Capitolo 13: In Remembrance
Over mountains through the meadows
He carried you far from home…
Hear my voice remember who cradled you
Who loved and swore to guide you
Through the darkest hours of your life
Return to me, if only tonight.
(“In
Remembrance” – Xandria)
Il
sovrano Carlo di Francia aveva fatto allestire tutto per il ritorno in patria:
aveva nominato un reggente che lo sostituisse sul trono di Napoli in sua
assenza, il barone Julien d’Aiglemort*, assegnandogli un esercito sufficiente a
difendere la reggia in caso di attacco; aveva spedito spie nelle varie corti
italiane per assicurarsi che non ci fosse veramente il pericolo di una lega di
eserciti uniti per tendergli imboscate durante il viaggio verso la Francia e
aveva scoperto che, in effetti, il Duca di Mantova non era riuscito a
convincere altri governanti a schierarsi con lui, ognuno aveva preferito
pensare a custodire il proprio piccolo staterello senza esporsi a rischi e
fastidi.
Tutto
procedeva perfettamente, quindi, ed entro pochi giorni il lungo viaggio avrebbe
avuto inizio.
Re
Carlo non lo aveva ammesso con nessuno e tendeva a non farlo neanche con se
stesso ma, dopo la febbre che lo aveva tormentato per così tanto tempo e che, a
volte, ancora lo aggrediva indebolendolo, aveva cominciato seriamente a pensare
alla morte. Aveva lottato molto per ottenere ciò che aveva, per consolidare il
suo potere in Francia e difenderlo dagli invasori inglesi ed anche per ampliare
i suoi domini annettendo il regno di Napoli e adesso… se fosse morto, avrebbe
perso tutto. Non aveva un figlio suo a cui lasciare tutto quello che aveva conseguito,
i quattro figli che aveva avuto con la consorte Anna di Bretagna erano tutti
morti ancora piccolissimi e la Regina si era ritirata nel castello di Blois,
rifiutando qualsiasi ulteriore contatto con lui. Non avendo un discendente
diretto, si sentiva perlomeno in diritto di scegliere lui stesso chi avrebbe
ereditato il trono di Francia e tutto ciò che lui aveva conquistato a caro
prezzo.
Per
questo motivo era indispensabile rientrare al più presto in Francia.
Eppure,
dentro di sé il monarca francese sentiva che non avrebbe più fatto ritorno a
Napoli.
Aveva
scelto come suo reggente uno dei suoi capitani, d’Aiglemort, ma non era lui che
voleva veramente su quel trono. Potendo scegliere liberamente, avrebbe
desiderato concedere quel privilegio al Generale, che tanto bene e tanto
lealmente lo aveva servito in tutti quegli anni e durante innumerevoli
battaglie. Ma per adesso non poteva ancora farlo: aveva troppo bisogno di lui per
il viaggio di ritorno in patria. E la questione più urgente era scegliere colui
che gli sarebbe succeduto sul trono di Francia.
Una
volta rientrato alla residenza reale di Amboise e sistemata la questione della
successione, tuttavia, chissà…
Nel
frattempo, era già soddisfatto di poter intraprendere il viaggio senza più
dover dipendere dalle debolezze di quell’inutile Principe che il Generale si
ostinava a volere con sé: Alfonso era guarito e, sebbene fosse ancora piuttosto
debole, Re Carlo se ne infischiava allegramente. Era vero che si trattava di un
discendente degli Aragonesi e che la sua incolumità era importante per
mantenere buoni rapporti con la Spagna ma, in fin dei conti, se fosse morto di
fatica o malattia durante il tragitto non avrebbero potuto accusarlo di nulla,
no? Lui aveva disposto affinché il Principe viaggiasse comodo e riposato, se
quell’incapace fosse morto comunque, avrebbe sempre potuto dichiarare di avere
fatto il possibile per impedirlo. Che diamine, aveva persino portato con loro
il dottore, perché si occupasse della salute del ragazzo!
Il
sovrano francese sghignazzò tra sé, molto compiaciuto della sua astuzia.
Se
Re Carlo era impaziente di ritornare in Francia, il Principe Alfonso era invece
atterrito alla sola prospettiva e, più il giorno della partenza si avvicinava,
più si mostrava malinconico e nervoso. La malattia che lo aveva indebolito lo
rendeva ancora più vulnerabile alle emozioni negative e la sua fragilità lo
spaventava.
Il
giorno prima dell’inizio del viaggio il Generale lo trovò nel loggiato che dava
sul Golfo di Napoli, appoggiato ad una delle colonne, che ammirava il paesaggio
a lui tanto caro e familiare con gli occhi gonfi di lacrime a stento
trattenute.
“Principe
Alfonso, cosa ti è accaduto? Perché stai piangendo?” gli domandò subito,
premurosamente, pensando che Sua Maestà lo avesse fatto tormentare in qualche
modo o lo avesse spaventato. “Ti è accaduto qualcosa o forse ti senti di nuovo
male?”
Preso
alla sprovvista, il ragazzo si affrettò ad asciugarsi le lacrime col dorso
della mano e scosse il capo, senza parlare.
“Sua
Maestà ti ha minacciato ancora di legarti alla sedia di Giuda nella sala da pranzo di tuo padre?” insisté il
francese, rammentando il doloroso episodio di due settimane prima quando Re
Carlo aveva imprigionato Alfonso in quella stanza per poi interrogarlo di nuovo
a proposito della pestilenza di Napoli. Il militare era tuttora convinto che lo
spavento e l’orrore provati in quell’occasione avessero creato un terreno
fertile per la febbre che, il giorno successivo, aveva colpito il Principe. “Non
devi temere, Sua Maestà è ben consapevole di quanto la tua presenza sia
importante per la stabilità della corona di Napoli e non ti farà del male, se
continuerai a comportarti sempre bene come hai fatto finora.”
“Non
è questo” mormorò il giovane, talmente piano che il Generale dovette
avvicinarsi a lui per udirlo. “Non ho nemmeno visto Sua Maestà oggi… è che
domani… domattina…”
Il
Generale gli circondò le spalle con un braccio e lo attirò a sé.
“Domattina
partiremo per la Francia, è vero” confermò con un sorriso. A lui, in realtà,
piaceva l’idea di mostrare le terre in cui era nato e cresciuto al suo giovane
amante… “Questo ti preoccupa? Non dovrebbe: sei comunque sotto la mia
protezione e rimani un ostaggio preziosissimo per Sua Maestà. Nessuno oserà
farti del male, né qui né in Francia.”
“Ma
questa è casa mia” gemette il Principe, senza riuscire a trattenere nuove
lacrime. “Io sono nato qui e ho pensato che sarei rimasto sempre qui! Il Regno
di Napoli è un luogo di pace, mio padre ha lottato tanto per consolidare il suo
potere e per impedire ogni ingerenza da parte degli altri Stati italiani e io…
io credevo che sarei stato il suo successore, lui avrebbe voluto questo… io
l’ho deluso e ora verrò strappato dalla mia patria e… e non…”
Il
fiume di parole venne interrotto da uno scoppio di pianto. Intenerito, il
Generale lo abbracciò stretto, facendogli sentire il calore della sua presenza
e del suo affetto. Questa paura irrazionale di aver deluso il padre e di essere
portato prigioniero in un luogo straniero non faceva che dimostrare quanto il
Principe fosse giovane e indifeso e aumentava nel comandante francese il
desiderio di tenerlo stretto e di difenderlo da ogni pericolo e angoscia.
“Non
piangere, Principe” gli disse in tono rassicurante, abbracciandolo e
accarezzandogli il viso e i capelli. “Nessuno vuole trascinarti in catene, sei
un ostaggio di alto rango e sarai trattato con tutti i privilegi che meriti,
sia durante il viaggio sia in Francia. Per tutti sarai il Principe Alfonso di
Napoli, della casata Aragonese, che è stato battuto da Sua Maestà e che ha
accettato di concedergli il regno, riconoscendo cavallerescamente la sconfitta.
Nessuno ti mancherà di rispetto per questo, inoltre Sua Maestà ti ha affidato a
me, adesso sei il mio amante e anche
per questo nessuno avrà l’ardire di arrecarti offesa.”
Il suo che?, pensò il
Principe, sbalordito. Ma non ebbe il tempo di chiedere chiarimenti perché il
Generale lo baciò, dapprima delicatamente e poi con sempre maggior passione e
intensità, tenendolo incollato al suo corpo. Staccatosi da lui, riprese a
parlare in tono tranquillizzante.
“Posso
comprendere che ti addolori allontanarti dalla tua patria” disse, “tuttavia non
sarà un addio definitivo. Sua Maestà è adesso il sovrano del Regno di Napoli e
immagino deciderà di trascorrere una parte del suo tempo in Francia e una parte
qui, magari nei mesi in cui il clima del Nord è più sfavorevole. Nel frattempo,
io sarò lieto di mostrarti le bellezze della nostra terra: attraverserai le
Alpi, potrai ammirare un paesaggio che non hai mai visto prima e poi, quando
giungeremo alla residenza reale, sono certo che ne rimarrai incantato. Ormai ti
conosco, Principe Alfonso, so quanto ti attirino il lusso e l’eleganza e i
castelli che sorgono nella valle della Loira e la corte di Amboise ti
affascineranno senza alcun dubbio.”
“E’
davvero così bello il posto dove andiamo?” domandò timidamente il Principe,
incerto se provare dolore per la reggia che lasciava o curiosità per quella in
cui sarebbe stato condotto.
“Ma
certo, Principe” rispose il Generale, con un sorriso incoraggiante. “Sua Maestà
è nato e cresciuto proprio nel castello di Amboise e ne ha fatto la sua
residenza, contribuendo a renderlo sempre più sfarzoso ed elegante. Anzi, nel
nostro viaggio ci accompagneranno anche alcuni importanti artisti italiani a
cui Sua Maestà ha dato l’incarico di abbellire ulteriormente la reggia e di
progettare dei grandi giardini.”
Le
parole del Generale erano finalmente riuscite ad incantare il giovane Principe,
che adesso lo ascoltava con espressione rapita, cercando di immaginare le
meraviglie di cui avrebbe potuto godere alla corte del Re di Francia. Contento
di averlo rassicurato e intenerito dalla curiosità, tipica dei ragazzini, che
Alfonso dimostrava, l’uomo lo strinse tra le braccia e lo baciò di nuovo,
profondamente e intensamente.
Il
mattino seguente, alle prime luci dell’alba, tutto era pronto per la partenza.
I drappelli francesi sfilarono per le campagne del Regno di Napoli, dirette
verso il Nord. Re Carlo aveva insistito per cavalcare al fianco del suo
Generale pur avendo a disposizione una carrozza in cui viaggiare più
comodamente, per non mostrarsi debole di fronte ai propri uomini; avrebbe
proseguito in carrozza soltanto se fosse stato nuovamente assalito dalla
febbre. Nella carrozza viaggiavano dunque soltanto il Principe Alfonso e il
dottore, che Sua Maestà aveva a tutti i costi voluto portare con sé ufficialmente
per assistere il giovane Principe, ma in realtà perché aveva apprezzato molto
le cure che gli aveva prestato durante la pestilenza.
Alfonso
si sentiva stordito. Nonostante le rassicurazioni del Generale e la curiosità
di ammirare lo sfarzo dei castelli francesi, la tristezza lo aveva invaso di
nuovo e la sua mente era preda di tristi presentimenti, soprattutto adesso che il
comandante francese non era lì con lui a tranquillizzarlo. Mesto, malinconico e
provato dalla recente malattia, non trovò di meglio da fare che raggomitolarsi
sul sedile della carrozza, avvolto da un mantello di pelliccia, e cadere in un
sonno profondo. Il dottore, intanto, lo osservava preoccupato, temendo che la
costituzione delicata del Principe, resa ancor più fragile dalle sevizie subite
e dalla recente febbre, non potesse affrontare un viaggio tanto lungo e
faticoso.
Quando
il Principe si svegliò il sole era già alto nel cielo ed erano trascorse più di
cinque ore di viaggio. La carrozza ebbe un sobbalzo e poi si arrestò e fu questo
a svegliare Alfonso, che udì anche le voci dei soldati francesi tutto attorno.
Ancora frastornato, per un attimo non ricordò dove si trovasse e che cosa ci
facesse lì, poi vide la figura familiare del dottore seduto davanti a lui che
lo tranquillizzò.
“Non
spaventatevi, mio Principe” gli disse. “Avete dormito per tutto il tempo,
dovevate essere molto stanco. Penso sia ora di pranzo e forse i soldati si
stanno accampando. Non vi preoccupate, qualcuno verrà a darci notizie.”
Infatti,
pochi minuti dopo, giunse il Generale a cavallo che scostò la tenda e lanciò
uno sguardo affettuoso al giovane Principe.
“Buongiorno,
Principe” lo salutò. “Spero che tu abbia fatto un buon viaggio finora. Non
preoccuparti per il trambusto qui fuori, c’è stato un imprevisto a cui dobbiamo
far fronte, ma non è nulla che tu debba temere.”
“Ci
attaccano?” chiese subito il ragazzo, spaventato, guardandosi intorno con gli
occhi sgranati per l’apprensione.
“No,
nessuno ci attacca” lo tranquillizzò il Generale. “E’ giunto un messaggero del
Papa Borgia e ha chiesto a Sua Maestà di fermarsi a Roma per questa notte come
suo ospite. Dice che il Papa desidera chiedere perdono a Sua Maestà per averlo
ingannato.”
Lo
sguardo di Alfonso s’incupì. Il giovane non dimenticava che tutto ciò che gli
era accaduto era stato causato proprio da Rodrigo Borgia: era stato lui a
incoronare Carlo VIII Re di Napoli e poi lo aveva mandato a prendere la peste
in città… e di quella pestilenza era stato incolpato lui, lui aveva pagato per
quell’inganno che non aveva ordito!
“Potrebbe
essere una nuova trappola” azzardò il dottore. “Cosa ne pensa Sua Maestà?”
“Sua
Maestà ha deciso di accettare l’ospitalità per stanotte, ma pretenderà di essere
accompagnato da me e dagli altri suoi capitani e anche da te, Principe” rispose
il Generale, notando il turbamento del giovane. “Inoltre l’esercito si
accamperà subito fuori dalle mura di Roma e, se dovesse accadere qualcosa, gli
uomini hanno l’ordine di distruggere la città a cannonate. No, non penso che il
Papa voglia rischiare.”
“Io?
Io non voglio incontrarlo!” reagì Alfonso, irrigidendosi. “E’ stata tutta colpa
sua… tutto quello che mi è successo! Non lo voglio vedere!”
Il
Generale scese da cavallo e salì in carrozza, commosso dai timori
ingiustificati del ragazzo. Si sedette vicino a lui e tentò di convincerlo.
“Non
può farti niente ora che sei ostaggio del Re di Francia e mio protetto” lo
rassicurò. “Anzi, vederti al nostro fianco non potrà che fargli comprendere
quanto il suo piano sia fallito su tutti i fronti. Sua Maestà sta guarendo
dalla peste e la sua supremazia sul Regno di Napoli è consolidata anche dal tuo
appoggio. I suoi intrighi non hanno avuto la meglio né su di noi né su di te.”
“Lo
credete davvero?” domandò Alfonso, con uno sguardo speranzoso rivolto all’uomo.
“Non
lo credo, lo so” ribadì il Generale,
sorridendo. “Sua Maestà ha accettato l’invito proprio per dare una bella
lezione a chi ha cercato di ingannarlo e, come sempre, il tuo appoggio sarà
molto prezioso per noi tutti.”
Il
Principe sembrava allo stesso tempo intimidito, spaurito e allettato da quella
prospettiva.
Il
dottore iniziò a capire che, in quella carrozza, era di troppo.
“Con
il vostro permesso, desidererei andare a visitare Sua Maestà. Il viaggio a
cavallo è stato lungo e voglio accertarmi che non si affatichi eccessivamente”
disse allora, prima di scendere dalla carrozza per recarsi dal sovrano.
Non
appena furono soli, il Generale ne approfittò per stringere a sé il giovane
Principe.
“Sono
certo che saprai comportarti in maniera egregia con il Papa Borgia, così come
hai fatto davanti agli Sforza e al Duca di Mantova” gli disse, in tono pacato e
rassicurante.
“Se
le cose stanno così allora… allora va bene, vi accompagnerò” cedette Alfonso.
Il
Generale, compiaciuto, lo avvolse in un abbraccio e lo baciò a lungo e
profondamente, cercando di infondere fiducia e tranquillità al ragazzo con la
sua presenza affettuosa. Perduto nella sua stretta e nei suoi baci, Alfonso
sentì crescere ancora una volta quella strana pace che solo quell’uomo sapeva
donargli e comprese che, di nuovo, accanto a lui non avrebbe avuto niente da
temere nemmeno in presenza di Rodrigo Borgia.
FINE
*Siccome nella
serie TV non viene detto nemmeno per sbaglio il nome di qualcuno di questi
francesi, eccetto il Re, (e infatti non si sa nemmeno il nome del Generale) io
ho “pescato” questo nome da un libro di Jacqueline Carey, mettendo insieme nome
e cognome di due diversi personaggi! XD