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Autore: Kristy 10    25/06/2017    0 recensioni
La storia che sto per raccontarvi parla di Ariel, una simpatica ragazza che vive a Menphis in un appartamento assieme alle sue più care amiche Angelica e Maia all'altro capo della città, lontana dalla famiglia ma soprattutto dalla madre troppo apprensiva.
Ed è in questo "viaggio" alla ricerca della sua indipendenza che una sera, in cima al terrazzo del palazzo in cui abita, non sa che ad attenderla c'è il destino pronto a metterla a dura prova e a sconvolgerle la vita...
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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La maledizione del primo mese

 

 

L'odore del caffè strisciò come un topo sotto la porta della camera e mi solleticò le narici costringendomi a svegliarmi. Aprii un occhio lottando per non cedere al sonno che mi reclamava, la sveglia sul comodino accanto al letto segnava le 08:10 a caratteri cubitali. Abbassai la palpebra e mi girai dall'altro lato pronta a ricadere fra le dolci braccia di Morfeo. Impiegai due secondi buoni per saltare giù dal letto e fiondarmi nell'armadio per recuperare i vestiti. Ero in ritardo. Fra venti minuti avrebbero aperto il negozio e io ero ancora in pigiama. Uscii dalla stanza puntando dritta al bagno. Angelica sbucò dalla cucina già vestita reggendo fra le mani un vassoio con due tazze di caffè e una di latte e biscotti per me.

<< Sei in ritardo >> mi canzonò dirigendosi in salotto.

<< Lo so >> sbuffai in preda al panico chiudendole la porta in faccia. Oggi era il compleanno del Signor Saverio e non mi andava proprio di sorbirmi un'altra ramanzina. Non quel giorno per lo meno. Accidenti al fusto! La colpa era solo sua se arrivavo in ritardo a lavoro. Dopo l'incontro avvenuto quella mattina ero preda di una continua euforia, sognavo ad occhi aperti e la notte faticavo ad addormentarmi, con il risultato che finivo col prendere sonno verso le prime luci del mattino. Ci era mancato poco che non saltellassi durante il tragitto di ritorno al negozio. Ero felice. Sonia se ne accorse non appena misi piede nel locale. A quanto pare la gioia del momento era contagiosa tanto che Sonia non mi sgridò per non averle portato il dolce che mi aveva chiesto anzi, immaginando il finale aveva provveduto lei a recarsi da Gianni e a comprare un vassoio di cornetti ripieni di cioccolato e a offrirli a noi del personale. E poi... sorridevo. Sempre. Ventiquattro ore su ventiquattro. Doveva essersi bruciato qualche neurone perché non riuscivo più a smettere. Era stata una semplice chiacchierata, di sicuro non una delle migliori, ma era comunque un passo avanti ed io fremevo dalla voglia di scoprire come sarebbe stata la volta successiva in cui ci saremmo visti. Se a ciò si aggiungeva che il fatidico giorno era arrivato e che la sorpresa era pronta, non stavo più nella pelle. Uscii dalla doccia alla stessa velocità con cui vi ero entrata. Mi vestii e andai a fare colazione tenendo mentalmente il tempo. In salotto Angelica e Maia se ne stavano sedute sorseggiando il caffè con lo sguardo incollato alla tv.

<< Qualcosa non va? >> chiesi prendendo posto, diedi uno sguardo alla tazza davanti a me e calcolai che mi sarebbero serviti dieci minuti per mandare giù tutto e lavare i denti.

<< Delle rapine >> commentò Maia allungando un braccio per prendere un biscotto.

Non mi stupii. I crimini erano all'ordine del giorno qui, come in qualsiasi altro punto del pianeta. La voce lagnosa della giornalista alla tv mi spinse a domandarmi chi fosse quel tale che le aveva permesso di torturare la povera gente assegnandole il notiziario del mattino. La ignorai. Finii di bere il latte rimasto nella tazza e scostai indietro la sedia, uno sparo risuonò nella stanza. Immediatamente seguii la direzione di quel suono. Proveniva dalla televisione. Il servizio in onda mostrava le immagini di una rapina in un supermercato della zona. Era una scena surreale, i tre rapinatori col volto coperto dal passamontagna, impugnavano le pistole intimando i clienti presenti a non compiere alcun gesto avventato nel frattempo che uno di loro incitava la povera cassiera a riempire una busta col denaro contante sotto la minaccia di una pistola. Lo sparo di poco prima era stato un avvertimento verso il direttore che si era spinto a proteggere la ragazza. Il filmato terminava con i ladri in fuga ma non prima che uno di questi facesse l'occhiolino alla telecamera di sorveglianza sollevando in una mano una busta della spesa. La giornalista affermava che la banda in questione avevo compiuto quattro rapine nel giro di una settimana in zona. Dove abitavamo. Proseguiva inoltre dicendo che la polizia era sulle loro tracce e che vi erano indizi che conducevano su una buona pista. Raccomandava infine la massima cautela e di non andare in giro con troppi contanti in tasca ma solo il minimo necessario. Detto questo ci fu un cambio d'argomento e venne lanciato un servizio sull'amministrazione comunale. Tutte e tre restammo in silenzio, perse ognuna nei propri pensieri.

<< Assurdo hanno derubato quasi tutti i negozi della zona >> disse Maia scuotendo il capo alzandosi. Prese la sua tazza e le nostre e le dispose sul vassoio assieme al contenitore dei biscotti.

<< A dire la verità mi dispiace molto per la commessa. Non oso immaginare il terrore che deve aver provato con un'arma puntata alla testa >> Angelica tracciava sul tavolo disegni immaginari persa nella sua riflessione. Già, neanch'io non osavo immaginare la paura provata da quella ragazza in quella circostanza, e pensare che potevo essere io al suo posto. Ingoiai a vuoto.

<< Speriamo che riescano ad acciuffargli e a sbatterli in galera >> sospirò.

<< E che una volta dentro gettino via la chiave >> aggiunse Maia pienamente d'accordo. Io mi ritrovai ad annuire preoccupata.

<< Nel frattempo auguriamoci che non facciano un salto dalle tue parti >> disse Maia quasi leggendomi nel pensiero, la guardai, sorreggeva il vassoio con una mano mentre con l'altra avvicinava la sedia al tavolo.

<< Insomma non so chi fra voi se la vedrebbe peggio, se tu minacciata a morte o loro con una carriera giunta al termine >> sdrammatizzò con un'alzata di spalle sorpassandomi per dirigersi in cucina.

Angelica la fulminò con lo sguardo prima di rivolgersi a me: << Non darle retta per favore >> si alzò e mi posò una mano sulla spalla << Solo, fa attenzione okay? >> si raccomandò scrutandomi bene in viso.

<< Okay >> concessi con un sorriso, non potevo lasciarmi spaventare dall'idea che il nostro negozio potesse essere il prossimo della loro lista. C'era il compleanno del signor Saverio da organizzare e non era quello l'umore da tenere quel giorno. Mi alzai a sedere e mi diressi alle scale. Scendendo rivolsi una preghiera. Se davvero avevano intenzione di farci visita, bè... pregai che non scegliessero proprio quel giorno, in fondo si trattava di un festivo. Anche i furfanti disponevano di un codice che gli obbligava a rispettare le festività, non era così?

 

 

                                                                                                                            ********************

 

Quando arrivai in negozio vidi una Sonia trafelata correre nella mia direzione.

<< Sonia tutto bene? >> le chiesi fermandola per un braccio, sollevò lo sguardo dalla borsa nella quale stava trafficando e mi guardò in faccia.

<< Oh ciao, tesoro. E' tutto a posto, solo che sono proprio di fretta in questo momento >> rispose poggiandomi una mano sull'avambraccio e spostandomi di lato. Non mi mossi. Aggrottai la fronte << Sei sicura? >>.

<< Sicurissima >> accennò un sorriso. Non le credetti, sospirò pesantemente. << Stamattina hanno chiamato Saverio. Ci sono stati dei problemi con alcuni carichi e adesso è costretto a partire per capire cosa è successo >> si rimise di nuovo a frugare nella borsa scuotendo il capo irritata.

<< Odio andare di corsa >>. La guardai interrogativa << Vuoi dire che andrai via anche tu? >> sarebbe stato un vero colpo di fortuna non averla in giro per il negozio.

<< Certo, non me la sento di lasciarlo solo e poi conoscendolo con quel caratteraccio che si ritrova potremmo dire addio a questi nuovi fornitori >> annuii la signora Alice mi aveva accennato qualcosa.

<< E a che ora pensate di tornare? >> mi informai con noncuranza. Mi rispose continuando con la sua “pesca miracolosa”: << Credo verso l'ora di pranzo, salvo imprevisti >> smise di parlare e il volto le si illuminò di trionfo. Tirò fuori il braccio con le chiavi dell'auto nella mano << Nel caso tardassimo vi telefono >>

<< D'accordo >>

<< Bene, io vado, ciao Ariel >> mi salutò uscendo in strada. Non compì neanche dieci passi che la vidi tornare indietro. Parlò con il corpo in parte all'interno del negozio e in parte all'esterno.

<< Mi raccomando non combinare casini >> mi avvertì con quel tono materno con cui era solita rivolgersi a me. Ci pensò su, poi si corresse << O meglio combinali ma non troppo >> annuii imbarazzata, ce l'avrei messa tutta per fare la brava. Quando sparì sul serio dalla mia visuale, Susanna e Alice si avvicinarono trepidanti. Dalle loro espressioni era evidente che morivano dalla voglia di mettersi all'opera.

<< Allora notizie di Sofia? >> domandò Susanna reggendosi la schiena con la mano, la pancia enorme occupava gran parte del cerchio che si era venuto a creare.

<< Ancora non l'ho sentita, ma devo avvisarla sugli ultimi avvenimenti >> risposi io estraendo il cellulare dalla tracolla.

<< Noi nel frattempo cosa facciamo? >> i capelli della signora Alice erano elettrizzati almeno quanto lei, se ne stavano ritti in testa come se avesse infilato il dito in una presa e ci fosse rimasto un'ora intera.

<< Per ora nulla. Prima dobbiamo sapere se la faccenda dei fornitori si protrarrà per le lunghe e solo allora potremo entrare in azione >> spiegai spostandomi un ciuffo di capelli dalla fronte. Annuirono entrambe e tornarono ai loro posti. Chiamai Sofia.

 

 

                                                                                                                                     *****************

 

Nel corso della mattinata, dopo aver avvertito Sofia degli ultimi cambiamenti, ricevetti la telefonata di Sonia che dispiaciuta mi comunicava che sarebbero rientrati verso sera, più precisamente per l'orario di chiusura. La rassicurai che non vi era nessun problema e che avremmo chiuso noi il negozio e di fare le cose con calma. Era una fortuna che fossero impegnati per tutto quel tempo, perché dalle nostre parti le cose andavano storte. Il piano iniziale consisteva nel preparare un piccolo rinfresco in negozio con l'aiuto di tutti noi, Sofia sarebbe stata la ciliegina sulla torta, sarebbe venuta alla festicciola e avrebbe completato la sorpresa con la sua presenza, ormai non più certa per i genitori. Peccato che durante il cammino eravamo incappati in parecchi intoppi come l'arrivo di Sofia ad esempio. Avevamo deciso che dall'America sarebbe partita almeno due giorni prima, avrebbe sostato a Roma per un giorno e poi sarebbe venuta a Menphis; purtroppo per noi i voli erano pieni e Sofia era stata obbligata a partire ieri rispetto a quanto pattuito ed ero alquanto preoccupata, era tutta mattina che non la sentivo e come se non bastasse i rustici che Susanna aveva preparato quel giorno se gli era mangiati tutti il marito con i due bambini perciò toccò recarmi al forno e comprarne un vassoio intero assieme alla pizza. Lo so può sembrare che ci ho fatto l'abitudine a uscire durante l'orario di lavoro, ma oggi si trattava di una vera emergenza! Chiudemmo al pubblico prima del solito, ci serviva tempo per trasportare la scrivania dall'ufficio in sala, sistemare tutte le cibarie e chiudere la cassa. Un colpo lieve alla saracinesca mi fece sussultare. E se fossero già tornati? No, non potevano, Sofia non era ancora arrivata! Il signor Daniele si avvicinò e sbirciò fra le grate, lo vidi sgranare gli occhi e affaccendarsi per sollevare la saracinesca e lasciare entrare il nuovo arrivato. Una testa ramata spuntò all'interno del locale e scomparve tra le braccia del sig. Daniele che le sussurrò qualcosa all'orecchio poi fu il turno di Antonio e delle mie colleghe. Poggiai le bibite che avevo preso dal magazzino sul tavolo, e aspettai che l'ospite della serata mi si fermasse davanti.

Semplice.

Fu il primo pensiero non appena la vidi. E non mi riferivo all'abbigliamento, non saprei spiegarlo ma in lei c'era qualcosa che al primo impatto suggeriva una semplicità unica. Mi ritrovai a stringerle la mano, a caccia di somiglianze con Sonia o con il sig. Saverio. Era carina, gli occhi verdi risaltavano su quel viso da porcellana e i capelli di un biondo ramato portati alla maschiaccio le davano un'aria energica.

<< Tu devi essere Ariel >> ricambiò la stretta e solo in quel momento notai quanto fosse minuta, addirittura più bassa di me << Finalmente, è un piacere conoscerti di persona >> sorrise sia con la bocca che con gli occhi, ricordava molto il modo in cui lo faceva sua madre.

<< Il piacere è mio >> sorrisi a mia volta << spero tanto di non averti fatto spendere una fortuna con tutte quelle chiamate al cellulare >> era stata sempre lei a telefonarmi e se ero io a farlo di solito usavo il telefono dell'ufficio dato che le chiamate verso numeri fissi costavano un botto.

<< Se per te va bene appena incasserò l'assegno dello stipendio ti rimborserò per il disturbo >>.

<< Non dirlo neanche per scherzo >> arretrò la testa con una smorfia per dire “ma che sei matta!” << Non è stato affatto un disturbo, anzi >> scrollò le spalle serena. Quella ragazza mi era simpatica.

<< Allora – disse sfregandosi le mani – come posso aiutarvi? >> si guardò intorno in cerca di qualche mansione da svolgere. Mi chiesi se sarebbe riuscita a spostare la scrivania con quei trampoli che si ritrovava ai piedi, io mi sarei slogata la caviglia con un solo passo, figuriamoci trasportare un peso del genere.

<< Come vedi abbiamo già predisposto tutto nell'attesa che arrivino. Se ti va puoi dare un'occhiata al buffet >> suggerii.

<< Credo che lo farò >> mi sorrise, l'espressione famelica con cui puntò la torta di compleanno e i dolcetti mi fece intuire che ne andava ghiotta, chi non avrebbe potuto capirla. Persino io facevo una certa fatica a stare lì accanto senza nemmeno intingere un dito nella panna della torta. Pregai che arrivassero presto. Dopo quella che mi parve un'eternità sentimmo da fuori lo sportello di auto sbattere furiosamente e una voce burbera imprecare contro tutti i santi del paradiso. Okay il sig. Saverio era arrivato. Feci segno ad Alice di spegnere tutte le luci mentre nel silenzio totale io e Sofia con l'accendino accendemmo tutte e cinquantadue le candeline. Ci disponemmo dietro al tavolo con Sofia nascosta alle nostre spalle come stabilito, la luce aranciata delle candele gettava strane ombre sul pavimento frattanto che i passi del sig. Saverio si avvicinavano e la voce della moglie lo seguiva consigliandogli di calmarsi.

<< Cosa? >> domandò senza rivolgersi veramente a qualcuno quando si trovò davanti al negozio buio e alla saracinesca mezza abbassata << Hanno chiuso a quest'ora? Ma come gli è saltato in mente >> sbraitò, l'ombra alla porta proiettava gesti spezzati.

<< E per di più si scordano anche di chiudere tutto >> lo sgomento e la rabbia nella sua voce andavano a braccetto.

<< Augurati che non sia stato chi penso io >> minacciò la moglie. Mi sfuggì un grugnito, compresi che si riferiva a me. Sperai che la sorpresa riuscisse a distoglierlo dalle sue minacce.

<< Forse sono dei ladri >> la voce di Sonia mi suonò un tantino allarmata. Il marito non l'ascoltò << Dovresti chiamare la polizia prima di entrare >> lo implorò. Oddio! Già me la immaginavo la notizia su tutti i rotocalchi: Commessa licenziata per aver organizzato festa di compleanno a sorpresa al supermercato dopo l'arrivo degli agenti di polizia. Il proprietario dichiara: Credevo fossero dei ladri! No, no, no sig. Saverio non le dia ascolto!

<< Hanno scelto il giorno sbagliato allora – bravo il mio capo, così si fa – perché non sono in vena >> si abbassò sulle ginocchia e con una agilità improvvisa sollevò la serranda ed entrò, nello stesso istante intonammo la solita canzoncina che si canta in queste occasioni. Il sig. Saverio si avvicinò come una falena attirata dalla luce. Lo sconcerto sul suo volto era visibile. Non si aspettava una cosa del genere. Sonia dietro di lui giungeva le mani come in preghiera commossa mentre il suo sguardo si posava su ognuno di noi. Vidi il mio capo ingoiare un paio di volte ma senza ottenere nulla. Dopo l'applauso Susanna si allontanò dal gruppo per accendere le luci. Applaudimmo e lo incitammo ad esprimere un desiderio e a spegnere le candeline. Tentennò un po' ma poi con un unico soffio spazzò via le piccole fiammelle tremolanti. Si rialzò impacciato tentando inutilmente di mantenere un atteggiamento serio e distaccato.

<< Gra... grazie a tutti >> l'espressione corrucciata era in netto contrasto con l'emozione che cercò di camuffare con un colpo di tosse.

<< Siete stati stupendi ragazzi >> si congratulò Sonia poggiando una mano sulla spalla del marito e guardandolo con l'aria di chi la sapeva lunga.

<< Ma le sorprese non sono finite qui >> mi intromisi aggirando la scrivania e avvicinandomi a loro.

<< Cosa significa? >> mi domandò Sonia incuriosita.

<< Vedrai >> risposi vaga << Posso chiedere a entrambi di voltarvi e chiudere gli occhi? >>

<< Non ci... >> cominciò il sig. Saverio ma la moglie lo ammonì rincarando la stretta sulla spalla.

<< Certo Ariel >> obbedirono mentre il sig. Saverio borbottava a mezza voce.

<< Avanti Sig. Saverio non faccia così >> lo rimproverai bonariamente, mi girai andai a prendere Sofia che era rimasta nascosta e la posizionai alle spalle dei suoi genitori senza smettere di parlare.

<< Oggi è la sua festa ed abbiamo in serbo per lei un regalo che so per certo non rifiuterà >> lo vidi agitarsi sul posto. Sofia coprì gli occhi della madre e del padre con le mani. << Sapete dirmi di chi sono queste mani? >> Sonia ci impiegò un attimo per riconoscerle ma era troppo emozionata per riuscire a parlare.

<< No >> disse il mio capo ormai al limite della sopportazione incrociando le braccia sulla grossa pancia. Trattenni un risolino quando vidi Sofia alzare gli occhi al cielo.

<< E la mia voce la riconoscete o mi avete già dimenticata? >> a quel punto fu la stessa Sofia a porgli la domanda. Non fu necessaria la risposta.

<< Sofia >> urlò Sonia voltandosi ad abbracciarla. Madre e figlia si strinsero forte, la cosa sorprendente fu assistere al repentino cambiamento del mio capo, abbracciò le due donne e baciò la fronte della figlia. Era la prima volta che presenziavo ad una dimostrazione d'affetto da parte del sig. Saverio. Ero felice per lui. Per loro. Alla fine si erano riuniti. Per poco certo, Sofia sarebbe dovuta tornare al suo lavoro il giorno seguente, ma credo fosse importante per lei essere qui.

Al termine della serata eravamo rimasti in pochi. Susanna corse, letteralmente, a casa a preparare la cena per i figli e il marito, non senza incartare un pezzo di torta e portarselo dietro. I signori Antonio e Daniele erano stanchi e ritornarono dalle rispettive mogli ignare con piatti colmi di delizie. La sig. Alice chiacchierava amabilmente con l'intera famiglia intanto che io ammiravo sconsolata l'ultima fetta di torta ricoperta di panna che giaceva tutta sola sul tavolo. Era da mezz'ora che andavo avanti e indietro accanto al tavolo indecisa sul da farsi. Mangiare o non mangiare? Questo era il problema. Da un lato, andavo matta per i dolci e qualsiasi solido che avesse al suo interno una spruzzata di glucosio, dall'altro non mi sembrava educato servirmi l'ultimo pezzo, in fondo non era la mia festa. Dopo aver ponderato bene la mia decisione, stabilii che avevo mangiato abbastanza e che avrei abbandonato lì la torta in balia di chissà quale stomaco malgrado me la sarei sognata quella notte stessa. Dissi addio alla mia dolce amica e feci per allontanarmi ma urtai contro il sig. Saverio. La gravità della sua espressione mi impose a mandar giù un ghiotto di saliva. Merda. Era venuto a comunicarmi che mi avrebbe licenziata?

<< Mi scusi non volevo >> mi affrettai a dire, forse se me la fossi svignata in tempo senza dargli il tempo di annunciarmi una tale brutta notizia. Mi spostai di lato.

<< Ariel >> pronunciò il mio nome in tono severo. Addio al mio progetto di fuga. Mi rivolsi a lui.

<< Sì? >> squittii.

<< Volevo parlarti >> ecco, lo sapevo era la fine.

<< Ce...certo >> balbettai, non avrei dovuto pianificare il banchetto, la sorpresa ecc. Non erano affari miei e invece ero sull'orlo del licenziamento. Inquieta rovistai con lo sguardo la stanza in cerca di Sonia. La intercettai accanto alla sig. Alice, beveva coca-cola da un bicchiere di carta. Feci assegnamento che i miei occhi le trasmettessero il seguente messaggio: “S.O.S. Tuo marito ha intenzione di licenziarmi, solo tu puoi salvarmi!!” ma l'unica reazione che ottenni fu una strizzatina d'occhio. Okay probabilmente anche lei era d'accordo con il marito riguardo il mio congedo. Sospirai rassegnandomi all'inevitabile.

<< Mi dica. Sono pronta >> corrugò la fronte disorientato dalla mie parole, io lo ero alquanto lui dalla sua reazione.

<< E' stata mia moglie a mandarmi qui – ci fu una pausa in cui guardò in aria – per parlarti >> Ah. Bene. Non sapevo cosa dire.

<< Sofia mi ha riferito di come vi siete conosciute, della telefonata in ufficio >> seguì un'ulteriore pausa, stavolta più lunga della precedente. Oddio, mi avrebbe mandata via per questo? Mi morsi il labbro presa dal panico attendendo che proseguisse, gli occhi grigi nascosti dietro le spesse lenti mi fissavano senza tradire alcuna emozione.

<< Mi ha raccontato che sei stata tu a preoccuparti dei preparativi e del resto insieme agli altri, nel tempo che lei era lontana >> lo sgomento cresceva ad ogni minuto, non erano quelle le parole che credevo avrei sentito. Dovette accorgersene anche lui perché tutto a un tratto cessò di parlare e dinnanzi al mio stupore prese un piatto di plastica e si servì la fetta di torta a cui avevo rinunciato. Avrei preferito non essere a conoscenza della pancia nella quale sarebbe finita, ma a volte il destino giocava brutti scherzi.

<< E sempre tu hai insistito affinché lei volasse qui e fosse presente il giorno del mio compleanno >> okay, in quel momento mi rendevo conto anch'io che non era stata una buona idea parlare con la figlia del capo.

<< Senta sig. Saverio... >>

<< Cucchiaio o forchetta? >> mi interruppe. Ma che razza di domanda era? Lo osservai stralunata. Era una sorta di indovinello da cui dipendeva il mio lavoro? Poi guardai il piatto che teneva in mano, e mi diedi della sciocca, si stava riferendo al dolce.

<< Forchetta >> consigliai senza esitazione. Ne sollevò una dal mucchio e la poggiò nel piatto. Tornò a voltarsi ma tenendo lo sguardo fisso sul piatto.

<< Mia moglie mi ha mandato da te... >> ripeté goffo, sbuffò un paio di volte e si passò una mano sulla nuca a disagio mentre io faticavo parecchio a capire il perché di tanto imbarazzo. Era chiaro perfino a me che volesse congedarmi. Prese un respiro profondo e girò la testa in direzione di Sonia che gli fece un leggero cenno di incoraggiamento col capo. Sospirò e mi fissò << Ecco... insomma... era giusto ringraziarti >> buttò d'un fiato per poi aggiustare il tiro impacciato << Volevo ringraziarti >>. Rimasi interdetta. Il sig. Saverio non aveva nessuna intenzione di cacciarmi, era lì solo per ringraziarmi. Non ci potevo credere. Non era possibile che fosse la stessa persona che mi aveva sgridato nelle ultime tre settimane. Sarà stata la presenza di Sofia. Ecco un incentivo a non lasciarla partire. Lo shock iniziale fu sostituito dalla speranza che da ora in avanti i nostri rapporti sarebbero gradualmente migliorati.

Sorrisi a trentadue denti e anche di più: << Non deve. Mi ha fatto piacere vederla di nuovo sereno e se ci fosse occasione lo rifarei ancora >> confessai. Annuì con quello che aveva tutti gli aspetti di un sorriso timido.

<< Tieni, te la sei meritata >> disse porgendomi esitante il piatto che aveva preparato. Lo guardai emozionata. Sapevo che quel gesto racchiudeva qualcosa di più di un mero scambio di zuccheri. Era un'ascia che veniva sotterrata. L'accettazione di quella che ero compreso il bagaglio di pasticci che mi portavo dietro. Mi stava comunicando che si sarebbe sforzato per trattarmi meglio ed io gliene ero grata per questo.

<< Grazie >> mormorai commossa accettando “il dolce del nuovo inizio”. Non aggiunse altro e si avviò per tornare dalla sua famiglia. Lo chiamai a metà strada, lui si voltò di tre quarti.

<< Ancora Auguri! >>

Ci pensò su e << Grazie >> poi se ne andò. Wow, era il secondo grazie in una serata. Sentivo che tutta quella riconoscenza iniziava a darmi alla testa e in questo caso avevo urgente bisogno di zuccheri per aumentare la pressione. Presi una forchettata di torta al cioccolato e panna e la portai alla bocca. Un'esplosione di dolcezza mandò letteralmente in estasi le papille gustative, chiusi gli occhi mugolando dal piacere, in fondo la sorte quella sera non era stata tanto avversa.

 

 

                                                                                                                                             *******************

 

Presi una scatola di piselli surgelati a la strisciai davanti al lettore sbuffando di nascosto. Ero alla cassa da cinque minuti e già mi pentivo di aver fatto a cambio con la sig. Alice. Era faticoso per una donna della sua età restare tutto il giorno in quella postazione perennemente esposta alla luce del sole che penetrava da fuori e alle ondate di caldo torrido che sgusciavano in negozio ogni qual volta le porte automatiche si aprivano per far entrare o uscire un cliente perciò avevo deciso di prendere il suo posto e di affidare a lei il compito di prezzare i prodotti. Non lo avessi mai fatto.

<< Posso chiudere il conto? >> domandai interrompendo la fitta conversazione di due anziane signore cominciata dal reparto salumeria. Ne avevo fin sopra i capelli della loro vocetta stridula e dei loro argomenti macabri. Ma avevano visto che ore erano? Non sapevano che le storie dell'orrore vanno raccontate di notte? Una testa avvolta da uno scialle nero, su un vestito rigorosamente nero, accompagnato da un paio di scrupolosi collant neri corredato da sandali immancabilmente neri si voltò a guardarmi infastidita.

<< Sì sì >> feci come mi veniva chiesto lottando contro l'impulso di mettere la spesa nelle buste e lanciargliele fuori in strada. La seconda donna, identica all'altra per l'amore sviscerato per il nero attese paziente che ultimassi il conto anche per lei. Nel frattempo non persero occasione per ciarlare ancora un po'.

<< Se continuerà a far caldo in questa maniera credo che per un po' non andrò più al mercato, c'è troppo sole e con tutta quella gente si corre il pericolo di trovarsi a terra senza accorgersene >> esordì la prima con il viso a punta.

<< Non me lo dire con queste temperature sono sempre sudata e col venticello che tira la sera non mi sorprenderei se prendessi un colpo d'aria >>, ci credo, avrei voluto risponderle io, se vanno in giro vestite come mummie con quella calura, che cosa pretendevano? E poi è risaputo che il nero attira i raggi del sole. Mi morsi la lingua per non farmi scappare commenti non richiesti. Segnai alla cassa il codice di una sacca di limoni fingendo di non ascoltarle.

<< Hai sentito le voci che circolano in città? >> la interrogò l'altra decidendo di cambiare argomento e addentrandosi in un terreno fertile di pettegolezzi.

<< No perché? >>

<< Ma come è possibile che tu non sappia niente? >> domandò indignata dallo scarso interesse dell'amica.

<< Scusami se non sto tutto il giorno a interessarmi degli affari degli altri! >> sbottò offesa posando alcuni pelati di pomodoro sul nastro. Ben fatto! pensai. La dama di nero dal viso affilato incassò il colpo e finse di dimostrarsi generosa: << Meno male che ci sono io – concesse – ascolta, hai presente il figlio di Mariacetta? >>

<< Chi? Quello appena uscito di galera? >>

<< Stsss! >> l'ammonì volto appuntito indicandomi. Le rivolsi uno sguardo innocente. Okay ora ero davvero curiosa. Parlò a voce bassa. Raddrizzai le antenne.

<< Si dice – fece una pausa per guardarsi attorno – che abbia ricominciato a... >> si interruppe e con la mano fece un gesto alquanto eloquente, meglio conosciuto come “cinque meno quattro è uno”, un modo colto dalle nostre parti che sottintende rubare. Da qui è facile dedurre che colui che inventò tale detto era un vero appassionato della matematica. Di conseguenza i ladri sono dei matematici incompresi. Ah quanto è vero che la matematica è una disciplina applicabile in tutti i campi della vita!

<< Noooo >> la vecchina con gli occhiali si tappò la bocca incredula. Con la coda dell'occhio vidi l'altra annuire con espressione solenne.

<< Povera Mariacetta, ha pregato così tanto che il figlio cambiasse vita e adesso ha ripreso la cattiva strada >> disse occhialini scrollando la testa affranta. Anche se non conoscevo di persona questa Mariacetta aveva tutta la mia solidarietà.

<< E c'è di peggio! >>

<< Cosa? >> ci ritrovammo a chiedere io e occhialini all'unisono. Mi beccai l'occhiataccia di volto appuntito.

<< Mi scusi >> mormorai tornando a concentrarmi sul mio lavoro ma con un orecchio teso a captare altri stralci di conversazione. La donna continuò a discutere a voce ancora più bassa: << A quanto pare c'è chi afferma che Nicola sia uno dei membri della banda che di recente ha rapinato gli esercizi di mezzo quartiere >> io e la mia compagna di ascolto sgranammo gli occhi. Sentirla nominare riportò a galla la preoccupazione. E se fossimo stati noi il prossimo bersaglio?

<< Gesù, Giuseppe e Maria >> si fece il segno della croce l'altra. Già, lo avrei fatto volentieri anch'io in quel momento.

<< Perciò stai attenta. Pure quando vieni a fare la spesa qui. Non si sa mai >> si raccomandò volto appuntito.

<< Sono €18,50 >> le interruppi infilando la roba nelle buste. La signora ancora un po' sconcertata si affrettò a tirar fuori il portafoglio e ad estrarre i soldi richiesti. Le diedi il resto della banconota da venti assieme allo scontrino sotto l'occhiata altezzosa dell'altra. Quella donna avrebbe potuto benissimo lavorare per una rivista scandalistica con il naso e la lingua che si ritrovava. Occhialetti prese le buste e si avviò.

<< Arrivederci e buona giornata >> le augurai

<< Grazie cara, mi raccomando fa attenzione >> mi consigliò.

Annuii. Con un cenno del capo mi salutò e andò via. Quando fui rimasta sola cacciai l'aria dai polmoni. Avvertivo addosso una sensazione inquietante che mi fece accapponare la pelle.

<< Se ne sono andate? >> domandò la sig. Alice venendomi incontro.

<< Sì >> inspirai dal naso, scacciando quella brutta sensazione dalla testa.

Mi studiò attentamente << Il duo novembre ha colpito ancora >> sghignazzò.

<< Il duo novembre? >>

Sorrise: << Le due tizie che erano qui un momento fa >>

<< Lo avevo capito ma perché... >>

<< A parte gli abiti scuri in un periodo come questo, il perché mi sembra ovvio no? >> ripensando i discorsi avvenuti poco prima, dovevo confessare che non erano proprio l'allegria in persona. Tra malattie, morti e sciagure di altro tipo non dovevano trascorrere un'esistenza all'insegna della pazza gioia.

<< E' un soprannome che le ha affibbiato Susanna qualche tempo fa >> ora capivo l'origine del nome così fantasioso. Una cliente entrò con un bambino nella carrozzina e l'aria torrida di inizio settembre fece il suo ingresso.

<< Santo Cielo >> mormorai confidando che le mie amiche avessero calato giù tutte le tapparelle per rendere un po' più fresca la casa visto che eravamo sprovvisti di aria condizionata.

<< Non darle retta >> disse a un certo punto la sig. Alice rompendo il silenzio che era venuto a crearsi.

<< A quelle due piace spargere addosso alle persone tutta l'angoscia che si portano dentro >> non so perché ma mi sentii confortare dalle sue parole, l'assillo di poc'anzi era scomparso.

<< Grazie >> le dissi riconoscente.

<< Di niente >> e con la mano sembrò scacciare una mosca nell'aria.

<< Fossi in te, la prossima volta che si ripresentano toccherei ferro >> suggerì ed entrambe scoppiammo a ridere.

 

 

                                                                                                                                    *******************

 

Di solito verso metà mattina quando non ero alla cassa o impegnata in altre faccende mi concedevo una breve pausa per sgranocchiare qualcosina. Ero seduta sulla sedia girevole della cassa chiusa mentre aprivo il pacchetto di cracker che mi ero portata da casa, attenta a non farli cadere in una cascata di briciole salate, quando la voce tonante del sig. Saverio gridò il mio nome. Mi raddrizzai all'istante.

<< Ariel! >>

<< Sono qui sig. Saverio >> sventolai la mano per indicargli dove mi trovavo. Chissà perché mi cercava. Di solito quando mi chiamava c'era solo una spiegazione: doveva farmi una lavata di capo. Rapidamente ripescai dalla mente qualche episodio di quella giornata degno di nota. Non me ne venne in mente nessuno. Forse vi era la possibilità che volesse me per scambiare quattro chiacchiere da persone civili, visto che negli ultimi due giorni pareva diverso. Sì, doveva essere così, mi convinsi. Sospirai e mi preparai a riceverlo. Con ampie falcate raggirò l'espositore delle caramelle e si posizionò di fronte a me. Era più sereno del solito, il chè spiegava come mai il cielo si fosse rannuvolato all'improvviso, la cravatta quel giorno era di un bel verde senape e non gli andava poi così stretta, gli occhiali spessi quanto una bottiglia giacevano inermi sul pancione del sig. Saverio appesi ad una cordicella; con una mano, poggiato a terra, reggeva un enorme sacco nero. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, un cipiglio dubbioso si fece largo sulla fronte spaziosa.

<< Stai mangiando >> esordì, dal tono non sembrò affatto un rimprovero ma neanche una domanda, più che altro una presa di coscienza.

<< In realtà stavo per iniziare >> ammisi rimettendo i cracker in tasca.

<< Ah >> disse preso alla sprovvista << ...bene non importa allora >> aggiunse colto da una strana fretta. Si avviò.

<< Aspetti sig. Saverio >> lo richiamai correndogli dietro << mi dica pure in cosa posso aiutarla >> lo esortai. Si fermò incerto. Mi guardò per un paio di secondi e poi sbuffò: << Dovresti gettare questo sacco nella spazzatura e consegnare la spesa alla sig. Orazio del palazzo qui vicino >>

<< Certo >> sapevo dove viveva la signora in questione, a un centinaio di metri da qui, a furia di recapitarle la roba avrei potuto fare tutto il tragitto bendata. Il sig. Saverio alternò lo sguardo da me al sacco e poi sospirò profondamente.

<< Lascia stare, me ne occuperò io dopo >> proseguì come se non avessi aperto bocca << Torna pure alla tua pausa >> mi invitò con un cenno sbrigativo della mano sfuggendo al contatto visivo. Era a disagio. Non potevo biasimarlo. Da quando Sofia era partita la sera precedente, le cose erano cambiate tanto che nemmeno io sapevo come gestirle. Il sig. Saverio si era come rabbonito, e le poche volte in cui ci rivolgevamo la parola si sforzava di apparire un po' più tollerante nei miei confronti, forse perché la figlia gli aveva fatto una lavata d'orecchi prima di partire o forse perché in qualche maniera avevo contribuito al ritorno di Sofia. Chi lo sa? Fatto sta, che temevo che il nuovo sig. Saverio potesse dissolversi da un momento all'altro e quello cattivo riprendersi il posto.

<< Dia qua >> senza chiedergli il permesso gli tolsi il sacco dalle mani e me lo misi in spalla.

<< Ma cosa?... >>

<< Dov'è la spesa della sig. Orazi0? >> domandai sorridendo per la faccia sbigottita che mi riservò.

<< Lì nell'angolo >> indicò il cantone accanto al banco surgelati. Afferrai le due buste in una mano mentre nell'altra reggevo il sacco dal contenuto sconosciuto.

<< Allora io vado, rientro presto >>

<< Guarda che non ce n'è bisogno >> tentò di convincermi imbarazzato.

<< Non si preoccupi è il mio lavoro >> lo tranquillizzai con un sorriso. Mirò altrove come se avesse parlato una mosca.

<< Bene >> ripeté indossando di nuovo il cipiglio scontroso a cui ero abituata.

<< Sta attenta! >> ordinò voltandosi per dirigersi in ufficio. Lo osservai darmi le spalle. Sì, era il Saverio burbero il mio preferito!

 

Stare fuori all'aria aperta si rivelò un'esperienza traumatica. Ero ancora sulla soglia del negozio quando l'afa di quella rovente giornata di fine estate si appiccicò sulla pelle come una sanguisuga. Tolsi dalla tasca dei jeans l'elastico per capelli che mi portavo sempre dietro e li legai in una coda alta osservando i coraggiosi passanti con il viso corrucciato dal sole. Così andava meglio anche se la coda sfregando sulla schiena generava un calore indesiderato. Non ci badai e mi incamminai per la mia strada rimpiangendo la frescura del negozio. A pochi metri dall'entrata posteriore, notai con la coda dell'occhio un furgone di quelli grandi che scarica il pane, sostare in doppia fila accanto al marciapiede. A bordo seduto dalla parte del guidatore un uomo sulla quarantina leggeva avidamente il giornale spiegato sul volante, non gli prestai molta attenzione, fu il ragazzo al posto del passeggero a suscitare il mio interesse. Dimostrava la mia età, forse qualche annetto in più. Se ne stava stravaccato sul sedile con l'aria di chi sa di poter ottenere tutto dal mondo, tra le labbra una cannuccia da cui sorseggiava thé ghiacciato, i piedi poggiati sul cruscotto e dettaglio da non tralasciare: non aveva smesso un solo istante di adocchiarmi. Che aveva tanto da fissare? Distolsi lo sguardo concentrandomi sul calore tremolante che si innalzava dall'asfalto, era impossibile trovare riparo dal sole che inondava la via, un rettangolino d'ombra lì era come un'oasi nel deserto: un miraggio. Man mano che procedevo diedi una sbirciatina facendo attenzione a non farmi scoprire. Capelli scuri, occhi grigi, abbronzatura. No, non lo conoscevo, mai visto in vita mia. E allora perché insisteva a quel modo? Che avessi qualcosa fuori posto? Tipo la striscia di bava secca all'angolo della bocca con la quale mi svegliavo ogni mattino o addirittura peggio una caccola al naso? Serviva uno specchio. Lo scorsi allontanare la cannuccia dalla bocca continuando a seguirmi con gli occhi. Accidenti se ne avevo bisogno. Costretta a sfilargli accanto assunsi una postura rigida e affrettai il passo evitando di incrociare i suoi occhi. Peccato che non sfuggì l'occhiolino e il sorriso malizioso che mi serbò quando fui a portata di braccio. Finsi di non vederlo e di non sentirmi la schiena in fiamme, stavolta non per il sole, e proseguii dritto. Arrivai ai bidoni della spazzatura in fondo al viale in una pozza di sudore, chiedendomi vagamente cosa ci facesse a quell'ora il furgone del pane visto che solitamente arrivava in negozio al mattino presto. Mi sbarazzai del sacco nero e mi diressi all'ultima meta del mio viaggio, consapevole di ognuna delle singole gocce di sudore che dalla nuca scivolavano giù lungo la schiena inzuppandomi la maglietta. Non sopportavo il sudore o l'idea di sudare in generale. Ero tentata di fare marcia indietro e buttare la testa sotto l'acqua della fontanella che avevo superato poc'anzi, ma il dovere chiamava; il pensiero che al mio rientro a casa ci fosse una doccia fresca ad attendermi era la sola cosa che mi persuase a non mollare. Giunta al portone a specchio del palazzo in cui viveva la sig. Orazio, non ci fu bisogno di citofonarla in quanto si fece trovare lì ad aspettare il mio arrivo. Le consegnai la spesa mostrandole lo scontrino, incassai il denaro e me ne andai. Libera da ogni peso il cammino di ritorno fu più veloce di quello all'andata, ormai vicina al negozio preferii entrare dalla porta sul retro. Notai il furgone. Era ancora parcheggiato lì. Che strano. Girai la maniglia e mi voltai un attimo per guardare all'interno del veicolo. Del ragazzo non vi era traccia, forse con quelle temperature era sceso a fare rifornimento di bevande ghiacciate per lui e il suo compagno. L'uomo era al volante, il giornale era sparito, quando si accorse che lo osservavo mi restituì uno sguardo obliquo che mi impose di staccargli gli occhi di dosso. Nell'istante in cui spalancai l'uscio una sagoma mi investì scaraventandomi a terra con la forza di un carro armato. Accidenti che botta! Mi doleva il sedere (di nuovo), il gomito mi pulsava ed ero super sicura che una pietra appuntita mi avesse appena bucato la spalla. Feci per mettermi seduta ma una figura imponente si intrufolò nel mio campo visivo. Lo riconobbi. Era il ragazzo con la cannuccia. Si accovacciò al mio fianco e mi scrutò con i suoi occhi d'argento liquido.

<< Stai bene? >> si interessò, una ruga a solcargli la fronte. Stando seduto non mi ero accorta di quanto larghe fossero le sue spalle né degli appariscenti bicipiti che minacciavano di strappare la maglietta ad ogni minimo movimento.

<< Credo di sì >> risposi frastornata anche se immaginavo che l'indomani sarei stata piena di lividi. Mi rivolse un sorriso sghembo dai denti bianchissimi: << Mi dispiace, non eri prevista nei piani >> il tono caldo e basso della sua voce fu sovrastato dal ruggito di un motore sotto sforzo. Entrambi guardammo il punto da cui proveniva il trambusto. L'uomo nel furgone ci fulminò e gridò all'amico di sbrigarsi. Come mai tanta fretta? Occhi grigi tornò a parlarmi: << Sta più attenta la prossima volta dolcezza >> mi sussurrò a pochi centimetri. Vedendo che non rispondevo sorrise divertito. Ma perché tutti mi dicevano di stare attenta? Riuscii solo a pensare in quel momento. Il ragazzo con uno slancio tornò in posizione eretta raccolse una busta arrotolata di cui non avevo fatto caso. Si era allontanato di un passo quando l'occhio mi cadde sulla lattina d'estathè che giaceva accanto alla mia gamba. Come sospettavo era sceso per comprarsene un altro. Lo richiamai: << Ehi tu? >> al suono della mia voce ruotò il busto per guardarmi. Inarcò un sopracciglio interrogativo. << Il tuo thè >> glielo indicai con il capo. Sulle prime credetti che avrebbe girato i tacchi e sarebbe salito sul furgone infischiandosene della bibita, in fondo poteva trattarsi di un tizio schizzinoso, a cui non piaceva la roba abbandonata per terra soprattutto se poi doveva entrarci a contatto con determinate parti del corpo; ma poi celermente avanzò verso di me, si chinò a raccogliere la lattina di thè .

<< Sbrigati cazzo sta arrivando la polizia >> urlò l'amico sporgendosi dal finestrino. La polizia? Stavo per chiedergli a cosa si riferisse, quando un lampo saettò negli occhi grigi del ragazzo facendolo scattare. Scappò via non prima di avermi elargito un'ulteriore strizzatina d'occhio. Montò a bordo e sfrecciarono lontano sgommando. Mi rialzai sgomenta dell'accaduto. Un'inquietudine crescente si abbarbicò allo stomaco stringendolo in una morsa. Mi avvicinai all'entrata. Perché aveva nominato la polizia? Mi affacciai dalla porta spalancata e la stretta aumentò nell'attimo in cui incrociai i loro sguardi. I volti ammutoliti dei miei colleghi e della gente mi scrutavano senza battere ciglio. Avevo la sensazione che il tempo fosse sospeso e bastasse uno schiocco di dita per rimetterlo in moto. Quando i miei occhi incontrarono la sig. Alice, non vi furono dubbi. Il duo novembre aveva colpito ancora!

 

 

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<< Hai visto cosa è successo l'altro giorno? >> chiese volto appuntito a occhialetti.

<< Sì ho seguito il telegiornale >> rispose l'altra agitata. Forse chissà si aspettava che da un minuto all'altro entrassero in scena due uomini vestiti da banditi.

<< Te l'avevo detto io che questo sarebbe stato il prossimo >> indicò l'intero locale chiaramente compiaciuta di aver azzeccato le previsioni dell'ultima volta. Bè se mi avessero avvisato che le predizioni di questa anziana donna avevano le stesse probabilità di avverarsi quanto quelle di trovare i pacchi da duecentocinquantamila euro ad Affari tuoi forse l'avrei presa più seriamente.

<< Hai sentito quanto c'era in cassa? >> domandò retorica << Cinquecento euro >> scosse il capo incredula.

<< Mi meraviglia che Sonia non si sia organizzata meglio, doveva prevedere la possibilità che venissero anche da queste parti >> certo, pensai sistemando le tavolette di cioccolata nell'espositore con troppa foga, perché ora Sonia è un'indovina. Secondo il loro parere i furti venivano stabiliti a tavolino fra ladri e commercianti. Già me la immaginavo una conversazione tra il sig. Saverio e il ladruncolo di turno.

L: ”Facciamo per venerdì mattina prima di pranzo?”

S: “Sì forse è meglio, ci sono più clienti e il bottino sarebbe più sostanzioso”

L: “Hai ragione”

S: “Anche se venerdì siamo impegnati”

L: “Oh, allora che ne dici di sabato? Sempre se per te non è un problema ovvio”

S: “E' perfetto così avremo tutto il tempo di prepararci per il vostro arrivo. Tu si che sei un ladro di altri tempi”.

Sbuffai furibonda, era facile parlare quando si era dall'altro lato del bancone. Come poteva Sonia pronosticare un evento del genere? Forse... io avrei potuto fiutare qualcosa. Poggiai alcuni pacchetti di chewin-gum con più forza del necessario che finirono col rovinare per terra. Mi chinai a raccoglierli. Per mia sfortuna uno era finito accanto ai sandali immancabilmente neri del duo novembre. Mi avvicinai a testa bassa. Le due signore smisero di discutere all'istante, non ci voleva un mago per intuire quale sarebbe stato il prossimo argomento del loro chiacchiericcio. Mi allontanai di un passo e le vidi darsi di gomito come due tredicenni.

<< Ma era proprio lei? Quella Ariel? >> questa volta fu occhialetti a rivolgere la domanda. La compagna entusiasta dall'improvviso interesse dell'amica fu più che lieta di risponderle: << Proprio lei >> era fastidioso il pensiero che l'intera città conoscesse il mio nome, la mia faccia per non parlare degli imbarazzanti nomignoli affibbiatimi dai notiziari locali. Li immaginavo diversi i miei quindici minuti di celebrità, avrei preferito essere riconosciuta per strada, non so, per aver aiutato un bambino ad attraversare un incrocio pericoloso o per aver salvato un gattino da un ramo troppo alto, peccato che di questi tempi e dalle mie parti fosse difficile, se non raro, incontrare un micio indifeso appollaiato su un albero e questo non sapevo se dipendesse dal fatto che i gatti italiani fossero refrattari a salire su piante tanto alte o che in realtà i felini non amino affatto arrampicarsi come scimmie e che tutte quelle storie naufragate sino a noi da oltreoceano di gatti e bei pompieri pronti a trarli in salvo muniti di scaletta fossero frutto della mente di casalinghe borghesi frustrate. Avrei apprezzato una Ariel eroina ad una Ariel sospettata di essere complice dei due tizi del furgone. Grazie al cielo i nastri delle telecamere a circuito chiuso dimostravano distintamente la mia estraneità ai fatti (non ero presente al momento del furto) anche se purtroppo il mio breve colloquio con il ladro/ragazzo con la cannuccia non era sfuggito alla polizia che successivamente mi interrogò. Inutile sottolineare la presenza di mia madre che fece valere la sua autorità di avvocato impedendomi di rispondere alle domande degli agenti se non in sua presenza. Fu incredibile vederla presentarsi all'interno dell'ufficio del sig. Saverio sicura e impeccabile come sempre e prendere le mie difese quasi fossi una criminale. Era la mia prima esperienza a diretto contatto con le forze dell'ordine e devo concedere che i carabinieri non sono come gli stereotipi delle barzellette, ritardati e con un mancato senso dell'umorismo anzi inquadrando mia madre il poliziotto che mi aveva interrogata mi trasmise con uno sguardo tutta la sua comprensione, poveraccio evidentemente anche lui aveva alle spalle una mamma del tipo. Il colloquio fu semplice: io parlavo lui prendeva appunti su un taccuino anche se erano del tutto futili in quanto le telecamere esterne della banca accanto avevano ripreso tutto, l'interrogatorio era solo una prassi ed una maniera per ricavare ulteriori informazioni dato che io avevo avuto un confronto faccia a faccia con l'uomo; stranamente quando parlai di lui una parte di me si augurò che non si trattasse di Nicola il figlio di Mariacetta la donna di cui discutevano quella mattina le donne in nero. Accertata la mia innocenza, supponevo di aver risolto ogni problema in verità ne sono sorti alcuni più grossi. Questo ad esempio.

<< E' strano >> mormorò volto appuntito avanzando nella fila appoggiandosi con un fianco al carrello.

<< Cosa? >> volle sapere l'altra spingendo in sù la montatura degli occhiali.

<< Che non l'abbiano ancora licenziata. Insomma cosa aspettano a cacciarla via? >> spiegò indicandomi col dito nodoso. Okay se non volevo rovinarmi la giornata, anche se prevedevo che l'avrei rovinata eccome, dovevo smetterla di ascoltare i loro vaneggiamenti perciò mi concentrai sul mio lavoro. Destino volle che capitassi nello scaffale accanto alla cassa dove mi era impossibile fuggire alle chiacchiere delle due vecchie signore che continuavano a discutere di me quasi fossi la moglie dell'uomo invisibile. Spruzzai lo sgrassatore sul ripiano e con uno straccio iniziai a pulire gli aloni di sporcizia che si erano creati con il sotto delle bottiglie di liquore. Un impresa ardua la mia dato che da ogni strofinata dipendeva la sorte delle centinaia di bottiglie colorate che avevo davanti. Canticchiai a bocca chiusa per segnalare la mia presenza, anche se in alcuni casi mi venivano fuori suoni strozzati come se avessi un pezzo di scotch sulle labbra. Quando neanche i versi da cane rabbioso servirono a metterle sull'attenti ero arrivata a due conclusioni: erano sorde come campane oppure lo facevano apposta. Propendevo per la seconda ipotesi. Sospirai, non avevo altra scelta se non stare lì e ascoltare le cattiverie gratuite sul mio conto. Da quello che ero riuscita a recepire non si erano poi discostate tanto dall'argomento principale: il mio licenziamento.

<< Non sono d'accordo con te – stava dicendo occhialetti trascinando curva il carrello alle sue spalle – perché mai dovrebbero? >>

<< Semplice rappresenta un problema >> mi irrigidii visibilmente al ché volto appuntito sogghignò. Godeva a parlar male di me senza che io potessi difendermi. La voglia assassina di sgrassargli la faccia mi ottenebrò la mente. Chissà se rientrava tra i servizi da dispensare ai clienti? Fatto sta che io ero pronta ad elargire il servizio gratuitamente.

<< Che vuoi dire? >> chiese ingenuamente occhialetti. Cominciai a ricredermi sul suo conto. Non era cattiva come credevo semmai era succube dell'altra. Quest'ultima scoppiò in una risata breve e gracchiante: << Che la sua presenza qui non è un bene per l'immagine del negozio >> chiusi gli occhi di scatto, quella donna mi aveva appena schiaffeggiato senza muovere un dito.

<< Guardati attorno il locale è deserto. Dopo le immagini trasmesse alla tv e alle voci che circolano è normalissimo che non venga più nessuno >> affermò convinta, avvertivo il suo sguardo perforarmi la schiena, era palese che si stesse rivolgendo alla sottoscritta. Bè avrei voluto gridarle che non c'era bisogno che me lo rammentasse che lo vedevo con i miei occhi che a causa mia attorno al negozio girava una brutta pubblicità ma non potevo. Mi morsi il labbro fra i denti incitando Susanna ad accelerare i tempi mentre io sfregavo con forza pur di cancellare gli aloni e i pettegolezzi. Dopo quella che mi parve un'eternità le due donne sparirono dal negozio ed io mollai la presa sul labbro. Riposi nel bagno il panno e lo sgrassatore, mi sciacquai le mani nel lavandino cercando coraggio nell'immagine riflessa allo specchio. Non vi era scelta. Avevo riflettuto a lungo nei giorni precedenti e presentare le mie dimissioni sembrava l'unica idea sensata che mi era venuta in mente. Ponderare i pro e i contro sul momento fu preoccupante, in quanto i contro vincevano su tutta la linea ma mi convinsi che lo facevo per il bene di tutti. Non potevo immaginare che la faccenda della rapina avrebbe riscosso tanto interesse mediatico. La notizia occupava le prime pagine dei quotidiani locali, non vi era caffetteria, giornalaio, barbiere in cui non fosse reperibile un giornale che riportasse per intero la vicenda ma la cosa più assurda è che a capeggiare trafiletti su trafiletti di questa storia vi era sempre l'immagine di me e il ragazzo della cannuccia insieme. Molte testate mirarono come obiettivo al lato tenero delle persone architettando la roccambolesca storia d'amore dalla trama scadente con noi due come protagonisti. Il culmine però arrivò un martedì con il notiziario delle 13:00. La giornalista trattenendo le risate lanciò l'ennesimo servizio sulla rapina con l'aggiunta, a suo parere “esclusiva”, delle registrazioni del fatidico giorno. All'inizio mi sembrava uno di quei film in bianco e nero degli anni '50, i commessi spaventati, i malviventi con le pistole finte ma quando l'inquadratura si spostò su di me mi stupii di non sentire un motivetto da circo equestre in sottofondo. Maia indicava il televisore quasi ci fosse Michelle Pfeiffer sullo schermo. Fui vicina alla morte per soffocamento quando vidi me stessa a gambe all'aria sull'asfalto e l'espressione tesa del ragazzo/ladro con la cannuccia mentre si abbassava per sincerarsi delle mie condizioni intanto che il cronista faceva strani commenti sulla natura del nostro rapporto e sulla mia comica caduta. Al termine del servizio la giornalista in studio era in preda ad un eccesso di risa camuffate da acuti attacchi di tosse. Sospettavo che anche il mio compagno di sventure si stesse sbellicando da qualche parte. I colpi di tosse furono nulla in confronto ai numerosi servizi su noi due. Certo ammettevo che vedendo quelle immagini era facile cadere in errore ma non mi sarei mai aspettata la follia che ne susseguì. In un paese romantico per eccellenza come il nostro dove sole, cuore e amore facevano da cornice alle più improbabili storie d'amore, nacquero su alcuni social-network, fanpage dedicate a me e al ladro gentiluomo, gruppi su facebook, delle fan-fiction tanto che alla fine non mi sarei sorpresa di ricevere la proposta di girare un film incentrato sulla nostra “non-storia”. Allora si che il ragazzo/ladro con la cannuccia avrebbe attaccato il passamontagna al chiodo e si sarebbe goduto la bella vita! Peccato che questa celebrità indesiderata aveva soprattutto risvolti negativi come le voci che mi vedevano come una possibile complice che aveva finito col gettare fango sulla serietà del negozio o l'essere diventata lo zimbello della città. Se qualcuno mi incontrava per strada finiva sempre col dire: ma tu sei la commessa della tv! O peggio: deve essere dura per lei stargli lontano non è vero? Non rispondevo mai a queste domande perché prima ancora che me le ponessero io ero bella e schizzata per la mia via. Un conto però era la fama del mio amore impossibile con il ragazzo con la cannuccia un altro era che le maldicenze su di me pesassero sugli affari del negozio. Bussai alla porta ed entrai senza attendere nessun invito, dietro la scrivania dalle fattezze di un banco di scuola, Sonia se ne stava ricurva su un documento di fianco al marito seduto con la fronte aggrottata. Appena mi videro alzarono il capo contemporaneamente. L'espressione di Sonia era impensierita e qualcosa mi suggerì che avesse a che fare con i conti che non quadravano. Indugiai a mezzo metro dalla sedia.

<< Scusate se vi disturbo ma dovevo parlarvi >> annunciai, l'urgenza nella mia voce non passò inosservata a Sonia che mi rivolse un'occhiata preoccupata.

Si raddrizzò: << Certo Ariel, accomodati >> mi fece segno di sedermi sulla stessa sedia sulla quale un mese addietro affrontavo il colloquio tutta accaldata e gocciolante, un'ondata di amarezza mi investì al pensiero che anche quella volta non ero riuscita a tenermi stretto il posto per più di un mese.

<< Forse è meglio di no >> confessai torcendomi le mani a disagio. Sperai che non se la prendesse a male ma in quel momento necessitavo di spazio.

<< D'accordo – disse lei confusa dal mio comportamento – cosa volevi dirci? >> chiese poggiando delicatamente una mano sulla spalla del sig. Saverio, il quale, contrariamente al solito accantonò il foglio che stava visionando e mi prestò totale attenzione. Guardai entrambi sforzandomi di restare calma e impassibile.

<< So che non è corretto da parte mia comunicarvelo solo ora senza avervi dato neanche il giusto preavviso ma... >> le parole mi tremarono sulla lingua quando al limite del mio campo visivo una mano rafforzò la stretta, mi ripresi subito.

<< ... ho riflettuto a lungo in questi ultimi giorni e... >> arrancavo in cerca d'aria, me l'ero immaginata diversamente questa scena ma a quanto pare...

<< ...ho deciso di licenziarmi >> buttai d'un fiato, Sonia inspirò di scatto, il sig. Saverio si tolse gli occhiali e congiunse le mani meditabondo.

<< E' la cosa migliore per tutti >> aggiunsi accennando a un sorriso, solo che ne uscì la brutta copia. Come previsto Sonia non la prese bene. Aggirò la scrivania e in un baleno bruciò i centimetri che ci distanziavano.

<< Cara, non puoi fare sul serio >> le mie mani tra le sue << ormai sei parte di questa grande famiglia non puoi andartene >> mi si formò un nodo in gola, era questo il motivo per cui avevo bisogno di spazio, le emozioni mi travolgevano e oscillavo tra i ripensamenti ed io non ero lì per tornare indietro.

<< Non posso più restare qui, non se voglio evitarvi la bancarotta >> Sonia scosse la testa in disappunto.

<< Non sai cosa stai dicendo, chi ti ha messo queste strane idee in testa? >> era convinta che mi stessi sbagliando, per un istante mi sembrò di discutere con mia madre.

<< Nessuno >> risposi fissandola in quegli occhi da cerbiatto che mi avevano colpito sin dalla prima volta << ...ma non serve il bilancio della settimana per capire che se gli affari continuano di questo passo sarete costretti a mandare tutti a casa >> sussultò. Avevo ragione i miei sospetti erano fondati. Sonia non si arrese.

<< Non è affar tuo la gestione del negozio, non addossarti responsabilità non tue >> era proprio questo il punto, anche se indirettamente il destino dei miei colleghi, di Sonia, del sig. Saverio dipendeva da me, semplicemente non potevo comportarmi da egoista. Se licenziarmi significava di nuovo clienti in negozio, allora lo avrei fatto. Si voltò senza lasciarmi andare per chiedere aiuto al marito.

<< Diglielo anche tu Saverio >>. Il povero sig. Saverio non disse nulla, il suo sguardo sconsolato valeva più di mille parole.

<< Ho preso la mia decisione Sonia >> dissi per salvarlo dall'imbarazzo, Sonia tornò a osservarmi. Era visibile il tormento che l'affliggeva: il desiderio di tenermi con sé e la voce della ragione che le suggeriva che andarmene era la scelta giusta. Sospirò, le braccia le ricaddero lungo i fianchi inerti. Mi avvicinai e l'abbracciai.

<< Non preoccuparti – le mormorai roca, la gola mi doleva – verrò a trovarvi spesso >> era la verità. Sentii la divisa inumidirsi all'altezza della spalla.

<< Ci mancherai >> sussurrò Sonia con voce strozzata, guardai il soffitto mordendomi la guancia, la diga che avevo dentro minacciava di cedere e di allagare l'intera stanza da un momento all'altro. La strinsi un'ultima volta e mi scostai per guardarla in volto.

<< Anche voi mi mancherete >> ammisi sorridendole, guardai oltre la sua spalla e incrociai lo sguardo del sig. Saverio, sembrava combattuto, serrava le labbra in silenzio. Avevo imparato a conoscerlo e anche se non era mai stato un tipo di molte parole sapevo che dietro quella facciata burbera e dura si nascondeva un uomo pieno di sentimenti, perciò supposi che la mia assenza gli avrebbe procurato se non tristezza se non altro un po' di nostalgia. Gli rivolsi un cenno del capo che aveva tutta l'aria di un inchino.

<< Allora... - mi schiarii la voce - finisco il turno e saluto tutti >> non era una domanda, Sonia non mi ascoltò, si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Mi accinsi ad uscire quando il sig. Saverio mi chiamò: << Ariel? >>

<< Si? >> mi voltai, gli occhiali erano tornati al loro posto. Si schiarì la gola: << E' stato un piacere lavorare con te >> annuii, l'emozione si attorcigliò come un serpente alla bocca dello stomaco. Ero felice. In quel posto non lasciavo solo cocci di vetro o l'eco dei rimproveri del sig. Saverio, no. In quella stanza, per quei corridoi, dietro quella cassa ci sarebbe sempre stato un pezzetto di me. Chiusi la porta alle mie spalle e tirai un sospiro. Avrei dovuto ricominciare daccapo. L'alba di un nuovo inizio si stendeva all'orizzonte. Chissà cosa mi avrebbe riservato stavolta il futuro.

 

 

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Era trascorsa una settimana dal giorno in cui avevo rassegnato le mie dimissioni. Ero ufficialmente disoccupata, (ah per la cronaca sospetto, anzi ne sono certa che qualcuno deve avermi scagliato contro una maledizione perché anche stavolta sono stata licenziata dopo un mese esatto), sette giorni passati in una sorta di silenzio stampa. Non mi smuovevo dal letto se non per starmene sul divano e non mettevo naso fuori dall'appartamento se non per salire in terrazza a stendere il bucato. Era il massimo che potessi fare. Maia e Angelica erano preoccupate per me anche se non lo davano a vedere. Dalla sera in cui ero rientrata con gli occhi lucidi e una vaschetta di gelato con i nostri gusti preferiti fra le braccia, mi erano rimaste accanto. A loro avviso ero ammalata. Influenzata per la precisione. La mia di malattia portava solo il nome. Niente che prevedesse la dura lotta dei miei anticorpi contro un virus malvagio. Il malessere che provavo intaccava sfere che neanche i grandi luminari nel campo della scienza erano in grado di guarire: lo spirito.

Ero spenta. Per citare Maia ero il carnevale di Rio ma senza carnevale: una palla. Non potevo darle torto. Le giornate si rincorrevano uguali fra loro. La mattina mi svegliavo per fare un salto in bagno, tornavo a dormire fino all'ora di pranzo, pranzavo, mi rimettevo a letto, guardavo un po' di tv sul divano in salotto, cenavo e tornavo a dormire. Ah dimenticavo... non rispondevo alle chiamate di mia madre. Non me la sentivo di affrontarla. Non ero ancora pronta a reggere le sue prediche, su quanto fosse poco adatto a me quel lavoro, che era un'idea insensata andare a vivere da sola, la mia cocciutaggine a non accettare gli incarichi che mi offriva... Non volevo sentirmi una bambina, perché, siamo sinceri, è così che mi vedeva mia madre. Una bambina a cui piaceva giocare a fare l'adulta e che aveva finito con lo sbagliare tutto. La verità è che non ero più sicura delle mia scelta, sapevo che andarmene fosse la cosa più giusta da fare in quel momento ma di tanto in tanto mi sorgeva il dubbio di aver commesso un terribile errore, di essere stata troppo impulsiva. Non riuscivo ad ammetterlo con me stessa ma forse più che un atto di altruismo il mio è stato un atto di pura vigliaccheria. Se solo fossi stata più coraggiosa, se solo non avessi dato importanza ai pettegolezzi. No, mi zittì la vocina nella mia testa, la tua è stata una decisione matura, eri consapevole che la tua presenza lì gravasse sull'immagine del negozio! Sbuffai esasperata. Per fortuna avevo le mie amiche a tirarmi su il morale. Mentre vivevo in una specie di status zombiano, Angelica e Maia non mi lasciarono sola un istante nel vero senso della parola. Ogni pretesto era buono per rimanere in casa e coinvolgermi in qualche folle attività: dalla maratona di episodi di Dawson Creek alla ceretta alle gambe simultanea (io strappavo le strisce a Maia, Maia le strappava ad Angelica che a sua volta le strappava a me) ai trattamenti terapeutici di Maia per rimettere a posto il mio chakra che a suo dire schizzava fuori dal mio corpo come pus da un brufolo. Mi limiterò a informarvi che oltre alle dolorose cure fisiche ed estetiche che mi strappavano alla mia miserevole autocommiserazione, il resto fu del tutto inutile al ché se ne dovettero accorgere anche loro. Mi sentivo tremendamente in colpa. In qualche modo le avevo costrette a seguire una vita da recluse, Angelica non vedeva Andrea da giorni e Maia si era data malata per starmi accanto. Se poi a questo si aggiungevano le imboscate di mia mamma a cui entrambe erano sottoposte per evitarmi di incontrarla ero in debito con loro per l'eternità.

Mi sistemai comoda sul divano piegando le gambe sotto di me e abbracciando il cuscino con i ricami all'uncinetto. Era pomeriggio inoltrato, tutte tre ce ne stavamo a guardare la tv in salotto. O meglio io fissavo lo schermo del televisore mentre Angelica e Maia osservavano me di sottecchi. Mandavano in onda un episodio de La vita secondo Jim. Mi ero persa buona parte delle battute finali ma preferivo di gran lunga vedere Jim farsi strada in mezzo a quella catena di equivoci piuttosto che pensare alle loro occhiate poco nascoste. Fu sufficiente ascoltare il silenzio assordante dei loro respiri per intuire la postura rigida con cui sedevano tese attorno al tavolo. Okay mi sarei concessa il tempo dei titoli di coda per prepararmi al loro assalto. Quando l'ultimo nome dell'infinito elenco di persone della troupe televisiva scomparve sul quadro nero, ci voltammo in sincrono. Non le diedi nemmeno il tempo di spiccicare le labbra che già ero in piedi all'altro capo della stanza dicendo: << Vado un attimo in bagno >> e me ne corsi con la coda tra le gambe. E va bene non ero ancora preparata. Rimasi appoggiata con la schiena alla porta del bagno per un tempo che ritenni sufficiente, feci scorrere l'acqua del rubinetto e preso un profondo respiro, uscii. Dal soggiorno risuonò il gingol del telegiornale delle 18:00 così mi affrettai (a proposito era una settimana che avevamo smesso di sentire i notiziari locali), quando fui a portata d'orecchio e di occhi, per poco la mascella non mi cascò sul pavimento a mattonelle stile anni '50. Mi ci volle un secondo per riconoscere le immagini alla televisione. Era una rapina. La rapina avvenuta nel mio negozio e poi c'ero io. Non.Ci.Posso.Credere.

Non era stato già abbastanza umiliante sbattere la mia faccia su tutte le tv locali, ora finivo anche su una rete nazionale? Era sconcertante e avvilente allo stesso tempo che addirittura il nonno di Heidi in montagna conoscesse la mia imbarazzante storia. Quanto sarebbe durato tutto questo? Quanto avrei dovuto ancora aspettare per tornare alla mia vita senza preoccuparmi di mostrarmi in pubblico? Angelica bisbigliò a Maia di spegnere immediatamente prima che io rientrassi. Temevano che la cosa potesse turbarmi. Ero davvero fortunata ad avere amiche come loro, pensai. Non volevo farle preoccupare, glielo dovevo, perciò presi un profondo respiro, mi ricomposi ed andai a sedermi al mio posto fingendo di ignorare quanto appena successo nella stanza. Spostai lo sguardo da loro alla televisione e viceversa in attesa di una spiegazione. Chissà se mi avrebbero detto la verità?

<< Non c'era niente di interessante >> si affrettò a spiegare Maia.

<< Oh, d'accordo >>

<< ...davvero niente di importante >> aggiunse lei sempre più nervosa.

<< Capito >> risposi io annuendo. Povera Maia, mantenere i segreti non era mai stato il suo forte.

<< ...nulla che ti riguardasse, - continuò incapace di tenere a freno la lingua – insomma... non sei comparsa sul serio su uno dei più importanti canali dell'intero paese... Ah! >> gridò all'improvviso Maia quando Angelica le mollò uno schiaffo sul braccio. La guardò furente massaggiandosi la parte lesa << Ma che ti è saltato in mente? Sei impazzita? >>

<< Avevi una zanzara che si stava abbeverando del tuo sangue, dovresti ringraziarmi >> ribatté Angelica per niente dispiaciuta.

<< E per quale motivo? >>

<< Per averti salvato da una nottataccia all'insegna del prurito, mi sembra chiaro >>

<< Ma... >> iniziò a protestare Maia, Angelica non le prestò ascolto, si concentrò su di me: << Quello che stava cercando dire prima Maia è che potremmo approfittare di questa occasione per fare quattro chiacchiere noi tre sole che ne dici? >> era arrivato il momento non mi era più permesso scappare.

<< Sì >> intervenì Maia ancora imbronciata << ...così per passare un po' il tempo, ti va? >>

<< Va bene, parliamo >> sospirai. Per un attimo mi sembrò di vederle esultare. Angelica si sporse sul tavolo e mi guardò seria con le mani intrecciate, per un breve attimo mi sembrò di ritrovarmi davanti alla commissione agli esami di maturità.

<< Non mi perderò in inutili giri di parole >> annunciò << perciò sarò schietta: hai intenzione di continuare a vivere in questo modo? >> ammiravo la franchezza di Angelica, non era il genere di persona a cui piace girare intorno alle cose, arrivava dritta al punto nel bene e nel male.

<< No >> risposi decisa << ho solo bisogno che passi un po' di tempo, che la gente dimentichi >>

<< E quanto credi che ci vorrà? Due settimane? Tre mesi? Un anno? >> la punta di sarcasmo che lessi nella sua voce mi infastidì, sapeva benissimo che in una città come la nostra dove tutti si conoscono, i pettegolezzi rimanevano sulla bocca di tutti fino a quando un fatto ancora più sconvolgente non prendeva il posto di quello precedente.

<< Non lo so >> confessai controvoglia << Per adesso il mio obiettivo è starmene qui buona buona in attesa che si calmino le acque senza creare ulteriori casini. Non mi sembra di agire in maniera sbagliata >>

Sbuffò: << E' questo il punto >> i suoi occhi verdi fiammeggiarono << Non fai nulla. Non sei più tu >> le parole colme di rabbia trattenuta aleggiarono per la stanza indisturbate depositandosi nel mio cervello.

<< Cosa vuoi che faccia allora? >> domandai esasperata. Lei si avvicinò sedendosi accanto a me sul divano. Mi portai le braccia al petto soffermandomi di sfuggita sul suo aspetto. C'era qualcosa di selvaggio in lei, lo avvertivo dal modo in cui mi stava guardando in quel momento, con le sopracciglia leggermente ravvicinate e gli occhi pieni di determinazione, o forse erano i ricci che le incorniciavano il viso abbronzato a darle quell'aria indocile.

<< Sii te stessa! >> esclamò come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Inarcai un sopracciglio scettica.

<< Avanti schioda da questo divano, rimboccati le maniche, usciamo! Che ne è stato della casinista rompipalle della mia amica? >>

<< Angelica! >> la rimbrottò Maia venendo verso di noi e cadendo a peso morto sulla poltrona di fronte.

<< Okay – alzò gli occhi al cielo - volevo dire: casinista rompiscatole della mia amica, contenta? >>

<< In realtà mi riferivo alla mia, forse intendevi dire: che ne è stato della casinista rompipalle della nostra amica? >> la corresse Maia con espressione canzonatoria.

<< Sì sì come vuoi tu >> la tolse di mezzo con un gesto della mano per poi voltarsi di nuovo verso di me

<< Detesto quando fa la maestrina >> mi confidò nonostante Maia fosse a pochi centimetri da noi intenta a studiarsi le unghie replicò: << E' quello per cui mi sto laureando cara >>

<< Tornando a noi – fece ignorandola – Ariel so come ti senti, davvero, e mi dispiace. Questa “cosa” >> e mimò le virgolette << ... è stata ingigantita dai media, dalla gente. Ma tu sai che sono tutte menzogne, tu hai la coscienza pulita amica mia >> accennai a parlare ma mi bloccò, devo concederglielo ce la stava mettendo tutta per convincermi.

<< Hai paura che le persone possano riconoscerti e del loro giudizio e allora, cosa te ne importa? Quanti politici combinano delle vere e proprie schifezze eppure camminano per strada a testa alta? Invece tu che sei stata vittima delle circostanze ti punisci per colpe non tue! >> sentivo le lacrime pungermi gli occhi, adoravo la ragazza che avevo di fronte. Sapeva sempre come prendermi nonostante per tutto quel tempo mi fossi comportata come una bambina di due anni.

<< E sai una cosa? Con questa grande epopea che si è creata attorno a te e quel ladro con la cannuccia, che fra l'altro non è niente male, ma ricordati qui lo dico e qui lo nego, hai fatto guadagnare un bel po' di soldi a quei trafficanti dell'informazione >> sorrisi con la vista annebbiata.

<< Anzi dovrebbero essere loro a pagare te >> mi sforzai di non ridere ma lei continuò << Puoi considerarla come la tua buona azione della giornata >> scherzò ed io non riuscii a frenare le risate che mi nacquero dalla pancia. Anche Maia rideva e per la prima volta in quella settimana mi sentii libera di un peso.

Angelica mi abbracciò << Quanto mi è mancata la tua risata >> sorrise fra i miei capelli. << Anche a me >> mi scostai, per un attimo parve essere tornato tutto come prima, quando la sua espressione guardinga mi suggerì che non aveva ancora concluso.

<< Bene adesso che abbiamo appurato questo punto. Ce n'è un altro che vorrei affrontare con te >> inconsciamente mi irrigidii, mi girai in direzione di Maia, l'espressione innocente che le si dipinse sul volto mi confermò che stavamo per affrontare un discorso per niente piacevole.

<< Ah si? >> domandai con voce stridula.

<< Certo >> annuì con un sorriso felino, Dio mi metteva i brividi, sembrava il gatto che giocava con il topo, e non tutti i topi erano furbi come Jerry.

Proseguì: << Maia ed io – e qui si scoccarono un'occhiata a vicenda - non abbiamo creduto, nemmeno per un secondo, che il motivo per cui soffrissi fosse solo ed esclusivamente il lavoro... >> oh, oh! Voltai di scatto la testa quando fu Maia a parlare, era come se quelle due avessero provato già in precedenza quella conversazione. L'istinto mi disse che ero in trappola.

<< ...perciò: c'è qualcosa che vorresti confessarci? Lo sai che noi siamo le tue amiche del cuore... > il tono mieloso con cui pronunciò ogni sillaba mi fece venire il diabete.

<< Cosa state insinuando voi due? >> distesi le gambe e incrociai le braccia al petto indispettita.

<< Che ti piace qualcuno, magari un... fusto? >> domandò retorica Angelica con un vago sorriso sornione. Avvampai di botto. Sgranai gli occhi per lo shock: << E tu come fai a saperlo? >>

<< Monologhi notturni tesoro >>

<< S-stai dicendo che parlo nel sonno? >> balbettai sempre più sconvolta. Giuro che non avrei retto una risposta affermativa.

<< Mmm mmm >> assentì lei sorridendo apertamente di fronte alla mia espressione sbigottita, dovevo essere uno spasso.

<< Impossibile io non ho mai parlato nel sonno, neanche da piccola, devi aver sentito male >> era una spiegazione plausibile, insomma lo avrei saputo se di notte mi mettevo a far discorsi senza senso col rischio di essere ascoltata da mia madre e mio padre, no?

<< Ci sento benissimo ed è qui che sbagli, – disse puntandomi un dito al petto - tu hai sempre chiacchierato nel sonno, persino i tuoi ne erano a conoscenza! >> esclamò sicura con gli occhi che le brillavano divertiti. Mi rifiutavo categoricamente di credere a una simile idiozia, era come accettare di aver sbandierato i miei segreti per anni senza il mio permesso, almeno conscio intendo.

<< Ammesso e non concesso che abbia parlato nel sonno – le sfidai – avete appena detto che parlavo di un fusto, non è così? E cosa ci sarà mai di strano? Vi faccio presente che alcune sere fa a Superquark hanno trasmesso un documentario sulle sequoia in America perciò è palese che il mio inconscio deve aver elaborato tutte le informazioni per poi memorizzarle mentre dormivo >> le spiegai il mio punto di vista. Le due si scambiarono un'occhiata e iniziarono a ridere come matte. Immaginai le loro urla riecheggiare lungo la tromba delle scale e il sig. Giovanni chiamare la Neuro.

<< Non c'è niente da ridere >> le rimproverai stizzita ma quelle due si sbellicavano dalle risate ancora di più.

<< A-Ariel – singhiozzò Angelica in preda alle lacrime – tu... tu mi farai morire >>

<< Altro che alberi...e... e fotosintesi clorofilliana >> le andò appresso Maia stropicciandosi la faccia ormai orizzontale sulla poltrona.

<< Siete insopportabili ve lo garantisco >> mormorai mentre loro ci davano dentro con un altro attacco di ridarella. Aspettai furente che si calmassero. Avevo bisogno che fossero serie per indagare sulla faccenda. Una volta che Angelica si ricompose e Maia tornò in posizione verticale le domandai: << Visto che non mi credete allora sentiamo, che cosa avrei blaterato? >> apparentemente la mia voce era decisa ma dentro di me il cuore batteva all'impazzata. Angelica poggiò i gomiti sulle ginocchia e mi squadrò serena, non vi era più traccia della follia di poco fa.

<< Niente di piccante! >> mi rassicurò come se fossi il tipo da pensare a certe cose << Emettevi perlopiù suoni inarticolati, ma ripetevi di frequente: lo sconosciuto, il fusto ed eri fissata con certi occhi di ghiaccio, davvero ne eri ossessionata e poi farneticavi di acquerelli e pan di stelle >> raccontò alquanto dubbiosa mentre la mia salivazione aveva raggiunto i livelli critici. Altro che discorsi nel sonno questi erano dei veri comizi! Argh! Non aveva alcun senso continuare a nasconderlo. All'inizio me l'ero tenuto per me perché volevo aspettare di instaurare un po' di confidenza con lui ma poi con la storia del licenziamento mi era parso inutile metterle al corrente del ragazzo del negozio dato che non vi era la possibilità di rivederlo a meno che non mi accampassi notte e giorno davanti al supermercato. Senza rendermene conto le avevo servito su un piatto d'argento i miei pensieri più intimi che mi avevano tormentato per tutto quel tempo.

<< Anche se io non ho ben capito se il fusto e lo sconosciuto siano la stessa persona >> commentò Maia grattandosi la testa confusa. Sospirai rassegnata: << Sì, ma è una lunga storia >> annunciai.

Sorrise entusiasta: << Siamo tutte orecchi! >>

Scrollai il capo divertita, mettendo ordine ai pensieri. Da dove cominciare? Nel momento in cui la storia spingeva sulla punta della lingua per essere narrata, il campanello suonò ed io ringraziai chiunque fosse di avermi salvato in corner, augurandomi che non fosse mia madre.

 

 

  
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