Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    25/06/2017    1 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Passò un’ora, forse di più: aveva perso la cognizione del tempo. Lo sguardo basso, gli occhi spenti, la camicia macchiata di sangue e il viso stravolto: rientrò in queste condizioni nella stanza. Gli ultimi bagliori del fuoco, ormai in procinto di spegnarsi, gli permisero di scorgere la sagoma di Anna, assopita su di un misero pagliericcio addossato alla parete dalla parte opposta della finestra. La stanchezza aveva vinto la ripugnanza per quello squallido giaciglio e così vi si era stesa, stando ben attenta ad evitare di sporcare eccessivamente la sua veste elegante. Aveva lottato a lungo contro il sonno per tenere aperte le palpebre, in attesa di Antonio, ma all’ultimo aveva dovuto cedere. Il medico stette perciò attento a non fare troppo rumore, si diresse in fondo alla stanza in punta di piedi.  Rannicchiata contro la parete umida e fredda, Anna tuttavia si destò dal suo dormiveglia al rumore dello sciacquio provocato dall’acqua nel catino. Antonio, levatosi la camicia sporca, si stava lavando via insieme al sangue i segni di quegli spiacevoli momenti. Lo intravvide mentre a torso nudo si passava l’acqua sul torace, immergeva le braccia fino al gomito e infine tuffava tutta la testa in quell’acqua fredda, quasi a voler scacciar via i pensieri.

-Antonio, che succede? – lo chiamò con voce assonnata.

Lui sollevò il capo, mentre i capelli gli grondavano rivoli d’acqua gelida sul collo e sul petto. Aveva uno sguardo sperso, come di chi abbia guardato in faccia la morte. Non parlò per qualche istante, si limitava a fissare il vuoto. Anna si mise a sedere, si passò una mano sugli occhi assonnati e lo osservò. Non riusciva a comprendere che cosa gli fosse successo, non gli riconosceva quello sguardo avvilito, disperato. – Non ce l’ho fatta – farfugliò poi Antonio, scuotendo la testa– ho fallito.

-Che significa? Che cos’è successo? Spiegami, Antonio, per favore! – lo incalzò Anna sempre più ansiosa. Non gli tolse mai gli occhi di dosso mentre lui si asciugava alla bell’e meglio, prendeva una camicia pulita, la abbottonava. Sempre in silenzio. Sempre fissando terra. Senza mai riuscire a guardarla in faccia.

- Mi stai facendo preoccupare! Parla, Antonio! –

Si avvicinò lentamente, si sedette accanto a lei sul pagliericcio e si prese la testa fra le mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

-E’ morto. Non sono riuscito a salvarlo. – disse infine d’un fiato, lo sguardo a terra.

Anna lo fissava senza saper cosa dire, attendeva che fosse lui a rivelarle come si erano svolte le cose.

-Era una ferita lieve, due giorni fa. Poi si è infettata. L’ho sottovalutato, è stata colpa mia. E adesso quell’uomo è morto. Per distrazione, per superficialità. – spiegò, scuotendo amaramente il capo.

- Non posso credere che tu abbia agito con superficialità. Da come ti conosco, mi sento di escluderlo. Avrai fatto tutto ciò che in tua coscienza ritenevi si dovesse fare. Non è colpa tua, è stata una fatalità. Non avresti mai potuto prevederlo – cercò di consolarlo Anna. Si rese conto di quanto profonda fosse la sua costernazione e volle in ogni modo alleviare quel suo dolore. Gli si avvicinò, gli passò una mano sulla spalla, sui capelli ancor grondanti di quell’acqua gelida.

- Non è certo la prima volta che mi trovo faccia a faccia con la morte e non sarà nemmeno l’ultima. Ma ogni volta è come se fosse la prima. Quel senso di inutilità, di impotenza, di vanità del tutto…è tutto inutile quel che possiamo fare, la morte l’avrà sempre vinta. –

- Non dire così, Antonio, non dire così – lo rincuorava Anna, continuando ad accarezzargli i capelli, abbracciata a lui, intervallando le parole con leggeri baci alla sua spalla. Non sopportava l’idea di vederlo in quello stato. Non lui così appassionato del proprio lavoro, così solerte, così fiducioso, così generoso. Lui che le dava la forza per andare avanti nonostante tutto.

Il dottore si voltò con un sorriso mesto ma riconoscente. Le afferrò una mano:

-Ricordo come fosse ieri quando mi morì sotto gli occhi il mio primo paziente. Non scorderò mai quello sguardo vacuo e muto che invocava aiuto, quegli occhi sbarrati dal terrore, le labbra livide, le mascelle tremanti. Non potei far nulla, non era in mio potere. Dovetti lasciarlo andare, come lasciai andare mia madre, constatando l’inutilità di tutte quelle notti insonni passate sui libri. Di fronte alla morte non siamo nulla, il nostro sapere non è che polvere al vento. Certe volte mi chiedo se serva a qualcosa quel che faccio…-

- Sei il medico migliore che conosca. La tua perizia è pari alla tua umanità e non c’è nessuno che le possegga entrambe al tuo livello. Non ti importa chi sia a chiederti aiuto, tu sei sempre pronto ad aiutare chiunque abbia bisogno. Non ti tiri mai indietro, dai l’anima per i tuoi pazienti. Nessuno è infallibile, Antonio. Tu non devi rimproverarti nulla. Se c’è una persona seria e scrupolosa nel proprio lavoro, quello sei tu. Non t’ho mai detto quanto sia grande la mia ammirazione per il medico e, forse, nemmeno quanto sia profondo il mio amore per l’uomo –

Il sorriso che Antonio le regalò questa volta fu un sorriso pieno, spontaneo, raggiante, destinato a colei che per un attimo era riuscita a fargli dimenticare i fallimenti, le sconfitte della sua scienza e persino l’ineluttabilità della morte. La marchesa gli rispose sfoggiando a sua volta un bellissimo sorriso, raro e perciò prezioso, uno di quelli che riservava solo a coloro che più amava. Incontrando lo sguardo di Antonio, i suoi occhi scuri brillavano ancor più lucenti del solito nella semioscurità di quel posto spoglio, umido, gelido che in quel momento le sembrava però più splendido di una reggia.

-Che cos’avrò mai fatto di buono nella vita io, un povero medico disgraziato, per meritarmi una donna come te? – le chiese mentre avvicinava il viso al suo per poter studiare meglio quei suoi splendidi occhi luminosi.

- Non farmi domande di cui conosci già la risposta. Ti amo. Ti basti questo. – rispose lei sfiorandogli una guancia.

Antonio la baciò appassionatamente, poi si abbandonò fra le sue braccia, nascondendo il capo fra il collo e la spalla di Anna. Aveva bisogno della sua vicinanza, in quel momento, aveva bisogno di tutto il suo calore.

-Sei freddo! – esclamò ridendo lei al contatto dei capelli fradici con la sua pelle. In effetti Antonio tremava il quel momento, per il freddo, per l’emozione o per entrambe le cose. – Ti prenderai un malanno, dottore. E lo farai prendere anche a me-

Se ne sarebbe dovuta andare già da un bel po’, il mattino si avvicinava. Ancora qualche ora e Alvise si sarebbe accorto della sua assenza, avrebbe smosso mari e monti per cercarla, sarebbe giunto fin lì al monastero, creando ancor più scompiglio. La situazione era già abbastanza tesa: l’indomani con tutta probabilità le guardie del governatore avrebbero fatto sgombrare i ribelli, li avrebbero arrestati, o peggio. Forse se la sarebbero presa anche con Antonio, non era del tutto convinta che le cose stessero come lui le aveva assicurato. Non avrebbe mai dovuto fermarsi lì così a lungo, esponendo Antonio a pericoli ancor maggiori, se suo marito li avesse trovati insieme: aveva ascoltato il discorso pieno di rancore e di squallide insinuazioni con cui Alvise aveva tentato di convincere l’abate di un coinvolgimento del medico nella rivolta per farlo così arrestare. Non avrebbe mai dovuto farsi trovare in quel luogo e aizzare ulteriormente le ire del marchese, ma non se la sentiva di lasciare da solo Antonio. Non in quel momento. Ancora mezz’ora, si concedette.

 

 

 

Antonio intanto si era alzato per prendere una vecchia e ruvida coperta rammendata in più punti che si trovava appoggiata sullo schienale della sedia. Il braciere si spense del tutto, né lui si curò di ravvivarlo. La stanza era piombata nell’oscurità e nel freddo, che gli spifferi dalle grate alle finestre contribuivano a far sentire ancor più. Fuori infuriavano il vento e la pioggia.

-Non c’è nulla di meglio, i monaci abbracciano una vita frugale, a quanto pare. Non si concedono nemmeno una coperta decente…mah, faranno penitenza in questo modo- constatò ironico tornando a sedersi accanto ad Anna e avvolgendo entrambi con quella tela ruvida, a cui la marchesa non era per nulla avvezza, ma che, stranamente, sembrò accettare di buon grado. Seduti su quello scomodo pagliericcio sgualcito che lasciava intravvedere la paglia in più punti, addossati ai mattoni umidi e freddi della parete, nel totale silenzio e oscurità di quell’ora antelucana, cercavano di scaldarsi a vicenda tenendosi stretti. I loro pensieri non andavano al mattino seguente, ai pericoli a cui sarebbero stati esposti, allo stato di incertezza che avvolgeva ogni cosa in quei giorni di disordini e sovvertimenti. Stavano sospesi tra un presente fragile ma felice, poiché, pur nello squallore di quel luogo, per quanto sacro fosse, concedeva loro qualche prezioso quanto fuggevole attimo di serenità, e un passato magnifico, reso ancor più tale dal ricordo inebriante della gioventù. E la loro memoria correva, si astraeva dalle miserie del presente, dalle angosce del futuro e riandava a quei tempi in cui tutto era ancora possibile, in cui nulla era stato ancora sciupato da errori, mancanze, ripicche.

- Ti notai subito, quella sera, quando ti girasti chiamato da tua madre. I tuoi modi gentili, un po’ impacciati. Quant’eri bello, pensai. Non c’era nessuno che ti assomigliasse. Gli altri giovanotti amici di mio fratello erano prestanti, bellocci, e anche galanti, ma erano troppo fanfaroni, non avevano la tua raffinatezza. Mi stupii della tua timidezza, devo ammettere. Non riuscisti nemmeno a guardarmi negli occhi quando ti porsi la mano, diventasti rosso e fissasti per un bel po’ il pavimento -

- Allora te ne ricordi anche tu? Ed io che pensavo di essere l’unico a non poter dimenticare quella sera… E ti eri pure accorta dell’effetto che avevi avuto su di me? Per tutti questi anni ho sperato il contrario! – concluse Antonio sorridendo divertito.

- Come avrei potuto dimenticare? E, certo, me ne accorsi. Mi sembrò di avere a che fare con un tipo po’ insolito nei salotti che frequentavamo io e mio fratello, un tipo molto timido e poco loquace. Ma non mi illusi certo di essere io la causa di questo atteggiamento –

- Oh, qui non ti credo, Anna. Non posso pensare che tu non fossi cosciente del fascino che esercitavi su tutti gli uomini presenti. Tutti si voltarono a fissarti al tuo passaggio quando entrasti nella sala, tutti. Me lo ricordo benissimo. E non sarebbe potuto essere diversamente. Eri bellissima. Unica nel tuo incedere elegante, nei tuoi saluti schivi ma cortesi. E quei tuoi occhi così lucenti, bè, quei tuoi occhi mi vinsero. Eri troppo per me: ero un ragazzo molto timido e pieno di pregiudizi sulle fanciulle dell’alta nobiltà, frivole e altezzose. Capii all’istante che tu non eri così, ed è per questo all’inizio che non ressi il tuo sguardo, ma non riuscii poi a fare a meno di cercare i tuoi occhi. Mi disprezzai, allora, per la mia goffaggine! Chissà che avrai pensato di me! -

- Eri adorabile, invece! Così impacciato facevi tenerezza, devo dire che anche tua madre si imbarazzò un po’ per il tuo atteggiamento poco spigliato! –

- Oh, persino lei…-

  - Tua madre era molto fiera di te, dei tuoi studi. Ti adorava –

- Adorava te. Non faceva altro che elogiare il tuo garbo, la tua eleganza, la tua cultura. Non desiderava nessun’altra al mio fianco. Se fosse stata viva, credo che non me l’avrebbe mai perdonato. Come, del resto, non mi perdonò mai mio padre, ma per altre e ben più prosaiche ragioni: l’onore della famiglia, le terre…il suo unico figlio che rinunciava a tutto, che follia! –

Anna avvertì una nota malinconica dietro al sarcasmo con cui parlava del padre e più ancora dietro alla nostalgia con cui ricordava la madre.

- Quanto sono stato stupido! – riprese dopo qualche attimo di silenzio - Allora avevo in mente solo i miei studi, la medicina, l’uguaglianza delle classi...Non riuscii ad accorgermi fino in fondo quanto tu mi fossi indispensabile. Quando ci si deve arrendere alla sconfitta dei propri ideali, quando la scienza dimostra la sua fallibilità, quando le illusioni di poter cambiare il mondo vengono riconosciute come tali. Ho peccato di tracotanza, pensando di fare a meno di tutti, ma soprattutto di te; e sono stato un egoista ad imporre a persone innocenti le mie scelte di vita fino a spingerle all’autodistruzione –

Anna tacque. Di fronte ad una simile ammissione di colpa non era in grado di formulare una risposta. Non poteva rispondergli: perché, sì, aveva odiato quei suoi astrusi ideali che l’avevano spinto ad abbandonarla, aveva spesso avuto a noia la sua passione per la medicina che a tratti sembrava far passare ogni altro affetto umano in secondo piano. Ma, in realtà, non era forse anche per questo che lo amava? Non erano forse i suoi principi, la sua dedizione totale al prossimo, la sua abnegazione a fare di lui quell’Antonio, quell’uomo al pari del quale chiunque altro le sarebbe sembrato insignificante, meschino?

-Anna, io non sono stato in grado di comprenderti. Non fui capace di fare distinzioni. Interpretai il tuo orgoglio di classe, il senso di appartenenza alla tua famiglia come protervia. Non capii che il tuo apparente cinismo non era che un’arma di difesa nei confronti della cattiveria del mondo, di quel mondo di nobili falsi e meschini. Ti amavo, ma iniziai a far di tutto per convincermi del contrario, per convincermi di non essere io in torto nel non aver tenuto fede alla promessa. Sono stato un ingenuo a pensare di poter fare a meno di te. –

- Non ne parliamo più, Antonio. Non voglio ricordare quei tempi, non furono momenti felici. – disse scostandosi da lui bruscamente come sorpresa da un amaro déjà-vu.

- Forse hai ragione. Ma non riesco a non pensarci. Non mi pento di aver rinunciato al titolo, alle terre, al denaro. Ma a te…- disse cercando di riavvicinarsi a lei

-Basta! Non torturarmi così! Immaginare come sarebbe stata la mia vita se le cose fossero andate diversamente e ritrovarmi qui, invischiata in questo matrimonio distruttivo per me, per la mia casata. – lo interruppe stizzosa, sospirando con un’aria imbronciata, che ad Antonio tanto piaceva. Si levò di dosso la coperta e si mise a sedere distante da lui, poi iniziò a sentenziare seria, guardandolo fisso in viso:

- Non ho mai condiviso le tue idee, le tue scelte di vita. Le classi sono volute da Dio. Noi che siamo nobili abbiamo il dovere di difendere il re, di governare sulle nostre terre; i servi hanno il dovere di lavorare e di obbedire. È così che Dio ha deciso, ha affidato a ciascuno un compito in questa vita terrena. Non ci si può opporre alla Provvidenza, all’ordine che ha stabilito! È blasfemia pensare di sovvertire quest’ordine! la punizione di Dio è implacabile, e tu lo dovresti sapere! Ma adesso queste idee che arrivano dalla Francia…non so dove ci condurranno, ma certamente non prevedo nulla di buono! Come si può pensare che tutti siano uguali quando è palese il contrario? Non è possibile pensare questo, vogliono la nostra fine, la fine dell’aristocrazia…-

Antonio attese qualche istante, pensieroso, poi si apprestò a ribattere:

-Hai ragione, non tutti sono uguali. C’è chi, come per esempio tuo marito, vive di soprusi, di arroganza, di prevaricazione sui più deboli. Un uomo che non sa quanta fatica costi il lavoro e pertanto si permette di scialacquare il denaro tra gioco d’azzardo e prostitute. Un uomo che considera i suoi servi alla stregua di bestie, ma dimostra di essere lui stesso tale nel modo in cui tratta sua moglie e sua figlia. Ma lui è nobile, marchese, titolato, di antica casata…- Anna, a queste parole, non poté che esprimere il suo consenso, con una smorfia di disprezzo rivolta ad Alvise.

Antonio riprese: - E poi c’è tuo fratello Fabrizio, uomo giusto, onesto, amministratore oculato dei propri beni, umano nei confronti dei dipendenti, per quanto molto orgoglioso del suo status. E ci sei tu che, nonostante la severità che sempre dimostri a tuoi servi, nonostante gli atteggiamenti a volte sprezzanti (ne so qualcosa), hai un animo nobile, gentile, profondo: non saresti in grado di schiacciare il prossimo come fa quotidianamente tuo marito. Aristocratici lo siete tutti e tre, ma quanta la differenza! E voi due rappresentate un’eccezione, una minoranza. Prova solo a pensare agli amici di tuo marito, a tutta quella nobiltà viziosa e corrotta che affolla le tue sale. Hai ragione, non tutti sono uguali, ma la differenza non sta nel sangue, ma nell’animo: nessun blasone potrà mai concedere la facoltà di opprimere, calpestare i diritti dei più deboli –

Concluse il suo discorso e stette in attesa di una reazione della marchesa, cercando il suo sguardo, quasi a chiederle una tregua. Lei scosse la testa, poco convinta, mantenendo le distanze:

-Quello che dici è vero. Mai io sono stata educata a determinati principi e, tra questi principi, l’orgoglio del proprio titolo, l’onore della propria famiglia, il dovere nei confronti della classe di cui facciamo parte sono imprescindibili. Non potrei pensare in modo diverso senza tradire quello che mi è stato insegnato –

Negli occhi di Antonio si poté leggere un sottile timore di aver compromesso con le sue parole poco ortodosse la fiducia che Anna sembrava aver ritrovato in lui. Era pronto a precisare, a scusarsi, persino. Ma Anna riprese:

-Sono, però, consapevole anche di un’altra cosa. Del fatto che non mi importerebbe nulla di sapere se tu fossi nobile, non lo fossi più o non lo fossi mai stato. Ti amerei comunque, senza condizioni. Per quello che sei, per i tuoi ostinati principi che non condivido, per la passione che metti nel tuo lavoro, per il tuo sguardo limpido, per il tuo sorriso, per la tua generosità. Il resto non ha poi grande importanza. –

Per la seconda volta in quella notte sul volto di Antonio si dipinse un sorriso radioso, che contagiò immediatamente anche lei. Era bellissima e in quell’istante gli parve ancor più bella. Non accadeva spesso di vederla sorridere, e in quel modo poi, con quella gioia, quell’amore che le illuminava il viso, di solito pallido e malinconico, con quella dolcezza nello sguardo che riservava solo per rari momenti.

-Ti amo, Anna – sussurrò infine, smorzandole ogni altra parola sulle labbra con un bacio, l’ennesimo di quella strana, surreale notte. Ma tutt’a un tratto, tra i baci dolci e sempre più appassionati sul viso, sui capelli, sul collo, Anna si staccò da lui: - Dimmi che non succederà di nuovo, che non succederà una seconda volta –

- Che cosa…? – non riuscì a completare la domanda che la bella, forte, incrollabile marchesa scoppiò in lacrime. Un accesso violento e incontrollabile di un pianto troppo a lungo trattenuto. Piangeva per l’abbandono di tanti anni prima, piangeva per la lontananza di suo fratello, piangeva per la mancanza di sua figlia, piangeva per le violenze subite da Alvise, piangeva per la rovina di Rivombrosa, per l’angoscia per quello che sarebbe potuto accadere il giorno successivo. Ma soprattutto piangeva per se stessa, per tutte quelle volte in cui, anche in quella notte, si era mostrata coraggiosa, padrona di sé e della situazione; per tutte le volte in cui aveva dovuto ingoiare le lacrime e andare avanti per coloro che amava, sottoponendosi ad ogni sorta di abuso fisico e morale; per tutte le volte in cui avrebbe desiderato avere Antonio accanto a sé, ma aveva dovuto convivere con quel vuoto tremendo e farsi forza da sola. Non riusciva a smettere, a dominarsi, era continuamente scossa da sussulti violenti. Ad Antonio apparve per la prima volta in tutta la sua vulnerabilità, fragile, spogliata anche della sua solita difesa, l’acredine con cui lo aggrediva.

- Dimmi che non lascerai che i tuoi ideali ci separino di nuovo – riuscì a dire tra i singhiozzi. – Ho…ho bisogno che tu lo me lo dica, guardandomi negli occhi – e lo fissava, priva di ogni difesa ormai, totalmente in balìa di lui, con uno sguardo che anelava soltanto a rassicurazione.

- Non devi nemmeno pensarle queste cose! Non commetterò gli stessi errori del passato– le rispose Antonio, sempre più turbato da questa sua reazione inaspettata, afferrandola con forza per le spalle.

- Promettimi che non mi lascerai mai – ripeté lei. – Mai, Anna, mai. Te lo prometto, te lo giuro! Ma ora non piangere, non piangere più, mi fa male vederti così! – Non avrebbe mai voluto vederla piangere, in quel modo poi, ma riteneva che potesse essere un bene per lei sfogarsi, dopo tutto quello che aveva dovuto passare. Ed era contento che avesse scelto lui: gli si era abbandonata, aveva messo nelle sue mani la sua vita, la sua felicità e si era mostrata, senza più alcuna maschera, dipendente da lui. Antonio comprese la sua enorme responsabilità: non poteva tradirla. E, visto che le parole sembravano non bastarle, soffocò in un abbraccio quel pianto dirotto. Con quella sua delicatezza, con tutto il calore di cui era capace, cullandola a lungo fra le braccia, ebbe infine la meglio sull’angoscia che la attanagliava.

Passarono così l’ultima parte della notte abbracciati. Si assopirono per qualche tempo sereni: Anna abbandonata tra le braccia di Antonio, la schiena di lui addossata alla parete fredda. Finché la luce livida del mattino autunnale non si fece strada fra le grate della finestra, bagnando con il suo grigiore il pavimento, le pareti della stanza, i corpi addormentati dei due, gli occhi socchiusi di Anna.

-Ora devo proprio andare – sentenziò la marchesa, tornata quella di sempre, svegliando Antonio – abbiamo sottratto già fin troppo tempo al destino che ci attende oggi –

   
 
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