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Autore: Aiqul Marnerazver    27/06/2017    0 recensioni
Vi è mai capitato di ascoltare una storia già sentita?
Una di quelle favole che si raccontano ai bambini per farli dormire, o attorno un fuoco per spaventare gli amici, o magari una di quelle storie che si leggono solo per piacere personale.
Scommetto che vi è capitato, almeno una volta nella vita, di sentir parlare di un pirata, un pirata famoso per la sua ferocia, o per le sue strane abitudini. Vi è capitato di sentir parlare di lui, di Barbanera. Già, Barbanera, il pirata più famoso dei Caraibi, il più spietato di tutti, giusto?
Sbagliato.
Era molte cose, ma di certo non era spietato. Di certo non era il più noto per la ferocia, ma per le strane abitudini sì. Per esempio, lo sapevate che amava attaccare delle micce accese al suo cappello solo per incutere timore ai suoi nemici? O che aveva la barba così lunga che spesso se la legava alle orecchie? O che durante i combattimenti indossava una fascia intorno alle spalle con appese tre paia di pistole complete delle loro fondine?
No, magari non lo sapete. Né sapete qual era il suo cognome, se Teach, Drummond, Thatch, Tirsh o Dirmmon. Né sapete che si sposò in tutto
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Una secchiata d’acqua gelida mi investe in pieno, qualcuno rovescia la mia branda e finisco sul pavimento legnoso e ondeggiante.
«Sveglia, marinaio! Spagnoli a babordo! Muoversi!»
Subito mi alzo in piedi, ringraziando di non essermi tolto gli stivali ieri sera, e mi precipito sul ponte della nave, dove molti altri marinai corrono di qua e di là per girare le vele.
«Muoviti, aiuta a caricare i cannoni, svelto!» mi urla uno degli ufficiali. Indossa la divisa al completo, inclusa la giubba rossa e il cappello, da fiero Royal Marine qual è. I buoni, vecchi Royal Marines, coloro che mantengono l’ordine sulle navi frustando chiunque si opponga a loro e guadagnando tutta la fama delle imprese di noi marinai. Tutta la ciurma li odia, nonostante senza di loro non sapremmo mai coordinarci: a volte è un bene avere qualcuno che abbia rispetto e potere, anche se lo ha ottenuto con la forza. Ci vuole disciplina su una nave, specialmente una nave come questa. Siamo su un vascello a tre alberi, quattro se consideriamo anche il bompresso, l’asta diagonale che sporge dalla prua, tutti forniti di vele quadrate e triangolari: un vascello di terza classe, con settantaquattro cannoni a bordo e 521 uomini fra ciurma e comandanti. Non proprio facile da gestire, soprattutto quando i membri della ciurma vengono da ogni parte del mondo e non amano essere comandati. La maggior parte di noi è qui perché ha bisogno di soldi, i pochi rimanenti sono quelli considerati stupidi bambini in cerca di avventure immaginarie che presto capiranno come funziona la vita vera. Personalmente, sono nel secondo gruppo.
Subito mi fiondo nella stiva, dove molti altri uomini stanno prendendo delle palle di cannone da portare sul ponte. Cerchiamo di formare una catena, per portarle sul ponte nel minor tempo possibile. Sembrerebbe più facile portare delle palle di ferro così piccole e relativamente leggere, circa uno o due chili l’una, sopra il ponte da soli, ma non è affatto così: il costante rollio della nave rende pericoloso per un singolo uomo portare più di tre palle di cannone alla volta, e noi dobbiamo fornire munizioni e polvere da sparo a tutti i cannoni di babordo, ovvero tutti quelli del lato sinistro della nave.
Sento un ordine, e vedo i pochi marinai con le mani libere che si chiudono le orecchie come possono. Sono su una nave da battaglia da poco, e non sono preparato alla decina di esplosioni contemporanee dei cannoni, che somigliano ai tuoni di una tempesta se sentiti da qui, nella stiva, dove anche un minimo sussurro è vittima dell’eco del legno della nave. Non c’è da stupirsi, quindi, se faccio cadere la palla di cannone che ho in mano direttamente sul mio piede destro, né se inizio ad imprecare e a saltellare in preda al dolore, né se gli altri membri della ciurma accanto a me ridono.
«Riprendi quel pezzo di ferro, Marmocchio, muoviti!» mi grida uno dei marinai, subito accolto dalle risate del resto degli uomini.
Non li biasimo per ridere di me, lo avrei fatto anche io, ma non mi piace quando mi chiamano Marmocchio. Lo so che è una cosa infantile, e che loro sono molto più esperti di me, ma anche io ho trentadue anni! Non proprio un moccioso, ecco. Una recluta, sì. Ma addirittura Moccioso? No, grazie.
Recupero la palla di cannone proprio mentre sento degli enormi boati, come se qualcosa di incredibilmente pesante e veloce avesse toccato l’acqua, e capisco che anche i nostri nemici stanno sparando, e che presto riusciranno a mirare bene. Subito passo la palla di metallo al marinaio alla mia destra e mi rimetto nella fila. Passa quasi un’ora, corredata da boati tonanti dei cannoni nemici e dei nostri, quando finalmente sento delle grida di vittoria provenire dal ponte, e un membro della ciurma addetto alle vele sbuca dall’entrata della stiva con un sorriso a trentadue denti. Ventinove, in realtà, visto che gli mancano due denti del giudizio e ne ha perso un altro in una rissa, o almeno così dicono.
«Li abbiamo presi, sei colpi nella bassa prua e due all’albero di maestra. Si sono arresi!» urla in preda alla gioia.
La ciurma strepita, lieta per non dover più sollevare oggetti pesanti, e si accalca per rovesciarsi sul ponte a vedere la nave semi-affondata. Provo ad affacciarmi anche io, ma la calca è così fitta che non ci riesco. Per un attimo penso di arrampicarmi su uno degli alberi verso la poppa per vedere meglio, ma ho paura che uno degli ufficiali mi cacci, o peggio, mi punisca. Per cui mi dirigo correndo verso l’albero di bompresso, quello più vicino alla prua, e mi ci arrampico finché posso, cercando di non sporgermi troppo per non cadere in mare. Con tutte le onde improvvise, non si sa mai.
La nave spagnola è anch’essa un vascello a tre alberi, ma con meno cannoni, probabilmente uno degli effetti della crisi interna dovuta alla guerra. Sopra l’albero di maestra è stata abbassata la bandiera dello stato ed è stata alzata una bandiera bianca, segno che si sono arresi. Conoscendo gli spagnoli, probabilmente quella non è che una camicia di uno dei membri della ciurma, visto che è raro che sia permesso di tenere una bandiera bianca nelle navi militari, in quanto l’arrendersi è considerato un sacrilegio. Ma naturalmente, tutti lo fanno comunque.
Vedo che gli ufficiali stanno iniziando a dare ordini ai marinai, dicendogli di tornare ai loro posti. Guardo di nuovo la nave spagnola. Probabilmente si stavano dirigendo verso una piccola isola che vedo in lontananza per fare rifornimento. È una dei piccoli isolotti dell’Oceano Atlantico che sono impossibili da tracciare, in quanto troppo piccole per essere trovate con precisione, ma molto utili se si vuole riparare dei danni alla nave. Sono catturato dalla vista del piccolo isolotto: si intravede solo una striscia biancastra, probabilmente la spiaggia, e una macchia grigia… una scogliera? Difficile da stabilire, visto che il tutto è avvolto dalla nebbia. Eppure… eppure sembra come se qualcosa si muova laggiù. Come se ci fosse un’altra nave che si stia allontanando dopo aver assistito alla battaglia. Penso di essermelo immaginato, ma poi intravedo una poppa di legno scuro scomparire nella nebbia, assieme ad un’enorme bandiera. Subito prendo il cannocchiale pieghevole che tengo sempre appeso alla cintura e guardo meglio. Sì, non mi sono sbagliato. È una bandiera nera, la bandiera dei pirati.
Sono appena giunto a questa conclusione quando la nave sparisce nella nebbia. Subito corro incontro al primo ufficiale che vedo, senza pensare ad altro, la mente invasa dal panico.
«Marinaio, torna nella stiva e prendi qualcosa per pulire i cann…» prova a dire quello, ma subito lo interrompo.
«Pirati!» dico, il fiato mozzo per la corsa e per il panico.
«Come, prego?» chiede quello.
«Pirati! A ore dieci! Vicino a quell’isola!»
Gli porgo il mio cannocchiale, che lui subito afferra, prima di farsi largo fra la folla che si sta ormai disperdendo. Lo vedo guardare attraverso le lenti, scrutare attorno all’isola. Vedo le sue sopracciglia inarcarsi, poi chiude il cannocchiale con uno scatto e mi guarda in modo severo.
«Faresti bene a tenere a freno la lingua, soprattutto su argomenti seri come questo!» mi sgrida. La sua voce è così arrabbiata che i pochi marinai rimasti sul ponte si girano a guardare, per poi sorridere alla mia vista.
«Ma io… era lì, si è nascosto nella nebbia, io l’ho visto!»
«Torna nella stiva, marinaio!» mi abbaia un altro ufficiale, «prima che ti insegni io a non dire bugie!»
Gli altri uomini ridono, e non ho altra scelta che ritornare nella stiva, dove l’intera ciurma ridacchia alla mia vista.
«Visto qualcosa di spaventoso, eh, Marmocchio?» mi dice uno dei marinai più vicini, scatenando un attacco di risa a tutti gli altri.
«State zitti, non c’è niente da ridere» gli rispondo, ma naturalmente scateno solo più risate.
«Magari un bel veliero?» mi grida un altro.
«O una vela nera?»
«Aveva un teschio sopra?» dice qualcuno, prendendomi per le spalle e scuotendomi forte, facendomi scappare un lieve grido acuto.
Tutta la ciurma ride, imitandomi, inventando nuovi nomignoli ancora più ridicoli. Mi divincolo con forza dalla presa del marinaio, e subito quello mi mette in mano un secchio pieno d’acqua e una scopa.
«Se hai tanta paura dei pirati, allora vai a pulire il ponte. Lucidalo per bene, così quando proveranno ad abbordarci scivoleranno, che ne dici?»
Altre risate.
«Vedrete!» urlo, la rabbia ben presente nella voce, «quando arriveranno io sarò pronto, e voi sarete ai miei piedi ad elemosinare aiuto, e vi giuro che non ve lo darò!»
Questo scatena altri attacchi di risa, se possibile ancora più potenti. Nessuno immaginava che facessi sul serio.
   
 
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