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Autore: Pruff    26/06/2017    0 recensioni
Questa è la storia di Holland, una ragazza di vent'anni alle prese con la vita universitaria. Holland è oppressa da una madre che non l'accetta per quella che è, e che la mette sempre a confronto la sorella maggiore Christine. L'unica persona che sembra apprezzarla e sostenerla è Matthew, il fidanzato di Christine.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Era una sera di metà settembre, faceva ancora caldo e un leggero vento creava un’atmosfera rilassante. Le giornate, rispetto all’estate si erano fatte più corte, mi godetti per l’ultima volta la visione del sole che tramontava dietro le case del mio quartiere. Presi distrattamente un sorso di limonata per poi la lasciare il bicchiere sul balcone. Mi lasciai sfuggire un sospiro, mi sistemai meglio le cuffiette e alzai il volume della musica sperando di smorzare la tensione di quella sera. Era da circa una settimana che non pensavo ad altro che alla mia partenza, che mi immaginavo la mia vita da universitaria. Non vedevo l'ora di partire e sentirmi un po' più indipendente; però in quel momento, seduta sul letto di camera mi sentivo stranamente spaventata dal quel nuovo capitolo della mia vita. Persa nei miei pensieri e tra le note della musica mi addormentai.

L'indomani mattina, un raggio di sole mi colpì gli occhi facendomi svegliare. Sbattei più volte le palpebre per abituarmi alla luce, controllai l’orario dal cellulare e constatai che erano le sei e mezzo. Erta ancora presto per partire ma mi alzai lo stesso, ne approfittai per riorganizzare le ultime cose e per preparami. Le valigie erano pronte, mi diedi una rapida spazzolata alla frangetta sempre in disordine e una passata di mascara. Alle otto in punto ero pronta per partire, così raggiunsi mio padre nel vialetto di casa, il portabagagli della macchina era aperto, feci per aiutare mio padre, Richard, a caricare le valige, ma lui mi fermò prendendomi il trolley delle mani.

«No lascia stare. Faccio io.» mi disse gentilmente.

Decisi di lasciarlo finire da solo, così approfittai di quei momenti per salutare mia madre. Era veramente una bella donna, snella e armoniosa; aveva i capelli castano scuro, gli occhi azzurri e taglienti,  gli zigomi alti e labbra sottili. Era una donna determinata e severa, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno e spesso risultava fredda, nonostante il suo carattere difficile le volevo molto bene. Ovviamente era al telefono con un cliente, già di prima mattina, aspettai educatamente che chiudesse la chiama, odiava quando la si interrompeva mentre era al telefono. Aveva le sopracciglia corrugate, segno che la sua telefonata non stava andando bene, infatti attaccò con stizza. Si voltò verso di me e la sua espressione corrucciata si distese in un sorriso.

«Amore, mi mancherai. Mi raccomando fai la brava. Non combinare troppi guai, tanto lo sai che lo verrò a sapere da Chris, no?»mi raccomandò con voce gentile, anche se alle mie orecchie quelle parole sembravano più velate minacce.

«Ma come mamma!» sbuffai «Io avevo intenzione di ubriacarmi e drogarmi tutte le sere!» mi lamentai ironicamente.

«Holland non scherzare su queste cose!» mi riprese subito.

«Lasciala stare Elisabeth. Su, andiamo Holly se no facciamo tardi.» mi salvò il mio adorato padre. Al contrario di mia madre, papà era un uomo molto meno impostato, era comprensivo, allegro e aveva sempre una parola carina da dire. Era un uomo non troppo alto dai capelli biondi con gli occhi grandi e castani.  Baciai mia mamma e presi posto nel sedile anteriore della macchina, mio padre mise in moto e così iniziammo il viaggio verso la Missuri University. Non era stata la mia prima scelta, avrei voluto frequentare una scuola d’arte; la mia passione era da sempre stata dipingere. Dopo varie discussioni con mia madre, spesso trasformatesi in litigi, mi sono lasciata convincere a frequentarla scegliendo la facoltà di legge; sia perché non avevo voglia di discutere con lei e anche perché siamo arrivati a un compromesso: mi avrebbe pagato dei corsi d’arte supplementari. Aveva spesso ribadito il  fatto che un accademia d’arte non mi avrebbe dato una preparazione adeguata e che con l’arte non si riesce a vivere, e dei semplici corsi sarebbero bastati.

 Per essere settembre faceva ancora molto caldo, così aprii il finestrino, chiusi gli occhi e lasciai che il vento mi spettinasse i capelli. La sensazione di paura che avevo avuto la sera precedente era sparita, lasciando il posto alla sensazione di libertà che tanto agognavo, anche se non era come me l'ero immaginato. Certo, mia madre non sarebbe stata fisicamente con me a controllare ogni mia mossa, ma aveva la sua sostituta: la perfetta Christine. Perfetta era la parola giusta per descrivere mia sorella maggiore: occhi azzurri ereditati dalla mamma, capelli castano dorati di papà, labbra rosse e carnose, e due gambe lunghe e slanciate. L'aspetto fisico, però, era solo una parte della sua perfezione, infatti era anche intelligente e spigliata, diligente e sicura; l'unica pecca che le si poteva riconoscere era che lei era consapevole di se stessa e, a volte, poteva risultare saccente. Nonostante ciò, pensavo che quelli sarebbero stati gli anni migliori della mia vita ed ero decisa di sfruttarli al meglio; avrei sicuramente studiato, senza però tralasciare anche il divertimento che la vita universitaria poteva offrire.

Le due ore di viaggio per arrivare alla MU sembravano non finire più, tanto ero impaziente, avevo chiesto a mio padre, più e più volte, quanto mancasse all'arrivo e non mi parve il vero quando lui interruppe il filo dei miei pensieri.

«Eccoci!» avvertì. Dopo quella parola il mio cervello sapeva formulare solo concetti come: "oddio che bello", "voglio scendere, ora!" e "oddio, oddio, oddio!". Il cuore mi batteva fortissimo.


 
L’università si mostrava maestosa,l’edificio principale, dallo stile classicheggiante era preceduto da un vasto giardino, delimitato da alberi dalla folta chioma verde.
 
Mio padre spense il motore della macchina e scese, così feci anche io. Non riuscivo a togliermi il sorriso a trentadue denti dal viso.
 
«Chiama tua sorella, così ci aiuta a portare le valige al dormitorio.» disse mio padre aprendo il portabagagli.
 
Digitai a memoria il numero di Christine e dopo pochi squilli questa rispose.
 
«Dimmi Holland.» la sua voce era delicata e  controllata come al solito.
 
«Vieni ad aiutare me e papà a portare le valigie al dormitorio?» chiesi parandomi gli occhi dal sole «Siamo all’ingresso principale.» specificai.
 
«Sì, certo. Datemi due minuti e arrivo.»
 
Non aspettammo molto, Christine arrivò puntuale. Indossava dei jeans semplici chiari e una camicetta bianca, con passo elegante ci raggiunse. Raggiante si tolse gli occhiali da sole e abbracciò prima papà e poi me.
 
«Ehi, come è stato il viaggio?» domandò lei.
 
«Tutto bene.» rispose mio padre sorridente «Vorrei trattenermi di più con voi, ma devo andare a lavoro.»
 
«Papà non c’è problema, ci penso io.» lo rassicurò Christine.
 
«Ciao tesoro.» mi salutò dandomi un bacio sulla fronte, facendo lo stesso con mia sorella. «Vi chiamo sta sera per sapere come è andata.»
 
Tornò in macchia ci salutò con la mano e riparti verso casa. Christinne prese uno dei due grandi trolley e io la seguii a ruota.
 
«Allora, che stanza hai?»si informò lei.
 
«La A301.»
 
«Allora non siamo nemmeno troppo lontane. Sono nella 290.»
 
Speravo fossimo più lontane, ma non mi lamentai, non mi era andata così male. Passammo dalla segreteria per consegnare i moduli e ritirai la chiave. Mentre ci dirigevamo verso la mia camera il telefono di mia sorella si mise a squillare.
 
«Ehi» rispose con la voce più calda e dolce del solito, mi girai verso di lei incuriosita. Aveva un sorriso diverso dal solito, più naturale, che la rendeva ancora più bella se possibile. «Non lo so, sono con mia sorella… Dai, scemo! Ti richiamo più tardi e ti dico… Sì, ciao tesoro.» riagganciò scuotendo la testa divertita.
 
«Cos’era quello?» indagai cercando di trattenere un’espressione divertita.
 
«Cos’era cosa?»
 
«Non so, forse il tuo sorriso ebete o la vocina smielata, oppure il: sì, ciao tesoro.» la imitai enfatizzando un po’. Lei colta in flagrante arrossì leggermente, ma tempo di un secondo si ricompose tornando quella di sempre.
 
«Stavo parlando con il mio ragazzo… Mi stava chiedendo se pranzavo con lui.» spiegò.
 
«E da quanto stai con qualcuno?» chiesi sorpresa «Comunque vai pure a pranzo. Per me non c’è problema, devo solo sfare le valigie. Me la posso cavare.»
 
«Sei sicura?» domandò incerta, nel frattempo eravamo arrivate davanti alla mia stanza.
 
«Sì,sì. Nel caso dovessi avere qualche problema posso sempre chiamarti e poi posso sempre chiedere a una delle mie compagne di stanza.» la rassicurai infilando la chiave nella serratura della porta.
 
«Se lo dici te, allora io vado. Ci vediamo in giro.» salutò prima di andarsene.
 
Girai la chiave ed entrai. Due ragazze erano sedute in un piccolo divano rosso, tenevano in mano una tazza con i cereali. Supposi stessero parlando prima che entrassi. Queste si voltarono verso di me e la ragazza sulla destra mi fece un largo sorriso alzandosi.
 
«Ciao, sono Eva. Piacere di conoscerti.» si presentò questa. Era una ragazza di colore abbastanza bassa, aveva dei limpidi occhi verdi, labbra carnose e una foltissima chioma riccia.
 
«Piacere Holly» risposi sorridendo a mia volta, stringendole la mano.
 
«Che nome carino.» commentò« Quella laggiù è Alisya. Scusala, di prima mattina non è mai socievole, ma ci farai l’abitudine… spero.» presentò anche l’amica che era ancora nel divano.
 
«Prima mattina? Ma se è mezzogiorno.» commentai divertita.
 
«Oh,sì. Almeno durante questa settimana per noi mezzogiorno è diventato la mattina, sai abbiamo fatto tardi ieri sera.» spiegò Eva.
 
«Quanta fretta, mamma mia!» esclamò scocciata la diretta interessata alzandosi e venendo verso di noi.
 
«Ci sono poche regole. Non fare rumore se torni tardi la notte; il frigo è comune ma il cibo no, quindi alla larga dalle mie scorte.» iniziò ad elencare Alisya tenendo il conto con le dita, mentre l’altra alzava gli occhi al cielo. «Le pulizie si fanno a turno e il tuo è la prossima settimana; non entrare nella mia stanza senza permesso e non lasciare le tue cose nell’area comune. Penso che non ci sia altro.» sentenziò .
 
«So che è difficile da credere ma non è così male.» mi rassicurò Eva.
 
«Scusa se mi assicuro di avere una convivenza pacifica!» si difese dando un buffetto all’amica «Comunque se segui queste regole andremo d’accordo.» disse tornando a rivolgersi a me. Era un bel tipetto, ma non mi sembravano richieste impossibili. Lei era molto più alta di Eva e anche più di me, era longilinea mentre Eva era leggermente più formosa. Aveva i capelli castani mossi e lunghi, gli occhi marroni erano incorniciati da sopracciglia sottili e da folte ciglia  scure.
 
«Okay, ora che abbiamo superato le formalità accomodati pure nella tua camera. La porta a sinistra è il bagno, e invece quelle tre sono le nostre camere. Quella centrale è la stanza libera.» spiegò Eva sempre sorridente.
 
Molto emozionata mi affrettai a raggiungere la mia camera.
 
  
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