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Autore: Feni_rel    25/06/2017    2 recensioni
[Gundam Iron-Blooded Orphans]
La vista del Flauros impegnato in una battaglia contro lo shiden bianco pilotato da Eugene fu come una zannata dritta sul cuore. Il suo cuore, che era già stato lacerato dalla morte di Shino e che ora Arianrhod si stava divertendo a ridurre a brandelli.
“Se proprio dovevate usarlo…” nemmeno lui si riconosceva in quel tono basso e grave “almeno dovevate cambiargli il colore!”
What if della serie Gundam Iron blooded Orphans
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mancava poco meno di mezz'ora all'alba.
Si erano raccolti nello spiazzo davanti alla base di Tekkadan, per ascoltare ciò che aveva da dire loro Mikazuki, il quale restava in piedi nel cockpit aperto, aspettando che il brusio cessasse.
A quell'ora si alzava sempre un po' di vento: l'aria fredda si insinuava sotto le giacche verdi con il simbolo del giglio bianco, ma nessuno di loro ci faceva caso, mentre nel gruppo serpeggiavano voci di sconforto, di rabbia e di vendetta.
Le ultime ore erano state un susseguirsi di eventi frenetici. Disperazione e speranza si erano alternate nell'apprendere dell'ultimatum di Gjallarhorn, dell'esistenza del tunnel, della possibilità di raggiungere Chryse e di contattare la Terra per provare a ricominciare con un altro nome.
Poi Orga, assieme a Kudelia, Dante, Ride e Atra, era riuscito a rompere le linee nemiche, e per un attimo era sembrato che avrebbero potuto salvarsi. Ma la chiamata di Ride era stato un colpo che li aveva lasciati tramortiti, senza nemmeno la forza di piangere colui che li aveva guidati fino a quel momento.
Yamagi si passò la mano guantata sul viso. Quella notte non aveva chiuso occhio, come tutti gli altri, e ormai si sentiva quasi un sonnambulo, che osserva le cose senza davvero vederle.
Dopo lo sfogo con Kassapa, un paio di giorni prima, l'apatia aveva soppiantato tutti gli altri sentimenti nel suo cuore. La possibilità di fuggire e ricominciare, che aveva infiammato Orga e gli altri, lo aveva a mala pena sfiorato.
E anche se la morte di Itsuka era stata l'ennesima ferita che lo aveva colpito, non riusciva a provare altro che lo stesso cupo sconforto che lo aveva pervaso negli ultimi giorni.
Mikazuki ruppe il silenzio, e tutti si fermarono ad ascoltarlo.
Yamagi osservò i volti dei suoi compagni passare dalla rabbia alla commozione, per poi abbandonare ogni proposito di vendetta. Mika aveva detto appena poche frasi, ma era riuscito a convincerli che ciò che avrebbero fatto non sarebbe stato combattere e morire per vendicare Orga, ma lottare per cercare di salvarsi o di salvare almeno i propri compagni, continuando a seguire la volontà di colui che era stato il loro capo.
Yamagi sentì brillare dentro di sé una piccola scintilla.
Forse era questo ciò che avrebbe potuto fare per Tekkadan. Poteva combattere accanto a loro, proteggendo i suoi compagni proprio come avrebbe voluto Shino.
Lui era in grado di farlo come gli altri. Anzi, più degli altri, perché per la prima volta in vita sua, non aveva paura di morire.
E se aiutare quella che Shino aveva considerato la propria famiglia lo avesse portato alla morte, Yamagi sperò che avrebbe potuto raggiungerlo sapendo che sarebbe stato orgoglioso di lui.

 

Allora vivete fino alla morte seguendo i suoi ordini”.
Erano state queste le ultime parole di Mikazuki. E lui si era trovato d’accordo: non si sarebbero dovuti fermare, mai. Eppure, anche se condivideva quel pensiero, Eugene Sevenstark sentiva di non comprendere bene i propri sentimenti. Se qualcuno, nel futuro, gli avesse chiesto come si era sentito quelle poche ore prima dell’ultima battaglia, non avrebbe saputo rispondere. Scosse la testa, pensando che fosse inutile rimuginare su simili scenari, visto che non sapeva se il giorno dopo sarebbe riuscito a vedere quello stesso cielo ormai rischiarato.
Mikazuki era stato capace di placare gli animi di coloro che cercavano solamente vendetta, dando coraggio allo stesso tempo a chi, come lui, si stava facendo prendere dalla confusione e dallo sconforto.
Essere responsabile di tutte le vite di Tekkadan: l’aveva desiderato tanto quel ruolo. Ne aveva parlato tempo prima anche con Shino, che l’aveva preso in giro, dicendogli che non avrebbe mai pensato volesse diventare come Orga. Ma dopo averlo sbeffeggiato, l’aveva incoraggiato.
Tuttavia, alla fine, come vicecapo non aveva combinato nulla di buono. In fin dei conti, quello del comando, era un ruolo adatto soltanto a uno come Orga.
“Sono davvero un perdente, eh?” Sospirò, alzando gli occhi al cielo, come a voler cercare una risposta nelle stelle sempre più fioche che scorgeva sopra la sua testa. Non volle scacciare la tristezza che lo accarezzò nel pensare all’amico perso nell’infinità dello spazio.
Aveva provato sì rabbia nei confronti di Orga e delle sue ultime scelte, ma non avrebbe mai potuto gettargli addosso dell’astio, visto che lo capiva. Perciò, quando Yamagi Gilmerton lo aveva accusato di essere un codardo se si fosse tirato indietro, dopo che molti dei loro compagni erano morti seguendo i suoi ordini, si era sentito sollevato. Anche se aveva capito subito che, nonostante avesse parlato al plurale, Yamagi si stesse comunque riferendo a Shino.
Eppure la colpa era sua, non di Orga. Avrebbe dovuto prendersela con lui.
Lasciare morire il proprio migliore amico… ancora non sapeva dove aveva trovato una tale freddezza. Forse era stato l’istinto di sopravvivenza insieme al desiderio di proteggere le vite di tutti.
“Non ti incolperemo se moriamo”, gli aveva detto la stessa volta Shino, ridendo, e ora il ricordo di quelle parole gli sembrava assumere una punta di cattivo gusto.
Che il loro piccolo meccanico avesse una cotta per il suo amico l’aveva sempre saputo e quando Shino gli aveva chiesto cosa ne pensasse si era stupito parecchio. Aveva sempre pensato che anche lui sapesse, ma che evitasse la cosa fingendosi ignaro. Che stupido che era stato! Shino non era di certo capace di simili recite, lui era sempre stato un ragazzo spontaneo e schietto. Il sapere poi che dopo la loro chiacchierata aveva cominciato a considerare Yamagi sotto una luce diversa… scosse la testa, non volendo dare voce a quel senso di colpa.
All’inizio lo divertiva osservare come Yamagi si dedicasse a Shino, come cercasse di nascondere i sentimenti dietro a un atteggiamento distante ed a volte davvero rigido nei confronti dell’oggetto delle sue attenzioni. Era buffo vederlo rabbuiarsi quando Shino andava a donne o parlava in modo alquanto grezzo delle forme femminili. A volte l’aveva pure trovato irritante e fastidioso e dentro di sé l’aveva un po’ preso in giro. Invece, era stato davvero immaturo e superficiale. Se ne rendeva conto soltanto ora.
Quella di Yamagi non era la semplice cotta di un ragazzino. Quando gli aveva sentito dire di preferire morire con lui, piuttosto che vivere senza di lui, Eugene aveva aperto gli occhi. E si era spaventato, perché udire un membro di Tekkadan desiderare la morte minava il suo senso di responsabilità nei confronti delle vite dei suoi compagni. Quelle stesse vite che aveva promesso a Shino di proteggere. Per fortuna, Yamagi era poi tornato in sé, prendendosi l’impegno di fare qualcosa per Tekkadan, in nome di Shino.
Aveva finalmente compreso la profondità di quei sentimenti.
“Questo sì che è un amore che non si può comprare, vero Shino?”

 

Come annunciato, l’attacco di Arianrhod arrivò preciso a mezzogiorno. Il ramo più influente di Gjallarhorn non aveva permesso ai ragazzi di Tekkadan di arrendersi, perciò coloro che erano sul campo di battaglia non avrebbero potuto fare altro che difendersi, anzi, difendere i compagni che sarebbero scappati nel tunnel sotterraneo. Il suolo di Marte stava per macchiarsi del sangue di entrambe le parti.
“Maledizione, Orga!” Esclamò Eugene, a bordo dello Shiden che avrebbe dovuto usare il loro capo. “Obbligarci a fare questo lavoro inopportuno! È sempre stato così, si atteggiava a grande capo. Avrei voluto vendicarmi prima o poi.” La voce del vice di Tekkadan non nascondeva l’ondata di disperazione del suo cuore, nonostante le mani non esitassero a sparare sul nemico.
Non c’era stato il tempo di piangere Orga, così come non c’era stato il tempo di piangere Shino e gli altri compagni caduti nelle ultime settimane. Eugene lo sapeva bene.
“Se dobbiamo morire, almeno facciamolo lentamente!”
Lui, Mikazuki, Akihiro, Dante e tutti gli altri sapevano che quella sarebbe stata l’ultima battaglia, la stessa che avrebbe messo fine alle loro vite. Eppure sembravano sereni, decisi ad andare fino in fondo per proteggere i compagni superstiti che si sarebbero dati alla fuga e che avrebbero costruito anche per loro quel futuro di pace tanto agognato.
Quando i mobile suit scesero in campo, non ebbero neppure il tempo di stimarne il numero, poiché l’attacco li travolse all’istante, ma nessuno sul campo aveva paura. Avevano tutti impresso nel cuore l’ultimo desiderio di Orga Itsuka, e non si sarebbero fermati prima di portarlo a termine.
Il Barbatos Lupus Rex cominciò a sbaragliare tutti i nemici che incrociava nella sua controffensiva. Sembrava proprio una bestia affamata di sangue. “Il demone bianco” incuteva enorme soggezione in campo, molti mobile suit non riuscivano nemmeno a reagire e venivano sbriciolati dai i colpi violenti della sua mazza. Anche il Gusion stava dando prova della sua enorme potenza, quando fu circondato da tre mobile suit che gli puntarono contro dei cannoni a particelle, ma Akihiro non si perse d’animo. Imbracciando l’imponente ascia del suo modello, si scagliò con violenza sugli avversari, riuscendo a colpirne due con un solo affondo. Con tutta la rabbia che gli ribolliva nelle vene, il ragazzo sollevò l’arma per colpire il terzo, ma nell’istante in cui quella puntò il cielo, il raggio di un rifle la colpì in pieno, spezzandola.
“Dannazione!” Gridò frustrato, e gli sarebbero sfuggiti altri improperi se la vista del mobile suit che l’aveva disarmato non gli avesse bloccato il fiato in gola, raggelandogli il sangue.
“Non è possibile…” Fu la voce di Eugene, subito dopo aver visualizzato sullo schermo la macchina che in lontananza aveva sparato. Riconobbe subito quel modello fra la polvere che si alzava, il colore unico che lo caratterizzava. Era… intero. Eppure lo aveva visto finire distrutto sotto l’assalto dei nemici solo qualche settimana prima.
“… quello è il Flauros…” Balbettò e tutti i compagni in collegamento poterono sentirlo, sorprendendosi con lui. Ma il tempo di stupirsi finì in una manciata di secondi, visto che l’offensiva non s’interruppe. Anche perché quel mobile suit dimostrò subito di essere dalla parte di Arianrhod.

   
 
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