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Autore: Aiqul Marnerazver    24/06/2017    0 recensioni
Nel Mondo della Magia, lì dove abitano i Mageschi, esseri con la coda che controllano la magia dei colori, un ragazzo conduce quella che sembra una vita quasi tranquilla. Ma quando una sola scelta sbagliata lo porterà a non dipendere più da sé stesso, dovrà affrontare ogni sorta di nemici per ottenere la libertà: tiranni, demoni, angeli, dèi, amori e, soprattutto, sé stesso...
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zl corse verso la scuola, il fianco che gli doleva per lo sforzo, i polmoni che cercavano di compensare i battiti veloci del cuore.
Attraversò il cancello dell’accademia senza fermarsi, ed entrò nell’edificio con slancio, realizzando solo in quel momento che non sapeva in quale classe doveva andare. Imprecando ad alta voce, posò lo zaino a terra e cercò il suo orario, maledicendosi per la propria stupidità.
Quella mattina si era svegliato all’alba, e nonostante questo era comunque in ritardo. Aveva fatto colazione con uno dei frutti del solito albero, che fortunatamente aveva riconosciuto: erano molto comuni all’orfanotrofio, in quanto erano selvatici e facili da raccogliere, e quindi più economici, la regola madre di qualunque cosa entrasse nell’istituto: si era lavato come il giorno prima, ma questa volta si era dimenticato di tenere d’occhio il suo segnalatore, e il risultato era l’essere in ritardo.
«Cerchi qualcosa, signor Borsa di Studio?» gli chiese una voce divertita.
Zl sobbalzò e si girò di scatto, una mano ancora infilata nello zaino. Probabilmente avrebbe gridato per lo spavento se non fosse che aveva ancora difficoltà a respirare. Il segretario con qui aveva litigato il giorno prima era seduto alla sua solita scrivania, e lo guardava malignamente. Zl non rispose alla sua domanda, prese il suo orario dalla borsa, la richiuse e si avviò per il corridoio, corse per le scale e cercò la sua classe. Lesse il cartello “3° livello” su una delle aule e aprì la porta senza neanche pensare a bussare, ancora ansimante. Un professore smise di parlare all’improvviso, un libro di storia ancora in mano, guardandolo in modo scocciato.
«Scusi» disse Zl, sbiascicando le parole a causa dell’affanno. Ci fu qualche risatina nella classe, ma cercò di non badarci.
«Sei di questa classe?» chiese il professore, cercando di mantenere un tono calmo, anche se era visibilmente scocciato.
«Sì» balbettò il ragazzo.
«Siediti, la lezione è iniziata già da dieci minuti. La prossima volta non ti farò entrare»
Zl annuì e chiuse la porta, il cuore in gola. Andò a sedersi nell’unico banco libero in fondo alla classe nell’angolo a destra, cercando di ignorare le risatine che lo seguivano.
«Come stavo dicendo» riprese il professore «le discordie fra Verdia e Rossia sono sempre state presenti, nonostante non furono mai così potenti da scatenare una vera e propria guerra come quella che c’è adesso…»
«Ma professore» lo interruppe un’allieva dai capelli a metà fra il blu e il giallo e gli occhi verdognoli «com’è possibile che nessuno faccia qualcosa? Voglio dire, Dioren ha già fermato altre guerre prima d’ora, no?»
«Vero» convenne il professore «tuttavia Dioren è sparito da quasi vent’anni, dopo la Battaglia di Neria. Ad ogni modo» aggiunse prima che l’alunna potesse interromperlo di nuovo, «preferirei parlare dell’argomento del giorno. Dunque, siamo arrivati alla Grande Carestia, giusto? Bene, allora…» e iniziò a spiegare nel malcontento generale. Zl cercò di stare attento come poteva, ma era molto più difficile di quanto credesse: non aveva un foglio né uno Stilo *(strumento simile alla nostra penna, con la differenza che è in legno e che va intinto nell’Argar, che è simile all’inchiostro)* , e non se la sentiva di chiederli in prestito. Come se non bastasse, il professore parlava velocissimo, cosa che in altre situazioni gli sarebbe piaciuta, ma in quella era davvero insostenibile. Passò la prima ora così, sforzandosi di imparare tutto e subito. La seconda e la terza ora si susseguirono veloci, ognuna più difficile da ricordare dell’altra: la professoressa di chimica li accolse con un sorriso e chiese velocemente come stavano prima di iniziare una spiegazione lunga e difficile sui legami atomici: il professore di Strategia Militare tenne una lezione ancora più complessa ripassando, con l’aiuto degli studenti che seguivano il suo corso da più tempo, tutti i metodi con il quale un battaglione può essere circondato in uno scontro. Zl cercò di tenere a mente date, strategie, composizioni atomiche e altro, ma era troppo anche per lui: doveva assolutamente trovare un modo per guadagnare abbastanza soldi per comprare carta, stilo e argar.
Finalmente arrivò il momento della pausa, segnalato da tre rintocchi della campana dell’accademia. Il professore di Strategia uscì dalla classe nella gioia degli studenti, che si alzarono e cominciarono a chiacchierare, sgranocchiando panini e dolcetti portati da casa. Zl guardò affamato alcuni degli spuntini degli altri ragazzi, lo stomaco che si stringeva in una morsa. Si alzò, cercando qualcuno con cui parlare. La pausa durava venti minuti: era più che sufficiente. Si avvicinò ad un gruppo di amici vocianti e si stampò un sorriso in faccia, cercando di sentire cosa dicevano.
«… incredibilmente noioso», stava dicendo uno dei ragazzi, «non posso credere che non sei riuscita a distrarlo, Mirsa»
La ragazza dai capelli a metà tra il blu e il giallo sorrise, furba: «Non è colpa mia se quello ha capito che la sua lezione è noiosa. La prossima volta provaci tu, mica è facile!» disse fra le risate di tutti. Zl ridacchiò con loro, malgrado il provare a distrarre un professore dalla lezione non gli sembrava giusto. Uno dei ragazzi, il più alto, con i capelli verdi-arancioni, lo guardò dall’alto al basso, con un sopracciglio alzato, scettico. Zl si schiarì la gola, in imbarazzo.
«Ciao» disse «Mi chiamo Zl, sono nuovo qui. Tu come ti chiami?»
«Ghenfio» rispose l’altro. I suoi occhi schizzarono ai suoi capelli neri, per poi tornare ai suoi occhi, sempre con uno sguardo scettico. «Non sei tu quello che ha fatto arrabbiare il segretario, ieri? Quello che ha vinto la borsa di studio»
I ragazzi risero. Zl sorrise, cercando di non lasciarsi scoraggiare.
«Già… è un tipo piuttosto irascibile, vero?»
«Beh» disse Ghenfio, guardandolo con un sorriso di scherno «anche tu avresti dovuto mostrare la tessera. Voglio dire, c’è un motivo se si chiama Riconoscimento, no?»
Le risate crebbero.
«Sì ma…» balbettò Zl «a me non hanno dato nessu…»
«Ehi, che hai in questo zaino?» chiese uno dei ragazzi, gettando uno sguardo nella sua sacca. «Bleah! Cos’è questo coso?» domandò tirando fuori un pezzo della sua coperta ancora umida di rugiada.
«Allora è vero che vieni dalla strada!» rise la ragazza dai capelli blu-gialli.
«No! Io… cioè…»
«Ehi, Borsa di Studio, bella coperta!» disse il ragazzo vicino al suo zaino, tirando fuori il pezzo di stoffa. I ragazzi iniziarono a passarsi la coperta fra loro, ridendo, e ad ogni passaggio quella si strappava sempre di più. Zl riuscì ad afferrarla solo quando ormai il suo spessore si era ridotto di molto, e si risedette al suo banco, ficcando il pezzo di stoffa sbrindellato nello zaino con furia, gli occhi lucidi dalla rabbia. Non sapeva cosa avrebbe dato per tirare un pugno a tutti quegli idioti. Il gruppo tornò pian piano a parlare dei fatti propri, ignorandolo.  
«Fame?» chiese qualcuno.
Zl alzò lo sguardo e vide un ragazzo dai capelli bordeaux e gli occhi rosso sangue, lo stesso che aveva notato al Riconoscimento, che lo guardava tendendogli metà del panino che teneva in mano, un sorriso gentile sul volto.
«Io… ehm…»
«Prendi pure» disse l’altro, ficcandoglielo in mano. Prese la sedia del banco davanti a lui e la girò con un gran frastuono, si sedette e gli sorrise. Uno dei ragazzi del gruppo lo guardò con stizza, probabilmente perché quella era la sua sedia, ma l’altro non ci fece caso. Zl ridacchiò e diede un gran morso al panino, che sembrava cotto un po' male, visto che era pieno di pezzi di farina, ma la fetta di formaggio che conteneva era spessa e dolce. Il ragazzo aveva talmente fame in quel momento che non ci fece nemmeno caso.
«Io sono Mario» si presentò il ragazzo dai capelli bordeaux.
«Zl» rispose il ragazzo, la bocca piena.
Mario ridacchiò, offrendogli l’altra metà del panino.
«Oh, no, grazie, io non…»
«Tranquillo, ne ho un altro» rispose lui, tirando fuori un altro panino dalla tasca.
Zl strabuzzò gli occhi, guardando il pezzo di pane e formaggio semi-spappolato che teneva in mano.
«O almeno» disse lui, guardando dubbioso le fette sbriciolate «era un panino»
Zl scoppiò a ridere, prima piano, poi sempre più forte.
«Oh beh, il cibo è sempre cibo» disse Mario ficcandosi in bocca il panino sbriciolato e dandogli l’altra metà di quello sano.
«Grazie» disse Zl, accettandolo ridacchiando.
Fuori dalla classe, la campana suonò di nuovo tre volte, e un professore entrò nell’aula fra gli sbuffi dei ragazzi.
«Ci vediamo dopo» disse Mario, tornando al suo banco, nell’angolo in fondo a sinistra della classe.
«Ciao» rispose Zl, sorridendo.
Nel giro di dieci secondi aveva già finito il secondo pezzo del panino per quanta fame aveva. Scoccò uno sguardo a Mario, che stava scarabocchiando sul suo foglio. A giudicare dai movimenti del suo stilo, non sembrava stesse prendendo appunti. Come se non bastasse, ogni tanto il suo sguardo si fermava su un angolo del foglio, e non si rivolgeva mai al professore. Zl si accorse che la sua espressione continuava a mutare, come se stesse parlando con qualcuno. D’un tratto, il ragazzo si girò verso di lui, guardandolo con le sopracciglia aggrottate, confuso. Zl arrossì, abbozzando un sorriso. Mario ricambiò, scrisse qualcosa sul suo foglio e, dopo aver gettato un’occhiata al professore per accertarsi che non stava guardando lui, lo alzò in modo che Zl potesse leggere. Hai da fare dopo? recitava la scritta. Il ragazzo scosse la testa. Mario scrisse qualcos’altro e rialzò il foglio. Vuoi venire a casa mia? lesse il ragazzo, sorpreso. Con un sorriso, annuì.
 
«Che fatica!» sospirò Mario.
Era la fine delle lezioni, e i due ragazzi erano appena usciti dall’accademia. Zl ancora non credeva alla sua fortuna: aveva trovato un amico, aveva mangiato un panino e probabilmente avrebbe potuto mangiare qualcos’altro di lì a poco, magari avrebbe addirittura pranzato con lui. Non erano grandi aspirazioni per un ragazzo di diciassette anni, ma quando non hai né una casa né del cibo, tutto inizia a diventare più prezioso.
«Cosa?» chiese Zl, ridacchiando.
«Tutto! Odio stare seduto per ore, è davvero allucinante. Vieni, casa mia non è lontanissima da qui»
Si avviarono per la traversa che portava all’orfanotrofio, girando poi a sinistra e avviandosi verso la foresta. Chiacchieravano del più e del meno: le lezioni, i professori, la città di Verdia…
All’improvviso, dopo un momento di silenzio, Mario si illuminò e sorrise, divertito. Zl iniziava a notare che lo faceva ogni volta che aveva un’idea.
«Secondo te» cominciò con un sorriso da piantagrane «cosa succederebbe se io tirassi un pugno a Vii Verde?»
«A chi?» chiese Zl, confuso.
«Vii Verde» rispose Mario, sorpreso. «Il principe di Verdia. Non lo hai visto, ieri? Era al Riconoscimento, con quel colore così puro non passa certo inosservato».
Un brivido freddo corse per la schiena di Zl. Ecco perché aveva l’impressione di conoscere il ragazzo: chissà quante volte lo aveva visto sui pochi giornali che passavano per l’orfanotrofio, e chissà quante volte aveva sentito nominare distrattamente il suo nome. Vide che Mario lo guardava, interrogativo.
«Penso che finiremmo entrambi in prigione» disse senza pensarci, come se la sua bocca avesse volontà propria.
«Entrambi?» chiese Mario, confuso.
«Certo, credi che ti lascerei mai picchiare da solo il principe di Verdia? Non ti voglio mica lasciare tutto il divertimento» rispose, quasi in tono acido.
Mario sembrò sorpreso, poi scoppiò a ridere, contagiando anche Zl, senza riuscire a smettere: risero così tanto che dovettero fermarsi a riprendere fiato, le lacrime agli occhi.
«Beh, amico mio» disse poi Mario, dandogli una pacca sulla spalla, «benvenuto a casa!»
Zl si guardò intorno. Senza rendersene conto si erano inoltrati nella foresta, e fra gli alberi ricchi di rami alti e forti *(gli alberi della grande foresta che circonda Verdia sono simili ad un incrocio fra una quercia e un pino)* non c’era nemmeno un sentiero, figurarsi una casa. Probabilmente Mario percepì il suo smarrimento, perché gli diede una lieve gomitata e accennò col capo alla cima di uno degli alberi. Zl seguì il suo sguardo e rimase a bocca aperta.
Una sottospecie di baracca di legno era incastrata fra i rami di cinque alti alberi disposti a formare un pentagono, le cui fronde sostenevano le assi, inchiodate in qualunque punto venissero a contatto con uno dei rami. Un sesto albero, più grande degli altri, entrava direttamente nel pavimento, rispuntando poi dal tetto, coprendo con i suoi rami la casa e mimetizzandola perfettamente con il bosco.
Zl si girò verso Mario, completamente stupito. L’atro lo guardava fiero, come se per tutto il tempo che avevano passato assieme non avesse voluto fare altro che mostrargli quella casa.
«Una volta chiamavano anche me senzatetto» disse «ora non osano fiatare»
«Ma tu… come… come hai…»
«Ho lavorato: sono scappato dall’orfanotrofio a quattordici anni, sono stato assunto da un fabbro come assistente e gli stavo così simpatico che, quando è morto, mi ha lasciato un po' di soldi. Così ho comprato assi e chiodi e mi sono costruito questa casa, anche se» si interruppe, lanciandogli uno sguardo indagatore. «È piuttosto triste stare da soli, sai?» disse lentamente, come a misurare ogni parola.
Zl lo guardò, riuscendo finalmente a chiudere la bocca per lo stupore. Non ci aveva nemmeno pensato: Mario sembrava stare così bene che il fatto che potesse essere nella sua stessa situazione non lo aveva neppure sfiorato.
«Beh?» domandò l’altro.
«Cosa?»
«Credi che ti abbia mostrato la mia casa e il mio nascondiglio per niente?»
«In che senso?»
«Zl» disse Mario, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio ad un bambino, «mi sono stufato di vivere da solo, e tu sembri essere quello meno rompiscatole con cui vivere. Se decidi di restare, possiamo condividere casa mia»
«Davvero?» chiese Zl, non riuscendo a credere alla propria fortuna.
Mario annuì, lanciando gli occhi al cielo.
«Sarebbe magnifico, io…»
«Risparmia i convenevoli: sì o no?»
«Sì, certo che sì! Come posso…»
«Vieni, dai» lo interruppe Mario, sorridendo, «è da tanto che non ho ospiti, quindi c’è un po' di disordine, inoltre non c’è la scala, ti toccherà arrampicarti…»
Zl lo ascoltò distrattamente, senza riuscire a credere a cosa gli stava accadendo. Una persona come lui che gli offriva non solo un posto dove stare, ma anche la sua amicizia in cambio di nulla? Era più di quanto avrebbe sperato.
«… e non si tocca il cibo senza di me, chiaro?» chiese Mario, una mano e un piede già appoggiati al tronco, pronto per salire.
«Grazie» riuscì a malapena a dire Zl, colto alla sprovvista da tutto quello che stava succedendo.
Mario lo guardò, sorpreso, le sopracciglia alzate in modo buffo. Poi sorrise anche lui, arrampicandosi sul tronco, ridendo. 
   
 
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