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Autore: Kaiyoko Hyorin    24/06/2017    0 recensioni
[La Saga di Riftwar]
Delle molteplici razze che popolano il mondo, due in particolare sono legate dal filo rosso del destino, condannate a camminare l'una accanto all'altra ed a non incontrarsi mai.. non pacificamente. O almeno è questa la credenza ineluttabile, perché come può esserci pace e comprensione se l'una è succube del Sentiero Oscuro e l'altra predica la via della Luce?
Ma le cose non sono così semplici ed è sotto l'oscura ombra di un pericolo ben più grande di quanto si possa immaginare che i cambiamenti più impensabili possono compiersi, come un incendio nasce da una piccola e fugace scintilla. Sta tutto alla volontà dei singoli, ed è di questa che vi voglio mostrare la forza.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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4. Impossible escape



Quando l'incoscienza iniziò a ritirarsi, per Elwar fu come risvegliarsi dalla propria tomba.
Non seppe stabilire nemmeno in seguito per quanto tempo era rimasto privo di sensi ma quando ciò avvenne il primo messaggio che gli trasmise il suo corpo dolorante fu un fastidioso indolenzimento alla schiena, così come a gran parte dei suoi muscoli, e la percezione di un letto di ciottoli decisamente scomodi sotto di sé, tanto da rendergli un supplizio ogni respiro dei polmoni in fiamme.
In quell'iniziale ed assoluta immobilità dovuta ad uno stordimento pressoché assoluto gli ci volle una manciata di secondi per rendersi conto d'esser vivo e poi, mentre tentava di lottare contro l'apatia che gli offuscava la mente, iniziò a distinguere qualcuno dei suoni dell'ambiente circostante. Si fece spazio nella sua coscienza un rumore sordo, costante, pari ad uno scroscio fragoroso dapprima lontano e indistinto e poi sempre più forte al suo fine udito. Fu il rumore della cascata a poche decine di metri di distanza a scacciare gran parte del suo stordimento, un attimo prima che una serie di immagini mentali gli invadessero la mente.
L'imboscata!
Elwar aprì di scatto gli occhi, trovandosi a combattere contro la luce che gli ferì le pupille e la pesantezza delle membra mentre, con uno scatto, si sollevava a sedere, pervaso da un'unica potente emozione: l'incredulità dopotutto d'essere ancora vivo. Boccheggiando, fece appena in tempo a raddrizzare la schiena che un'altra acuta fitta di dolore gli trapassò il cranio, facendolo gemere e costringendolo a portarsi una mano alle tempie.
Quando la ritrasse, riconobbe immediatamente il sangue sulle proprie dita.
Senza scomporsi né rimanerne sorpreso, distolse allora lo sguardo e si guardò brevemente attorno per cercare di stimare la propria posizione. Era più a valle di un buon centinaio di metri dal punto in cui era precipitato ed aguzzando la vista, nonostante il mal di testa, distinse senza problemi il punto in cui il dislivello del terreno roccioso dava vita a quel salto terrificante.
Era stato fortunato oltre ogni dire ad uscirne vivo.
Poi i suoi occhi si focalizzarono su un riflesso poco distante presso la riva del fiume e, dopo un paio di minuti impiegati a rimettersi in piedi e ritrovare una certa stabilità sulle gambe, raggiunse quel punto solo per chinarsi a raccogliere quella che si rivelò essere la sua spada.
Che strana fortuna.
Perplesso, Elwar tornò a guardarsi attorno, sentendosi quasi sopraffatto dalla sua stessa incredulità per tutta quella buona sorte. Gli ci volle un'altra manciata di secondi per ritrovare la propria abituale freddezza ed ipotizzare con un distacco autoimposto come fosse stata la stessa corrente a spinger lui e la sua spada sin lì. Non si fece altre domande in merito e, dopo essersi assicurato che non avesse subito danni, la rinfoderò prima di uscire totalmente dall'acqua fredda.
Quando i suoi stivali calcarono nuovamente il terreno solido si diresse con passo incespicante verso est, seguendo il corso del fiume: doveva assolutamente capire dove era finito. Fu dopo un altro paio di centinaia di metri di cammino che colse il rumore di un altro corso d'acqua ed avanzando non dovette far molta strada per scorgere il fiume ben più imponente che attraversava la piana: il Crydee.
Fermandosi sulle rive di quest'ultimo nel punto in cui l'affluente affluiva ad arricchire le acque del fiume principale, facendo mente locale riuscì a stimare di trovarsi non troppo lontano dalle colline dello Yabon ed a nord-ovest delle foreste di Elvandar: a pressapoco quattro di giorni di cammino, nel suo attuale stato.
Ed anche gli ultimi strascichi di stupore per la sua buona sorte sfumarono completamente dal suo animo: Elvandar voleva dire eledhel ed eledhel voleva dire soltanto guai, seppure non fossero così vicini da costituire una seria minaccia.
Giudicando poco prudente attardarsi allo scoperto, entrò al riparo di un piccolo boschetto.
Non voleva correre il rischio di imbattersi in qualche pattuglia di sorveglianza dei confini del territorio Hadati, situato in un punto imprecisato oltre le colline ad est, anche se normalmente non se ne sarebbe curato: al confronto coi nani, i cavalieri delle colline dello Yabon erano contadini con in mano dei bastoni.
Starnutì sommessamente a causa di una folata di vento che gli rammentò d'essere completamente fradicio e si mise meccanicamente alla ricerca dell'occorrente per accendere un fuoco. Dopo che vi fu riuscito, non senza qualche difficoltà dovuta al tremore delle mani ancora intirizzite dal freddo, depositò accanto al focolare ciò che del proprio equipaggiamento poteva togliersi di dosso prima di sedervisi di fronte. Non dovette attendere molto prima che le fiammelle guizzanti lambissero col loro calore la sua figura, ma quel tepore ebbe anche un altro effetto: quello di risvegliare il suo stomaco. Ben presto i languori della fame divennero talmente insistenti da costringerlo a mettersi alla ricerca di un pasto e fortuna volle che di lì a poco riuscì a imbattersi nella tana di una lepre protetta da alcuni cespugli di bacche. Non gli occorse altro.
Si appostò in attesa, con la pazienza dell'esperto cacciatore quale era, finché non giunse l'occasione che aspettava. Con un colpo secco del suo pugnale da caccia abbatté un giovane maschio dal pelo fulvo e dopo averne appeso il corpicino ad un ramo a dissanguare raccolse anche qualche bacca da quel cespuglietto rigoglioso, senza curarsi del sangue e della polvere che gli era finito su braccia e mani.
Fu quando tornò accanto alle braci del suo fuocherello che, avvertendo la sensazione fastidiosa del sangue che gli si stava seccando sulla pelle, sfoggiò una smorfia nel guardarsi. Se avessero potuto vederlo i suoi confratelli lo avrebbero di certo preso in giro per il modo in cui era riuscito a ridursi. Preda di quel pensiero istintivo fece per ripulirsi, ma si bloccò con ancora la casacca umida a mezz'aria.
Che stava facendo?
La sua guida, i suoi compagni, coloro per cui si era sempre battuto ed adeguato ad un determinato stile di vita non c'erano più: nessuno gli avrebbe rimproverato il suo stato.
Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi, improvvisamente prive di energia, e con un'ombra a calargli sul volto abbronzato si lasciò scivolare di nuovo seduto dinanzi al focolare ancora acceso. Gli ci volle una manciata di minuti per decidersi a riprendere da dove s'era fermato, spinto più dai morsi della fame che da altro, e quando si mise a pulire il suo pranzo i suoi gesti potevano dirsi quelli di un automa.
Per tutto il tempo, un solo interrogativo ad echeggiargli nella mente.
E adesso?

***

Aredhel riprese lentamente coscienza, stimolata dal buon profumino di selvaggina che permeava l'aria. Lentamente e con una difficoltà mai provata prima aprì gli occhi, riuscendo dopo un paio di battiti di ciglia a focalizzare lo sguardo sul fuoco posto al centro di quello che era in tutto per tutto un accampamento.
Un accampamento moredhel.
I ricordi dell'accaduto le inondarono la mente e lei in risposta si irrigidì, assalita da un'inquietudine talmente intensa da essere sul punto di sfociare in terrore. Eppure l'istante seguente ogni cosa venne stroncata da una fitta di dolore che come una scarica elettrica le invase la mente, rammentandole con estrema brutalità le sue condizioni di prigioniera ferita. Dovette imporsi di tornare a respirare con regolarità e cautela, non riuscendo a non digrignare i denti per lo sforzo, prima di tentare di guardarsi nuovamente intorno.
Accanto al focolare un Fratello Oscuro stava tenendo d'occhio la cottura di un grosso animale; doveva trattarsi di uno dei moredhel che aveva ferito, a giudicare dalla fasciatura al fianco che spiccava sotto le sue vesti scure.
L'istante successivo a quei pensieri si rese effettivamente conto che la sua visione del mondo era ribaltata e comprese di trovarsi riversa sulla nuda terra, la sensibilità degli altri arti quasi nulla e le braccia bloccate dietro la schiena e legate ad altezza dei polsi. E come se non bastasse, un pezzo di stoffa le era stato rudemente legato sulla bocca come un bavaglio, rendendole più difficoltoso respirare.
– Amras – una voce aspra, quasi sgradevole, la distolse dal sommario rapporto delle proprie condizioni fisiche e nel suo campo visivo comparvero un paio di stivali in avvicinamento – Si è ripresa.
Spostando leggermente il capo, l'elfa riuscì ad inquadrare il volto del nuovo elfo nel proprio campo visivo. Aveva un'espressione austera che non faceva altro che renderne più duri i lineamenti naturalmente fini, ma qualcosa al limitare della sua consapevolezza le insinuò la sensazione di non vederlo per la prima volta. Doveva essere il capo.
Gli bastò un cenno e l'istante seguente un paio di mani l'afferrarono senza grazia per le braccia, sollevandola a sedere e tenendola al contempo ferma con presa ferrea. Quel cambiamento repentino e l'indelicatezza usatale le procurarono una nuova scarica di dolore dal fianco e per una manciata di secondi mille scintille le danzarono davanti agli occhi. Serrando le palpebre attese con una smorfia insofferente che quel momento passasse, di modo che la vista le si schiarisse nuovamente, prima di azzardarsi a rivolgere una nuova occhiata ai suoi carcerieri.
La freddezza che colse negli sguardi altrui, mista a scherno e odio per nulla celati, furono per lei come una serie di stilettate dritte al petto che minacciarono di farla vacillare, ma un orgoglio insperato, antico e prepotente, le impedì di abbassare il capo.
Nel silenzio a seguire venne liberata del bavaglio e fatta bere, ma terminati i pochi sorsi che le inumidirono la gola riarsa la lasciarono ricadere distesa nella polvere in malo modo. L'impatto le svuotò i polmoni con un gemito strozzato ed Aredhel rimase immobile nel tentativo di riprendere fiato, cogliendo nel mentre il sibilo di qualche risatina malevola. Poi i Fratelli Oscuri non la degnarono d'altra considerazione e se ne andarono a sedersi accanto al fuoco scoppiettante, dandole le spalle e tradendo quanta poca importanza le dessero persino come prigioniera.
Doveva esser quella considerazione che veniva rivolta agli eledhel come lei: una creatura infima e inutile, tanto inferiore da non dover nemmeno essere sorvegliata.
Di nuovo quell'orgoglio che le aveva impedito di soccombere sotto gli sguardi altrui le si agitò in petto, risvegliando in lei una sensazione ribollente ed amara senza nome, qualcosa che non aveva mai provato in precedenza e che si mescolò ad un'avversione nuova ed istintiva per quei Fratelli Oscuri. Qualcosa che le impedì di lasciarsi andare allo sconforto della sua situazione.
Lasciata sola, raccogliendo come poté le poche forze di cui ancor giovava nonostante l'accaduto, riprese da dov'era stata interrotta con un più accurato esame sulle proprie condizioni fisiche. Mosse piano le dita cercando di riattivare la circolazione, digrignando i denti per il dolore. Quindi, resistendo al meglio alle fitte che ad ogni minimo movimento le attanagliavano le viscere, tentò di ravvicinare le gambe al ventre con lo scopo di rialzarsi, ma stavolta senza successo: quando ci provò il bruciore nel punto in cui era stata ferita tornò a ravvivarsi, divampando all'improvviso e riempiendola di brividi di freddo che le tolsero le poche forze che aveva raccolto sino a quel momento.
Fu a quel punto che si rese conto delle reali condizioni in cui vigeva.
Quel che aveva inizialmente supposto trattarsi di un taglio superficiale doveva essersi aggravato durante la sua incoscienza, infiammandosi a causa della mancanza di cure adeguate. Serrando i denti tentò di rannicchiarsi maggiormente e con uno sforzo dei muscoli riuscì ad esaminare visivamente il proprio fianco, prima di accasciarsi di nuovo sul terreno con un sospiro. Almeno era stata fasciata.
Non sarebbe morta dissanguata, si disse. Molto più probabilmente l'avrebbe presa l'infezione che ne sarebbe venuta di lì a poco; se i suoi aguzzini l'avessero lasciata vivere abbastanza a lungo, beninteso.
Scacciò quelle considerazioni controproducenti e continuò la sua ispezione. Come ovvio constatò che era stata perquisita e disarmata e, cercando con lo sguardo, vide il proprio equipaggiamento dall'altro lato di quell'accampamento. Imprecando mentalmente per la distanza che la separava da qualsivoglia lama, soppresse per mera forza di volontà la sensazione di ineluttabilità che le ispirava la sua situazione disperata, così tornò a guardarsi intorno. Ed a quel punto il cuore le sussultò nel petto.
Questa non è la foresta di Elvandar..
Gli alberi erano più bassi di quelli a cui era abituata e le fronde erano colme di una vegetazione dalle tonalità più scure, che contribuiva a far aleggiare nel sottobosco circostante una penombra che le impedì di determinare a che punto fosse il percorso del sole nel cielo. Puntando un'altra volta l'attenzione sui moredhel che l'avevano catturata, un'altra domanda affiorò inquietante fra i suoi pensieri. Perché l'avevano tenuta in vita?
Quell'ultimo interrogativo non fece che assillarla per tutto il resto del tempo in cui rimase cosciente e le impedì di riposare al meglio delle sue possibilità. Gelida, la morsa dell'ignoto le serrò la bocca dello stomaco, accompagnandola nei momenti di veglia come in quelli di incoscienza e non demordette mai, in quello come nei giorni che seguirono.
Il tempo iniziò a dilatarsi e deformarsi alla sua percezione a causa delle ripetute perdite di coscienza, perdendo regolarità ai suoi occhi ed il susseguirsi dei giorni si confuse, cosicché non riuscì mai a stabilire quanti ne trascorsero durante la sua condizione. Debilitata, tornava bruscamente alla realtà quando veniva sbatacchiata da un campo all'altro o quando la destavano con malagrazia per darle da mangiare o da bere in quantità a malapena sufficienti a tenerla in vita.
Più volte si rese conto, nel corso dei momenti di veglia, di qualche Fratello Oscuro intento a fissarla con espressione indecifrabile, sebbene per la maggior parte del tempo la ignorassero. Soltanto il loro capo, Amras, le rivolgeva regolarmente parola ma solo per rivolgerle qualche commento malevolo con il lampante intento di spaventarla e piegare il suo animo, ma ben presto la ragazza si impose di non dare alcun credito alle sue parole.
Iniziò invece a concentrarsi su altro, come la routine che era la vita di quei guerrieri moredhel, le loro abitudini, tentando di estrapolare da questi uno schema che le avrebbe fornito un'occasione per salvarsi la vita. Certo, attendere che fossero Lorren e gli altri a salvarla sarebbe stato più comodo, ma non sapeva dove si trovava né dov'era la squadra degli eledhel che doveva senz'altro essersi mobilitata alla sua ricerca e farvi cieco affidamento sarebbe stata una pazzia.
In un'occasione le parve persino di distinguere la direzione nella quale si stavano muovendo grazie allo scorcio di alcune catene montuose fra uno spiraglio di vegetazione e l'altro, ma non avrebbe messo la mano sul fuoco sull'affidabilità delle sue deduzioni.
In realtà fu dopo appena tre giorni dalla sua cattura che ebbe il vero, primo, confronto degno di nota con Amras.
L'avevano sistemata in una sorta di tenda, le avevano esaminato la fasciatura e poi l'avevano lasciata lì a riposare per quelli ad ella erano sembrati pochi minuti, prima di tornare da lei.
Aredhel si sentiva stremata a causa del poco riposo e dello sforzo che il suo fisico era stato costretto a sopportare sino a quel momento, pertanto fu di soprassalto che si destò da quello che era un sonno leggero ed inquieto non appena il drappo della tenda venne scostato e la luce del giorno la colpì in pieno viso.
– Bene.. – esordì la voce carica di scherno di Amras delineandosi in controluce – Come sta la nostra ospite?
La ragazza-elfa alzò lo sguardo appena in tempo per notare il sorrisetto affilato che egli stava sfoggiando ed incrociandone gli occhi scuri vi lesse lo stesso disprezzo malcelato che aveva visto sul volto degli altri Fratelli Oscuri, sentimento che risvegliò in lei quell'avversione mista a orgoglio e rabbia che le era nata in petto sin dal primo giorno.
Il ghigno del moredhel si accentuò in risposta al suo sguardo sfrontato e le si avvicinò abbastanza da chinarsi e sollevarle il mento con una mano. Il suo tocco indiretto, filtrato dal guanto che gli copriva le dita, le procurò una smorfia malcelata.
– Sai il perché sei ancora in vita?
Lei non rispose, non batté ciglio, così come non si permise di abbassare lo sguardo, traendo forza e sostegno dal suo solo orgoglio, ma questo non parve impedire al moredhel di trarre le sue conclusioni.
– Come pensavo – ribatté infatti questi in tono risaputo e carico di derisione – Voi eledhel siete troppo stupidi... Ebbene, te lo dirò io – negli occhi dell'elfo passò un riflesso che ne rese quell'esordio tanto inquietante da farle correre un brivido su per la schiena ed il ghigno sul suo volto gli si accentuò di rimando nella luce del crepuscolo incombente – Sei ancora in vita per il semplice motivo che ci servi come tale. Almeno ancora per qualche tempo. Sarebbe un peccato che un bel faccino come il tuo andasse sprecato, non credi? – la mano destra che le aveva tenuto sollevato il mento scese ad accarezzarle il collo e la spalla, provocandole un brivido di repulsione e gelo che la fece tremare.
– Non... non mi toccare! – esclamò scostandosi bruscamente e lottando contro il senso di panico che minacciò di sopraffarla, ma la presa sulla sua spalla si fece più salda, bloccandola.
Amras scoppiò in una risata talmente tagliente da renderle ancora una volta evidente in tutta la sua crudeltà la sua situazione di prigioniera alla totale mercé dei suoi aguzzini e il respiro le rimase impigliato in gola; non aveva alcuna possibilità.. né alcun controllo sul proprio fato.
– Come immaginavo: le eledhel sono di tutt'altra pasta rispetto agli esseri umani. Ti riserverò un trattamento speciale – riprese il moredhel in tono sommesso, avvicinando il suo volto a quello di lei – Dopo che mi sarò divertito con te non avrai più così tanta voglia di fare la difficile – quelle parole risuonarono nella mente della ragazza più fredde di un blocco di ghiaccio – e allora forse lascerò divertire un po' anche i miei ragazzi.
Aredhel si ritrovò a sgranare gli occhi chiari preda di un terrore ed un gelo che le avviluppò i sensi con una repentinità tale da smorzarle il respiro e togliendole anche la più piccola padronanza della propria voce.
Amras parve accorgersene e l'istante dopo era di nuovo riversa a terra, mentre quest'ultimo le volgeva le spalle, allontanandosi con ancora quel ghigno sfrontato a delineargli le labbra sottili.
Fu quello il primo ed unico momento in cui una calda lacrima le sfuggì alle ciglia, rigandole la gota sinistra. La consapevolezza di quale fosse il destino a lei riservato le strinse il petto in una morsa soffocante.
Oh Lorren... ti prego vieni a salvarmi.
E tuttavia, come quel pensiero le si formulò nella mente, al contempo la colse la disarmante consapevolezza che era una speranza vana e flebile al pari di un filo di fumo nella bruma serale. Non avrebbero fatto in tempo.
Avrebbe dovuto trovare il modo di scappare da sola, a qualunque costo.
Era tempo di reagire.

***

Erano passati quasi sette giorni da quando quella ricerca era iniziata e la spedizione partita da Elvandar s'era addentrata da tempo nelle terre dello Yabon, seguendo le tracce lasciate dai Fratelli Oscuri. Da quando avevano iniziato a costeggiare le colline il capitano del drappello di elfi aveva raccomandato a tutti la massima attenzione e cautela: gli uomini di quelle alture non erano rinomati per la loro tolleranza verso chi invadeva il loro territorio. Per non parlare dei moredhel che vi si nascondevano.
Eppure, per quanto la perizia messa in quel compito fosse tale da poter giustificarne la cosa, il fatto di non essersi ancora imbattuti in alcun esploratore stava diventando rapidamente motivo di inquietudine.
Col calare del settimo sole si accamparono per passare le notte in una macchia di vegetazione e fare il punto della situazione.
– Vedrai che la ritroveremo – Lorren si avvicinò al loro condottiero, fermandosi al suo fianco.
Il fratello di Aredhel nel sollevare lo sguardo su di lui serrò le labbra fra loro in una piega tesa. Sotto quello sguardo, l'ex moredhel si sentì per l'ennesima volta attanagliato dai sensi di colpa.
– Mi dispiace, Varsel – mormorò, distogliendo il proprio.
Pensieri ricorrenti si erano affacciati in quei giorni alla sua mente, rimpianti, ipotesi, recriminazioni rivolte a sé stesso ed a come erano andate le cose. Sentirsi responsabile per quanto avvenuto ad Aredhel era il motore e il sostentamento dell'impegno che ci stava mettendo a ritrovarla ed era una sensazione del tutto nuova che non aveva mai provato, non così intensamente, prima di allora. Non sapeva se era dovuto all'aver fatto Ritorno o se era per il legame che stava iniziando ad instaurare con la ragazza-elfa, ma non sarebbe rimasto a guardare. L'inattività non era mai stata da lui.
Avevano già affrontato quel discorso ma, nonostante le rassicurazioni di Varsel, non v'era modo per lui di scacciare il fantasma che gli stava corrodendo l'animo dall'interno.
– Non è stata colpa tua – rispose per l'ennesima volta il capitano in tono stanco, scuotendo il capo nel tentativo di rimanere lucido – Hai fatto il tuo dovere tornando subito ad Elvandar per avvertirci.
Lorren rimase in silenzio mentre, per l'ennesima volta negli ultimi giorni, riviveva l'accaduto.
Era perfettamente consapevole di ciò che sarebbe potuto capitare ad Aredhel sotto prigionia e non era certo una consapevolezza che poteva giovare al suo stato d'animo. I Corvi erano Fratelli Oscuri senza morale e con una soglia dell'onore più bassa di molti altri clan moredhel della zona. L'unico motivo per cui facevano prigionieri era per rivenderli come schiavi ad altri popoli o per giovarne loro stessi finché questi non morivano di stenti. Era questo il motivo per cui, ogni secondo che passavano senza procedere, la situazione minacciava di sfuggirgli di mano.
Inspirò a pieni polmoni, lasciando fuoriuscire in un sospiro parte della tensione che gli irrigidiva le membra.
Quindi pregò per l'ennesima volta la fortuna di assistere la sua amica.

***

Aredhel venne svegliata bruscamente da una guardia che dopo averle assestato un calcio contro una gamba le posò innanzi quello che era il suo pasto: una ciotola di avanzi.
Il moredhel non rimase a fissarla ma si allontanò senza indugi e lei, dopo un istante, si concesse un sospiro di sollievo prima di esaminare ciò che le era stato portato. Non molto in verità: qualche brandello di carne ancora attaccato all'osso immerso in un brodetto apparentemente disgustoso, ma che la fame le fece apparire quanto di più delizioso potesse esserci al mondo. Con mani rese incerte dalla stretta delle corde, grata che nessuno la stesse fissando, si dedicò al sacro compito di riempire quanto più poté il proprio stomaco.
Doveva assolutamente recuperare e conservare quante più energie le era possibile e l'unico modo per farlo era continuare a nutrirsi e riposare ogni volta che poteva.
Il male minore in tutta quella faccenda era il fatto che le avevano cambiato le corde, legandole le braccia dinanzi al busto e non più dietro la schiena, cosicché potesse nutrirsi da sola. Probabilmente doveva ringraziare l'apparenza inoffensiva che era riuscita ad ostentare sino a quel momento per questo e non mancò di approfittarne ogni volta che poté. Era persino riuscita a sistemarsi meglio la fasciatura intorno alla vita, stringendo maggiormente il nodo delle bende e mitigando il dolore che ogni tanto le si risvegliava sottopelle.
Non passò molto tempo da sola tuttavia, una decina di minuti a seguire Amras tornò a farle visita, sfoggiando quel suo ormai consueto quanto malevolo sogghigno derisorio.
– Sono venuto per annunciarti che fra pochi minuti ci rimetteremo in viaggio – le disse con una certa arroganza – Mi auguro che resisterai all'andatura, nonostante le tue condizioni.
Nel suo sguardo ella vi lesse qualcosa che fece augurare la stessa cosa anche a lei, ma riuscì a non battere ciglio di fronte alla strafottenza del capo moredhel, rimanendo impassibile a sostenere quell'ennesimo confronto di volontà. E il ghigno di Amras non mancò di farsi più affilato.
– Bene – disse soltanto. Fece per voltarsi ma venne raggiunto da uno dei suoi subordinati; uno degli esploratori, a giudicare dall'equipaggiamento.
– Amras – il tono, come la sua espressione, tradiva una certa urgenza – Eledhel.
Bastò quella singola parola a far scomparire quel sogghigno dal volto del loro capo e far spuntare, per contro, un flebile e spontaneo sorriso su quello della prigioniera. Il primo dopo chissà quanto tempo.
Il seme della speranza germogliò di nuovo nell'animo di Aredhel.
– Dì agli altri di prepararsi a partire – comandò intanto Amras congedando l'esploratore con un singolo gesto, prima di tornare ad abbassare la sua attenzione su di lei – Pare che la fortuna stia girando dalla tua parte oggi – poi quel ghigno in tralice riaffiorò sul suo volto – ...o forse no.
L'eledhel a quell'inquietante minaccia velata avvertì quel fugace guizzo di positività venirle meno, sostituito da un profondo sconforto che le fece chinar il capo verso il terreno. I pochi minuti a seguire venne sgombrato totalmente il campo, sotto le direttive dell'ormai familiare e sgradevole voce del moredhel al comando. Quando ormai tutto fu pronto un moredhel tornò da lei, costringendola senza alcun riguardo a rimettersi in piedi.
Venne fatta avvicinare ad uno dei pochi cavalli del drappello, già sellato e pronto alla partenza così come era pronto Amras, intento a reggerne le redini.
Per un fugace primo istante ad Aredhel venne in mente di stenderlo con una testata dritta sul naso in un ultimo scatto disperato, quindi montare in groppa all'animale e fuggire al galoppo mentre gli altri moredhel nella più rosea delle aspettative erano ancora intenti a chiedersi che cosa fosse accaduto, ma quello seguente la ragione tornò a dissuaderla. La presa del suo custode era salda intorno al suo braccio e le impediva ogni movimento che non fosse lui stesso ad imporle.
Amras salì in sella, ma poi si volse a guardarla ed a quel punto ella capì che quella volta, anziché procedere a piedi, sarebbe dovuta salire a propria volta. Il pensiero di trovarsi a così stretto contatto con il suo principale aguzzino le fece salire un'ondata di disgusto che minacciò di farle rivoltare quel poco che aveva mangiato a colazione, ma riuscì a dominare i crampi alla bocca dello stomaco seppur non a sopprimere la smorfia che le delineò le labbra screpolate. Venne issata con malagrazia sul dorso del cavallo proprio davanti al Fratello Oscuro, il quale non mancò di cingerla saldamente in vita con il braccio sinistro mentre con la mano destra strinse le briglie.
Sotto il suo comando il piccolo gruppo si mise in marcia, cavalcando al piccolo trotto attraverso la selva, la quale nel diradarsi in alcuni punti permise ancora una volta alla ragazza-elfa di scorgere sprazzi del mondo circostante. Quando contro il cielo plumbeo si stagliarono le cime di una catena montuosa particolarmente imponente, le nozioni che le erano state inculcate in testa dal suo precettore le andarono in aiuto.
I Denti del Mondo!
Lo sconforto tornò a minacciare di afferrarle il cuore.
Si trovava a leghe intere da Elvandar, in un territorio sconosciuto ed inospitale e stavano senza dubbio dirigendosi verso nord-est, proprio in direzione delle montagne. Un'ulteriore complicazione da aggiungersi ad un suo tentativo di fuga.
Per gran parte della giornata proseguirono a cavallo, concedendosi soltanto brevi soste e mandando di continuo esploratori a piedi alle loro spalle col compito di accertarsi della distanza che li separava dagli inseguitori; due di loro non fecero ritorno.
Oramai mancava meno di un'ora al tramonto.
– Sono tenaci i tuoi amichetti – commentò Amras pesantemente ironico, tanto vicino che ella ne percepì il lieve spostamento d'aria accanto all'orecchio sinistro.
Preda della repulsione suscitatale, Aredhel si scostò quel tanto che le era permesso dalla presa del moredhel e cercò di non pensare a quella mano che la teneva saldamente stretta alla vita.
– Presto il tuo patetico orgoglio verrà spazzato via – le sussurrò nuovamente in tono sprezzante, serrando le dita nel punto in cui giaceva la sua fasciatura e strappandole un sussulto.
Aredhel trattenne un gemito, il fiato di nuovo mozzatole in gola, ed avvertì un lieve capogiro minacciare di destabilizzarla.
– Smettila – quella parola sussurrata risuonò quasi come una supplica, troppo vicina al proprio limite per opporsi con la consueta fermezza: era stremata per la cavalcata e le emozioni negative della giornata, la mente offuscata dall'avversione suscitatale dal capo dei Corvi.
Amras tornò a drizzare completamente la schiena sulla sella e un istante dopo diede ordine ai compagni di trovare un luogo adatto per accamparsi. Non dovettero fare molta strada: si fermarono in una zona a ridosso delle prime montagne e ben riparata dagli alberi.
– Ci fermiamo qui – annunciò il Fratello Oscuro prima di smontare di sella.
Finalmente libera dalla sua presenza oppressiva, Aredhel fu di nuovo in grado di pensare e il pensiero che la colse fu improvviso non tanto per natura, ma per l'intensità con cui la investì, tale da farle entrare in circolo una nuova ondata di adrenalina.
Doveva fuggire. Adesso.
Ogni muscolo le si tese meccanicamente. Qualunque cosa avesse deciso di fare, avrebbe dovuto farla subito.
– Tiratela giù.
L'ordine perentorio di Amras fu il segnale che fece crollare ogni suo tentennamento. Preda della disperazione del momento, con profonda determinazione affondò i talloni nei fianchi del cavallo e questi si impennò, riuscendo a strappare di mano al capo dei Corvi le proprie redini con un forte nitrito di protesta. Gli zoccoli fendettero l'aria ed esclamazioni d'allarme si levarono dagli elfi lì presenti, mentre Aredhel si aggrappò con tutte le sue forze al crine dell'animale riuscendo solo per miracolo a non scivolare a terra a propria volta. E l'attimo seguente, spronato ancora una volta dall'urlo dell'eledhel, lo stallone scartò di lato, balzando al galoppo fra uno dei varchi della fitta vegetazione.


Stava scappando.
Il primo e più persistente pensiero che si sovrappose al fragore di quella corsa ed al fischio del vento fu che stava scappando. Con l'adrenalina in circolo ad acuire ogni suo senso, lottando per rimanere in sella, la ragazza avvertì per la prima volta in vita sua un'eccitazione ed una vitalità talmente intense che se non avesse avuto il cuore saldamente piantato in gola avrebbe esultato e gridato.
Era riuscita a fuggire!
Sotto il sibilo del vento delle urla risuonarono alle sue spalle, come echi lontani e rabbiosi, ricordandole che non era ancora in salvo ed inducendola a rimettere sotto controllo le proprie emozioni per restare concentrata su ciò che stava facendo. Ogni sussulto infatti minacciava di sbalzarla a terra ed ogni falcata dell'animale sotto di lei sembrava incrementare la loro velocità lungo il pendio, tant'è che si ritrovò a lottare contro un offuscante strato di lacrime nato dal vento che le sferzava il viso.
All'ennesimo salto del cavallo avvertì l'impatto di qualcosa di più rigido di cuoio e finimenti contro la gamba destra e solo a quel punto si rese conto della presenza di un coltello assicurato ad una fibbia accanto alla sacca da sella. Con cautela e riuscendo miracolosamente a non perdere l'equilibrio, Aredhel riuscì a sfilarlo dal fodero e, con una destrezza che solo un appartenente della sua razza poteva vantare, a tranciare con quella lama le corde che la legavano.
Perse la lama l'istante seguente, ma finalmente libera da qualsivoglia costrizione si sporse nuovamente in avanti nel tentativo di afferrare le briglie della cavalcatura imbizzarrita sotto di lei.
Fortuna e tenacia le andarono in soccorso e le impedirono di fare la fine di quel coltello a discapito di quel galoppo sfrenato, permettendole di arrivare alle cinghie di cuoio ed a tirarle con forza verso di sé. Costretto a rallentare, il cavallo sbuffò e tentò di ribellarsi alla sua nuova cavaliera ma poco dopo iniziò a frenare la propria corsa.
Bastò quel calo di velocità tuttavia a permettere ai suoni della natura circostante di superare il fischio del vento e subito le giunsero alle orecchie a punta i rumori provocati dai suoi inseguitori. Non osò voltarsi indietro, spronò di nuovo il cavallo che aveva rubato ad Amras al galoppo e questi balzò di nuovo in avanti con un nuovo nitrito.
Sfrecciarono fra gli alberi giù per il declivio di quel tratto di bosco come se ne andasse della vita ed Aredhel, per la prima volta, sperimentò l'eccitazione ed il terrore sordo tipici di una preda. Perché tale era, braccata dai cacciatori moredhel a poche decine di metri da lei, perfettamente consapevole che semmai fosse stata ricatturata, sarebbe stata la sua fine.
Spronata da quelle stesse emozioni, ella sfruttò tutta l'abilità di cui era capace e anche di più spingendosi al limite in quella fuga precipitosa, mentre la paura che attanagliava il cuore dell'elfa finì ben presto per contagiare anche il suo cavallo, il quale iniziò a schiumare dalla bocca a causa dello sforzo fisico, incapace di fermarsi.
Attraversarono tratti in cui la vegetazione era più rada e altri in cui ogni passo del cavallo poteva essere l'ultimo, e quando avevano raggiunto il tratto centrale di una delle radure più estese la ragazza trovò il coraggio di scoccare un'occhiata alle proprie spalle, alla ricerca dei suoi inseguitori. Li scorse al limitare del suo campo visivo sotto forma di ombre fra gli alberi e quella vista non fece altro che smorzarle ancora una volta il fiato in gola, inducendola a tornare a chinarsi sulla groppa del suo cavallo ed a spronarlo ancora una volta.
Un secondo dopo gli alberi tornarono a coprirle i fianchi ed a sfrecciarle accanto, mentre il terreno riprese un'andatura più pianeggiante sotto gli zoccoli dell'animale. Poi, senza preavviso, quegli stessi zoccoli sollevarono schizzi limpidi sino al suo viso facendola meccanicamente sussultare. Drizzandosi sulla sella tirò nuovamente le redini e la sua cavalcatura scartò di lato a quel nuovo comando, minacciando di farla sbalzare di sella a causa del cambiamento repentino di traiettoria.
Con l'affanno a bruciarle i polmoni ad ogni boccata d'aria, Aredhel si rese conto di aver incrociato quello che era il corso di un torrente e, dopo un primo istante di stupore e smarrimento, tornò a indirizzare con decisione il cavallo lungo la riva, per una via più sgombra e meno pericolosa per le zampe dello stesso.
Non aveva idea di dove stesse andando. Era a soltanto consapevole di dover continuare a correre per porre quanta più distanza possibile fra lei e i suoi inseguitori e così fece. Per questo motivo, preda d'un potente istinto di sopravvivenza, non pensò al reale pericolo che costituiva per lei quel tratto.
Fu subito prima di una larga curva del torrente che, dopo aver appena iniziato a pensare che forse ce l'avrebbe fatta, una freccia moredhel raggiunse la sua cavalcatura, trapassando pelle e muscoli. L'animale incespicò e cadde rovinosamente con un alto nitrito di dolore ed Aredhel venne sbalzata in avanti con tale slancio che finì per rotolare per diversi metri sul terreno disseminato di cespugli, prima di finire contro un tronco d'albero in un brusco arresto.
L'impatto le svuotò i polmoni e mille stelle iniziarono a danzarle davanti agli occhi, ma il campanello d'allarme che le era risuonato nella testa per tutto il tempo continuò a riempirle lo spazio fra le orecchie a punta, impedendole di cedere all'incoscienza. Di nuovo parzialmente dietro la copertura della vegetazione, digrignando i denti per lo sforzo ed attingendo ad energie di cui ella stessa non sapeva essere in possesso, si rialzò in piedi e si rimise a correre.
Non poteva fermarsi.. non doveva!
Ignorò le molteplici fitte di dolore che le giungevano da più punti del suo corpo e, il respiro ormai tanto affannoso da raschiarle la gola come fuoco rovente, si costrinse a non mollare. Caracollò in avanti tuttavia quando sotto di lei una pietra perse stabilità, ma fu quando si imbatté in una strada battuta e ben definita che finì seriamente di finire a terra. Si aggrappò all'ultimo istante ad un tronco vicino e, in un moto di rinnovata speranza, vi si gettò letteralmente al seguito premendosi nel mentre un braccio contro il fianco fasciato. La sensazione di umido che di lì a poco avvertì fra le dita non fu che la conferma di ciò che già sospettava da tempo: la ferita le si era riaperta, cosa che spiegava per quale motivo ogni falcata era pari ad una vera e propria pugnalata.
Sarebbe morta, se lo sentiva.
Ma dov'è Lorren?! Si chiese disperata, incespicando di nuovo.
La stanchezza ormai le appesantiva le gambe e il petto le bruciava talmente tanto da renderle impossibile respirare. Solo la paura le impedì di fermarsi o anche solo di voltarsi indietro, conscia che se ci avesse provato avrebbe ceduto e non si sarebbe più rialzata.
Era giunta al suo limite; era finita.
Poi un nuovo rumore attirò la sua attenzione: un fischio penetrante proveniente da un punto più avanti, oltre la schermatura del sottobosco. Un richiamo che ella riconobbe.
Lorren!
Un sorriso le tese le labbra screpolate e il cuore le ebbe un nuovo guizzo di insperata energia in petto, rianimato dalla speranza che le impedì di cedere al suo destino. Non ancora.
Continuò a incespicare in avanti cercando disperatamente di raggiungere la salvezza ormai tanto vicina. Era sul punto di gridare con il poco fiato rimastole il nome dell'amico nel tentativo di farsi sentire quando accadde l'inevitabile: una gamba le cedette e l'altro piede si incastrò sotto una radice sporgente in mezzo al sentiero. Finì a terra con un urlo strozzato, attutendo a malapena la caduta con le braccia, schiacciata dal suo stesso peso.
Si ritrovò riversa al suolo, ansimante, con la testa che le girava e gli occhi colmi di lacrime. Tentò di rialzarsi ma il suo corpo si rifiutò con tutto sé stesso di obbedire alla sua volontà, paralizzandola con scariche di dolore e bruciore muscolare.
All'improvviso l'eledhel accusò tutta la stanchezza, tutti gli sforzi sopportati sino a quel momento ed ormai svuotata si sentì perduta.
Era finita.
Chiuse gli occhi, la rabbia e l'angoscia che presero il sopravvento, combinandosi e dilaniandole l'animo tanto intensamente che ella finì per non riuscire ad arrendersi. No, non poteva. Non con la squadra di Elvandar così vicina.
In un ultimo disperato tentativo tentò di muoversi, di spostarsi da quel tratto allo scoperto per cercare riparo fra la vegetazione più vicina che delimitava quel tratto di sentiero. Prese a strisciare nella polvere, dando fondo a quelle poche scintille di energia che le rimanevano riuscendo a malapena a guadagnare il ciglio della via prima di avvertire improvvisamente due mani afferrarla intorno al busto e trascinarla via, lontano dalla sua ultima speranza di salvezza.




continua...


Ed imperterrita nonostante tutto, fra tempi geologici e riscontri deludenti, eccola di nuovo qui!
Sì, non c'è verso che io smetta di scrivere, mi spiace. Non lascio mai un'opera incompleta e inconvenienti permettendo - tempi geologici e impegni vari - finirò anche questa. Come preannunciato le cose iniziano a movimentarsi... speriamo che con il procedere arrivi la svolta che spero!
Non aggiungo altro, non lascerò anticipazioni di sorta quindi... beh se vi piace fin qui continuate a seguirmi!
Alla prossima!!

Kaiy-chan
   
 
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