli in quelli di Magnussen, che lo stavano osservando, vuoti e freddi come quelli di un predatore pronto a colpire la sua preda.
 Poi si voltò verso John, incontrando i suoi occhi, sentendo una fitta di dolore trafiggerlo dritta al cuore. L’idea di perderlo, di separarsi da lui e non poterlo vedere mai più, rinunciando alla sua presenza, al suo sorriso, alla sua vicinanza, era tremenda.
 Il solo pensiero lo uccideva.
 Tuttavia, anche se faceva male, ed era spaventoso pensare a cosa sarebbe successo se avesse accettato quelle condizioni, Sherlock sapeva bene che quello era l’unico modo che aveva per salvare sia Mycroft che John.
 E dopotutto, si ritrovò a pensare, John aveva Mary. Era ancora sua moglie, e anche dopo tutto ciò che era successo fra loro, alla fine sarebbe tornato da lei. Non avrebbe più potuto vederlo, ma in ogni caso, John Watson non era mai stato suo e mai lo sarebbe stato. Era inutile continuare ad illudersi.
 «Mi dispiace.» sussurrò, poi si voltò verso Magnussen. «Accetto.» sbottò con voce flebile e il cuore spezzato, firmando definitivamente la sua condanna.
 «No, Sherlock, non farlo!» intervenne John, tentando di liberarsi dalla presa dello scimmione, nonostante la pistola puntata alla testa.
 Il consulente investigativo si voltò verso di lui, gli occhi traboccanti di dolore e scintillanti a causa delle lacrime. «Mi dispiace tanto.» disse con voce tremante. «Ti prego, perdonami.»
 «No…» ansimò il medico. «Ti prego, no…»
 «Tuttavia, poiché non sono un mostro, le concederò qualche minuto per salutare il dottor Watson, dato che questa sarà l’ultima volta che lo vedrà.» aggiunse Magnussen. «Renda questi minuti significativi, signor Holmes.» rivolse un cenno alla sua guardia del corpo che immediatamente lasciò andare il medico.
 John raggiunse Sherlock e i loro corpi entrarono in contatto. «Non devi farlo.» disse con voce rotta, poggiandogli le mani sul petto. «Non devi fare questo per me. Non voglio che tu lo faccia.»
 Il consulente investigativo poggiò le mani su quelle dell’amico, abbassando lo sguardo per nascondere le lacrime che avevano preso a scintillare nei suoi occhi.
 «Ti prego, John, abbiamo poco tempo.» fece notare, con amarezza. «Non sprechiamolo così.» non voleva sprecare quegli ultimi istanti con il suo migliore amico in quel modo. Erano tante le cose che avrebbe voluto dire… non avrebbe visto John mai più, quindi non aveva nulla da perdere. Ma sapeva che se avesse detto la verità al suo migliore amico, lo avrebbe legato a lui per sempre. E non poteva permetterlo. Non sapendo che da quel momento in poi non avrebbero più potuto contare l’uno sull’altro.
 «Non puoi lasciarmi indietro.» replicò il medico, la voce ridotta ad un sussurro spezzato dalle lacrime, interrompendo il corso dei suoi pensieri. «Ho bisogno di te. Sai che ho bisogno di te… Sherlock, io non posso farcela senza di te…»
 «Sei forte e ce la farai. E hai Mary. Lei saprà renderti felice e si prenderà cura di te, ne sono certo.» Sherlock si impose di non crollare. Di regalare a John quell’ultima speranza, sapendo che tornare con Mary sarebbe stata l’unica speranza, per lui. Gli accarezzò una guancia per fermare le lacrime che la stavano rigando. Si impose di sorridere. «Andrà tutto bene.»
 «Ma come puoi non capire?» sbottò John, accarezzandogli il collo. «Dove sono io sei tu… È senza di te che non posso vivere. Non c’è mai stato nessun altro.»
 «Puoi farlo, invece.» replicò. «L’hai già fatto una volta e puoi farlo ancora. Ne sono certo.»
 Watson scosse il capo.
 Il consulente investigativo si voltò verso Mycroft, il cui capo era caduto in avanti, segno che era quasi completamente privo di sensi. «Prendi Mycroft.» mormorò, incrociando nuovamente lo sguardo del dottore. «Salvalo e prenditi cura di lui… Promettimi che lo farai.» sussurrò. Non poteva continuare ad indugiare o non sarebbe riuscito a lasciarlo andare.
 John chiuse gli occhi, lasciando che altre lacrime gli rigassero le guance. «Sherlock…» protestò.
 «Prometti» insistette.
 «Te lo prometto.» sussurrò con voce spezzata.
 Sherlock annuì a sua volta, sorridendogli dolcemente.
 «Sherlock, io…» riprese John. «Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e io…»
 Le sue lacrime si infransero sulle dita di Sherlock.
 «Io…» John esitò ancora.
 Questa volta Sherlock lo bloccò, accarezzandogli una guancia. Sapeva cosa stava per dire, perché anche lui avrebbe voluto farlo. Da troppo tempo. Ma sapeva anche che quelle parole avrebbero reso tutto più difficile. Non poteva permettergli di pronunciarle ad alta voce.
 «Non devi dire niente.» affermò, sorridendogli dolcemente, come solo lui sapeva fare. Il suo cuore si appesantì. «Va bene così.»
 John scosse il capo. «Non è vero.» disse. «Non è vero, non va bene così.»
 «Sì, invece.» assicurò il consulente investigativo. Poi si fece serio. Gli accarezzò il viso con delicatezza. «Avrei voluto passare il resto dei miei giorni insieme a te…»
 Prima che John potesse ribattere, tuttavia, uno degli scimmioni di Magnussen prese Sherlock per un braccio, allontanandolo bruscamente da lui.
 «Tempo scaduto.» disse Magnussen, rivolgendo uno sguardo privo di emozioni al dottore. «Dottor Watson, prenda il signor Holmes e andatevene, prima che cambi idea.»
 L’uomo alle spalle del medico lo spinse accanto a Mycroft, gettando a terra la chiave delle catene che lo tenevano legato alla parete. 
 Sherlock osservò John mentre si muoveva per afferrare la chiave e si avvicinava a suo fratello per liberarlo.
 Il dottore sfilò le manette dal polsi del politico, prestando attenzione a non fargli del male, poi poggiò una mano sulla guancia del maggiore degli Holmes, sfiorandola delicatamente, e parlò, cercando il suo sguardo.
 «Vieni, Mycroft.» disse. «Andiamo via.»
 «Sherlock» bofonchiò Mycroft, privo di forze, trovando a malapena la forza di sollevare il capo per incrociare lo sguardo di Watson.
 John si alzò e, circondando i fianchi del politico con un braccio, lo aiutò a mettersi in piedi. Poi si mosse, dirigendosi verso l’uscita della sala, rivolgendo un ultimo sguardo carico di dolore e rimorso a Sherlock, che lo ricambiò.
 Mycroft, ansimando per lo sforzo che quei movimenti gli costavano, tentò di opporre resistenza.
 «Lasciami…» ansimò.
 «Mycroft, ti prego…» lo implorò John, cercando di trattenerlo.
 Tuttavia, il politico riuscì a liberarsi dalla presa del dottore. Raggiunse il fratello, prendendolo per le braccia. «Sherlock, ti prego…» disse. «Lui ti distruggerà… guarda cos’ha fatto a me…»
 Sherlock lo sorresse, tenendolo per le spalle, tentando di nascondere dietro ad una maschera di indifferenza e freddezza il dolore che lo stava uccidendo lentamente.
 «Devi andartene, Mycroft.» disse, incrociando il suo sguardo. La sua voce tremò, tradendolo. Non voleva lasciare suo fratello e John, né tantomeno rimanere lì. Ma non c’era altra scelta. «Vattene, ti prego.» lo implorò.
 «No… tu devi andare via. Devi andartene insieme a John…» replicò il maggiore, abbassando lo sguardo e chiudendo gli occhi.
 Sherlock si accorse di quanto fosse debole, sentendo il suo corpo tremare sotto il suo tocco. Era ferito, aveva perso troppo sangue. Per questo avrebbe dovuto andarsene il prima possibile e raggiungere un ospedale per ricevere cure mediche. Chissà cosa poteva avergli fatto nuovamente passare Magnussen… non poteva pensarci.
 Mycroft inspirò profondamente, poi riprese. «Di me ormai non resta più niente… non può farmi più male di così.» affermò, col fiato corto. «Rimango io con lui. Ma tu devi-»
 «No.» rispose Sherlock, perentorio, interrompendolo. «Vai via.»
 «Sto perdendo la pazienza.» sbottò Magnussen, che aveva preso posto sul divano, godendosi quella scena, senza mai smettere di sorridere, divertito. «Le consiglio di andarsene, Mycroft, prima che io cambi idea.»
 «Hai sentito? Vattene, Mycroft.» sibilò il consulente investigativo, tentando di spingerlo lontano da sé. Se suo fratello e John non se ne fossero andati immediatamente, Magnussen li avrebbe trattenuti lì tutti quanti, torturandoli in chissà quale modo.
 «Non senza di te.» insistette Mycroft, senza staccare gli occhi da quelli di suo fratello. «Non ti lascio qui. Non gli permetterò di farti del male. Morirò piuttosto.»
 «Per favore, Mycroft» lo implorò il minore con voce rotta, sentendo un leggere capogiro coglierlo. Come poteva, Mycroft, non capire che Magnussen l’avrebbe fatta pagare a tutti? Non si sarebbe limitato a lui, ma anche a Mycroft e John. «Vattene.»
 «Non posso lasciarti.» replicò il politico, stringendo le mani intorno alle maniche del cappotto del fratello, le lacrime che gli rigavano le guance pallide e scavate, mescolandosi al sangue. «Devo proteggerti… Sei mio fratello, non posso lasciare che-»
 «Hai già fatto abbastanza e-»
 «Ora basta.» ringhiò Magnussen, interrompendoli.
 Sherlock spostò lo sguardo sul volto di John. «Portalo via, John.» disse con urgenza, tentando di spingere nuovamente suo fratello lontano da sé. Le lacrime gli rigarono il volto. «Ti prego, portalo via.»
 «Non farlo, Sherlock…» gemette il politico. «Ti imploro. Vattene e lasciami qui.»
 John afferrò Mycroft per i fianchi e lo trascinò lontano da suo fratello, ignorando i suoi tentativi di opporre resistenza. «Mycroft, vieni via, ti prego.» lo implorò. «Sherlock lo sta facendo per noi.»
 Mycroft si voltò verso di lui. «Come puoi permetterglielo?» chiese. «Come puoi permettergli di fare questo? Credevo tenessi a lui!»
 John si bloccò, sconvolto da quelle parole. Aprì bocca per parlare, ma Magnussen lo fece per primo.
 «Rufus, Marcus, prendete il signor Holmes e il dottor Watson.» ordinò, rivolgendosi ai due uomini fermi di fronte alle finestre, senza scomporsi o alzarsi dal divano.
 I due avanzarono e afferrarono John e Mycroft per le braccia, separandoli e facendoli arretrare di qualche passo.
 «No!» esclamò Sherlock, tentando di avanzare per impedire che facessero loro del male. «Abbiamo un accordo! Non può farlo!» gridò, dimenandosi per liberarsi della guardia che lo aveva trattenuto per le braccia prima che potesse avvicinarsi.
 «Invece sì. Ho dato a suo fratello e al dottor Watson la possibilità di andarsene e non l’hanno sfruttata… Quindi posso farlo eccome.» lo contraddisse Magnussen, rivolgendogli uno sguardo carico di malizia. Poi tornò a voltarsi verso i suoi uomini, che intanto avevano fatto inginocchiare sul pavimento John e Mycroft. «Marcus, si sbarazzi del signor Holmes. È soltanto d’intralcio.» concluse con un cenno della mano.
 «Non osi toccarlo!» gridò Sherlock, dimenandosi. «Li lasci andare entrambi.»
 «No, non credo che lo farò.» replicò l’uomo. Poi il suo volto si illuminò e sollevò una mano per fermare Marcus, che intanto aveva caricato la pistola. «A meno che lei non mi implori di farlo, Sherlock.» sorrise maliziosamente, tornando a voltarsi verso di lui. Si soffermò per un momento sul suo viso pallido e poi riprese. «Avanti, mi preghi di risparmiarli.»
 Sherlock deglutì a vuoto, sapendo che non avrebbe avuto altra scelta.
 «La prego.» disse, senza esitazioni.
 Magnussen scosse il capo, facendo schioccare la lingua in segno di disapprovazione. Si chinò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Così non va bene.» affermò. «Per implorare pietà dovrebbe mettersi in ginocchio.»
 Holmes esitò, confuso.
 «In ginocchio.» sillabò l’altro, rivolse un cenno del capo al suo uomo.
 Aaron, l’uomo alle spalle di Sherlock, lo spinse a terra.
 Sherlock gemette quando le sue ginocchia cozzarono con il pavimento e dovette reggersi sulle braccia per non cadere a terra e sbattere la testa.
 Magnussen si mise in piedi e lo raggiunse. Lo prese per i capelli e gli fece sollevare lo sguardo su di lui. Si chinò in avanti, in modo da avere il volto a pochi centimetri dal suo e parlò.
 «Mi implori, avanti.» soffiò sulle sue labbra, a pochi centimetri dalle sue. «Le sue preghiere sono musica per le mie orecchie.»
 Sherlock, respirando affannosamente, si impose di tenere sotto controllo il dolore alla testa. «La imploro.» mormorò. «La prego, li lasci andare entrambi. Potrà fare di me ciò che vorrà, ma li lasci andare…»
 Magnussen aggrottò le sopracciglia. «E perché dovrei lasciarli andare, invece di ucciderli?» chiese, stringendo maggiormente le dita intorno ai capelli del consulente investigativo e strattonandoli con violenza. «Perché vuole che io li lasci andare?»
 L’uomo gemette dal dolore. «Perché io tengo a loro. Sono la mia famiglia.»
 Magnussen rise. «Dovrà fare meglio di così, signor Holmes.» disse. «Posso capire che voglia vedere suo fratello libero considerato ciò che ha fatto per lei nei passati mesi, ma John Watson… cos’ha di speciale quell’uomo?» domandò, voltandosi per rivolgere un’occhiata al medico, che aveva una pistola puntata alla testa. «È così… normale e privo di importanza.»
 «Non è così.» ringhiò Sherlock, immediatamente.
 «Davvero?» lo sfidò Magnussen, un sorriso malizioso ad arricciargli le labbra. «Lei mi dia un buon motivo per cui dovrei risparmiarlo, e io lo farò. Altrimenti sia lui che suo fratello moriranno.»
 Il consulente investigativo sentì il cuore fermarsi nel petto.
 Non poteva. Non poteva farlo. Non così, sotto minaccia di quell’uomo disgustoso.
 «Avanti, non dovrebbe essere così difficile. Se davvero crede che il dottor Watson sia degno di essere salvato, basterà fornirmi una ragione e lo risparmierò.» lo incalzò l’uomo. «Sono certo che riuscirà a stupirmi.»
 «La smetta e li lasci andare.» sibilò Sherlock. «Ha ottenuto quello che voleva. Ha me, perché continuare con questo gioco? A cosa serve?»
 «Lei mi dia una ragione per cui dovrei salvare John Watson, e questo stupido gioco, come lo chiama lei, finirà.» lo strattonò nuovamente per i capelli, costringendolo a mantenere lo sguardo fisso sul suo viso. «O devo forse arrivare a cavarle le parole di bocca?» chiese. «Avanti, non mi costringa a diventare cattivo.»
 Holmes sollevò una mano, chiudendola intorno a quella di Magnussen, stringendo i denti per sopportare il dolore. Ansimò, sentendo un groppo in gola.
 Non poteva fare una cosa del genere a John. Non era giusto… non poteva permettere che portasse un peso del genere. Ma se non avesse parlato, Magnussen avrebbe ucciso il suo migliore amico…
 «D’accordo.» Magnussen sospirò, poi si volse verso le sue guardie. «Rufus, spari al dottor Watson.» ordinò. «Ma faccia attenzione al tappeto, l’ho appena ritirato dalla lavanderia.»
 La guardia annuì e caricò il cane, spingendo la pistola contro la nuca di John.
 Il dottore chiuse gli occhi, abbassando il capo.
 «No!» esclamò Sherlock. «Si fermi!»
 «Mi dispiace, signor Holmes, ma se non trova alcun buon motivo per cui dovrei risparmiare John Watson, allora non vedo perché dovremmo indugiare oltre.» si voltò verso Rufus, rivolgendogli un rapido cenno del capo. «Proceda.»
 «No, la prego, non lo faccia!» esclamò Sherlock, gli occhi colmi di terrore. «Io lo amo!»
 Magnussen sollevò una mano, bloccando Rufus prima che potesse sparare. Sorrise, voltandosi verso Sherlock e rivolgendogli una sguardo malizioso.
 Gli occhi di tutti i presenti si spostarono sul volto di Sherlock.
 «Ha visto?» lo schernì Magnussen. «Non è stato poi così difficile.»
 John e Sherlock si voltarono nello stesso istante. I loro sguardi si incrociarono e dagli occhi di entrambi traboccarono lacrime bollenti e dolorose, cariche di parole non dette e di tutti quei sentimenti che per lungo tempo erano stati taciuti.
 Perdonami, imploravano gli occhi di Sherlock, colmi di dolore per aver confessato qualcosa di così importante sotto minaccia e di fronte a quell’uomo disgustoso. Non era così che aveva immaginato di rivelare i propri sentimenti a John.
 Provo lo stesso, gridavano gli occhi di John, colmi di lacrime per aver dovuto assistere alla tortura a cui il suo migliore amico era stato sottoposto.
 «Non si sente meglio, adesso, dopo averlo detto ad alta voce?» chiese Magnussen, continuando a strattonare il capo del consulente investigativo. Gli fece riportare lo sguardo sul suo volto, poi, senza preavviso, gli sferrò uno schiaffo in pieno viso.
 Sherlock gemette, reggendosi sulle braccia per non cadere a terra. Si portò una mano al labbro, spaccato dal colpo potentissimo sferrato da Magnussen e chiuse gli occhi per recuperare la lucidità, disorientato dalla botta ricevuta.
 Il sangue colò lungo il suo mento, gocciolando sul pavimento lucido e riflettente, e quando riaprì gli occhi, vide le lacrime mescolarsi alle gocce di sangue che erano cadute sulle piastrelle.
 Cosa aveva fatto?
 Come aveva potuto confessare di amare John a Magnussen?
 Non era così che sarebbe dovuta andare.
 «Ma forse dovrei ucciderli comunque.» aggiunse Magnussen, all’improvviso.
 Il consulente investigativo risollevò il capo di scatto, scosso da un brivido di terrore che gli percorse la spina dorsale.
 «Liberatevi di loro.» concluse, rivolgendosi ai suoi uomini con un disinteressato gesto della mano, voltandosi e allontanandosi da loro.
 «No!» esclamò Sherlock, reggendosi sulle braccia per sollevarsi da terra. «Non può farlo! Avevamo un accordo!»
 «Mi dispiace, signor Holmes, ma sappiamo entrambi che se io lasciassi andare John Watson, lei non esiterebbe a tornare da lui non appena se ne presentasse l’occasione. E io non posso permetterlo.» replicò. «Perciò sia lui che suo fratello moriranno.»
 Gli uomini alle spalle di John e Mycroft caricarono le armi, pronti a fare fuoco.
 «Uccida me!» sbottò Sherlock e le lacrime gli rigarono le guance con violenza. Doveva trovare un modo. Doveva impedire che facessero del male a John e Mycroft. «Uccida me, la imploro! Non faccia loro del male!»
 L’uomo alle sue spalle lo colpì alla nuca con il calcio della pistola, rispedendolo a terra.
 Sherlock gemette dal dolore, portandosi le mani alla testa, la vista appannata, i pensieri confusi, consapevole di non poter fare più nulla per salvare i suoi amici.
 
 «Sherlock!» ansimò John, vedendolo cadere a terra e tentando di mettersi in piedi.
 La guardia lo trattenne, ridendo e premendo maggiormente la pistola contro la sua nuca.
 Fu in quel momento che John ne approfittò. Sferrò una gomitata al basso ventre Rufus, che ansimò e si piegò in due, colto alla sprovvista; a quel punto il medico gli prese la pistola e lo atterrò con un colpo al viso con il calcio dell’arma. Poi si voltò e sparò alla gamba di Marcus, che cadde a terra, ringhiando dal dolore.
 John sollevò la pistola e la puntò verso Aaron, anche fermo accanto a Sherlock, che fece lo stesso, pronto a colpire per fermare il medico.
 «Abbassi la pistola, dottor Watson.» intimò Magnussen, con calma quasi si fosse aspettato quella reazione da parte sua. «Altrimenti, non uscirà vivo di qui.»
 «Chiuda la bocca, o sarà lei a non uscire vivo di qui.» ringhiò il medico, caricando il cane, senza allontanare gli occhi da Aaron, studiando ogni suo movimento. «Lei ci lascerà andare e non si avvicinerà a noi mai più.»
 «Metti giù quella dannata pistola!» gridò Aaron.
 Watson rimase impassibile. «Ci lascerà in pace, o giuro su ciò che ho di più caro, la ucciderò.» promise, continuando a rivolgersi a Magnussen, senza però allontanare gli occhi dalla guardia.
 «E perché dovrei farlo?» domandò Magnussen. «Lei crede davvero che se volesse uccidermi ci riuscirebbe? Forse potrebbe provarci, ma, come le dicevo, non credo che ne uscirebbe vivo.»
 «Sarei disposto a morire per levarle quel ghigno dalla faccia e impedire che faccia ancora del male a Sherlock e Mycroft.» replicò John. «E stia pur certo che non sbaglierei il colpo.»
 «Non farmelo ripetere.» ringhiò Aaron. «Abbassa la pistola o giuro che ti pianto una pallottola in fronte, dottore.» ringhiò, caricando il cane, pronto a fare fuoco.
 «Sentito?» chiese Magnussen. «Non riuscirebbe ad uccidermi prima che Aaron abbia ucciso lei.» sorrise. «E una volta che lei sarà morto e mi sarò sbarazzato di Mycroft, Sherlock sarà completamente mio.»
 John aumentò la presa intorno alla pistola, sentendo una rabbia incontrollata crescere dentro di lui. Rivolse uno sguardo fugace a Sherlock, che intanto si era rialzato, reggendosi sulle braccia, per poi tornare a studiare Aaron.
 «Immagino già la sensazione che mi darà la sua pelle marmorea…» mormorò Magnussen, affondando le dita nelle guance del consulente investigativo. «E le sue labbra, i suoi capelli e il suo corpo… La farò mia, Sherlock, esattamente come ho fatto con Mycroft.»
 E John sparò.
 Il proiettile colpì Magnussen al collo.
 L’uomo indietreggiò e cadde a terra.
 Nello stesso istante Aaron fece fuoco, colpendo John alla spalla destra.
 Un dolore penetrante gli attraversò la spalla e Watson gemette. Indietreggiò, abbassando lo sguardo sulla macchia di sangue che si stava allargando sulla sua camicia. Le gambe cedettero sotto il suo peso e lui cadde a terra, sulla schiena.
 Un terzo colpo vibrò nell’aria e anche Aaron cadde a terra, colpito dal proiettile sparato da Mycroft con la pistola di Marcus, ormai a terra, privo di sensi a causa della perdita di sangue.
 
 Un grido lasciò le labbra di Sherlock lacerando l’aria.
 «John!»
 Il consulente investigativo, non appena vide l’amico cadere a terra, scattò in piedi e lo raggiunse, avendo a malapena registrato che suo fratello aveva appena sparato ad Aaron, neutralizzandolo.
 Non seppe dove trovò la forza di rialzarsi e di raggiungerlo, ma in un attimo gli fu accanto, e si inginocchiò accanto a lui, studiando la ferita, da cui il sangue stava uscendo in un flusso copioso. Premette la mano su di essa, per arrestare la perdita di sangue, tentando di controllare i propri respiri e convincersi che sarebbe andato tutto bene.
 «John» lo chiamò, cercando il suo sguardo e poggiandogli l’altra mano sulla guancia per richiamare la sua attenzione. «John, guardami, resta con me…»
 John ansimò. «Sher…lock…» le sue palpebre traballarono, mentre con i suoi occhi cercava quelli dall’amico.
 «Non chiudere gli occhi.» si raccomandò Holmes. «Resta sveglio e andrà tutto bene.»
 Un’enorme macchia di sangue si stava allargando sul pavimento, sotto il corpo del medico, il cui viso si era fatto sempre più pallido.
 Watson annuì flebilmente. Poi un attacco di tosse lo scosse. L’uomo chiuse gli occhi a causa del dolore, serrando le dita intorno alla spalla ferita. Gemette dal dolore, annaspando per cercare aria.
 Sherlock sentì una stretta al cuore, vedendo quanto sangue stesse perdendo. Premette maggiormente le mani sulla ferita, ma non sembrò riuscire ad arrestare l’emorragia.  
 «Forza, John» disse e fu quasi una preghiera.
 Perché non riusciva a fermare il sangue?
 Non poteva lasciarlo morire, ma la ferita continuava a sanguinare e…
 Altre due mani si posarono sulle sue, facendo pressione sulla ferita, facendo gemere John per il dolore.
 Sherlock sollevò lo sguardo e incontrò il viso di suo fratello a poca distanza dal proprio.
 «Ho chiamato l’ambulanza.» mormorò Mycroft, il respiro corto e il viso contratto dal dolore che le ferite gli stavano causando. Poi abbassò lo sguardo sul viso di John, incrociando i suoi occhi. Gli accarezzò delicatamente il capo. «Resisti, John. Andrà tutto bene, vedrai.»
 John annuì, poi volse il capo verso Sherlock, sollevando una mano nella sua direzione.
 Sherlock, senza allentare la pressione sulla ferita, si chinò e poggiò la fronte contro quella dell’amico, chiudendo gli occhi.
 «Tieni duro.» mormorò. «Tieni duro, ti prego. Non lasciarmi.»
 La mano del medico scivolò sul volto dell’amico, accarezzandolo dolcemente. Un dolce sorriso fece capolino sulle sue labbra, poi i suoi occhi si chiusero e la mano scivolò sul pavimento.
 Sherlock si allontanò da lui e i suoi occhi si spalancarono. «No» ansimò. «No, John. Ti prego, no! Non puoi lasciarmi…» lo implorò. «John…» le lacrime gli rigarono le guance.
 Qualche secondo dopo, la polizia fece irruzione nella villa, le armi sollevate, pronti a fare fuoco. Tuttavia, quando videro che gli unici a non essere a terra erano Sherlock e Mycroft, abbassarono le armi, avvicinandosi lentamente e con cautela.
 «Abbiamo bisogno dei paramedici!» disse Mycroft, volgendosi verso di loro senza allentare la presa sul corpo di John. «Il dottor Watson è ferito. Ha bisogno di cure immediate!»
 Uno degli agenti corse immediatamente all’esterno e poco dopo tornò insieme ai paramedici, che dopo aver caricato John su una barella – e avergli poggiato una mascherina per l’ossigeno sul viso – la sollevarono e si diressero verso l’elicottero, spiegando che l’avrebbero scortato all’ospedale più vicino per operarlo d’urgenza.
 Sherlock e Mycroft seguirono i loro movimento con lo sguardo, senza protestare o chiedere loro di seguirli, sapendo che non glielo avrebbero permesso, dato che le condizioni di John erano troppo gravi e i paramedici avrebbero avuto bisogno di lavorare in completa libertà, osservando l’elicottero sollevarsi in volo e allontanarsi.
 
 Sherlock dopo un momento di completa immobilità dovuta allo shock, tornò in sé. Si riscosse e si voltò verso suo fratello, ancora inginocchiato accanto a lui sul pavimento.
 I loro sguardi si incrociarono e Sherlock lo strinse a sé, aggrappandosi a lui come se gli servisse per rimanere a galla dopo tutto ciò che era successo quel giorno.
 Aveva quasi perso suo fratello due volte e adesso avrebbe rischiato di perdere John. E in quel momento l’unica cosa di cui aveva bisogno era accertarsi che Mycroft fosse lì, che fosse reale e che fosse ancora vivo dopo tutto ciò che aveva subito e passato a causa di Magnussen e della sua follia.
 Gli accarezzò il capo e la schiena, chiudendo gli occhi, beandosi della sensazione dei loro corpi a contatto, sapendo che finalmente entrambi erano al sicuro.
 Mycroft affondò il capo nella sua spalla. «Sei qui…» mormorò contro il suo collo, il corpo che tremava impercettibilmente contro il suo. «Sei venuto per me… sei venuto a prendermi…»
 «Certo che sono venuto, Myc.» replicò Sherlock. «Non ti avrei mai lasciato nelle sue mani. Sei mio fratello, non ti avrei mai abbandonato. E nemmeno John lo avrebbe fatto.» concluse, sentendo una lacrima rigargli il viso al pensiero di John steso in una pozza di sangue, privo di sensi e forse, se non fossero riusciti a salvarlo, privo di vita.
 «Credevo che dopo ciò che vi avevo detto…» esordì il politico, tremando contro il fratello, scosso dai singhiozzi. «Vi ho feriti entrambi, e credevo che non avreste più voluto vedermi…»
 Sherlock scosse il capo. «Anthea è venuta da noi e ci ha spiegato ciò che stava succedendo. E io e John abbiamo capito che l’avevi fatto per proteggerci.» spiegò il consulente investigativo. Poi lo allontanò da sé, per studiare il suo viso. «Ma perché non sei venuto da noi? Perché non ci hai chiesto aiuto? L’avremmo fermato insieme, Myc. Gli avremmo impedito di farti questo di nuovo…»
 Le lacrime rigarono il volto di Mycroft. «Aveva minacciato di ucciderti.» singhiozzò. «Io non… non gli avevo creduto all’inizio. Poi c’è stato quell’incidente con l’auto e tu e John siete quasi morti e ho capito che-» si interruppe all’improvviso, gemendo dal dolore, portandosi una mano al viso, premendola sulla parte destra del volto.
 Sherlock portò una mano al viso del fratello, accarezzandolo, notando che la ferita che lo attraversava aveva ripreso a sanguinare copiosamente.
 «Dobbiamo andare in ospedale subito.» disse, accarezzandogli nuovamente il volto, tendando di non toccare la ferita. Poi infilò una mano in tasca ed estrasse un fazzoletto, porgendoglielo. «Tieni, premilo sulla ferita. Dobbiamo fermare l’emorragia.»
 Mycroft lo prese e lo premette sulla ferita con l’aiuto di suo fratello, reprimendo a stento un gemito di dolore quando le loro mani incontrarono la palpebra priva dell’occhio.
 Sherlock lo aiutò a mettersi in piedi e gli circondò i fianchi con un braccio, sorreggendolo, sentendo che per lui era diventato sempre più complicato rimanere in piedi, man mano che il tempo passava.
 «Ancora un piccolo sforzo.» disse, guidandolo verso l’esterno della casa, dove un’altra ambulanza aveva appena accostato. «I paramedici!» gridò con urgenza.
 I paramedici si voltarono di scatto e si avvicinarono velocemente con una barella.
 Il consulente investigativo aiutò suo fratello a sdraiarsi, poi gli accarezzò il capo e accennò un sorriso rassicurante. «Andrà tutto bene, Myc.» assicurò e gli prese la mano, stringendola dolcemente.
 Mycroft ricambiò la stretta. «Resta con me.» mormorò fra le lacrime.
 «Sempre.» assicurò Sherlock, chinandosi su di lui e baciandogli la fronte.
 E insieme salirono nel retro dell’ambulanza, partendo alla volta dell’ospedale.
 
 Sherlock era seduto accanto al letto di John da ore, la mano chiusa intorno alla sua, gli occhi puntati sul suo volto pallido e immerso nel sonno.
 I medici erano riuscito a fermare l’emorragia prima che fosse troppo tardi, limitando i danni che il proiettile aveva causato perforando la spalla e il muscolo, andando quasi a colpire il cuore, ma da quando Watson aveva lasciato la sala operatoria non aveva ancora dato ancora alcun segno di miglioramento. Non aveva aperto gli occhi, né si era mosso, e nonostante la fiducia dei medici nel suo risveglio, con il passare delle ore Sherlock aveva sentito il cuore sprofondare sempre di più nel petto.
 L’idea di perdere suo fratello era terribile e lo aveva tormentato per settimane, ma il solo pensiero di poter perdere il suo migliore amico e uomo che amava lo distruggeva, trafiggendogli il cuore come una coltellata.
 Non riusciva a concepire una vita senza John al suo fianco. Non riusciva a immaginare di poter vivere in un mondo in cui John Watson non fosse presente. John gli dava la forza di respirare e di andare avanti in un mondo che da sempre non aveva fatto altro che rifiutarlo e respingerlo.
 John era la sua ragione di vita.
 Il suo migliore amico.
 Il suo unico amore.
 La parte migliore di lui.
 E Magnussen aveva deciso di portarglielo via per puro divertimento.
 Sherlock aumentò la presa sulla mano dell’amico. Abbassò lo sguardo e le lacrime gli rigarono le guance, percorrendo il suo viso, infrangendosi poi sulle lenzuola bianche che coprivano il corpo di John da quasi due giorni.
 «John…» mormorò, la voce rotta dal dolore.
 Si portò la sua mano alle labbra e ne baciò il dorso, poi sollevò nuovamente lo sguardo sul viso dell’amico, e gli accarezzò delicatamente i capelli biondi. Mosse le labbra sulla pelle dell’amico, accarezzando la sua pelle con la bocca.
 Dio, era tutta colpa sua… avrebbe dovuto proteggerlo. Avrebbe dovuto impedirgli di seguirlo, di andare con lui da Magnussen, sapendo che avrebbe potuto fargli del male… come aveva potuto permettere che accadesse?
 «È tutta colpa mia… soltanto mia…» sussurrò. «Mi dispiace così tanto…»
 Scosse il capo, chiudendo gli occhi, maledicendo la sua ingenuità, che alla fine era costata la vita all’uomo che amava. All’unico uomo che avesse mai amato e che avrebbe mai potuto amare.
 Riaprì gli occhi, lasciando che altre lacrime percorressero il suo volto.
 «Ti prego, torna da me.» implorò. «So che non potrò mai darti ciò che desideri davvero e che non ti meriterò mai… ma ho bisogno di te.» pianse. «Ti prego… Ti prego, mi hai fatto una promessa. Mi hai promesso che dove saresti andato tu sarei venuto anch’io… ce lo siamo promessi a vicenda, John.» scosse il capo, poggiando il capo sul suo braccio. «Non andare dove non posso seguirti…»
 Il rumore regolare e cadenzato dell’ECG sembrava assordante in quel terribile silenzio.
 I medici avevano ponderato l’ipotesi del coma, subito dopo l’operazione. E non appena Sherlock aveva capito che ci sarebbe stata quella possibilità, aveva sentito il suo cuore fermarsi nel petto.
 Se John fosse rimasto in coma, lui come avrebbe potuto sopravvivere ad un dolore simile?
 Non voleva che John morisse, ma se fosse accaduto, Sherlock avrebbe comunque potuto seguirlo. Era già morto per lui, avrebbe potuto farlo ancora.
 Perché sapeva di essere disposto a seguirlo ovunque. Anche nella morte.
 Ma se fosse rimasto in coma, lo avrebbe perso per sempre. E non avrebbe potuto rimanere al suo fianco, si ritrovò a pensare egoisticamente, perdendolo per sempre.
 Il dolore al petto aumentò.
 Un singhiozzò improvviso scosse violentemente il suo corpo.
 «Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.» proseguì, stringendo maggiormente la mano dell’amico, muovendo la fronte sul suo braccio. «Sei ciò che mi tiene in vita. Sei la mia vita, John.» concluse. Non gli aveva mai detto nulla di tutto ciò e in quel momento se ne stava pentendo, perché forse, se lo avesse fatto, non avrebbe avuto tutti quei rimpianti in quel momento. «Ti prego, ti prego, non puoi lasciarmi solo… non posso farcela senza di te. Ho bisogno di vedere il tuo sorriso ogni giorno, di sentire la tua voce, di sentirti ridere e di saperti al mio fianco…»
 Il silenzio piombò nuovamente sulla stanza, rotto soltanto dai leggeri singhiozzi di Sherlock, che si persero nella quiete ovattata della stanza rimbombando fra le pareti.
 «Ho una pessima influenza su di te…»
 Holmes si bloccò.
 Il cuore si fermò nel suo petto nel momento stesso in cui udì quelle parole, pronunciate da quella voce così famigliare e calda, la voce dell’uomo che più amava al mondo e che credeva che non avrebbe più rivisto.
 Sollevò il capo di scatto e vide che John aveva aperto leggermente gli occhi. Le sue iridi azzurre erano brillanti come sempre e lo stavano osservando con tutta la dolcezza di cui erano capaci.
 John sollevò una mano e gli accarezzò il viso. «Ciao, amore mio.» sussurrò teneramente.
 «John» singhiozzò Sherlock, poi si sporse verso di lui, gli poggiò il capo sul petto, percependo il flebile battito del suo cuore, e si aggrappò a lui, lasciando che John, finalmente, lo stringesse a sé, sapendo che non lo avrebbe lasciato andare mai più.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti ;) ecco qui, tutto per voi il decimo capitolo!
Finalmente siamo arrivati allo scontro finale fra Sherlock, John, Mycroft e Magnussen, che in questo capitolo ha decisamente avuto quello che meritava dopo tutto ciò che ha fatto passare al nostro Mycroft.
Ovviamente non è finita qui ;) A lunedì con il prossimo capitolo! :)
Un abbraccio, Eli♥
 
 
   
 
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