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Autore: Alvin Miller    25/06/2017    0 recensioni
Questa storia parla di una terra lontana e perduta nel tempo, Uruma, patria di una piccola comunità di pony, ma anche habitat di feroci creature carnivore.
Ed era anche la sede della Congrega dei Cacciatori di Mostri, pony coraggiosi e dal cuore impavido, che mettevano in gioco la loro vita per la sicurezza della popolazione.
Ma da qualche anno le cose sono diverse: la Congrega è sfaldata, le condizioni di vita sempre più difficili, ed ora solo due Cacciatori sono rimasti a difendere la cittadina costiera di Capo Unicorn.
Quella che vi sto per raccontare è la loro storia. Io sono Liberty Spirit, sono un Cacciatore, e questa è la mia storia.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5: L’uragano che vola

Niente più Shar, in pratica, significava niente più ostacoli al completamento della Barricata.

Dopo essere tornati, ed essere stati pagati col doppio dell’onorario, così come erano rimasti d’accordo Brave e Deep Root, gli operai dell’imprenditore (quelli rimasti, insomma) poterono riprendere e terminare il progetto che in tal modo avrebbe donato nuovi terreni alla campagna di Capo Unicorn.

Deep Root, tra l’altro, si era dimostrato un eccellente pony d’affari, facendo costruire la stazione di pompaggio attraverso cui, da quel momento in poi, si faceva pagare (anche profumatamente) per canalizzare l’acqua della Lacrima di Drago direttamente in paese. Liquidi in cambio di liquidi.

Come unico proprietario terreno in grado di permettersi l’acquisto di quegli appezzamenti, mise poi in zoccoli un vero e proprio monopolio agricolo, che sarebbe diventato ancora più netto non appena le altre fattorie cominciarono a vendergli le proprie terre in cambio del denaro per lasciare Uruma. Nessuno, a parte lui, riusciva più a sostenere i costi di gestione.

Ora che niente dall’esterno riusciva a oltrepassare le difese della Barricata, quello che restava a noi, era di accertarsi che nessuna creatura all’interno potesse infastidire il nuovo “padrone di casa” nei suoi affari futuri.

Questo ci diede lavoro ancora per alcune stagioni, ma come Deep Root stesso avrebbe presto scoperto, i nuovi terreni divennero presto sterili e inadatti a sostentare le coltivazioni.

Come vi dicevo, era stato lungimirante, e con la privatizzazione dell’acqua del fiume (che vendeva sia alle poche fattorie che ancora resistevano, sia a Capo Unicorn) era riuscito ad evitare la bancarotta, ma il suo grande progetto di espansione territoriale finì drasticamente per naufragare.

Va di buono che ora io avevo una licenza da Cacciatore indipendente, e questo, considerato che presto avrei compiuto dodici anni, aveva fatto di me il più giovane professionista dell’intera storia della Congrega.

Vi racconterò di quella prima volta in cui scoprii lo “Zoccolo duro”.

Caso vuole che quel giorno fosse anche teatro di una serie di fatti significativi per la mia vita.

Quell’anno Capo Unicorn stava scoprendo un nuovo tipo di popolazione. I pirati, che un tempo erano solo una netta e poco gradita minoranza, stavano via via prendendo il posto degli abitanti regolari, i quali settimana dopo settimana erano salpati in cerca di nuove opportunità per ricominciare da zero. Le case restavano vuote dei proprietari, e quando questo succedeva, briganti e fuorilegge arrivavano e si prendevano il posto abusivamente, spacciandolo spudoratamente per “loro”.

Capo Unicorn si stava trasformando in un covo di filibustieri e pericolosi ricercati, che trovavano in paese un piccolo angolo di paradiso dove poter mangiare e bere senza preoccuparsi delle autorità locali.

Colton, difatti, aveva scelto di non fare nulla contro quel tipo di presenze, perché secondo lui, i loro Argenti tenevano viva la città, e chi tra noialtri (i locali) decideva di restare, doveva imparare a convivere con questi loschi figuri.

Lo Zoccolo Duro era un’attività che io non conoscevo, perché appunto era praticata solo dai pirati di passaggio, ed io mi trovai ad assistervi quella volta che ci trovammo a rilassarci al Brocco Randagio.

Era un pomeriggio. Guardavo questi zotici che si sfidavano a chi riusciva a rovesciare la zampa dell’altro sul tavolo in cui sedevano, e pensai che non fosse poi così diversa da altri tipi di sfide che vedevo fare da tempo alla locanda.

Regolarmente, il Campione in carica stabiliva una puntata che si alzava a seconda della disparità tra i due, e lo sfidante che si assumeva il rischio poteva quindi o diventare improvvisamente ricco, in caso di vittoria, o vedersi ripulire del proprio contante se – cosa più probabile – veniva sconfitto.

Il pegaso che stavo guardando (il capitano di una nave, a giudicare dalla giubba che indossava) si era dimostrato un Campione sotto tutti i punti di vista, sconfiggendone altri tre e capitalizzando l’attenzione intorno al suo tavolo. C’era persino la dama di un bordello aperto di recente, che gli ronzava intorno nella speranza di rimediare un cliente facile e abbiente.

Dirty Rag, imbolsito come non mai dopo la partenza della moglie, arrivò al tavolo con un vassoio pieno di caraffe di birra (e qualcosa di più potente in una tazza più piccola) che servì tutte al tavolo dello stallone.

Si accorsero di me quando la folla si aprì intorno al tavolo, e il capitano incrociò i suoi occhi con i miei.

«Vuoi provare, ragazzino?» Mi aveva allora chiesto, con un fare scaltro, dove io nel momento non fui in grado d’intuire il pericolo che mi attendeva.

«Non ho molti soldi con me… » ammisi colto alla sprovvista. Era così, poiché in genere il mio ricavato lo univo alla cassa comune con mio Zio, oppure lo spendevo per l’attrezzatura da caccia.

Questo pony, ricordo che sorrise, e si scolò senza tante cerimonie un’intera pinta di birra mentre lo fissavo in silenzio.

«Non ti preoccupare per questo. Te li farai dare da mamma e papà poi, o da chi si prende cura di te. Ce l’hai qualcuno che si prende cura di te, vero?» Mi chiese.

Risposi di sì, e per dovizia di particolari, devo aggiungere che intorno al tavolo c’era anche qualche faccia a me nota, ma in quel momento era molto più probabile che costoro avessero scelto di starsene in silenzio per osservare come me la sarei cavata.

«Allora, orsù figliolo! Vieni qui e prova un gioco da grandi!» Aggiunse alla mia risposta, parlando con quella pesante cadenza che hanno i briganti di mare. «Per te la vincita sarà… pentuplicata, voglio essere generoso! E poi mi sembri anche bello rigido con quelle spalle, corpo di una sirena! Lo vedo che sei uno abituato a sgobbare!»

Per qualche ragione mi ero lasciato abbindolare dalle sue parole, e la posta in gioco che aveva messo era il doppio di quella che aveva imposto a tutti gli sfidanti che mi avevano preceduto, quindi pensai che volesse davvero essere generoso con me. Quello che non sapevo era a quanto ammontava la puntata di base, e inoltre… credo che dopo tutto quello che avevo trascorso, mi sentivo veramente nelle condizioni di poterlo sconfiggere.

Mi sedetti al suo tavolo, con la folla che ci circondava, quasi volesse nascondermi alla vista di Brave, che era lì intorno, da qualche parte.

Il capitano davanti a me si mise a fissarmi con degli occhi che io riconobbi all’istante come quelli che avevo visto in altri predatori che avevo affrontato, come quel Razorgor di alcuni anni prima. Ma era troppo tardi per tirarmi indietro, sapevo di essere caduto in una trappola, e nonostante ciò, restavo fedele al mio retaggio da Cacciatore. Volevo portare fino in fondo il mio impegno.

Cominciammo a lottare per determinare chi era il più forte. Io cercavo di sfruttare la velocità per schiacciarlo prima di dargli il tempo di reagire, ma lui era un predatore, e come ogni predatore che si rispetti, si era messo a giocare con me fin da subito. Mi aveva lasciato sperare che per qualche secondo avrei potuto avere la meglio, solo per poi partire alla carica quando uno sforzo di troppo mi aveva sfibrato i tendini della zampa.

Il suo zoccolo rovesciò il mio e lo portò in men che non si dica in vantaggio.

Cercai di resistere con tutte le mie forze, e forse riuscii anche fargli scendere una goccia di sudore dalla fronte, ma era superiore a me sotto tutti i punti di vista.

Persi la sfida, e la folla si perse in un coro di fischi e schiamazzi. Come immaginate, non era certo lo spettacolo che si sarebbero aspettati di vedere dal nipote del prode Brave Lion.

«Arr, peccato pulce, la prossima volta ti conviene lasciare ai grandi il gioco dei grandi! Ora sgancia, e vedi di non farmi insistere!»

Quel bastardo. Gli chiesi a quanto stava la base, e persi quasi la lucidità quando mi disse che ammontava a cento Argenti, che moltiplicati per cinque, raggiungevano una cifra che io non mi sarei potuto neppure sognare.

Quando glielo dissi, lui non volle sentir ragioni, e giusto per rinforzare le sue minacce con qualcosa di concreto, prese da una fodera un grosso coltellaccio e lo conficcò sul tavolo. «Questo è per te, se non paghi il tuo debito.»

Tentai di convincerlo a darmi del tempo, giusto quanto mi serviva per trovare mio Zio e chiedere i soldi a lui. Il capitano non volle ascoltarmi, ma si dovette ricredere quando dalla folla qualcuno gli spiegò chi fosse Brave Lion. Ciò lo convinse a concedermi qualche minuto, ma non dimenticò di chiarirmi che cosa mi avrebbe fatto se avessi provato a fuggire.

Sperai solo che mio Zio non se prendesse con me dopo quello che avevo fatto.

Lo avevo trovato accanto all’uscita, in compagnia di uno strano unicorno che ora che ci penso, aveva un che di familiare, e che anche quella volta avevo considerato curioso, per il fatto che aveva i suoi stessi colori di manto e criniera, incredibilmente simili a quelli di mio zio. Vedendoli da fuori, avreste detto che erano fratelli (e con questa possiamo dire che sono già due le volte nella vita in cui mi è capitato di assistere a una coincidenza del genere, come se la Dea, nella scorsa generazione, si fosse impigrita e avessi distribuito qualche sosia di troppo nel mondo).

Il caso volle che sentissi la loro conversazione praticamente dal principio. Lui, il secondo unicorno, aveva chiesto qualcosa a mio Zio, e questi lo aveva invitato ad appartarsi in un angolo.

«Sei un pirata per caso? Sei sceso con questi tizi?» Gli domandò Brave di risposta. In effetti, non aveva l’aria di uno di quegli zotici: portava con sé un’imbragatura piena di tasche e scarselle ingombranti, e aveva un’aria molto più mite e signorile di qualsiasi altro pirata avessi mai visto, eppure doveva essere attraccato per forza con uno dei loro vascelli.

«Preferisco definirmi un viandante giramondo.» Gli spiegò infatti, aggiungendo: «ai nostri amici, laggiù, è sufficiente offrire la giusta cifra per assicurarsi un trasporto sicuro e senza tante domande.»

Oh Dea, non ci avrei messo gli zoccoli sul fuoco per la “sicurezza” di viaggiare su quelle navi, e a questo proposito, sentivo che il capitano stava cominciando a spazientirsi, cimentandosi in un arcobalenica sequela di improperi, che se mio Zio l’avesse sentito, lo avrebbe sicuramente rivoltato da dentro come se fosse stato un calzino. Per fortuna, era troppo concentrato a discutere con il secondo unicorno, per fare caso alle grida.

Brave disse qualcosa: «Lo sai, vero, che la storia della Camera del Tesoro è tutta un’invenzione messa in bocca per attrarre qui la gente?»

E quella fu la prima volta che sentii parlare della Camera del Tesoro. Avrei quasi potuto pensare che fosse un argomento inedito, introdotto a Capo così come era successo per lo Zoccolo Duro, ma Brave ne parlò come se ne fosse al corrente da anni, e lo fece con toni duri e scettici.

«Sono sicuro che tu abbia ragione» disse il secondo unicorno, ridendosela piacevolmente «ma sono uno a cui piace sognare, mettiamola così.»

Qui mio Zio decise di troncare la conversazione: «Non saprei cosa dirti. Io mi occupo di fatti veri, non di favole.»

«Apprezzo comunque il tuo tempo, vorrà dire che riprenderò presto il mio viaggio.»

Terminato di discutere, mio Zio si affrettò ad allontanarsi da lui, come se temesse di continuare a parlarci. Allora venne verso di me.

«Cos’è quell’aria truce?» Mi domandò, ben sapendo che in realtà domanda avrei dovuto porgliela io.

Dietro di me, il capitano ubriaco scagliò un boccale contro la testa di un altro avventore, e si era poi cimentato in uno spettacolo patetico: «Per mille spingarde, io lo rompo quel sorcetto verde!!»

«Con chi ce l’ha quello?» Mi domandò Brave, così gli dovetti spiegare in quale casino mi ero cacciato.

Ero pronto a scommettere che dopo di quella avrei passato un mare di guai, ma una strana luce baluginò nei suoi occhi quando finii.

Andò a sedersi al tavolo del capitano, e quando lo fece, il silenzio calò intorno alla folla degli spettatori.

«Ho sentito che mio nipote ti deve dei soldi.»

«Yahrr! Quel moscerino ha perso una grossa scommessa con me! Una scommessa giusta! E ora mi aspetto che voi due mi paghiate da bere! Che paghiate da bere a tutti! Aye, ciurma?!» Si era alzato e si era rivolto a tutti i membri del suo equipaggio, che stavano scazzottando nel Brocco, ubriachi marci.

«Aye, capitano! Aye!» Risposero in coro, sollevando i loro boccali. Ma se l’intento era quello di mettere Brave Lion in soggezione, era chiaro che dovevano inventarsi qualcos’altro.

«Che ne dici di giocarcela allora?» E così dicendo, aveva appoggiato il gomito sul tavolo.

Il capitano esitò per un istante, ma durò ben poco, non era il tipo di pony che diceva di no alle sfide.

«Ci sto, per la barba di Hoofbeard! Lo posta è decuplicata per te, ma se vuoi ritirarti adesso, preparati ad assaggiare la mia lama!»

«Mi sta bene.» Annuì Brave «Ma la base la decido io: cinquecento Argenti. La quota dei soldi che ti deve mio nipote.»

Il capitano esplose in una risata isterica. «AHAHAHAH se proprio ci tieni va bene! Avevo proprio voglia di riempirmi le tasche oggi!» Nel frattempo vuotò anche la tazza più piccola, con dentro lo sciacquabudella, che evidentemente aveva lasciato per ultima.

Ci fu qualcuno che provò a metterlo in guardia, parlandogli all’orecchio, e come ringraziamento si trovò a terra con i denti sfondati da una zoccolata.

Il capitano non era tipo che diceva di no alle sfide.

Durò meno di quanto avessi sperato! Neanche il tempo di godermi l’angoscia dello stallone nel momento in cui si rese conto di non avere alcuna speranza, che la sua zampa si trovò schiacciata contro il tavolo con un unico tonfo.

Brave lo aveva paralizzato con lo Sguardo, dimostrando che le voci che circolavano su di lui – che poteva davvero usarlo sui pony – erano tutte fondate, e a quel punto era stato in grado di predominare su di lui con evidente facilità.

Poco dopo, nel silenzio generale, stavamo contando i soldi che la vittoria ci aveva fruttato. Cinquemila Argenti, che l’intera ciurma era stata costretta a scucire, moneta per moneta, di tasca propria. Il capitano sedeva ora immobile sul suo posto, con la faccia sconfitta e intenta a fissare il nulla.

«Tieni, questi sono tuoi.» Mi disse mio Zio, porgendomi un piccolo borsello di monete. Mi disse che erano cinquecento Argenti, ossia quelli che mi ero “guadagnato”.

«Chi l’avrebbe detto» commentò infine, tutto entusiasta «qualche volta dovremmo rifarlo.» In effetti erano davvero parecchi soldi, ma non avrei mai pensato che l’avrebbe presa con tanta filosofia.

Dopo dieci minuti – non credo fosse trascorso più tempo di così – tutto era tornato a una certa normalità, quando ecco che la vecchia Malaika galoppò fino all’entrata della locanda gridando, come se si stesse preparando alla fine del mondo (e in effetti…):

«La pioggia! Arriva la pioggia che bagna le nostre anime, che il ciel sia lodato!!»

E con la stessa fretta con cui era entrata, uscì, farneticando sul fatto che la pioggia stava arrivando e che noi tutti eravamo salvi.

Il suo sbraitare, naturalmente, attirò l’attenzione non solo di chi si trovava nel Brocco Randagio, ma anche degli altri abitanti di Capo (i nativi e i non).

Tutti insieme ci incontrammo all’aperto, e tutti con gli occhi puntati a est, guardammo la linea dell’orizzonte oceanico.

Stormi di Skinflai (più di quanti ne avessi mai visto) volavano verso di noi passando a centinaia di metri sopra le nostre teste, e il cielo in pochi secondi si riempì di nuvole grigie e gonfie di acqua. La pioggia annunciata dalla zebra arrivò subito dopo, e noi potemmo sentire sui nostri manti una freschezza che oramai ci stavamo dimenticando come fosse.

Ci sentivamo rinati, come se la vita stesse risorgendo dalle polveri e lo spirito di Uruma ci travolgesse con la sua energia. La grande migrazione degli Skinflai si era fatta attendere per troppo tempo, ma sembrava che ora fosse arrivato il momento di ricominciare. La siccità era finita.

I pony, che per necessità o senso di nostalgia non erano riusciti a seguire l’esempio degli altri e salpare, ora festeggiavano e si abbracciavano tra loro ringraziando la benevolenza della Dea, che ci stava facendo quel dono. Cantavano e danzavano, e per qualche minuto tutti si vollero bene.

Ma era un idillio che sarebbe durato poco.

Eravamo fradici fino alla suola dei ferri. Qualcuno, tornato sobrio, aveva deciso di rientrare in casa, ma Brave continuava a restare all’aperto, ed io con lui.

Vi dirò di più, qualcosa lo turbava, e anch’io, in effetti, condividevo le stesse sensazioni. Non so se fu la sua influenza o il fatto che la vita da Cacciatore avesse alterato in maniera irreparabile il mio modo di recepire le cose. Ma qualcosa stava per succedere, e indovinate un po’? Anche Colton Nyx lo aveva intuito. Ben presto potevamo anche vederlo, sotto forma di una parete di cumulonembi che stava ricoprendo il panorama del mare, e che si approssimava come un grande continente sospeso verso il porto di Capo Unicorn. Era diverso dalle nubi che ci piovevano in testa, immaginatevi un’onda gigantesca che catturava la luce e tutto ciò che la attraversava, fatta di vapor acqueo, e resa incandescente delle folgori dell’elettricità statica che vi tuonavano all’interno. Qualcosa di così compatto, in apparenza, che volandovi contro avreste rischiato di schiantarvi.

Fenomeni del genere sono insoliti in natura, ma non quando sono gli Skinflai stessi a generarli.

«Qualcuno mi dica che è uno scherzo… » stava difatti obiettando il borgomastro, scuotendo la testa in simultaneo alle parole.

«Nessuno sta ridendo… » ribatté mio Zio.

Poi Colton Nyx esclamò questa frase: «Quindici anni, merda… » ed io, che al solito ero il terzo incomodo della discussione, aveva sentito quel numero, e quindi mi ricordai di ciò che mi disse mio Zio, quella volta che ci trovammo alla difesa della Barricata.

Pensateci anche voi un attimo, cosa successe quindic… scusate… ventiquattro anni fa?

Ebbene, prima cominciarono a stagliarsi i contorni delle ali, attraverso la muraglia di nubi che egli stesso aveva creato, e quando fu abbastanza vicino da farci capire che veniva verso di noi, fu allora che fummo in grado di vedere la sua sagoma per intero.

Era il Leviatano, e non mi servii una lezione di Brave per capirlo, perché aveva proprio l’aspetto di uno Skinflai gigantesco, dalla livrea bianca e spettrale, forse un albino, che la Dea stessa sembrava aver partorito tra atroci dolori e sofferenze.

Con lui vennero i venti, che spinsero contro la terraferma i velieri dei pirati, spaccando in due gli alberi e sfasciando le vele. C’erano sartie che si spezzavano, polene che si schiantavano contro gli scafi delle altre navi, facendo più danni di quanti potesse mai farne una raffica di cannonate, allagando il porto con onde anomale, che trascinavano verso gli edifici le imbarcazioni più piccole e distruggevano i pontili di legno come se fossero fatti di erba secca. Chi poteva si rifugiava in casa, gli altri si presero in faccia tutta la dirompenza dell’uragano che il mostro aveva generato al suo passaggio.

Ricordo l’immagine di un fulmine che si abbatté contro il faro del porto, e il boato dei tuoni che si univa a quello dei tetti che si scoperchiavano, ai muri più vecchi e deboli che crollavano e che si arrendevano alla furia della Dea.

Il passaggio del Leviatano sopra il cielo di Capo Unicorn durò pochi secondi, e quando ci oltrepassò, i venti si ammansirono lasciando solo un conglomerato di nubi che vomitavano litri di acqua e rombi di tuoni, che danzavano nell’aria come dame eleganti e chiassose…

Sì, forse adesso ho un po’ esagerato, ma quando assisti a qualcosa di così immenso, la testa fatica a collocare negli spazi giusti le informazioni che hai raccolto (sì, anche se sei un Cacciatore), e ti ritrovi a riempire quei vuoti inspiegabili con l’immaginario che hai dentro di te.

Nel tempo che seguì, la gente stava cercando di creare intorno alle proprie case degli argini con tutto quello che riuscivano a trovare, che potevano essere sacchi pieni di scorte alimentari, cumuli di terra, come pure capi stracci appallottolati e spinti con forza sotto le porte.

Com’era prevedibile, il suolo secco di Capo non era in grado di assorbire tutta l’acqua che scendeva dal cielo. In più, trottando in giro per le vie, poteva capitarvi di imbattervi nel corpo di qualche Skinflai di taglia normale, caduto vittima dei venti impetuosi dell’esemplare più grande. Vidi, per esempio, alcuni pony intenti a far scendere il cadavere di uno di loro dalla cima di ciò che restava del tetto.

Per quanto riguarda me, ero preoccupato di come avremmo trovato la nostra baracca una volta tornati a casa, ma questo era un problema che Brave non si poneva.

Andava in giro sotto la pioggia a chiedere se qualcuno avesse visto in che direzione si era diretto il Leviatano, e sentii qualcun altro fare il nome della Gola del Mostro Titano.

«Fermo lì, che hai intenzione di fare?!» Corse da lui Colton.

«Proprio te cercavo! Abbiamo bisogno di un Contratto di caccia, lo dobbiamo beccare prima che ci scampi di nuovo!»

«E cosa ti fa pensare che intenda lasciartelo fare?»

Questa domanda stupì anche me, e Brave si irrigidì a tal punto che sembrava stesse per fare lo Sguardo. Mi disse di tornare al Brocco Randagio, imbastendo una scusa per convincermi ad andare. Sapevo che stava per scatenarsi una tempesta perfino peggiore di quella appena passata.

Così obbedii, e prima di svanire dentro la locanda feci giusto in tempo a sentire mio Zio gridare a Colton, più forte dei tuoni stessi: «VUOI LASCIARTELO SFUGGIRE DOPO QUELLO CHE È APPENA SUCCESSO?!»

Poco dopo tornò dentro incazzato come un cane rabbioso, e quando mi accorsi che era da solo, ricordo di aver pregato che non ci fosse scappato il morto.

Dalle finestre della locanda vedevo che le strade si erano rapidamente svuotate, e che ora tutti aspettavano solo il finire della pioggia. Se anche fosse successo qualcosa, agli altri pony non importava. Se non altro, non vidi segni di colluttazioni quando venne a sedersi con me.

Lo osservai a lungo e in profondità. Avevo imparato a riconoscere in Brave Lion i tipici atteggiamenti che manifestava a seconda delle situazioni, e quella volta aveva la tipica aria di chi voleva uccidere qualcosa. Così me ne stetti buono lasciando che la sua rabbia sbollentasse.

Poco dopo vidi comparire qualcuno che, pensai, non avrei rivisto una seconda volta. Era l’unicorno dal “manto-uguale-a-mio-Zio”.

Si mise con noi, dimostrando una spavalderia che io (e probabilmente chiunque conoscesse Brave) non avrei mai osato.

«Vi dispiace se mi siedo qui?» Chiese quando ormai si era già messo comodo.

I miei occhi presero a volare tra il volto di mio Zio e quello dell’altro unicorno, pensando che, se prima si era schivato lo scontro diretto, ora nulla avrebbe impedito allo stallone con cui condividevo la mia vita di compiere qualcosa per la quale ce ne saremmo pentiti entrambi. Gli occhi di Brave erano invece, apparentemente, persi nel silenzio (non saprei come altro descriverli).

«Mi sono permesso di offrirti da bere, spero non ti dispiaccia.»

Aveva fatto levitare davanti al suo muso una pinta di bevanda all’aroma di mela fermentata, e una seconda che si era tenuto per sé.

«Sidro?» Rispose mio Zio, dopo avergli dato un’annusata sospettosa. «Non prendertela, ma io sono più tipo da whiskey.» Eppure la accettò lo stesso. In fondo, si trattava pur sempre di una bevuta gratis.

«A me invece non dispiace. Quando passi dei mesi circondato da gente che non fa che affogare i propri dispiaceri nel grog, dimentichi quali sono i veri piaceri della vita.»

Chiesi cosa caspita fosse il “grog”, e quando l’estraneo mi spiegò che era un diluito di rum con acqua rancida di stiva, giurai a me stesso che non l’avrei mai assaggiato per nessuna ragione al mondo.

Avevo chiesto e poi ottenuto, invece, il permesso di farmi un sorso di sidro. E questa fu la prima bevuta di qualcosa di alcolico che mi concessi, e mi piacque parecchio.

«Pensavo che te ne fossi andato.» Chiese Brave all’estraneo, in un modo che non riuscii bene a capire quanto fosse effettivamente scazzato.

«Ci sono state delle difficoltà, come avrete notato.» Poi si era accorto di non essersi ancora presentato, e quindi ci disse il suo nome…

Uhm… credo che fosse Fire… o Flame… qualcosa del genere. Aveva a che fare col fuoco. Credevo di ricordarmelo, ma adesso come adesso è una di quelle cose che proprio mi sfugge.

Erano molte le cose che mi sfuggirono di lui. Il nome per cominciare, poi l’età che poteva avere, cosa rappresentasse il suo Simbolo di Virtù. Probabilmente ero troppo stupefatto dalla somiglianza tra i due per fare caso a questi dettagli, ma credo di poter affermare con un certo margine di sicurezza che avesse almeno qualche anno in più di Brave.

Tornando al discorso, io fui l’ultimo a presentarmi, o meglio, lo fece mio Zio per me.

«… lui invece è mio nipote.» Disse «Liberty Spirit.»

«Sì, ma tutti mi chiamano Spirit.» Mi sbrigai a precisare, per abitudine di vecchia data, sapete.

L’unicorno, sì insomma… Lui, si disse onorato di fare la nostra conoscenza.

Dopo le presentazioni ci rivelò che era consapevole che fossimo Cacciatori, e poi aggiunse: «Non ho potuto fare a meno di ascoltare la… “discussione” che avete avuto un attimo fa all’aperto.»

L’invidia che provai dopo che lo disse, merda, non so cosa avrei dato per tornare indietro nel tempo e suggerire al piccolo me stesso di affacciarsi alla finestra e origliare.

Dal suo atteggiamento, sembrava parecchio incuriosito di avere a che fare con noi. Aveva un sorriso che denotava una certa padronanza di sé, non di certo quello che vi sareste aspettati di trovare da un sempliciotto qualunque.

«Per caso ci stavi spiando? O devo pensare che anche tu sia interessato a dare la caccia al Leviatano?» Chiese mio Zio, giustamente sospettoso.

«Niente di tutto ciò, tranquilli, il mio carro marcia su altri sentieri.» (questa me la ricordo bene).

«Come quella che conduce alla Camera del Tesoro, ammesso che tu sappia dove andare?»

Ed ecco che per la seconda volta sentii parlare di questo fantomatico “tesoro”.

«È corretto.» Annuì, e poi: «Ma le parole del vostro sindaco mi hanno fatto riflettere su ciò che vorreste fare. Pensate davvero di avere qualche possibilità di abbattere quel titano?»

Parlava al plurale, ma l’interlocutore era senza dubbio Brave.

«È diverso da allora… » disse mio Zio, a denti stretti «non avevo lo stesso talento di oggi, e in più mi mancavano le attrezzature che ho ora.»

Per lo meno, stavo raccogliendo informazioni su ciò che mi ero perso di fuori.

Mio Zio affermò che il punto era un altro: secondo Colton, noi saremmo dovuti restare al sicuro, evitare di farci ammazzare, perché altrimenti non ci sarebbe stato più nessuno a difendere Capo Unicorn da successive minacce, ma poi, aggiunse: «Sono tutte balle! Lo capiresti se fossi di queste parti, tutti qui sanno che è più facile credere alle parole del Dracunequus (non ho idea di chi sia), che non a Colton Nyx!»


A conferma di ciò, vi ricordo che non si sarebbe fatto problemi a mandarci in una tana di Tygrus, se questo non avesse compromesso i suoi affari.


«E non hai il sospetto che forse la ragione sia un’altra?» Proseguì con questa frase il nostro Lui.

«Sarebbe a dire?»

Ci spiegò, l’unicorno che se fosse stato il preposto delle leggi in una città come Capo, avrebbe pensato che la pioggia avrebbe portato un toccasana per le nostre campagne, e quindi: «Starei ben cauto su quale approccio adottare verso quelle creature che voi chiamate Skinflai.»

Mio Zio si esibì in un ghigno frustrato, scuotendo anche la testa. «Le esatte parole di Colton, ma si sbaglia. Vi sbagliate entrambi.»

«Ne sei proprio convinto, Brave Lion?»

«Completamente! Gli Skinflai portano la pioggia» disse «il Leviatano porta solo la distruzione! Non esiste un singolo aneddoto nei racconti dei marinai che narra di una sua comparsa benevola! È un animale che devasta le coste con i suoi uragani, e abbatte senza pudore ogni singolo vascello che abbia la sfortuna di imbattersi in lui…»

Ricordo bene l’intonazione che usò: «… quella volta… Dea, eravamo così vicini all’abbatterlo, ed io guardavo i miei compagni venir ammazzati uno ad uno da quell’essere… »

Ecco, avevo già visto Brave abbattuto in altre occasioni, ma mai così, MAI. Non so se fosse per il disonore, o se si struggesse per i rimorsi verso chi non ce l’aveva fatta.

«Tu che cosa ne pensi, Liberty?» L’estraneo si era rivolto a me, proprio quando mi ero abituato, come al solito, ad essere messo in disparte.

Me ne restai inebetito, guardandolo fisso negli occhi.

«Voglio dire: ti piace essere un Cacciatore, seguire le orme di tuo Zio?»

Brave si mise subito in mezzo, proprio come era solito fare. «È chiaro che gli piace! Se non fosse per lui, sarebbe un vero casino stare dietro a tutti gli incarichi che ci affidano!»

L’ennesima bugia. Non avevamo poi così tanti incarichi, non da quando eravamo rimasti da soli.

L’unicorno lo guardò con degli occhi che se avessero parlato avrebbero detto “lascia che sia lui a rispondermi”. Quegli stessi occhi che tornarono subito da me.

«Faccio del mio meglio… » borbottai io senza un’oncia di convinzione.

E Brave si affrettò ad aggiungere: «Ed è anche svelto a imparare!»

Per l’amor della Dea, Brave. Cosa ti passava per la testa in quei momenti?

«Non hai risposto alla mia domanda.» Incalzò Lui, l’estraneo.

“Non l’avevo fatto?” Mi domandai io.

«Ti ho chiesto se ti piace ciò che tuo Zio ti fa fare.»

Successe qualcosa, che ebbe la rapidità di una saetta, e la stessa potenza distruttiva. Un brusco cambiamento dei toni, che destabilizzò la situazione.

«Ora basta, lascialo in pace! Si può sapere chi ti credi di essere e cosa vuoi da noi?!» Mio Zio batté sul tavolo e gridò queste parole.

«Sto solo cercando d’intavolare un discorso con tuo nipote.» Si giustificò l’altro, in modo davvero molto sereno.

«Beh, non abbiamo più niente da dirci, puoi anche andartene ora! Vai a cercare il tuo tesoro, sparisci!»

Restarono per qualche secondo in silenzio. Adesso potevo vedere il famoso “muro” ergersi tra di loro.

L’estraneo si alzò, scusandosi con noi: «Va bene, non avevo intenzione di essere indiscreto, ma se le cose stanno così, tolgo il disturbo.»

Mio Zio continuò a serbare il silenzio imperterrito, non l’aveva ringraziato neppure per il sidro che gli aveva offerto. Fui tentato di farlo io per entrambi, ma avevo paura delle ripercussioni; sebbene Brave non avesse mai alzato gli zoccoli contro di me, temevo che quella volta avrebbe potuto farlo.

«Prima di andare, vorrei raccontarvi un aneddoto. Posso?» Chiese, poco prima di andarsene.

«Fai come ti pare.» Disse mio Zio, anche se poco rispettosamente. Gli fui grato per questo, volevo ascoltarlo. Così l’unicorno iniziò a recitare, in un modo che mi ricordò la performance di un poeta errante, questa storia:

Parlava di un pony, che un giorno conobbe un altro pony, che andava in pellegrinaggio, portando con sé un vecchio cagnone tenuto al guinzaglio.

-Salve, è tuo questo cane?- Domandò il pony.

E il pellegrino rispose: -Lo è! Lui veglia sul mio capezzale, e allieta le mie giornate quando la Dea è impietosa con me!-

-E perché quella corda, se quindi dici che è tuo?-

-È così che fan tutti, quando hanno qualcosa che temono di perdere! Lo legano a sé, con grosse catene!-

-Tu quindi dici di aver paura, ma cosa ti spaventa, tanto da spingerti a imprigionare questa creatura?-

-In verità, signore, ho paura scappi, se mai decidessi di lasciare questa corda!-

La curiosità solleticò il pony, che si spinse oltre, domandando al pellegrino: -E tu pensi che lui te ne voglia, di bene altrettanto?-

E il pellegrino, certo della risposta: -Di sicuro me ne vuole, signore. La Dea lo può giurare qui, davanti alla parete del mio cuore!-

-Di questo nei sei sicuro?-

-Di questo ne son sicuro, sì!-

- Allora – esclamò il pony –Non averne timore, slega il tuo cane, e se lui sarà qui quando ciò sarà fatto, di bene è sicuro, te ne vorrà tanto.-

Così il pellegrino si fece convincere a liberare la sua bestia, e non appena lo fece, il cane scappò, lasciandolo da solo.

Il pellegrino si accasciò a terra. Scuotendo la testa, e si rifiutò di credere a ciò che era successo.

-Io non capisco- fece il pellegrino, mentre osservava la sagoma del vecchio compagno che scompariva all’orizzonte, -è stato sempre fedele a me. Perché ora fa così?

-Perché- gli rivelò il pony -ora poteva scegliere.-

Finito il racconto, mio Zio si alzò dal tavolo bruscamente, tanto più che ne fui spaventato anch’io, e mi disse che dovevamo andare. Anzi, praticamente me lo ordinò.

Inasprì le parole in un tono che sapeva di minaccia, e le rivolse all’estraneo, che ci guardava senza emozioni. «Fai buon viaggio.» Gli disse.

Allora uscimmo dal Brocco, senza pagare le consumazioni, e senza dire niente a nessuno. E nessuno tentò di fermarci.

Come immaginavo la baracca era tutta a soqquadro. Le conseguenze del volo del Leviatano avevano fatto sì che tutto l’impegno che avevo speso negli anni per preservare il mio orto, andasse sprecato in un battito d’ali. Solo una piantina era rimasta miracolosamente intatta. Quella che poi sarebbe cresciuta fino a diventare il mio albero di fichi.

Era un vero miracolo che le pareti di casa nostra avessero retto, considerato quanto era stata brutale la tempesta, ma ciò nonostante gli interni non se l’erano passata meglio che di fuori.

Dovetti buttare via diverse cose, e quando provai a mettere un po’ in ordine, mi accorsi che solo il diario di mio Zio (lo teneva in un cassetto) era uscito incolume dal disastro.

Sarebbe stato difficile riportare tutto com’era un tempo, e mentre pulivo mi domandavo se ne sarebbe davvero valsa la pena. Voglio dire, avevamo i soldi e una scusa, cos’altro serviva a mio Zio per convincersi a cambiare aria, provare magari a prendersi un’abitazione in paese?

Ma no, con la scusa di tenere Capo al sicuro da predatori vendicativi, continuava a imporci di vivere lassù, lontani dalla civiltà, isolati e soli.

Lui non c’era mentre pulivo. Arrivò qualche ora dopo, e sembrava pronto a spaccare Uruma con i suoi zoccoli.

Mi disse che avevamo un incarico, senza girarci troppo intorno; aveva convinto Colton Nyx a sottoscrivergli un Contratto per abbattere il Leviatano. Questo aveva detto, e mi disse che dovevamo prepararci a partire.

Io non gli chiesi niente. Né come l’aveva convinto, né se in qualche modo c’entrasse il discorso che avevamo avuto con l’estraneo alla locanda.

Eri orgoglioso, Brave? Volevi dimostrare a tutti che nessun animale poteva farti i ferri di cavallo?

Quando partimmo, dovetti lasciare le pulizie della baracca a metà. Il lavoro che mi restava da finire fu soppiantato dai preparativi per la partenza.

Brave mi spiegò che avremmo dovuto viaggiare per tutto il resto della sera, se volevamo arrivare alla Gola del Mostro Titano per tempo.

«In tempo per cosa?»

«Per l’alba.»

Avremmo marciato senza fermarci per tutto il percorso, forse accampandoci per un paio di ore nel cuore della notte per recuperare le forze. Ma dovevamo essere al canyon prima che la Dea levasse il sole nel cielo.

Gli Skinfai dormono all’alba, accumulano parte della condensa mattutina per rifocillare le loro scorte idriche interne. Era quella l’ora ideale per cogliere di sorpresa il Leviatano.

Così partimmo. Io avevo indosso la mia bardatura da combattimento, Brave la sua Green Blade, e ad accompagnarci, una sensazione strana che mi pizzicava al cervello e che avrei scoperto solo la mattina seguente.

Come stabilito dal programma, ci accampammo per riposarci nel bel mezzo della prateria, una scena familiare in effetti, e provai a parlare con lui per rompere la parete di mattoni che ci separava.

Gli chiesi della Camera del Tesoro. Volevo saperne di più, ma temevo che la domanda gli ricordasse cos’era successo il giorno prima. Corsi comunque il rischio.

Ma Brave fu molto più avido di parole del solito. Le risposte che mi diede furono vaghe, mi invitavano indirettamente a lasciar perdere.

Mi disse solo che era una leggenda comune tra i pirati del mare dell’est, che si scambiavano falsità su una sorta di camera ricca di gioielli preziosi, nascosta in una località segreta di Uruma. Qualcosa che, ovviamente, non esisteva.

Come dubitare di lui, che conosceva Uruma come le fodere della sua cintura?

Il programma fu pienamente rispettato. Arrivammo alla Gola alle prime luci dell’alba.

Di essa e di come si presentasse, io ne avevo solo sentito parlare, ma vederla da lontano, o anche solo immaginarla, non poteva paragonarsi al fatto di trovarvisi al cospetto dal vivo.

Mentre scendevamo un sentiero, cautamente, per non destare il caos tra le creature, mi persi nell’osservare i fori scavati nelle pareti di roccia, dove gli Skinflai riposavano, così come fanno certe specie di uccelli marini.

C’era uno strato di nebbia che ricopriva le cime del canyon, e una leggera umidità che ci impregnava i manti come in una fredda sauna. Era come se le creature condividessero tra loro l’acqua di cui i loro corpi necessitavano.

Come vi dicevo, la maggior parte di loro dormivano all’interno delle loro nicchie, ma qualcuna era sveglia, e le potevate vedere mentre volavano pigramente per qualche meta sconosciuta.

Mi ero sporto dal ciglio del sentiero per guardare la Lacrima del Drago che scorreva sotto di noi, quando mio Zio mi afferrò per il collo spingendomi verso la parete, neanche il tempo di gemere, che uno Skinflai passò molto vicino alla nostra posizione; ci avrebbe sicuramente scoperto, se non ci fossimo nascosti per tempo.

Mio Zio mi rimproverò aspramente, ricordandomi quanto era di vitale importanza che non si accorgessero di noi, quindi ricominciammo ad avanzare.

Notai subito una cosa, e anche Brave deve averlo pensato, perché ci rendemmo conto che c’erano molte più creature di quante pensavamo di trovarne.

Nessun dubbio che alcuni degli esemplari erano giunti con il Leviatano, ma quelli che contammo in quei nidi erano ben oltre le decine che pensavamo di trovare. Da dov’erano usciti? Sembravano una flotta venuta al solo scopo di ripristinare gli equilibri idroclimatici di Uruma, e noi eravamo venuti a dare la caccia al più grande dei loro esponenti.

Trovammo il Leviatano che dormiva aggrappato alle due pareti del canyon, tenendosi sospeso con le grandi ali.

Il corpo era sospeso nell’aria, che ora eravamo in grado di osservare in tutti i suoi dettagli, perché nessuna coltre lo stava ricoprendo.

La sua coda penzolava come una lunga liana bianco latte e s’immergeva nei flutti della Lacrima come una proboscide. Allora non sapevo perché lo facesse, ma un giorno scoprii che quello era uno dei metodi che usano gli Skinflai per raccogliere grandi volumi di acqua in poco tempo. Chiaramente, un essere così grande aveva bisogno di una riserva idrica praticamente immensa.

Ci arrampicammo su una sporgenza che dava all’entrata di uno dei nidi. Mio Zio andò per primo, salendo con le calzature verticali, per poi sollevare me con la magia. Il che era un bene, perché mi sarei aspettato di dovermi arrampicare da solo.

Controllò all’interno per assicurarsi che la grotta era disabitata, e non vi trovò nessuno. Terminava in un vicolo cieco ed era profonda sì e no quanto il piano terra del Brocco Randagio.

C’erano tracce di guano di Skinflai un po’ dappertutto, ma niente di vivo a parte noi due. Tenetele bene a mente queste parole.

«Vado in avanscoperta.» Disse Brave, e aveva sguainato la Green Blade completando il suo solito rituale di riscaldamento (sapete, quello di farla piroettare intorno a sé per un po’).

«Ed io?» Chiesi in fretta e nervoso.

«Non fare rumori, di nessun tipo.» Poi senza aggiungere altro, aderì alla parete con le calzature e corse via, verso il gigante addormentato, saltando da un muro all’altro, balzando come un agile Tygrus, impenitente nel suo scopo personale.

Ed io?

Era tornata la sensazione di essere un peso morto; un inutile esserino. Perché tutto questo, se poi voleva fare tutto da solo? Ma poi, perché spendere tanto tempo ad addestrarmi, se poi le imprese più ardue le doveva compiere lui?

Certo lo avevo aiutato in altre occasioni. Per esempio, avevo ucciso un Rogueshar da solo...

Quell’uccisione. Ci stetti male per giorni, anche se non ero sicuro di capirne la ragione. In fondo quel mostro mi avrebbe divorato se non avessi fatto qualcosa! Ed era… sì, era anche abbastanza brutto da meritarsi solo per questo la pena di morte! Ma la cosa non mi aiutò a far pace con la mia coscienza.

Essere Cacciatore da tutto questo tempo e non aver ancora il mio Simbolo di Virtù… sono cose che fanno riflettere, così come feci quando mi trovai in disparte, mentre guardavo mio Zio che metteva in pratica il suo talento nella caccia.

Non sapevo come lo avrebbe ucciso, né se più tardi era prevista una parte attiva per me, ma malinconia e frustrazione cedettero presto il passo alla mia più infantile curiosità, al voler sapere cosa avrebbe fatto per rispondere alle mie domande.

Di certo, lui aveva le risposte, perché si muoveva con l’atteggiamento sicuro di chi aveva pianificato tutto fin dall’inizio. Avreste giurato, vedendolo, che se foste potuti entrare nella sua testa, vi avreste trovato una pergamena con su scritto tutte le istruzioni, passo per passo, di ciò che si doveva fare per conseguire l’obbiettivo, e chissà, non si poteva escludere che suddetta lista fosse proprio contenuta nei vincoli contrattuali previsti dal nostro Contratto.

Ma poi, in effetti, mi ricordai di non aver visto nessun Contratto, il che era sospetto. Insomma, da quando divenni Cacciatore effettivo, avevo firmato personalmente diversi Contratti, e quando dovevo collaborare con Brave Lion, sapevo di dover porre la mia impronta anche nei suoi, come compagno di missione, anche se era sempre lui il Condottiero. E dovevo prendere visione dei vincoli per evitare di commettere errori durante la caccia.

Non mi accorsi della presenza che mi stava vicino fino all’ultimo momento, fino a che, per non so quale motivo – un sospetto magari – mi ero allontanato dai mille pensieri che mi danzavano in testa, e avevo guardato alla mia destra.

C’era uno Skinflai che mi studiava con circospezione, e che prese a indietreggiare non appena mi voltai.

E di nuovo mi domandai: da dove diavolo era emerso?!

Ero certo che non fosse planato in volo da fuori, ma la caverna era vuota, e questo ve lo posso giurare a cuore aperto. Ma allora come aveva fatto a comparire lì, alla velocità di un flash di magia, praticamente dal nulla?

Non c’era tempo per le domande, la situazione stava per complicarsi di nuovo.

Estrassi le mie spade e tentai di azzittirlo, non c’era altro che potessi fare, ma l’animale era stato più veloce di me. Si tuffò nel vuoto, spalancando le ali. In quel momento avrei potuto seguirlo, se solo le mie me lo avessero permesso, invece fui costretto a restare lì, in quell’insenatura sulle pareti di Uruma, mentre l’animale volava via per avvisare i suoi compagni della minaccia che incombeva sul clan.

E quindi, non poteva essere altrimenti, il caos prese la forma di membrane sottili, che si levavano nel cielo e lo riempivano di nubi tempestose.

Ben presto il chiasso delle creature finì per svegliare anche il gigantesco mostro albino.

Il Leviatano emise un verso che sembrò un lamento della Terra. Poi vennero i fulmini e la tempesta, quella che si scatenò quando esso si librò sopra la Gola.

Gli Skinflai più piccoli dovettero presto fare ritorno alle loro tane, perché i venti li avrebbero uccisi, e io non sapevo che fine avesse fatto mio Zio.

Sì, insomma, vorrei potervi descrivere cosa fece quando si era reso conto che (per colpa mia) il suo piano era fallito. Forse imprecò. Per lo meno, so che lo faceva quando era lontano da me, ma poi cos’altro?

Uscii, cercando di salire la parete con la sola forza delle mie zampe, non fu facile. Gli appigli erano pochi, e la tempesta cercava di farmela pagare cara per averla svegliata. Ma dovevo esserci, dovevo rimediare al mio ennesimo casino, non potevo lasciare che Brave Lion, da solo, si confrontasse con il Leviatano. Era troppo anche per lui.

Non arrivai alla cima, devo confessarvelo. Dopo essere quasi caduto nel vuoto, il mio cuore pompava a mille, e mi era presa un’impressionante paura di cadere in basso. Così, trovai un rifugio in un punto della parete a strapiombo, dove potevo schiacciarmi per resistere.

Staccai le lame insieme a tutte le protesi dalla bardatura e mi disfai di ogni pezzo di metallo che avevo indosso, gettandoli nel vuoto, pregando di non diventare bersaglio di qualche saette pirata.

Sopra la coltre di nuvole basse, al di sopra di me, sentivo il lento e costante sbattere delle ali del Leviatano, che rinvigoriva i venti e mi avvicinava sempre di più a una morte tragica e pietosa. A quel punto se anche avessi potuto volare, probabilmente sarei colato a picco, e le mie ali sarebbero state fatte a pezzi dalla burrasca, o peggio, avrei perso stabilità e mi sarei spezzato il collo contro qualche colonna di roccia.

Per un istante, mi sembrò di vedere qualcosa di ben poco definito oltre la cortina plumbea, attraverso la pioggia: mio Zio.

Fu come un granello di polvere che ti attraversa gli occhi, una stella cadente che taglia la notte. Brave stava proprio sotto la pancia del Leviatano, a testa in giù, retto saldamente grazie alle calzature per il galoppo verticale.

Poi sparì di nuovo.

Poi sentii un urlo provenire dal mostro, e dopo, quello che sembrava uno scossone del gigante, il corpo di mio Zio che sopra i miei occhi increduli precipitava nel cielo.

Ma quel bastardo era pieno di risorse. Anzi, più si trovava nei guai, più era capace di trovare soluzioni per uscirne: con non so quale forza, strappò per aria, mentre cadeva, un enorme blocco di roccia dal canyon (e per giunta da un’altezza ragguardevole) e lo sollevò fino al suo livello atterrandovi sopra. Quindi, come se nulla fosse (io poi non so quanta forza richieda a un unicorno per sostenere un carico simile, ma non deve essere una passeggiata, suppongo) tornò tra le nuvole usandolo come mezzo di trasporto, e riprese a combattere la sua nemesi bianca.

E tutto questo mentre io lottavo contro la gravità per non cadere di sotto. Ed ero il pegaso!

Passò un tempo che aveva le stesse probabilità di essere un’ora, quanto pochi minuti.

Ogni cosa, dal punto in cui mi trovavo, appariva distorta e inesatta. Talvolta mi sembrava che il precipizio desse su un baratro infinito, dove non c’era una fine e dove se fossi caduto, avrei fluttuato nel nulla, a metà tra l’eternità e il mio presente.

In un altro momento, invece, mi sembrò addirittura plausibile tentare di tuffarmi all’interno della Lacrima per sfuggire dalla trappola in cui mi ero cacciato.

Nel frattempo continuava a piovere, così tanto – ed io ero così fradicio – che fu come se ad un certo punto non esistesse più acqua e nemmeno le nubi.

I miei sensi erano assuefatti da ogni genere di stimolo, che si marchiava su di me come una ferita di caccia. Forse è anche per questo che ricordo così bene quei minuti (od ore).

D’un tratto si spense tutto, fu come se la parte di me che stava perdendo il senno, avesse deciso di abbandonare il mio corpo per andare a nascondersi altrove. Mi accorsi di non aver paura di niente, di poter affrontare Uruma con la forza dei miei soli zoccoli, e anche se una premonizione mi avesse anticipato che sarei morto nel tentativo di sfidarla, questo non mi avrebbe dissuaso dal provarci!

Ricominciai a salire la parete, e la sensazione che provai era come se qualsiasi metro che compivo non mi allontanasse minimamente dal mio punto di partenza. Anche dopo, quando avevo scalato la maggior parte del canyon, mi sembrò che, se fossi caduto, sarei semplicemente atterrato incolume sulla nicchia in cui mi trovavo prima.

Così facendo ero arrivato alla cima senza quasi accorgermene, e solo ora compresi la reale entità della mia impresa.

Il fatto di essere circondato dalla nebbia, e per questo non vedere niente, mi “aprii” gli occhi sulla situazione.

Poi un ruggito gigantesco del Leviatano riattivò anche il mio udito, spingendomi a provare a capire dove fossero i due combattenti. Fu facile trovarli, seguendo gli spostamenti dell’aria (opponendosi ad essi) e il boato sordo del volo.

Vedevo poi la sagoma colossale che oscurava la luce, proiettando sopra di me un’ombra spettrale. Stava perdendo quota.

A quella che era semplice pioggia, acqua condensata che cadeva al suolo, si unì un nuovo tipo di precipitazione: era rossa e pitturava le nubi di una tinta cremisi. Delle volte la vedevo scendere a piccoli sprazzi, altre volte in vere e proprie cascate.

Il Leviatano tentava di innalzarsi sbattendo le ali più forte, schiacciandomi a terra, riempiendo l’aria di così tanta umidità che temevo sarei annegato sotto la stessa pioggia.

I fulmini, poi, erano come se tuonassero in conseguenza dei suoi lamenti, e quando mi sforzai di mettere a fuoco qualcosa nella confusione dell’uragano, riuscii a vedere mio Zio che gli correva sul fianco del colossale corpo.

La Green Blade affondava nelle carni dello Skinflai, aprendo piccoli squarci nell’animale.

Si spostò sul suo dorso, e lo stesso animale virò verso l’alto in un disperato appello alla vita. In quel momento persi di vista mio Zio.

Se prima mi sentivo inutile, ora lo ero di certo. Brave Lion se la cavava benissimo da solo.

Mi raggomitolai a terra, perché sapevo che in uno spazio aperto, questo è il modo migliore per evitare di attrarre a sé i lampi, e visto che non potevo fare altro, né avevo ricevuto tante istruzioni, né avevo mai letto un Contratto a riguardo, aspettai. Aspettai abbastanza da cominciare a diventare insofferente della situazione. E quando il Leviatano cominciò nuovamente a scendere di quota, stavolta senza far nulla per scalare il cielo, capì che per lui era giunta la fine.

Si era schiantato, vi dirò, un chilometro più in là, sul ciglio della Gola, con un’ala che pendeva nel vuoto come un vessillo stracciato dalla sua asta.

Raggiunsi il punto dell’impatto galoppando come un forsennato, e quando arrivai, mio Zio era nella beatitudine più totale. Davvero. Sembrava aver trascorso una nottata in compagnia della stessa Dea.

Sedeva sulla testa del Leviatano, con un piccolo scudo magico sopra la criniera che lo proteggeva dalla pioggia, e rideva. Guardarlo faceva una certa impressione.

Il Leviatano, invece, non si muoveva, non respirava, e non faceva nulla che lasciasse presagire che fosse ancora vivo.

Tutto il suo corpo, coda, ali, dorso e ventre, collo e testa, erano lacerati da tanti piccoli tagli dai quali scendevano rivoli di sangue confusi alla pioggia. Ma il colpo mortale era stato inferto attraverso un occhio, perforato dalla Green Blade.

«Dov’è la tua attrezzatura?» Mi chiese Brave Lion, a bassa voce, appena percepibile attraverso lo scrosciare della pioggia, ed io, ingoiando la bile, gli spiegai le ragioni che mi avevano spinto ad abbandonarla.

«Scelta intelligente.» Si limitò a dire lui, annuendo con un cenno. «Quando torneremo, dirò a Cuttersmith di preparartene una nuova.» E questo fu tutto. Nessuna considerazione sul fatto che mi aveva lasciato alla mercé del nubifragio. Non che mi aspettassi dei complimenti per le mie azioni, anzi mi sarei sentito offeso se pure quella volta mi avesse lodato per qualcosa che non avevo fatto. Ma sapete, allo stesso modo mi dispiacque per come si era mostrato indifferente nei miei riguardi, senza rimorso e senza pentimento alcuno. Un atteggiamento che, solo ora che sono stato così vicino a morirci sul serio, mi rendevo conto di quanto fosse ingiusto.

«Torniamo a casa, il nostro lavoro qui è finito.»

Brave Lion era sceso con la leggerezza di una piuma, pronunciando questa frase così fredda e distaccata. Sorrideva ancora a occhi chiusi.

Né la pioggia né il mio smarrimento riuscivano a distrarlo dalla sua serenità. Posso solo immaginare la soddisfazione che provò nello sapere di aver sconfitto la sua nemesi, quando molti anni prima la stessa preda lo aveva lasciato con un pugno di mosche e il peso della sconfitta.

Eppure c’era qualcosa che mi premeva chiarire. Non la sua azione in solitaria, non la sua indifferenza, no.

«Non usi le Rose della Vittoria?» Gli domandai.

Era il Contratto il problema. Volevo sapere se quel cazzo di Contratto esisteva, e se in caso, quali erano i suoi vincoli.

«Non c’è nessuna Rosa stavolta.» Mi rispose lui. E poteva significare solo una cosa. Se fossi stato più piccolo, più stupido, o magari più inesperto, avrei passato giorni ad interrogarmi sul significato, senza venirne a capo. Ma quella volta mi era stato chiaro fin da subito.

Dal mio racconto, sapete che Brave Lion era abile a nascondere la verità quando gli faceva comodo, e quella risposta, beh, era stato il suo modo di confessare ciò io già sospettavo: Colton Nyx non lo aveva mai incaricato di niente. Nessuno lo aveva fatto, a parte Brave Lion stesso. Con il suo orgoglio da Cacciatore, la sua sete di sangue, e tutti quei tratti che presto, molto presto, lo avrebbero condotto alla morte.

Ed io gli stavo dietro, avevo seguito e continuavo a seguire la strada che lui aveva tracciato, senza capire quanto tutto questo mi rendeva cieco alla vita…

Io… non lo so perché quella volta non reagii. Vi giuro che lo desideravo. Mi ero addirittura costruito delle fantasie nella testa, in cui lo affrontavo a testa alta e lo sconfiggevo in duello, ma nessuno dei due poteva prevedere le conseguenze di una simile azione se mai lo avessi fatto.

Con i zoccoli che affondavano nel fango, un silenzio che mi ero imposto per sottomissione, e le lacrime che mi scendevano dagli occhi e che si scioglievano nella pioggia, lo seguii fino al ritorno a Capo Unicorn.

Non gli parlai per due giorni.


   
 
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