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Autore: Emmastory    25/06/2017    1 recensioni
La vita di Rain e del suo gruppo continua, ma purtroppo senza uno dei compagni di viaggio. Sono passati ben quattro anni da quando la povera Samira è morta da eroina sul campo di battaglia, tentando assieme agli amici di eliminare una minaccia ormai conosciuta, ovvero i Ladri. Ora come ora, con la calma che regna sovrana ad Ascantha, nessuno sa cosa sia successo davvero, se la guerra sia finita, o sei ai nostri eroi sia stata concessa una tregua. Sempre uniti e fiduciosi, sono decisi a combattere le loro battaglie, e sperare, con tutte le loro forze, in un nuovo e sereno domani. Come andrà a finire? Scopritelo unendovi di nuovo a loro, nell'ultimo capitolo della saga di Aveiron.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo VI

Sul filo del rasoio

Notte fonda. Attorno a tutti soltanto il buio, ma nella vita di Rachel e Lady Fatima, una nuova luce. La luce del loro amore, che finalmente avevano avuto il coraggio e la possibilità di professarsi. Il giorno stava per salutarci, e loro erano nello stesso letto. Entrambe sveglie, l’una accanto all’altra. La distanza che le separava era letteralmente minima, e nel silenzio, la Leader fu la prima a muoversi. Lentamente, si voltò verso Rachel, e avvicinandosi, provò a baciarla. Seppur colta alla sprovvista, questa la lasciò fare, approfondendo quel bacio e rendendolo un momento di pura passione. Non staccandosi neanche per un attimo, giocavano l’una con i capelli dell’altra, non mettendo mai la parola fine a quelle dolci effusioni. “Tutto questo è un bellissimo sogno, Rachel.” Disse Lady Fatima, guardando la sua ragazza con i sognanti occhi di chi ama. “Lo so, ma adesso non svegliatemi.” Rispose lei, sempre rapita da quel perfetto e ipnotico sguardo color speranza che l’aveva fatta innamorare in quel memorabile primo giorno. Detto ciò riprese a baciarla, mugolando leggermente e desiderando di andare ancora una volta avanti. Ormai schiava dei suoi sentimenti, fece scivolare una mano appena sotto la coperta con gran timore, e quasi vergognandosi, si fermò. “S-Scusatemi, è che… voi siete così bella, ed io…” balbettò, penosa.” “Non devi scusarti di nulla, amore mio. È del tutto normale, in fondo so che mi ami.” La rassicurò la sua Signora, con il fare paziente e amorevole di una madre. Già, una madre. Erano ormai passati anni, ma ricordavo ancora perfettamente il triste momento in cui mi chiese di lasciare Rose in sua custodia poco prima di partire per Aveiron alla ricerca di Samira e Rachel stessa. Per quanto ne sapevo, non aveva mai avuto dei figli, ma dopo aver visto le perfette condizioni in cui l’allora neonata Rose versava al mio ritorno, mi ero convinta che quello materno fosse un istinto radicato in ogni donna, che questa avesse una prole o meno. Ad ogni modo, lei e Rachel si amavano,e per ora ad entrambe bastava questo. Ovvio era che da povera ragazza lei fosse più giovane e timida della sua amata, che al contrario era più intraprendente e meno schiva, ma stando a ciò che avevo modo di vedere, la cosa pareva non toccarle minimamente. Stavano a casa con noi da circa due giorni, e spesso le vedevo abbracciarsi senza una parola. Gesti dolci che mi scaldavano davvero il cuore, perché finalmente sostituivano i blocchi emotivi e la sofferenza di un tempo ormai andato. Incredibilmente, avevano un ottimo rapporto anche con i miei nipotini, che data forse la giovane e tenera età, si fidavano ciecamente, ammettendo anche di voler bene ad entrambe. Lienard restava sempre il cocco mio e di sua madre, ma al contrario, Erin e Cecilia si mostravano più aperte, giocando e passando del tempo sia con noi che con loro, non dimenticando mai di includere i loro pupazzi nelle loro immaginarie avventure. “A Ned Rachel stai simpatica.” Ha detto proprio oggi Erin, seduta sulle ginocchia della mamma. “Lui la conosce da tanto, sai?” ha risposto Alisia, assecondandola in questo infantile gioco. “Anche Bunny?” ha poi azzardato Cecilia, incuriosita da quella conversazione. “Certo! Sono grandi amici, come te e tua sorella.” Questa è stata la mia risposta, che l’ha fatta sorridere e spinta ad abbracciarmi. Poco dopo, tutti e tre sono tornati a giocare per il resto della mattinata, per poi sdraiarsi sul divano come cuccioli stanchi. Sorridendo, Alisia ed io abbiamo adagiato delle coperte sui loro corpicini, e con l’arrivo del pomeriggio, siamo uscite in giardino. Ormai sgombra dalla neve dello scorso inverno, l’erba era tornata al suo originario colore verde, e l’intero giardino brulicava di vita. Inizialmente, pensammo che non ci fosse nessuno, salvo poi sentire un rumore fin troppo conosciuto. Isaac era fermo in piedi, con la faretra di Rose in spalla, intento a centrare qualche bersaglio. I suoi colpi erano precisi e calcolati ad arte, ma per qualche ragione colmi di rabbia. Con un gesto, chiesi ad Alisia di tornare in casa, e preoccupata, mi avvicinai. “Isaac, va tutto bene?” biascicai, con un filo di preoccupazione nella voce. “Sì, mi sto solo allenando.” Rispose, senza staccare lo sguardo dal bersaglio che era ormai pronto a colpire. Distrattamente, sbagliò la mira, e colto da un momento di collera, rischiò di gettare la faretra in terra, fermandosi non appena si ricordò che non gli apparteneva. Difatti, era uno degli oggetti più preziosi della fidanzata, e lui non voleva romperlo. “Non ce la farò mai. Sono giorni che manco. Dov’è che sbaglio?” si lamentò, arrendendosi e non mostrando più la minima fiducia nelle sue capacità. Anche se solo per un attimo, sembrava essere tornato ai suoi undici anni, quando Rose ancora gli insegnava a usare l’arco. “Ricorda quello che ti ha detto. La mano non deve tremare.” Gli dissi, ripetendo il prezioso consiglio ricevuto anni prima dalla ragazza che amava. Sorridendo debolmente, fece un altro tentativo, e centrando perfettamente il tronco di un albero, decise di parlarmi, lasciandomi interdetta e sconvolta. “Nemmeno il corpo, zia.” Queste furono le sue parole, alle quali inizialmente non riuscii a dare un significato. Nella speranza di farlo, vi riflettei fino a sera, e prima di dormire, lo ringraziai mentalmente. Era soltanto un ragazzo, ma aveva ragione. I corpi di noi adulti tremavano per la paura, e in tempi del genere questo non doveva accadere, specialmente ora che eravamo più vulnerabili, appesi al filo di un tagliente rasoio.
   
 
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