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Autore: Urban BlackWolf    24/06/2017    3 recensioni
Michiru scorse mentalmente il titolo della prima pagina sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”
“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami stravolta. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro.
“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”
La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”
Legato ai racconti: "l'atto più grande" e "il viaggio di una sirena".
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Inner Senshi, Michiru/Milena, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La consapevolezza di un amore

 

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 20/7/1905

 

Il frinire delle cicale era diventato quasi assordante in quel caldo inizio pomeriggio di un'estate come tante ed una biondina impertinente e per nulla avvezza alla disciplina genitoriale, stava manifestando da più di un'ora la classica frenesia dei ragazzini vogliosi di un tuffo in acqua. Proprio non riusciva a sopportarlo il caldo Haruka e quella giornata tersa dal sole a picco sui campi a semina della periferia della sua città la stava mandando ai matti. Era da sempre il puledro della sua famiglia, scalpitante e vogliosa di spazi aperti per correre, aria fresca da respirare e vento fratello da poter ascoltare e come tutti i bambini di dieci anni, a volte necessitava di essere accontenta, soprattutto se l'inverno l'aveva costretta ad un lungo confino.

Così Ilde, la madre di quel turbine biondo, notandone l'irrequietezza che stava manifestando sin dalle prime ore della mattina e visto la splendida pagella che era riuscita a portare al padre, orgogliosissimo anche perché semi analfabeta, aveva deciso di premiarla affidandola alla sorella maggiore con l'idea di farle fare una gita nei pressi di uno dei laghi d'alta quota che nascevano vicino alla zona del Passo della Ruscada. Premio benedetto dalla bambina, ma per nulla gradito dalla più grande.

“Giovanna non far storie e porta tua sorella con voi. Oggi non si tiene ed io ho troppo da fare per i campi con Marta per starle dietro.”

“E dovrei starle dietro io madre?” Scocciata l'altra si guardò la biondina lasciando che gli occhi le diventassero due fessuro chiare.

Giovanna adorava Haruka, letteralmente, ma ormai aveva quattordici anni e sentiva la necessità di stare con i suoi coetanei. Essendo di carattere socievole e spigliato, aveva tanti amici e le piaceva far comunella con loro. La sorella era ancora una bambina ed anche se matura, a volte il suo mutismo di fronte agli altri non le rendeva la vita facile.

“Non discutere ed obbedisci!”

“Ma per arrivare in quota ci metteremo una vita e lei ha le gambe corte. Non farà che rallentarci! Per favore maaa...”

“Potevate incamminarvi questa mattina.”

“Ma i ragazzi dovevano aiutare nei campi e...”

“Non discutere ho detto, o finirai per rimanere a casa e bada Giovanna, mi conosci e sai che sono capacissima di farlo!” Fine del diritto di replica, la ragazza tirò giù la testa irritatissima ed afferrando il sacchetto con i panini ed il latte, fulminò la più piccola che tronfia stirò sulle labbra un sorriso vittorioso.

“Va bene ma.” Disse aprendo la porta del tinello mentre Ilde le intimava di non perdere la sorellina di vista.

“D'accordo! A questa sera. E tu vedi di non farne qualche d'una delle tue Ruka...”

“Pensa per te! Sono grande abbastanza per badare a me, a te e a tutti i tuoi stupidissimi amici.”

“Haruka Tenou, porta rispetto a tua sorella e dalle retta, perché se tornerai a casa anche solo con un graffio o un buco sui vestiti, ti assicuro che te le suonerò fino a domani mattina. Chiaro!” Urlò la madre per vederle poi filare a velocità sostenuta lungo il vialetto sul retro.

Corsero fino al sagrato della chiesa del quartiere dove le stavano aspettando gli altri, per lo più compagni di classe dell'ultimo anno e si diressero poi, canterini e spensierati, verso la salita. Impiegando poco meno di tre ore, riuscirono ad arrivare in un orario abbastanza dignitoso per potersi godere il fresco del restante pomeriggio. Mangiarono, si bagnarono immergendo le gambe nelle acque di quel lago d'altura, risero e chiacchierarono del più e del meno. Tutto come sempre e come sempre la piccola Tenou iniziò a dare cenni di scompenso pretendendo di potersi muovere, di correre e di andarsene in giro per esplorare. E come sempre Giovanna si ritrovo' a fare il secondino.

“Perché non la lasci andare così che si possa stare un po' in pace?” Stefano Astorri guardò entrambe con aria estremamente contrariata, perché ogni qual volta quella piattoletta gialla si appiccicava alle sottane della maggiore non c'era più pace. Haruka pretendeva un'autonomia ed una libertà di movimento che proprio non potevano esserle concesse. Era ancora troppo piccola per fare la metà delle cose che con spudorato orgoglio già faceva, ma in più pretendeva di farle con Giovanna, il suo faro, la sua compagna di giochi per eccellenza.

“Non dire stupidaggini Stefano. Non posso lasciarla andare da sola.”

“E allora vieni insieme a me!” Haruka quasi urlò sbattendo un piede rabbiosa.

“Non essere petulante. Non mi va di scalare nessuna parete, per di più conciata così.” Allargando le braccia mostrò la gonna all'altra sperando che capisse. Ma che! Afferrandole una mano Haruka quasi la strattonò e con sguardo imperativo le sussurrò un me lo avevi promesso che indispettì l'altra ancora di più.

“O insomma Ruka! Come puoi pretendere che scali con dei vestiti come questi!”

“Ma me lo avevi promesso Giò!” Ripeté per nulla doma.

“Si, ma non oggi e visto che sei tutta accaldata, perché non vieni qui a rinfrescarti?” E cercò nel suo scarso senso materno più dolcezza e conciliazione possibile.

Sbuffando pesantemente la sorella in un primo momento sembrò darle retta. Si bagnò dopo essersi liberata agilmente delle calze e delle scarpe, gironzolò tra le rocce che emergevano parzialmente vicino alla riva, seguì i gruppi dei piccoli pesci che popolavano i bassi fondali, per poi sparire non appena la sua curiosità non fu sazia.

Giovanna non se ne accorse, troppo presa a godersi i suoi amici ed una mezza giornata lontano dalle incombenze domestiche, per ricordarsi di gettare uno sguardo su quel morbo biondo e non badò a quella mancanza se non quando un urlo seguito da un tonfo acquatico non la riportarono ai suoi doveri di controllore. Alzandosi di scatto non la vide e chiamandola non la udì rispondere. Il panico le arrivò addosso impedendole di ragionare bene.

“Haruka.” Chiamò mentre seguita dagli altri si dirigeva verso la sponda sinistra.

“Haruka.” Fece eco Stefano andando lungo quella opposta. E li la trovò con un piede incastrato tra due rocce, bagnata, dolorante e sull'orlo del pianto dopo il completo fallimento della sua personale arrampicata.

“Ma che diavolo ti è saltato in mente stupida?!” Ringhioso l’adolescente l'aiutò a liberare il piede ormai ferito dalla morsa rocciosa, prendendosela poi tra le braccia per portarla fuori dall'acqua. Senza non pochi problemi.

“Tu sarai stupido... Lasciami cafone!” Urlo' agitatissima e ribelle mentre quegli occhioni di un verde ormai liquido iniziavano a rigarle le guancie.

Giovanna li raggiunse e vedendosi due braccia protese, se la strinse forte lasciando che quella piccola benedetta croce le mugolasse nell'incavo del collo tutto il suo disprezzo. "Mi fa male, mi fa male.... E' colpa tua... Anche tu sei stupida ecco!”

“Si tesoro, hai ragione, ma adesso smetti di piangere e fammi vedere cosa ti sei fatta.”

“Non ha nulla di rotto, tranquilla.” Sintetizzò Stefano pentendosene immediatamente. L'amica lo gelò con lo sguardo per poi iniziare a massaggiare dolcemente il piede della sorella e a lui non rimase altro che alzare gli occhi al cielo mentre prendeva a strizzarsi la camicia.

Qualche minuto dopo, lungo il sentiero della discesa, passato lo spavento iniziale e sentendosi meglio, la bambina iniziò a protestare per essere messa in terra. “Posso camminare da sola, mettimi giù!”

“No che non puoi e non lagnarti sempre Ruka.”

Caricata saldamente sulle spalle della maggiore ed attorniata da tutti, Haruka ricevette cosi' uno smacco molto difficile da digerire. Non sopportava di dover dipendere tanto dagli altri, anche se, vista l'enorme fesseria compiuta nel cercare di arrampicarsi su quella roccia con i piedi bagnati, sapeva di meritarsi quell'umiliazione.

“Ora che ti sei fatta male ed hai capito quanto a volte sei poco incline a pensare alle conseguenze delle tue azioni, dovrai star zitta mentre ce le prenderai da nostra madre ed altrettanto farò io. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Dovevo starti dietro. Vedrai che la punizione sarà il non uscire di casa per due settimane, come l'ultima volta. Accidenti a te!” Disse sistemandosela meglio sulla schiena.

Quella piccoletta stava iniziando a crescere e lei non era poi tutta questa robustezza, ma l'avrebbe portata a casa senza l'aiuto di nessuno.

“Giò...” Le sussurrò.

“Dimmi.”

“Scusa.”

“Accettata. L'importante è che non ti sia fatta troppo male. Rallegrati di questa discesa, perché tra qualche tempo non avrò più la forza per scorrazzarti sulla mia schiena.” E ridendo la fece sobbalzare un paio di volte.

“Ti prometto che quando sarò abbastanza grande sarò io a portarti in braccio.” Forte della sua convinzione serrò la stretta alle spalle della maggiore per addormentarsi cullata dal tepore della sua pelle.

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Haruka cercò di alzare gli avambracci nell'intento di non far scivolare Giovanna dalla propria schiena. Ormai la sentiva fisicamente sempre meno reattiva e man mano che i minuti passavano e le tossine velenose ne intorpidivano la muscolatura, il giacerle a peso morto addosso iniziava a costarle sempre maggior fatica, tanto che ormai le era diventato impossibile fare più di cento metri senza fermarsi un attimo a riprendere fiato. Michiru la guardò posandole una mano sul fianco e con l'altra sulla spalla di Giovanna, l'aiutò a scendere l'ennesimo dislivello dell'ennesima discesa.

Non appena Usagi le aveva fermate chiamandole disperata, Haruka aveva capito immediatamente quello che era successo. In tutta franchezza l'era sembrato strano che un rettile dallo scatto così fulmineo non fosse riuscito a colpita, ed ora sapeva il perché. Arrestando la marcia per impossessarsi di un copioso boccone d'ossigeno la bionda guardò l'insegnante e poi il gruppo che le stava seguendo come una dolorosa processione, Usagi, Minako, Rei ed Ami che con un lembo di coperta a testa portavano Flint e Makoto che chiudeva guardinga ed armata la fila. Sospirando tornò agli occhi di Michiru attingendo in quel blu la forza necessaria per continuare.

“Coraggio Ruka, il villaggio che abbiamo visto dall'altura è qui sotto.” Disse cercando di sorriderle, anche se sapeva di aver stirato le labbra il maniera quasi grottesca.

Nel visitare Giovanna, Ami era stata sufficientemente chiara, quasi brutale e la bionda, come del resto le altre, aveva compreso che ormai, anche se trovato, nessun siero viviparo avrebbe potuto impedire al veleno di attaccare il sistema nervoso della ragazza. Ed infatti spasmi al limite di leggere convulsioni e ripetute perdite di coscienza avevano già colpito un fisico provato da un faticoso viaggio e ad Haruka non rimaneva altro che pregare, stringere i denti al tremore muscolare che avvertiva nelle braccia, sulla schiena e lungo tutte le gambe, puntare lo sguardo a quel campanile bianco che vedeva ergersi dal verde e sperare nel pronto intervento di un medico.

Quando il capo del villaggio si affacciò dalla porta della sua abitazione chiamato a gran voce da alcuni bambini e comari, si ritrovò otto esseri stravolti entrare lentamente nell'abitato quasi strusciando gli scarponi sullo sterrato di terra bianca e pensando a degli alpinisti presi dalla difficoltà di una salita non andata a buon fine, corse loro in contro prontamente. Era un uomo magrissimo, alto, molto più di Makoto e della stessa Haruka, ma con due braccia nerborute modellate dalla fatica di una vita spesa nei campi e si prese Giovanna tra le braccia come se fosse un fuscello. Non volle neanche sentire spiegazioni o ovvie richieste d'aiuto, disse semplicemente di seguirlo portandole in casa sua, dove tutto era rustico e semplice, ed una volta adagiata Giovanna sul divano accanto all'entrata della grande cucina, si rivolse all'anziana madre ordinando di portargli acqua sufficientemente fredda che potesse alleviare la febbre che lo straniero stava manifestando.

“Che cos'è successo?” Chiese iniziando a slacciarle la camicia per farla respirare meglio.

“Un serpente.” Articolò a stento Haruka non riuscendo a staccare gli occhi dala sorella.

“Un serpente? E' colpa di questo caldo se sono già in piena attività." Rivelò piattamente fermandosi poi non appena slacciata la terza asola. “Ma. E' una donna?!”

“Lo siamo tutte signore.” Disse Michiru inginocchiandosi accanto all'uomo togliendosi il berretto militare lasciando che le ciocche castano chiare le ricadessero sulle spalle.

“Per favore... ci aiuti.”

“Naturalmente signorina, ma... - e si guardò le spalle poggiando lentamente gli occhi su ognuna di loro per poi fermarsi sulla persona di Haruka. - Cosa diavolo ci fanno otto donne da sole su queste vette?”

“Vi diremo tutto, ma ora salvi mia sorella.”

Lui tornò a slacciare i bottoni della camicia provando un leggero disappunto nel vedere tante donne vestite in abiti maschili, poi togliendo lo scarpone stretto sul piede destro ormai gonfio, osservò la gamba ammettendo di non essere il dottore, ma bensì il capo di quel gruppo di sessanta anime e che oltre alla fascia di contenzione che avevano già approntato sul polpaccio, per la gamba della loro compagna ormai non si poteva fare altro.

“Oltre a provare a tenere bassa la febbre, non posso fare. Dobbiamo solamente sperare che il fisico reagisca ed il morso non s'infetti. Il medico che abbiamo gira fra le cinque frazioni della zona e ora è a Mischer per una puerpera. Non tornerà prima di due giorni, sempre che non venga chiamato per altre emergenze. Mi dispiace.”

“E non avete il siero?” Chiese Ami.

“No signorina. Ne Laudano. Da quando è scoppiata la guerra le forniture di medicinali sono sempre più scarse.”

Michiru guardò Haruka arpionarsi un ciuffo di capelli iniziando a camminare per la stanza borbottando parole incomprensibili, poi, visto il fagotto dov'era stato adagiato Flint vegliato ancora da Usagi, chiese se almeno lui potesse essere medicato.

“Cos'è il vostro cane?” Chiese alzandosi ed andandogli vicino scansò un lembo della coperta. Un lupo!

“Ma che...” Ma guardando gli occhi verdi di quella ragazza bionda intrisi di disperazione ed angoscia, soprassedette stringendo le labbra, si grattò la fronte spaziosa, per aprire poi la porta e dare una voce a quello che era il macellaio di zona nonché suo vicino di casa.

“Martin ci sa fare con le bestie. E' lui che cura i capi del paese. Non so se il vostro... cane possa essere salvato, ma ci proverà.”

Così Flint fu preso e portato in una stalla poco lontana e Giovanna sistemata in una delle stanze al piano superiore, dove Michiru e Minako provvidero a cambiarle i vestiti e a lavarla dalla polvere e dal sudore.

 

 

Pizzo Campo, Tencia.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Daniel Kurzh controllò la cartina socchiudendo gli occhi. Ormai era il crepuscolo, il bivacco sarebbe stato approntato a breve e lui non aveva ancora trovato tracce della sua Michiru. Possibile che fosse sparita nel nulla? Possibile che sei ragazze prive di una qualche minima nozione alpinistica, anche se guidate, fossero riuscite a spingersi fin li? Forse le avevano sorpassate. Forse si erano rintanate in uno dei rifugi stanziati lungo la strada verso il San Gottardo. No, impossibile!

Il Tenente Smaitter era stato chiaro, sottolineando subito il coinvolgimento di quell'ausiliaria, Giovanna Tenou, nella sparizione della sua fidanzata ed era altresì chiaro a detta del medico, cristallino, come il soldato Astorri stesse remandogli contro rallentando la marcia inanellando una serie interminabile di scuse. Kurzh non ne aveva le prove, ma appena trovata Michiru lo avrebbe fatto mettere agli arresti con un pretesto, facendogli così rimpiangere i campi ed il sole alle quali appartenevano quelle mani callose da stupido contadinotto.

Sbuffando scocciato richiuse la cartina dimenticandola poi tra le mani della destra mentre gli occhi andavano ad accarezzare le vette più ardite lambite ormai dagli untimi raggi del sole. Lei era li, da qualche parte, tra quelle guglie e lui l'avrebbe trovata. Ormai non era più solo una questione di sentimento, di preoccupata lontananza, ma anche d'onore e del rispetto che altrimenti la famiglia Kaiou non gli avrebbe mai più accordato.

Ad un centinaio di chilometri dal bivacco militare dove il suo fidanzato stava per prepararsi all'ennesima notte senza avere sue notizie, Michiru scansò la tenda che oscurava le ultime sfumature infuocate che stavano ammantando la zona, accarezzandone con lo sguardo il profilo alpino. La stanza già rischiarata da un paio di candele, era priva di energia elettrica, ma era grande e spaziosa. Portava un letto ad una piazza appoggiato in testata al muro, un grande armadio, una scrivania ed un paio di poltrone. Haruka non vi era stata molto, sparendo subito dopo aver capito che quello che avevano fatto per Giovanna, vista la situazione, era il massimo possibile. Questa sua fuga aveva lasciato tutte piuttosto interdette. Ma non Michiru, che non aveva battuto ciglio, non giudicandola e intuendo da un qualcosa che sentiva arderle nel cuore, che quell'atteggiamento al limite dell'indifferenza, era invece la lampante conseguenza di un sentimento d'estrema, disperata impotenza. Come sapeva dov'era andata a rifugiarsi la sua bionda, priva ormai di quella forza nervosa che l'aveva sorretta fino a quel tardo pomeriggio, fino a quando la stessa Rei, mai del tutto arresasi al fascino del capo cordata, non l'aveva rassicurata iniziando a preparare una serie di infusi e decotti a base di Lavanda.

“E' una pianta dalle potenti proprietà antinfiammatorie. E' un siero naturale contro i morsi delle serpi, ottimo per combattere il veleno e la febbre. Stai tranquilla Haruka, ho visto che la zona ne e' piena ed anche se i fiori non sono ancora tutti sbocciati, sarò in grado di lavorarne il succo usandone anche gli steli e le radici, vedrai... Giovanna starà meglio. Fidati.” Le aveva detto incredibilmente sicura di se e delle arti curative imparate da bambina grazie alla farmacia gestita a Parigi dai genitori. E forse vedendo quell'insolita gentilezza, Haruka si era allarmata ancora di più.

Michiru sospirò provata da un'angoscia dilaniante. Nel silenzio della stanza sentiva solamente il respirare affannoso di Giovanna e le gocce d'acqua gelata strizzate dalle pezzuole che Ami e Minako stavano continuando a premerle sulla fronte madida di sudore. Abbandonando la finestra si diresse verso la porta stirando le labbra allo sguardo di entrambe, per poi ridiscendere nella cucina dove la madre del signor Leopold, il capo del villaggio che stava dando loro quella sorta di asilo, stava preparando del brodo per la cena. Avvertendo tutto intorno a lei un forte odore di pollo e spezie trovò Makoto che la stava aiutando e sorrise, questa volta convintamente, all'insaziabile bisogno che quella ragazza aveva di cucinare per rilassare i nervi. Le salutò con un cenno del capo per aprire poi la porta secondaria e trovandosi a discendere i quattro gradini di pietra che immettevano al pollaio e da li, alla stalla del macellaio vicino di casa. Quando entrò nella struttura bianca dalle traverse lignee vi trovò subito una serie di box aperti dove alcune mucche, sicuramente quelle più anziane non più capaci di affrontare la salita per un alpeggio, stavano ruminando tranquillamente. Camminò per qualche metro verso il portone gemello a quello d'entrata e poi le vide; Usagi ed Haruka, sedute ad un lato della stalla spalle al muro, una accanto all'altra, con il mezzo lupo vicino, disteso su un fianco, immobile come morto, con una vistosa fasciatura stretta allo sterno che andava impercettibilmente ad alzarsi seguendo un ritmo lentissimo, ma regolare.

A Michiru quella scena fece una gran pena. Usagi che continuava ad accarezzare Flint sul collo ed Haruka che poggiava la fronte alle ginocchia racchiuse verso il petto. Un respiro più pesante degli altri e si fermò accanto ai tre accovacciandosi di fronte alla biondina.

“Usa vai a riposare un po' è quasi pronta la cena. Rimango io con Haruka e Flint. Va bene?” Quasi un canto. La voce di Michiru sapeva essere musicale al pari di un usignolo.

Poco convinta l'altra guardò prima il mezzo lupo, poi la bionda e dopo qualche istante si convinse. “Ma promettimi che mi chiamerai se Flint si sveglia. - Disse per poi parlare direttamente con l'animale incosciente. - Torno prestissimo, ma tu non aver paura, non rimani solo.” Ed alzandosi per far suo il consiglio dell'altra, sfiorò la testa di Haruka con una carezza gentile prima d'incamminarsi verso l'uscita.

Michiru ne osservò la schiena leggermente incurvata per la stanchezza per poi sedersi spalla a spalla con la bionda e posarle una mano sul dorso. “Haruka guardami.” Chiese non venendo ascoltata.

“Non fare così. Si sistemerà tutto vedrai.”

“Le è calata la febbre?”

“Non ancora.” Ammise vedendola contrarre la schiena.

“E' colpa mia. Dovevo stare più attenta. Si sa che in questa stagione le serpi riattivano la circolazione acciambellandosi sulle rocce esposte al sole. Avrei dovuto controllare. Sono stata un'idiota. Come lo sapevo che quei due non avrebbero mollato la presa ed io non ci ho badato, standomene ben visibile a bearmi di un'impresa che non abbiamo neanche ancora finito!”

“Ruka...”

“No! - Alzò il viso fino a quel momento nascosto mostrandole la debolezza di due occhi lucidi. - Non sono stata accorta. Ho mancato d'attenzione ed ora rischiano di morire entrambi per causa mia!”

A quelle parole Michiru scattò serrando la mascella. “Non è vero! Non puoi continuare a colpevolizzarti per ogni cosa. Il morso di quel serpente è stata solo una pura casualità e quei ceffi... be nessuna persona sana di mente avrebbe mai fatto quello che si sono permessi di fare loro.”

“Se al Taglio dell'Erba non li avessi sfidati non si sarebbero incarogniti così, lo hai detto anche tu.”

“E' probabile, ma non puoi saperlo con certezza. Comunque ormai è un discorso chiuso. Hai solo cercato di proteggerci.”

Le labbra dell'altra si piegarono in un sorriso sghembo. Bel risultato, bello davvero! “E' sempre così, ogni volta che provo a proteggere chi amo finisco per fare più danno che altro. Guarda con Giovanna; ho fatto di tutto per allontanarla da me, per non farle pesare la mia diversità... - sapeva di stare esponendosi, ma non le importava, non di fronte a lei - ... per far si che la gente non ghettizzasse anche lei, sorella maggiore di una diversa, ma non è servito a nulla, anzi... “

“Ruka basta...” Le disse l'altra con un filo di voce.

“Le ho impedito di amarmi condannando entrambe alla solitudine. Sono stata un'ottusa imbecille! Sono scappata come una vigliacca!” Due lacrime sfuggirono dalle ciglia iniziando a rigarle il viso. “Ho sprecato tempo Michiru, tempo che poteva essere dedicato al volerci bene ed ora che sta morendo...”

“Non sta morendo!” Alzò la voce quasi con rabbia.

“Non l'ho mai vista stare tanto male, mai. “ Rantolò serrando gli occhi mentre l'altra le afferrava il mento racchiudendolo nell'incavo delle mani.

“Devi avere fede, non puoi arrenderti ora. Non te lo puoi permettere, se crolli tu crolliamo tutte.” E ne baciò una lacrima.

A quel tocco la bionda sentì il cuore sussultare. “Non voglio più scappare...” Sospirò restando immobile mentre Michiru le baciava anche l'altra strappandogliela dal viso.

“Lo so...” Sussurrò posandole le labbra sulla bocca in un bacio leggerissimo, al limite della carezza.

Haruka avvertì nel corpo uno spasmo di calore, un'ondata forte, quasi come un'improvvisa quanto inaspettata folata di vento. Riaprendo gli occhi guardò l'altra corrugando leggermente la fronte. “Michi... sei sicura?”

“Come non lo sono mai stata in tutta la mia vita.” Rispose l'insegnante che trafiggendole le iridi con le proprie, guardò quel verde prima quasi spento di colpo ravvivato dalla forza di mille tavolozze di colore. La paura che Haruka aveva di essere felice nel coraggio di vivere era scomparsa, azzerata dalla consapevolezza di un amore nuovo. Al tocco gentile delle dita passate con voluttà tra i capelli alla base della nuca, Michiru sorrise piegando leggermente la testa verso quel calore, mentre un nuovo bacio, questa volta innescato dalla bionda, più forte, vibrato e carnale, le rapiva i sensi facendole lambire la beatitudine di un paradiso terreno.

 

 

La notte trascorse lenta, solcata dall'attesa. Flint aprì gli occhi un paio di volte mugolando in cerca d'acqua, ma non mangiò, ripiombando in un sonno quasi mortale. Giovanna fece altrettanto, con la differenza che nelle sue rare emersioni dall'incoscienza che le aveva ghermito i sensi, era riuscita a capire cosa fosse successo e come mai si sentisse tanto male. La febbre continuava ad essere alta nonostante i decotti di Rei, ed Ami pulendole la gamba, ne capì presto il motivo.

“Haruka vieni un attimo qui per favore.” Chiamò verso le quattro del mattino una bionda taciturna, ma molto più calma di prima.

“Guarda.” Togliendo la pezzuola intrisa di disinfettante rivelò il gonfiore scuro che il polpaccio destro di Giovanna presentava sopra e nei pressi del morso.

“La febbre non scende perché c'è un infezione in atto. Devo incidere e provare a bloccarla prima che contamini anche altri tessuti arrivando all'osso.”

Haruka ingoiò a vuoto avvertendo la mano di Michiru serrarsi alla sua come a volerle dare forza. “Sai... farlo?”

“Ho spesso aiutato il Dottor Kurzh. So come procedere e ho gli strumenti chirurgici adatti nel kit di pronto soccorso che mi sono portata dietro dal San Giovanni.”

“Come posso aiutarti?” Chiese non riuscendo a non fissare la gamba.

“Ho bisogno di due bacinelle, una con acqua calda, quasi bollente, l'altra con acqua e disinfettante. Chiederò al signor Martin di darmi una mano. A quel che ho capito è lui il chirurgo del paese quando il medico è costretto ad allontanarsi.”

Per nulla convinta la bionda guardò Minako e Rei sparire giù per le scale molto probabilmente per chiedere alla madre del signor Leopold quello che serviva e chiamare l'altro uomo.

“Non ho capito una cosa... ma questo signor Martin... non è... il macellaio del paese?” Una voce flebile e roca riemerse dalle pieghe della narcosi facendo voltare tutte e tre le donne rimaste nella stanza. Giovanna le guardò cercando di sistemarsi meglio tra i cuscini.

La bionda sorrise inginocchiandosi e togliendole la pezza ormai calda dalla fronte annuì sostituendola con una più fresca.

“Non è... rassicurante.”

“Sta zitta! Oltre ad Ami è tutto ciò che abbiamo.”

“Non... mi piace...” Sospirò stringendo i denti al dolore pulsante che non accennava a darle pace.

“Haru... come sta Flint?”

“E' ancora vivo. Combatte.”

“Non ti offendere, ma... credo tu abbia tirato su un lupo un po' stupido...” E sorrise al ricordo del gioco che voleva iniziare con quella mina naturale scambiata per una grossa balla.

“Sarà anche stupido come dici tu, ma non è che mia sorella sia tanto più sveglia.” Affondò la stoccata ripensando al gesto di protezione che aveva portato l'altra a spingerla lontano dal rettile, iniziando a passarle la pezza umida sulle braccia nude nella speranza di darle un qualche sollievo mentre la porta si riapriva ed il signor Martin entrava nella stanza con un paio di grosse cinghie nelle mani.

“Allora signorina, voi siete un'infermiera. Potevate dirmelo prima.” Disse in maniera burbera ed Ami non riuscì a capire se le stesse muovendo una critica o un complimento.

Visto il cuoio, Giò strinse istintivamente la mano della sorella guardandola spaventata. “Ruka...”

“Tranquilla. Mi scusi signore, che intenzioni avete?” Chiese alzandosi guardandolo in cagnesco.

“Signorina non abbiamo Laudano e se la gamba di vostra sorella deve essere incisa, ci vorrà più della vostra forza per tenerla ferma.” Disse avvicinandosi pericolosamente al letto.

Ami diede ragione all'uomo continuando professionalmente nella sterilizzazione del bisturi, mentre Minako e Rei tornavano con nelle braccia due grosse tinozze.

“Non sono una vacca io.” Giovanna provò ad alzarsi sugli avambracci, ma quasi urlò per la fitta che quel gesto le provocò alla carne.

L'uomo sorrise. “Visto? Era questo che intendevo. Il veleno delle serpi rende la pelle estremamente sensibile. L'infezione non è ancora molto estesa, ma sicuramente arreca dolore. Allora... siamo pronti?”

“No, che non lo siamo!” Intervenne la bionda iniziando a slacciarsi gli scarponi. Se quell'energumeno pensava di legare Giovanna come una capra pronta per il macello si sbagliava di grosso. Si sbagliava lui come si sbagliava Ami.

Non volendo pensare al terrore cieco che da sempre aveva per il dolore fisico, la maggiore cercò allora di sdrammatizzare. “Oddio Ruka, vorresti farmi svenire con la potenza mefitica delle tue calze?”

L'altra si fermò un istante dimenticando uno dei due scarponi nelle mani e guardandola stava per aprire la bocca per controbattere, ma poi non lo fece. Gli occhi di Giovanna, annebbiati dalla stanchezza e dalla sofferenza, erano un velo di paura. Stringendo la mascella scosse la testa per poi rimanere in calzini. Portandole il braccio destro sotto la nuca e l'altro alla vita, l'attirò a se per poi sederle dietro la schiena.

“Michi mi aiuteresti?” Chiese serrando l'avambraccio al petto della maggiore permettendole di appoggiarsi a lei con tutto il peso del busto.

Osservando la scena l'uomo borbottò qualcosa uscendo dalla stanza e lasciando in pratica ad Ami tutta la responsabilità dell'operazione.

Ecco da bravo. Fuori dai piedi, pensò la bionda notando quanto bollente fosse la pelle della sorella.

Grazie Haruka, grazie davvero, fecero eco i pensieri dell'infermiera mentre si lavava le mani e metteva una pezza pulita sotto al polpaccio di Giovanna. Adesso era sola.

“Ho una paura fottuta Ruka.” Le rivelò Giovanna ad un orecchio avvertendo il calore del corpo dell'altra premuto contro la propria schiena.

“Lo so, anche io, ma sono qui. Questa volta non ti lascio Giò. L'affronteremo insieme questa cosa.” Disse altrettanto piano.

“Mordi questo.” Michiru le porse con dolcezza il proprio fazzoletto prima di bloccarle la gamba destra con le mani. Ma l'altra non lo volle. Non avrebbe urlato come una femminuccia.

Pia illusione, perché quando Ami affondò con risolutezza la lama del bisturi nel punto esatto nel quale il serpente aveva morso e il sangue stranamente scuro e denso iniziò ad uscirle dalla carne, Giovanna urlò e come. Haruka ne bloccò con le braccia il violento spasmo che seguì una seconda incisione. Un altro forte gemito e la bionda dovette tenerle ferma la fronte con tutta la forza che aveva.

“Sssss... è quasi finita. Tieni duro Giò, tieni duro.” Le sussurrò cercando di mantenere la calma alla vista di tutto il sangue che stava fuoriuscendo. Michiru serrò gli occhi cercando di respirare mentre spingeva con tutto il corpo sopra la gamba dell'altra per impedirle di muoverla.

“Rei vieni a tamponare!” Ordinò Ami non riuscendo più a vedere mentre un leggero odore di rancido le formicolava le narici.

In breve l'infermiera riuscì a far defluire sul panno tutto il sangue ormai contaminato dall'infezione che aveva preso ad addensarsi sotto la ferita, pulendola poi con una massiva dose di disinfettante e ricucendone i lembi recisi con il filo da sutura. Il dolore fu devastante e a metà operazione Michiru si accorse che la forza con la quale Giovanna stava cercando di muovere il femorale si era quasi azzerata. Lo stato d'incoscienza era sopraggiunto a sollevarla almeno in parte da quello strazio e lasciando la presa cercò gli occhi di Haruka. Si guardarono un attimo, prima che la bionda tornasse a poggiare la fronte sul collo della sorella che debolmente aveva preso a gemere e a tremare come una foglia.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Scena un tantino cruda, ma tutto sommato dolce. Michiru è riuscita a scardinare il cuore di Haruka e tutto è tornato a scorrere nella bionda, anche il rapporto con Giò. Ho scoperto, perché l'ignoranza è tanta, che nel '15 gli antibiotici non c'erano ancora; la Penicillina, la famosa muffa scoperta da Alexander Fleming nel 1928 verrà utilizzata solo successivamente a questa storia. Allora ho pensato, ops siamo fottute, ma poi ho immaginato che Rei avrebbe potuto conoscere qualche rimedio naturale, tipo la Lavanda, che non credevo, ma oltre a profumare il nostro bucato e ad inondare i campi di mezza Francia e di gran parte delle Alpi, è un potente anti veleno ed un antisettico naturale. Spero che il desiderato ed aspettato da molte, bacio tra Haru e Michi vi sia piaciuto e credo proprio che ve ne saranno molti, molti altri... sempre se “dottor belloccio”, come qualcuna lo chiama con tanto affetto, farà il bravo, s'intende.

A prestissimo.

 

 

 

 

 

   
 
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