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Autore: in rotta per il paradiso    27/06/2017    2 recensioni
Cecco e Max sono due ragazzi figli della strada. Sono cresciuti tra risse e droga e ne sono diventati campioni. L'unica cosa che può salvare Max è la piccola Benedetta, la sorellina del suo migliore amico. E quando tutto sembrava​ andare bene, qualcosa li travolge.
Dedicato a coloro che hanno qualcosa per cui vivere e talvolta anche per morire...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cecco osservava la routine degli altri ragazzi scorrere sotto i suoi occhi, finché udì le risate sguaiate di un gruppetto di ragazzini. Li conosceva bene: Alberto, Carlo e Lorenzo erano stupidi quindicenni che si divertivano a prendere in giro solo chi non dava loro corda.
L'anno prima avevano accerchiato Benedetta e l'avevano spaventata con sguardi maliziosi e battutine volgari; solo quando la videro con gli occhi lucidi dalla paura, se ne andarono ridendo e soddisfatti per il loro scherzo. Quando Cecco e Massimiliano l’avevano trovata che piangeva nella cameretta che dividevano, lei raccontò loro tutto e il giorno dopo scovarono il gruppetto per “scambiare due chiacchiere”. Difatti l'episodio non si era più ripetuto.
Volse lo sguardo nella direzione in cui stava indicando Alberto, il capo del gruppetto: il loro bersaglio era un ragazzo più basso e minuto di loro, forse troppo per un maschio della loro età. Cecco pensò che il loro entusiasmo infantile fosse dovuto all’aspetto rachitico del misterioso ragazzino. Socchiuse gli occhi nel tentativo di associarlo a un nome o ad un volto conosciuto, tuttavia riconobbe di non averlo mai visto e dedusse che fosse nuovo della zona.
«Questo quartiere è popolato da poveracci!» urlò Alberto per farsi sentire.
Lo sconosciuto se ne stava seduto su una panchina, incurante delle loro voci fastidiose, a cimentarsi nella lettura di un libro mentre tra i piedi reggeva una busta del supermercato.
Molti ragazzi smisero di svolgere le loro attività pur di godersi interamente la scena. Cecco si concentrò sull’esile figura del ragazzo, solo così comprese il reale motivo di quelle battute. Indossava un berretto da baseball che gli copriva gli occhi, una maglietta grigia più larga di almeno una misura, dei jeans scoloriti e un paio di scarpe vecchie e logore.
«Ragazzino, quei vestiti li hai rubati a tuo zio?» domandò sarcasticamente Carlo.
Finalmente alzò lo sguardo dalle pagine del libro e si guardò intorno, cercando di capire a chi si stessero rivolgendo. Cecco provò compassione per lui, non avrebbe tardato molto a capire di chi si stavano burlando. Il ragazzo li osservò e sorrise loro scuotendo il capo, poi tornò al suo romanzo. Quella reazione stupì tutti e diede fastidio ai tre galletti.
“Interessante…” pensò Cecco.
«Se non te ne fossi accorto, non sono della tua taglia!» riprovò Alberto.
«Fai schifo!» continuò Lorenzo.
Spazientito dalle loro dicerie, chiuse il libro con forza.
«E voi avete il sarcasmo di mia nonna!»
Alberto, convinto di trovare il supporto dei suoi due amici, si avvicinò al ragazzetto prendendogli con violenza la busta e iniziando a frugare all’interno. Si prese una spinta talmente violenta da star quasi per perdere l'equilibrio. Alberto gli andò contro con l'intento di iniziare una rissa, tuttavia l'altro, sveglio e molto svelto, lo colpì in faccia con il libro. Da dietro, Lorenzo lo spinse sul cemento e lo circondarono. Lo alzarono con violenza, bloccandogli le braccia.
«Vediamo la tua faccia, stronzetto!» e gli tolsero il cappello.
I capelli nascosti sotto il berretto scesero a ciocche morbide e ondulate lungo la schiena, rivelando un volto dai tratti morbidi e femminili. Tutti dovettero riordinare le idee per capire che quel ragazzo così esile, fosse in realtà una ragazza...
«A me non importa che tu sia una ragazza! Devi imparare chi comanda in questo quartiere e a chi devi portare rispetto!» disse indispettito l'unico ragazzo che lei era riuscita ad atterrare.
«Alzeresti le mani contro una ragazza? Che uomo di merda!»
Lo schiaffo che il ragazzo le stava per dare se lo sarebbe ricordato per molto tempo, tuttavia continuò a guardarlo con astio. Chiuse gli occhi involontariamente quando vide che stava per colpirla, però il dolore non arrivò. Quando li riaprì, notò che davanti non aveva più nessuno e che quel tipo era spiaccicato sulla panchina, bloccato da un ragazzo molto più alto e robusto.
«Chiedile scusa o il braccio te lo spezzo!»
Il quindicenne digrignava i denti nello sforzo di non urlare per il dolore, ma il suo orgoglio non lo fece parlare. Cecco detestava che non gli venisse data ragione, perciò gli torse ancora di più l'articolazione. L’altro lanciò un urletto soffocato e sussurrò le sue scuse alla ragazza rimasta in silenzio.
«Ti possono bastare le sue scuse?» si rivolse alla giovane sconosciuta.
«S-sì…» balbettò in risposta.
I tre ragazzi raccattarono il loro amico dall’asfalto e se ne andarono umiliati davanti a molti ragazzi del quartiere. Tutti conoscevano Max e Cecco e ne stavano alla larga, soprattutto da quando Max non c’era più…

Qualcuno bussò alla porta. La donna si voltò per assicurarsi che stessero colpendo proprio la porta del suo appartamento, tuttavia non andò a verificare chi fosse perché troppo concentrata nel realizzare il suo proposito.
«Apri! Lo so che sei dall'altra parte!»
La madre di Max confuse la voce con il tono acuto della signora del piano superiore, la quale s'impicciava sempre dei problemi altrui. Le lacrime ripresero a scorrere al pensiero che la sua famiglia fosse sulle labbra di chiunque nel quartiere. Le poche volte che usciva per comprare delle provviste, incrociava sempre qualcuno (conosciuto e non) che le domandava delle condizioni fisiche di “quel povero ragazzo così bello”. Lei divulgava, non voleva che Massimiliano diventasse argomento di piazza. Nuovamente guardò i piani sottostanti e l'asfalto, il quale sembrava prometterle che l'avrebbe presa, che non sarebbe rimasta ferita e che non avrebbe sentito nulla.
«Cristo santo! Apri questa cazzo di porta!»
Un colpo più violento dei precedenti la fece desistere per cacciare chiunque stesse compiendo tutto quel baccano. Attraverso lo spioncino, riconobbe la madre di Cecco e le aprì.
Era vestita con una tuta e aveva i capelli legati, ciononostante di fronte al suo carisma si sentiva ancora più brutta e trasandata. Tra le mani aveva un piatto di carta coperto con della carta stagnola, ma negli occhi scintillava un guizzo di paura mista al terrore.
«Ho pensato che non avessi voglia di rimanere sola»
«In realtà…»
La madre di Cecco era furba ed era conscia che l'altra stava per rifilarle una scusa per mandarla via, perciò le consegnò il piatto con un dolce sorriso.
«Cos’è?» le chiese scettica.
«Un ciambellone. È buonissimo accompagnato con un caffè!»
La donna comprese che non fosse giusto non farla entrare, quindi si scostò per lasciarla passare. L'altra ne approfittò per controllare se qualcosa fosse fuori posto: notò la foto stracciata e il vetro frantumato. Quando il marito di lei l'aveva chiamata pregandola di tenere la moglie sotto controllo, aveva pensato fosse un po' esagerato. Vedendo le sue condizioni, gli occhi gonfi di pianto e quel disordine sul pavimento, ringraziò il cielo che l’avesse informata prima che fosse stato troppo tardi.
«Come stai?»
«Non ce la faccio più!» le rispose mentre iniziò a piangere a dirotto.
   
 
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