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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    27/06/2017    2 recensioni
«Perché stai facendo questo?» la domanda sfuggì dalle labbra di John senza preavviso, prima che potesse fermarla, mentre erano in piedi fuori dal cancelletto dell’abitazione, in attesa, uno accanto all’altro.
«Mmm?» chiese Sherlock, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.
«Lei ti ha sparato. E io l’ho sposata. L’ho scelta.» disse Watson, sapendo che Holmes aveva capito perfettamente. «Perché fai tutto questo?»
Sherlock rimase immobile per qualche secondo, poi sospirò e si voltò verso di lui, incrociando finalmente il suo sguardo. «Sai bene perché.» rispose semplicemente.
«Forse voglio che tu me lo dica comunque.» replicò.
Sherlock volse lo sguardo verso il prato che si estendeva di fronte a loro. «Hai bisogno di un’ulteriore conferma a ciò che già sai?» chiese, la voce ferma, lo sguardo apparentemente vuoto. «Non credi che sia un po’ egoista da parte tua, chiedermi una cosa del genere?»
[Seguito di "Solo per John"]
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flares'
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Is this the end or a beginning?
 
 
 
I love you.
There is nothing I would not do for you.
Nothing I would not consider if it meant keeping you safe.
The world itself should fear me if it stands between us.
The wrath and the dawn – Renee Ahdieh
 
 

 Sherlock e John erano in piedi fuori dalla villetta dei coniugi Holmes.
 Il consulente investigativo aveva informato il medico che quel pomeriggio avrebbe finalmente sistemato la questione di Magnussen una volta per tutte, e che da quel momento in poi, lui e sua moglie sarebbero stati completamente al sicuro.
 Perciò, dopo aver drogato l’intera famiglia con l’aiuto di Billy, dopo il pranzo di Natale, con il preciso intento di impedire loro di seguirli, i due erano usciti di casa per aspettare quello che Sherlock aveva chiamato il loro passaggio.
 Ovviamente John, dopo un’iniziale momento di rabbia di fronte alla sconsideratezza delle azioni dell’amico, non aveva potuto fare a meno di sentirsi confuso di fronte alle sue azioni.
 Perché, dopo tutto ciò che avevano passato e dopo averlo visto sposare Mary, respingendolo, aveva deciso di aiutarli in ogni caso? Perché era stato disposto a perdonare a Mary di avergli fatto del male, e dopo averla vista portargli via l’unica persona a cui tenesse davvero?
 «Perché stai facendo questo?» la domanda sfuggì dalle labbra di John senza preavviso, prima che potesse fermarla, mentre erano in piedi fuori dal cancelletto dell’abitazione, in attesa, uno accanto all’altro.
 «Mmm?» chiese Sherlock, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo.
 «Lei ti ha sparato. E io l’ho sposata. L’ho scelta.» disse Watson, sapendo che Holmes aveva capito perfettamente. «Perché fai tutto questo?»
 Sherlock rimase immobile per qualche secondo, poi sospirò e si voltò verso di lui, incrociando finalmente il suo sguardo.
 «Sai bene perché.» rispose semplicemente.
 I loro sguardi si agganciarono, fondendosi gli uni negli altri.
 John sentì il cuore accelerare improvvisamente e percepì quelle parole rimbombare all’infinto nella sua mente. Sapeva che Sherlock sarebbe stato disposto a tutto pur di proteggerlo – in più occasioni lo aveva fatto, rinunciando a tutto ciò che aveva – ma arrivare fino a quel punto per qualcuno come Mary, che non aveva fatto altro che mentire e far loro del male… come poteva essere disposto a questo?
 «Forse voglio che tu me lo dica comunque.» replicò.
 Sherlock volse lo sguardo verso il prato che si estendeva di fronte a loro. «Hai bisogno di un’ulteriore conferma a ciò che già sai?» chiese, la voce ferma, lo sguardo apparentemente vuoto. «Non credi che sia un po’ egoista da parte tua, chiedermi una cosa del genere?»
 John si voltò verso di lui. «Voglio solo capire.» spiegò «Voglio capire perché lo fai.»
 Proprio mentre Sherlock stava per ribattere, voltandosi verso il medico, un rumore potentissimo lo fece voltare nuovamente verso l’enorme prato che si estendeva di fronte alla villetta.
 Un elicottero si stava avvicinando, e quando fu abbastanza vicinò, si abbassò e atterrò sull’erbetta verde, mentre il vento alzato dalle pale ancora in movimento colpiva i volti di Sherlock e John sferzandoli con violenza.
 I due socchiusero gli occhi, schermandoli con le mani, per proteggerli dal vento.
 «Ecco il nostro passaggio.» disse Sherlock, sorridendo.
 Gli occhi di John si spalancarono. «Questo?» esclamò, tentando di sovrastare il rumore dei motori e delle pale. «E a chi l’hai rubato?»
 «Gentile concessione di Mycroft.» replicò Holmes, un sorriso beffardo a increspargli le labbra. «Mio fratello ha a disposizione risorse inimmaginabili, mio caro Watson.»
 «E ovviamente lui non ne sa niente.» aggiunse il dottore.
 Il consulente investigativo fece spallucce. «In questo momento non ne avrebbe bisogno in ogni caso.» convenne, incrociando il suo sguardo, poi lo indicò. «Vogliamo andare? Magnussen ci starà aspettando.»
 John annuì e, insieme a Sherlock, salì a bordo dell’elicottero per partire alla volta di Appledore.
 
 Quando l’elicottero atterrò, Sherlock e John slacciarono le cinture e scesero.
 Una delle guardie del corpo di Magnussen li stava attendendo a qualche passo dell’elicottero. Quando i due lo raggiunsero, insieme attraversarono con passo svelto il vialetto che li separava dall’abitazione e salirono le scale, raggiungendo la porta d’ingresso, mentre l’elicottero si sollevava nuovamente in volo, allontanandosi per uscire dalla proprietà.
 L’uomo aprì loro la porta e si scostò per permettere loro di passare, poi li seguì all’interno, richiudendosela alle spalle. Indicò loro l’ingresso del salotto.
 «Di qua.» disse e li guidò all’interno dell’enorme salone.
 La sala era enorme. Enormi vetrate la circondavano da due lati, affacciandosi sull’esterno della casa come su un enorme palcoscenico; piante ornamentali erano state poste lungo le pareti a dare un tocco di colore all’ambiente, al centro era stato posizionato un divano di pelle bianca e di fronte ad esso un tavolino caffè.
 Magnussen li stava aspettando seduto sul divano, le gambe accavallate, un braccio disteso sulla spalliera, un bicchiere di brandy stretto nell’altra mano, lo sguardo carico di malizia.
 Sherlock e John avanzarono, fermandosi di fronte a lui, mentre la guardia del corpo si era posizionata a distanza, alle loro spalle, ma abbastanza vicina da poter intervenire se fosse stato necessario.
 Magnussen sollevò il bicchiere e bevve. «Suppongo che sia qui per trattare con me, signor Holmes.» esordì, andando dritto al punto, senza giri di parole. «Quindi sentiamo… Cos’ha da propormi quest’oggi?»
 Sherlock sollevò il computer che teneva fra le mani. «Questo.»
 Magnussen aggrottò le sopracciglia, divertito. «Questo?» domandò, fingendo di non comprendere.
 «Praticamente le sto offrendo mio fratello.» aggiunse il consulente investigativo, sperando che si bevesse quelle sciocchezze per il tempo necessario agli uomini di Mycroft di raggiungerli. Perché sapeva che Mycroft sarebbe arrivato. Per questo aveva rimandato l’elicottero a casa dei suoi genitori. Era solo questione di tempo. «E lei, in cambio, dovrà darmi tutto il materiale in suo possesso riguardante la donna che conosciamo come Mary Morstan.»
 John si voltò di scatto verso di lui, gli occhi spalancati per lo stupore. «Sherlock, sei impazzito?» mormorò, prendendolo per un braccio.
 Sherlock lo ignorò. Tenne lo sguardo fisso su Magnussen, osservando attentamente ogni sua mossa, tentando di capire se avesse abboccato a quel trucco. Doveva abboccare. Avevano bisogno di tempo. Avevano bisogno di incastrarlo di fronte a tutti, con le informazioni del governo fra le mani non avrebbe più potuto sfuggire alla giustizia. 
 Dopo un momento di immobilità, Magnussen riprese. «E mi dica: perché dovrei farlo?»
 «Perché è quello che vuole.» spiegò Sherlock, liberandosi dalla presa di John. «Fin dall’inizio, il suo obiettivo è stato quello di arrivare a Mycroft. E io glielo sto offrendo su un piatto d’argento.» concluse, poggiando il computer accanto a lui sul divano.
 «E lei è sicuro di voler sacrificare suo fratello per quella donna?»
 «Non sarei qui altrimenti.» rispose Holmes, imponendosi di rimanere impassibile. Non doveva lasciar trapelare nulla. Magnussen riusciva a leggere chiunque, ma se Sherlock fosse rimasto distaccato, probabilmente lui non sarebbe riuscito a capire le sue intenzioni.
 «Sherlock, smettila.» ringhiò John. «Questa è una follia. Non puoi farlo.»
 Holmes si voltò, incontrando il suo sguardo. «Vuoi salvare Mary oppure no?»
 «E a che prezzo?! Non puoi davvero voler vendere Mycroft a lui per salvare Mary. È pura follia.» replicò il medico, sconvolto. «Queste sono informazioni top secret che potrebbero compromettere un’intera nazione!»
 «E Mary è tua moglie.» affermò il consulente investigativo. «Non vuoi che tutto questo finisca? E che lei sia finalmente al sicuro? Non vuoi essere felice con lei e vostra figlia?»
 John aggrottò le sopracciglia. «Cosa vuoi che me ne importi di mia moglie?!» esclamò. «Non ti permetterò di vendere tuo fratello e l’intera Inghilterra a questo mostro. Non per lei.»
 I loro sguardi si agganciarono e i loro occhi si persero per un momento gli uni negli altri.
 Sherlock non riuscì a capire perché tutto d’un tratto John stesse tentando di fermarlo. Erano andati lì per salvare Mary e adesso lui stava tentando di mandare all’aria il suo piano, mettendogli i bastoni fra le ruote… Cosa diavolo gli prendeva?
 «Oh, suvvia, dottor Watson, non si preoccupi.» sbottò Magnussen, riportandoli alla realtà.
 Sherlock e John si voltarono verso di lui.
 «L’intento del signor Holmes non è quello di vendermi informazioni top secret del governo.» spiegò, poi si voltò verso Sherlock e gli sorrise. «Il suo preciso intento era quello di venire qui, offrirmi il computer di suo fratello in cambio dei file che riguardavano sua moglie, in attesa dell’arrivo degli uomini di Mycroft, che, trovandomi in possesso del computer del loro capo, non avrebbero potuto fare altro che arrestarmi. Non è così, signor Holmes?»
 Sherlock impallidì e le sue labbra si contrassero in una linea sottile.
 Maledizione, pensò. Come aveva fatto a capire?
 Gli occhi di John si spalancarono e si spostarono nuovamente sul volto dell’amico, realizzando che era stata tutta una messa in scena montata da Sherlock in modo da poter fermare Magnussen.
 Tuttavia, pensò Sherlock, era troppo tardi.
 Quella reazione da parte del medico e qualcosa nel comportamento di Sherlock dovevano aver insospettito Magnussen, che ovviamente aveva capito che quello era soltanto un trucco. Trucco a cui non aveva abboccato, ovviamente.
 Nemmeno l’idea di Sherlock di tenere John all’oscuro del suo piano aveva sortito l’effetto desiderato. Anzi, non aveva fatto altro che insospettire Magnussen ancora di più, rivelando le intenzioni del consulente investigativo.
 Sherlock avrebbe dovuto immaginare che sarebbe stato impossibile prendere in giro Magnussen, ma non poteva lasciare nulla di intentato.
 Tuttavia, non aveva contemplato il fallimento come una delle possibilità.
 Deglutì a vuoto, sentendo una morsa stringergli il cuore, e per la prima volta da quando aveva conosciuto Magnussen, provò un fremito di paura. Cosa avrebbe fatto Magnussen ora che aveva scoperto il suo piano?
 Di certo non li avrebbe lasciati andare come se nulla fosse successo…
 No, lui non era fatto così.
 Magnussen era un predatore. Giocava con le sue prede fino a sfinirle, divertendosi a vederle crollare e distruggersi con le loro mani…
 E come aveva potuto, lui essere così stupido da permettere a John di seguirlo in quella follia? Sarebbe dovuto andare lì da solo, drogando John esattamente come tutti gli altri, impedendogli di correre un rischio simile, in modo da essere l’unica persona danneggiata dalle sue folli scelte.
 Magnussen rise, riportandolo bruscamente alla realtà.
 «Davvero mi crede così sprovveduto, signor Holmes? Davvero credeva di potermi incastrare?» domandò l’uomo. «Ingenuo da parte sua. Credevo fosse più intelligente di così.» concluse, mettendosi in piedi, poggiando il bicchiere sul tavolino da caffè, e abbottonandosi la giacca.
 Sherlock sentì le pareti del suo palazzo mentale tremare. La vista si appannò, e per un momento si sentì disorientato. Si impose di mantenere la calma, per poter pensare con lucidità a una soluzione per portare John fuori di lì sano e salvo.
 «E lei, dottor Watson, davvero crede che Sherlock stia facendo tutto questo per Mary?» aggiunse Magnussen, volgendosi verso il medico, assottigliando lo sguardo.
 John spostò lo sguardo sul volto pallido e privo di espressioni di Magnussen, aggrottando le sopracciglia.
 Sherlock chiuse gli occhi, sentendo il cuore appesantirsi.
 Ovviamente erano bastate poche occhiate e poche parole per capire ciò che lui provava per John. Magnussen era intelligente, e ora che lo aveva scoperto non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di utilizzarlo contro di loro.
 Magnussen rise, sinceramente divertito di fronte alla confusione del dottore. «Credevo che ormai avesse capito che tutto ciò che Sherlock ha fatto e fa è solo ed esclusivamente per lei, dottore.» affermò. «Dopo tutto questo tempo… come ha fatto a non rendersene conto?»
 Sherlock abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi. Avrebbe voluto gridargli in faccia di smetterla, di stare zitto e di non violare quel sentimento così puro che lo legava al suo migliore amico, perché quello che provava per John era privato, suo, e non avrebbe dovuto nemmeno osare parlarne.
 Ma non poteva, perché non era lui ad avere il coltello dalla parte del manico.
 «Le azioni del signor Holmes sono puramente egoistiche.» proseguì Magnussen. «A lui non importa realmente di Mary Morstan, o qualunque sia il suo vero nome. Gli importa soltanto di lei. Sarebbe pronto a tutto pur di saperla al sicuro. Anche a salvare Mary, nonostante non tenga affatto a lei.»
 Sherlock strinse i pungi, la rabbia che ribolliva dentro di lui.  
 «No?» chiese Magnussen, avvicinandosi a Sherlock. «Vuole forse farmi credere che tutto ciò che ha fatto fino ad ora l’ha fatto per Mary e per assicurarle un futuro sicuro e privo di minacce?»
 Holmes sollevò lo sguardo e lo puntò sul viso di Magnussen.
 Quegli occhi disgustosi… quell’espressione vuota… provava un odio così profondo nei suoi confronti, che se avesse potuto lo avrebbe ucciso seduta stante. Avrebbe tanto voluto vedere scomparire quel ghigno perverso dal suo volto e porre fine a quella storia assurda.
 «Avanti, lo ammetta.» aggiunse Magnussen, rispondendo prima che potesse farlo lui. Poi sorrise. «Dica al suo amico che in realtà è per lui che ha messo in atto questa messa in scena.»
 «La smetta.» intervenne John.
 «Perché?» domandò Magnussen, volgendo lo sguardo verso di lui. Quando incontrò il suo viso, però, i suoi occhi si spalancarono. «Oh…» gli sfuggì. «Ma lei questo lo sa già… Perché tra voi c’è qualcosa.»
 Sherlock sentì il cuore accelerare al ricordo di ciò che era successo fra loro solo qualche mese prima, immediatamente dopo il suo ritorno dalla morte.
 Quei baci e quelle carezze che si erano scambiati e che per lui avevano significato così tanto, ma che per John non erano stati altro che uno sbaglio. Quei momenti scolpiti a fuoco nella sua mente, sua unica fonte di consolazione e unico ricordo di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.
 Magnussen rise. «Ragazzacci.» esclamò, sinceramente divertito dalla reazione che aveva scatenato in entrambi. «Be’, certo, da Sherlock me lo sarei potuto aspettare. Ma da lei, dottore… è un uomo sposato…»
 «Tra noi non c’è nulla.» ribatté Watson, stringendo i pugni.
 Quella parole per Sherlock furono l’ennesima stiletta al cuore.
 Ma perché faceva così male? John gli aveva detto chiaramente di non amarlo. E che mai avrebbe potuto provare qualcosa per lui dopo ciò che gli aveva fatto passare.
 Eppure faceva male. Tanto male da togliere il fiato. Tanto male da mandare in frantumi il suo cuore. O ciò che ne restava.
 «Se non c’è, c’è stato.» precisò Magnussen. Assottigliò lo sguardo, sorridendo maliziosamente. «E mi dica, John… Mary è al corrente della vostra recente avventura?»
 John non rispose.
 Sherlock non si mosse, incapace di emettere suono, disorientato, incapace di parlare.
 «Forse è arrivato il momento di farglielo sapere.» aggiunse l’uomo.
 E si voltò.
 Sherlock e John seguirono il suo sguardo, aggrottando le sopracciglia, perplessi di fronte a quella strana affermazione, apparentemente priva di senso.
 Per un momento non accadde nulla, poi, dalla porta in fondo alla sala – che nessuno dei due aveva notato – emerse una figura.
 Inizialmente né Holmes, né Watson capirono di chi si trattasse, ma quando questa entrò sotto la luce, entrambi trattennero il fiato.
 «Mary?» ansimò John.
 Mary avanzò con passo deciso fino al centro della sala, e affiancò Magnussen, il volto impassibile e privo di qualsiasi emozione. Rivolse uno sguardo fugace a Magnussen, poi osservò Sherlock e John, gli occhi vuoti e privi di espressione.
 Sherlock sentì i polmoni svuotarsi e il cuore fermarsi nel petto, anche se sapeva che nessuno dei due fenomeni erano fisiologicamente possibili.
 Ciò che aveva di fronte non poteva essere reale… doveva essere frutto della sua immaginazione.
 Il corpo della signora Watson era tornato quello di sempre. Magro, asciutto e allentato. Nessun segno della pancia, nessuna traccia della gravidanza. Sul suo viso, l’espressione calda e dolce che l’aveva sempre caratterizzata da quando l’aveva conosciuta – quella prima sera al ristorante – era scomparsa per lasciare il posto a uno sguardo freddo e calcolatore, completamente privo di qualsiasi emozione.
 Cosa diavolo ci faceva Mary lì?
 Quando erano partiti si trovava a casa dei suoi genitori, priva di sensi sulla poltrona del salotto, a causa del sonnifero preparato e somministrato da Billy e diluito nel tè…
 Come poteva essere lì?
 «Ma cosa…?» balbettò John, senza fiato, rompendo il silenzio, dando voce ai pensieri di entrambi. «Cosa diavolo ci fai qui?»
 «Davvero non capisce, dottor Watson?» domandò Magnussen. Poi sospirò, visibilmente annoiato. «Vuoi essere tu a spiegarglielo?» chiese, volgendo lo sguardo verso Mary.
 Mary sollevò un sopracciglio. «Che cosa dovrei spiegare? Il fatto che mi trovi qui dovrebbe essere abbastanza.» disse. «Credo che possano dedurlo anche da soli.»
 «Volevi ucciderlo…» furono le uniche parole che Sherlock riuscì a pronunciare, estraendole dalla matassa di pensieri aggrovigliata all’interno del suo palazzo mentale. Scosse il capo. «Avevi detto-»
 La donna si volse verso di lui e incrociò i suoi occhi. «Non tutto è come sembra, Sherlock. Com’è che dici sempre? Tu guardi ma non osservi.»
 Il cervello del consulente investigativo prese a lavorare freneticamente, tanto da costringerlo a chiudere gli occhi.
 Il primo incontro con Mary.
 Il fatto che non sembrasse così sconvolta nell’averlo visto tornare dall’oltretomba dopo due anni.
 La sua capacità nel decifrare codici.
 La sua spiccata intelligenza.
 Possibile che…?
 No. Sicuramente quelle capacità le aveva acquisite lavorando come agente della CIA, come aveva raccontato loro quella sera dopo l’incontro a Leinster Gardens.
 Oppure…
 Oppure, la sera del rapimento di John, quando era stato quasi arso vivo, aveva decifrato quel codice così velocemente perché sapeva… Sapeva cosa stava per succedere al suo fidanzato, e voleva portare Sherlock dritto da lui per capire se John fosse davvero il suo punto debole e se veramente avrebbe rischiato tutto – anche la sua vita – per salvare quella di John Watson… e Sherlock lo aveva fatto.
 Aveva fatto di tutto, tutto e anche di più, per John.
 Solo per John.
 Ma certo… era sempre stato quello il suo scopo.
 Altrimenti perché andare da lui al sera del rapimento, pur avendo già capito che l’SMS che aveva ricevuto era un codice e che significava che John era in pericolo di vita? Sarebbe stato molto più semplice accorrere in suo aiuto, senza cerca quello di Sherlock. Dopotutto Mary era un’agente addestrato per affrontare quel tipo di situazioni.
 Un’agente che, tuttavia, per non far saltare la copertura che si era costruita era stata disposta a mettere a rischio la vita dell’uomo che presto avrebbe sposato.
 Era tutto così chiaro.
 I suoi sguardi… quegli sguardi e quelle espressioni che aveva soltanto quanto John non la stava osservando. Sguardi freddi, distaccati, privi di calore. Sguardi che Sherlock credeva di essersi solamente immaginato e che invece non erano frutto della sua fantasia, ma perfettamente reali.
 Come aveva potuto ignorare che ci fosse qualcosa di strano in lei? Era palese. E nonostante ciò, Sherlock era cascato in pieno nella sua trappola.
 Sentimenti, si maledisse.
 «Lavori per lui.» disse Sherlock, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo. «Ma certo. Era ovvio. Lampante. Fin dall’inizio.» concluse, incrociando nuovamente lo sguardo di lei. «Eri troppo intelligente. Sapevi troppo… anche per un ex-agente della CIA. Avrei dovuto capirlo.»
 «Eh, già.» replicò lei, con un mezzo sorriso.
 Il medico si voltò verso di lui. «Aspetta… fin dall’inizio?» domandò, aggrottando le sopracciglia. «Vuoi dire che…» i suoi occhi si spalancarono. «Il matrimonio… e la gravidanza…» scosse il capo, come se solo in quel momento, passato lo shock iniziale, se ne fosse reso conto. Poi puntò nuovamente lo sguardo sul volto di lei. «Perché? Perché Mary?»
 «Perché gliel’ho chiesto io, mi pare abbastanza ovvio.» si intromise Magnussen, e tutti gli sguardi si spostarono su di lui. «Ho assunto Mary, come la chiamate voi, perché sapevo che una volta che l’avesse sedotta, dotto Watson, lei l’avrebbe condotta dritta dai fratelli Holmes.» concluse, rivolto verso John. «E così è stato.» sorrise. «Io volevo distruggere Mycroft e Sherlock, e l’unico modo per averli tra le mie grinfie era fare in modo che venissero a me di loro spontanea volontà. Ed eccoli qui.»
 «Quella sera, nel suo ufficio, Mary mi stava aspettando.» disse Sherlock, le sopracciglia aggrottate, gli occhi puntati in quelli di Magnussen. «Per questo lei mi ha mostrato le lettere di Lord Smallwood… perché sapeva che sarei venuto a cercarle di persona.» spiegò. «Quindi ha chiesto a Mary di mettere in atto quella messa in scena. Le ha ordinato di spararmi. Un colpo calcolato per ferirmi ma non per uccidermi, in modo da farmi credere che avesse buone intenzioni e che fosse solo un modo per proteggere John da eventuali accuse.» sospirò. «Lei sapeva che avrei fatto di tutto per proteggere Mary e John dopo una cosa del genere. Anche offrirle il computer di mio fratello e quindi Mycroft stesso. E con me qui, adesso ha entrambi. Proprio come voleva.» concluse, sospirando mestamente, chiudendo gli occhi.
 Magnussen sorrise sornione. «Era tutto perfettamente calcolato.» disse «E lei ha giocato la sua parte in maniera perfetta, signor Holmes. Il problema è che, adesso che è qui e mi ha consegnato suo fratello, né lei né il dottor Watson mi servite più a nulla.»
 Nell’istante in cui pronunciò quelle parole, Mary con un movimento fulmineo estrasse una pistola dalla cintura e la puntò verso di loro.
 Sherlock d’istinto si parò davanti a John, frapponendosi fra lui e l’arma.
 Non poteva permettere che facessero del male a John. Avrebbero prima dovuto passare sul suo cadavere per torcergli anche un solo capello. Lui lo aveva messo in quella situazione e se fosse stato necessario, sarebbe morto per proteggerlo da Mary e da Magnussen.
 «Sherlock, no» protestò John, prendendolo per un braccio e tentando di farlo indietreggiare. «Cosa stai facendo?»
 Lui si voltò e incrociò il suo sguardo. «Resta dietro di me.» mormorò, sentendosi completamente perso per la prima volta nella sua vita. Era disorientato, non sapeva come comportarsi o come uscire da quella situazione senza perdere John o suo fratello.  
 John scosse il capo, affiancandolo. «Non ti permetto di farlo.»
 «Ti prego, resta dietro di me.» ripeté, lo sguardo implorante. «Non voglio che ti facciano del male.»
 I loro occhi si agganciarono, perdendosi per un momento gli uni negli altri, quelli di John carichi di domande e quelli di Sherlock di paura.
 «Oh, ma che carini…» esclamò Mary, la voce piatta e vuota, rompendo il silenzio che era calato sul salotto. «Sempre pronti a proteggervi l’un l’altro… davvero commovente.»
 «Chiudi la bocca, Mary!» ringhiò John, voltandosi verso di lei. «Sei disgustosa
 «Non più di tanti altri.» replicò lei.
 «Non hai fatto altro che mentire, ogni singolo giorno da quando ci siamo conosciuti.» affermò il medico. «Mi hai ingannato quando io ti avevo offerto il mio amore, e hai raggirato Sherlock quando ti aveva offerto la sua amicizia… che razza di persona farebbe questo? Mentire su quello che c’era fra noi e su nostra figlia!»
 Mary inclinò il capo. «Anche Sherlock ti ha ingannato, se ben ricordo.» dichiarò. «Ha inscenato la sua morte, lasciandoti per ben due anni. Mentendoti per due anni. Ti ha raggirato facendoti credere di essere morto per poi piombare nuovamente nella tua vita e mentire ancora e ancora… Non è poi tanto diverso da me.»  
 Sherlock sentì una fitta trafiggergli il petto.
 Era la verità. Mary aveva ragione. Lui aveva fatto la stessa cosa con John, e probabilmente lui lo avrebbe sempre disprezzato per questo.  
 «Ti sbagli. Lui è molto diverso. Ed è tutto quello che tu non sarai mai.» ribatté John, inaspettatamente. «È buono, gentile e giusto.»
 Gli occhi del consulente investigativo si spalancarono di fronte a quelle parole.
 «Lui ha un cuore grande.» proseguì Watson. «Tu invece sarai sempre e soltanto un’assassina senza cuore. Un involucro vuoto. Quindi non osare-»
 «Sì, davvero commovente.» sbottò Magnussen, interrompendoli. «Adesso però è arrivata l’ora di porre fine a tutto questo. Sto davvero cominciando a stancarmi.» si volse verso Mary e con un cenno del capo indicò Sherlock e John.
 La donna sollevò un sopracciglio e sorrise, poi riportò lo sguardo su Watson e Holmes. Prima che potessero accorgersene o fare qualcosa per impedirlo, Mary caricò il cane e fece fuoco.
 Il proiettile colpì Sherlock al fianco, facendolo indietreggiare. L’uomo gemette, sentendo un dolore lancinante percorrergli il fianco destro e risalire lungo il braccio e la spalla. Abbassò lo sguardo e si portò una mano alla ferita, che aveva preso a sanguinare copiosamente, poi cadde in ginocchio.
 «No!» gridò John e si mosse per raggiungerlo.
 La guardia del corpo di Magnussen, rimasta per tutto il tempo in disparte ma pronta ad intervenire, fu più rapida di lui: si parò di fronte a Sherlock e bloccò il medico prima che potesse avvicinarsi, allontanandolo con uno spintone dal corpo del consulente investigativo.
 John estrasse la pistola dalla giacca con un movimento rapidissimo della mano e la punto verso l’uomo.
 «Spostati.» ringhiò, furioso.
 «Metti giù la pistola, John.» intimò Mary, quasi si fosse aspettata quella reazione da parte del marito. Caricò il cane e puntò l’arma contro di lui. «Avanti.» lo incalzò. «In ogni caso morirete entrambi. Che senso ha opporre resistenza?»
 John si voltò e puntò l’arma contro di lei, continuando a controllare l’uomo con la coda dell’occhio.
 «Bene.» esclamò Magnussen. «Credo che per me sia arrivata l’ora di andare, prima che la situazione si faccia troppo calda.» avanzò e raggiunse la sua guardia del corpo. «Mi porti fuori.» ordinò, poi si fermò accanto a Sherlock.
 Holmes, agonizzante, lo osservò, la vista appannata dalle lacrime. Ansimò pesantemente, stringendo i denti, sopraffatto dal dolore, sentendo che una pozza di sangue si stava allargando sotto il suo corpo.
 «Peccato.» sentenziò Magnussen. «Davvero uno spreco.» concluse, poi seguì la guardia del corpo fuori dalla stanza.
 
  John e Mary continuarono ad osservarsi, in attesa di un qualsiasi errore da parte dell’altro che gli permettesse di colpire.
 La donna sembrava divertita da quella situazione, tanto che non aveva smesso di sorridere nemmeno per un secondo, troppo eccitata dal brivido di quel momento. 
 John stava impugnando l’arma con decisione, le mani ferme, il corpo teso come una corda di violino. Dopo ciò che aveva sentito, e aver scoperto che non solo sua moglie gli aveva mentito per tutto quel tempo, ma che aveva orchestrato tutto per fare del male a Sherlock e Mycroft, nulla l’avrebbe fermato dall’ucciderla.
 «Rassegnati, John.» sbottò lei, muovendo qualche passo verso sinistra, come un predatore pronto a colpire. «È finita. Tu e Sherlock morirete e nessuno verrà a salvarvi questa volta. Che senso ha continuare con questa farsa?»
 «Se noi moriremo, stai pur certa che tu morirai con noi.» replicò John, muovendosi contemporaneamente verso destra, seguendo ogni suo movimento.  
 «Forse io sono pronta a morire.» disse lei. Poi sospirò. «Sai qual è la cosa che più mi consola? Che né tu, né Sherlock potrete essere felici.» rise. «Sei stato così stupido da respingerlo quando ti ha confessato di provare qualcosa per te… e così facendo hai perso per sempre la tua occasione, John.»
 «Sta’ zitta.» sibilò.
 Sherlock, dietro di lui, gemette da dolore, annaspando per cercare aria.
 «Perché? Ti senti colpito nel vivo?» ridacchiò Mary. Poi scosse il capo. «Oh, John… Sherlock era l’unica persona che ti avesse mai amato davvero… e guarda cosa gli hai fatto. Tutto questo sta succedendo a causa tua. Solo perché ti sei fatto incantare dai miei occhi dolci e dal mio sorriso… E lui per amor tuo si è sentito in dovere di salvare la povera damigella in pericolo che tu avevi scelto di sposare…»
 Un moto di rabbia fece contorcere lo stomaco di John, che aumentò la presa intorno alla sua pistola. Sentì Sherlock gemere nuovamente alle proprie spalle e il suo cuore perse un battito.
 Mary aveva ragione. Sherlock stava morendo per colpa sua per l’ennesima volta.
 Mary rivolse uno sguardo fugace a Sherlock. «E guardatelo, il grande detective…» disse. «Distrutto dall’amore per una persona di così poco valore… Chi mai avrebbe pensato che sarebbe stato proprio l’amore la rovina del grande Sherlock Holmes?» sul suo viso balenò un’espressione di disgusto. «Davvero patetico.»
 E John sparò.
 Il colpò andò a segno, colpendo Mary dritta al cuore.
 La donna barcollò sulla gambe, abbassando lo sguardo sul suo petto.
 Tuttavia, nessuna macchia di sangue si allargò sul suo maglione, dove il proiettile lo aveva trapassato.
 Mary risollevò lo sguardo, sorridendo maliziosamente al marito.
 «Giubbotto antiproiettile.» disse soltanto. Poi scattò in avanti. Raggiunse John e con colpo potentissimo percosse il marito al volto con il calcio della pistola, facendolo cadere a terra in ginocchio. La pistola scivolò dalle mani di John.
 «Credevi veramente che un’ex-agente della CIA si sarebbe esposta in uno scontro a fuoco senza protezioni?» chiese la donna. «Sei più stupido di quanto credessi, marito.»
 John si portò una mano al viso, ansimando dal dolore, sentendo il sangue percorrergli il labbro spaccato. Non ebbe il tempo di risollevare lo sguardo, che la donna lo aveva nuovamente colpito al petto con un calcio, facendolo piegare in due dal dolore.
 Poi si voltò verso Sherlock, ancora agonizzante, in una pozza di sangue, sul pavimento. «Bene, Sherlock, a noi due.» disse.
 Sherlock vide Mary avvicinarsi.
 La donna sorrise e si chinò su di lui, osservandolo per qualche secondo con intensità, studiando il suo volto e i suoi occhi. Alla fine allungò una mano e la strinse intorno ai suoi capelli, costringendolo a sollevarsi da terra, mettendosi in ginocchio.
 Sherlock gemette dal dolore, impallidendo improvvisamente, e le lacrime gli rigarono le guance. Strinse una mano intorno al polso di Mary, stringendo i denti, sentendo un moto di nausea invaderlo.
 La donna accennò un sorriso, poi gli puntò la pistola al petto, dritta sul cuore, pronta a fare fuoco. «Dì le tue preghiere.» disse con calma e freddezza. «O le tue ultime parole. Quello che preferisci.»
 Holmes ansimò. «Uccidimi e basta…» bofonchiò. Il dolore era così acuto e così potente che la morte sarebbe stato un sollievo in quel momento, dopo tutto ciò che era accaduto.
 Mary rise. «Con estremo piacere.»
 Nello stesso istante, un movimento alla loro destra, attirò la loro attenzione.
 «Non muoverti.» ringhiò John.
 Sherlock e Mary si voltarono di scatto, appena in tempo per vedere che il medico aveva recuperato la sua pistola, si era messo in piedi e stava puntando l’arma contro sua moglie, pronto a fare fuoco.
 «Se muovi un muscolo, Mary, giuro su Dio, sarà l’ultima cosa che farai.» aggiunse.
 La donna rimase impassibile, inespressiva. «Sarebbe morto prima che tu possa fermarmi.»
 «E tu saresti morta subito dopo.» replicò Watson.
 Mary fece spallucce e annuì. «Forse hai ragione. La tua presenza è un problema.» concluse. E detto questo, spinse Sherlock a terra, puntò l’arma verso il marito e sparò.  
 
 I proiettili colpirono John alla spalla e qualche centimetro sotto lo stomaco.
 Il dolore fu improvviso, esattamente com’era accaduto in Afghanistan. Si propagò dalla spalla destra lungo tutto il braccio, e dallo stomaco al petto, fino a raggiungere anche le gambe, che traballarono sotto il suo peso.
 John barcollò. La pistola gli cadde dalle mani, sbattendo sul pavimento in ceramica producendo un secco rumore metallico.
 «No!» gridò Sherlock. «John… no!»
 Il medico ansimò e sentì le gambe tremare sotto il suo peso, incapaci di reggerlo ulteriormente. Annaspando, cadde in ginocchio e poi sulla schiena, gemendo per il violento contraccolpo con il pavimento.
 Un’enorme pozza di sangue prese ad allargarsi sotto il suo corpo, macchiando il pavimento e imbrattando i suoi abiti, mentre i suoi gemiti si facevano sempre più rotti e convulsi.
 
 Sherlock, raccogliendo le ultime forze rimaste, stringendo i denti per resistere al dolore che gli aveva attraversato il fianco e la schiena dopo essere caduto sul pavimento, e tamponando la ferita con una mano, si girò su un fianco e si trascinò lentamente accanto a John, gemendo per le fitte che la ferita gli stava dando.
 Il pavimento si colorò di rosso, una scia di sangue scarlatto e brillante in contrasto con il bianco lindo e pulito del marmo.  
 Mary rise. «Davvero credevi che vi avremmo lasciati liberi di andare, Sherlock?» ringhiò, rivolta verso il consulente investigativo, facendosi beffe di lui. Caricò il cane e fece fuoco ancora una volta, colpendo Sherlock alla spalla. «Sei veramente così ingenuo?»
 Holmes gemette, ma, stringendo i denti, continuò a strisciare sul pavimento per tentare di raggiungere John, il cui corpo stava tremando, in preda al dolore.
 «Davvero credevi di poter tenere testa a Magnussen?» ringhiò la donna, e sparò ancora, colpendolo al braccio.
 Sherlock si lamentò dal dolore, ansimando e gemendo, man mano che il dolore si amplificava, aumentando ad ogni movimento. Ma non si fermò. Continuò a strisciare verso John, raccogliendo le poche forze che gli erano rimaste.
 «Povero illuso.» rise Mary. «Metterti contro Magnussen non è stata un’idea così brillante… Come hai potuto anche solo pensare che saresti riuscito a salvare John? Sei davvero così stupido?»
 Fu in quel momento di distrazione che John agì.
 E fu tanto rapido che Sherlock non ebbe il tempo di realizzare ciò che stava succedendo.
 Approfittando del fatto che l’attenzione della donna fosse completamente rivolta verso il consulente investigativo, il dottore allungò una mano e afferrò la sua pistola, a terra a pochi centimetri dalla sua mano. Caricò il cane e quando fu certo di poter colpire Mary e neutralizzarla, sollevò il braccio e fece fuoco.
 Il proiettile colpì Mary dritto alla fronte, l’unico punto scoperto.
 La donna, colta alla sprovvista, non ebbe il tempo di reagire.
 Non appena venne colpita, cadde a terra e non si mosse più, mentre una pozza di sangue si allargava sotto il suo capo, macchiando i suoi capelli biondi e la sua pelle pallida e perfetta.
 Sherlock osservò il corpo di Mary accasciarsi a terra, privo di vita e immobile, e il suo cuore perse un battito, sconvolto di fronte a quella scena. Per un momento sentì una stretta terribile allo stomaco nel vedere la moglie del suo migliore amico – nonché la donna che per troppo tempo aveva considerato un’amica – morire sotto i suoi occhi, ma immediatamente si riscosse e si voltò verso John, riprendendo a trascinarsi verso di lui.
 
 «John…» ansimò quando lo ebbe raggiunto, reggendosi su un gomito e sollevando una mano per accarezzare il volto dell’amico. «John… oh, mio…»
 Il medico era ancora cosciente, ma respirava a fatica, ed era sempre più pallido ad ogni secondo che passava. Il suo corpo stava tremando in preda ai brividi di freddo e al dolore.
 Holmes sentì gli occhi inumidirsi, vedendo quanto sangue avesse coperto il corpo dell’amico e quanto ne avesse perso a causa dei proiettili che Mary aveva sparato, calcolando che colpissero per uccidere.
 «Sherlock…» gemette il medico, inclinando il capo e incontrando i suoi occhi.
 «Mi dispiace…» singhiozzò Sherlock, accarezzandogli una guancia. «Mi dispiace tanto… è tutta colpa mia… non avrei mai voluto che ti facessero questo… non avrei voluto che finisse in questo modo…» le lacrime gli rigarono le guance. «Volevo solo…»
 «Lo so…» sussurrò John, dolcemente. «Non è stata… colpa tua…»
 «Perdonami…» mormorò Sherlock, poggiando la fronte contro la sua e chiudendo gli occhi. «Perdonami, ti prego…» le sue lacrime bagnarono il volto di John.
 «Sei tu… che devi perdonare me…» replicò il dottore, con voce flebile. «Non avrei mai dovuto sposare Mary…» sollevò una mano e sfiorò il viso di Sherlock. «Eri tu… sei tu quello che voglio… sei sempre stato tu…»
 Un sospiro tremante lasciò le labbra di Holmes e quelle parole gli trafissero il cuore come un pugnale. Non avrebbe voluto sentirsele dire così. Non alla fine di tutto.
 John singhiozzò. «Io sono innamorato di te…» ansimò. «E mi dispiace di… di non averti dato ciò che avresti meritato… e di non essere stato abbastanza per te…»
 Sherlock scosse il capo. «Tu mi dai tutto ciò di cui ho bisogno…» replicò, fra le lacrime, il corpo sempre più stanco e spossato. «Sei tutto per me, John…» singhiozzò. Poi si sporse verso di lui e poggiò le labbra sulle sue, regalandogli un bacio dolce e carico di tenerezza.
 Solo quando si allontanò da lui, si accorse che John aveva smesso di respirare.
 «No…» disse, accarezzando il volto dell’amico con una mano. «No, John, ti prego…» pianse, scuotendolo. «No… non puoi lasciarmi… non puoi…» gemette, poggiando il capo sul suo petto. «Ti prego… no…»
 In quel momento, qualcuno fece irruzione in salotto.
 Sherlock non sollevò il capo, né si mosse. Continuò a tenere John stretto a sé, singhiozzando e chiamando il suo nome, implorandolo di rimanere con lui.
 Non poteva averlo perso… non poteva essergli morto fra le braccia.
 Non gli importava se chiunque fosse entrato lo avesse ucciso. Non se significava poter riavere John con sé.
 
 Poi delle mani lo allontanarono dal corpo dell’amico.
 «No…» singhiozzò lui. «No, vi prego…»
 «Lascia che se ne occupino i paramedici, Sherlock.» disse una voce alle sue spalle.
 Quando il consulente investigativo si voltò, incrociò gli occhi di suo fratello, a pochi centimetri dai propri.
 Mycroft era lì, il volto pallido, gli occhi colmi di preoccupazione, le braccia chiuse intorno al suo petto per allontanarlo dal corpo di John. Lo tenne stretto a sé, accarezzandogli i capelli e tamponando la ferita al fianco con una mano.
 «No, Mycroft… non voglio lasciarlo…» singhiozzò Sherlock, tremando contro di lui.
 «Faranno il possibile per aiutarlo, Sherlock. Adesso, però, devi rimanere fermo. Hai perso troppo sangue.» affermò lui. Poi si voltò verso l’ingresso. «I paramedici, presto!» gridò, aumentando la pressione sul fianco del fratello.
 Sherlock annaspò, tremando. «John è morto… l’ho perso per sempre…» gemette dal dolore, portandosi una mano alla spalla, dove un dei proiettili di Mary l’aveva colpito. «Lasciami morire… ti prego, lasciami andare…»
 «Shh… andrà tutto bene.» disse il maggiore, accarezzandogli i capelli, senza allentare la presa intorno al suo corpo e sul suo fianco.
 E il consulente investigativo perse i sensi tra le braccia del fratello.
 
 Sherlock aprì gli occhi lentamente.
 La prima cosa che mise a fuoco fu la luce.
 Una potentissima luce bianca. Accecante e fastidiosa.
 Poi percepì i rumori.
 Un bip regolare e lento.
 Un leggero sbuffo.
 Il lieve rumore di un respiro.
 Sentì una leggera pressione sul viso, sugli zigomi e sul naso.
 E poi avvertì qualcosa di morbido sotto il capo.
 Qualcosa di ruvido che gli accarezzava le gambe e le braccia.
 Dove si trovava?
 Chiuse gli occhi e immagini sconnesse e confuse gli balenarono nella mente.
 Mary.
 Una pistola.
 Sangue.
 Dolore.
 Lacrime.
 Morte.
 John.
 John.
 Riaprì gli occhi e sbatté più volte le palpebre, poi volse il capo verso sinistra.
 E vide Mycroft.
 Non appena i loro sguardi si incrociarono, il maggiore gli sorrise.
 Sherlock inspirò profondamente e pronunciò la prima parola che gli salì alle labbra.
 «John»
 Mycroft non parlò. Semplicemente puntò lo sguardo oltre il corpo di Sherlock.
 Lui aggrottò le sopracciglia e si voltò verso destra.
 Fu allora che lo vide.
 John era sdraiato sul materasso accanto al suo. Vivo.
 Sherlock annaspò. «John» disse e tentò di mettersi seduto.
 Il bip dell’elettrocardiogramma aumentò.
 Mycroft lo bloccò, poggiandogli le mani sulle spalle. «Rimani sdraiato, o farai saltare i punti.» disse. «John sta bene. Sono riusciti a rianimarlo e a fermare l’emorragia prima che fosse troppo tardi. Si riprenderà.»
 Sherlock, a quelle parole, si calmò.
 John.
 Stava bene.
 John.
 John.
 John.
 Il suo corpo si adagiò nuovamente sul materasso, rilassandosi sotto il tocco del fratello. Chiuse gli occhi e affondò il capo nei cuscini, prendendo a fare respiri profondi e regolari, sentendo il suo battito rallentare.
 Quando riaprì gli occhi, vide che suo fratello lo stava osservando.
 «Mary ci stava aspettando.» disse con voce impastata.
 Mycroft annuì.
 «Lavorava per Magnussen.» aggiunse Sherlock. «Ha sempre lavorato per lui. Ha usato John per arrivare a noi. Voleva distruggerci e aveva capito che John… che io…» si interruppe, scuotendo il capo. «Lui ha ordinato a Mary di ucciderci.»
 «È stato arrestato.» affermò il maggiore. «Pagherà per ciò che ha fatto, e non causerà più fastidi a nessuno. È finita.»
 Sherlock fece un respiro profondo e annuì. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese poi.
 Il politico aggrottò le sopracciglia.
 «Riguardo a Magnussen.» aggiunse il minore. «Avevi detto di non detestarlo.»
 «Ho cambiato idea quando ho visto quello che aveva fatto al mio fratellino. E inoltre, avevo piazzato una cimice nel mio computer, che ha registrato tutto ciò che è accaduto ad Appledore in tempo reale, permettendomi di accorrere in tuo aiuto in tempo.» concluse Mycroft, poi si avvicinò alla sedia, prese la giacca che era poggiata sullo schienale e la indossò. Sospirò e accennò un sorriso. «Considerato che ti sei svegliato e sembri star bene, non hai più bisogno di me.» concluse, avviandosi verso la porta. «Manderò un infermiere per un controllo. Porgi i miei saluti a John quando si sveglierà.» e detto questo, aprì la porta e uscì, lasciando Sherlock solo.
 Ma certo. Avrebbe dovuto immaginare che suo fratello avrebbe previsto ogni cosa e che sarebbe accorso in loro aiuto. Si ripromise di non sottovalutare Mycroft mai più, nemmeno in una situazione del genere, in cui era coinvolto il Governo Inglese.
 Affondò nuovamente il capo nel cuscino. Poi lo inclinò a destra, osservando John, immobile sul materasso accanto al suo, ancora completamente immerso nel sonno indotto dai farmaci.
 Sorrise.
 Dio, quanto lo amava.
 
 Quando John aprì gli occhi, Sherlock stava riposando.
 Tuttavia, il consulente investigativo lo percepì. Non seppe come, ma non appena il suo migliore amico si svegliò, anche lui lo fece, voltandosi verso di lui, cercando il suo sguardo. Cercandolo in quella stanza e trovandolo immediatamente, senza fatica.
 «John» mormorò.
 Il dottore, sbattendo più volte le palpebre, inclinò il capo a sinistra e inspirò profondamente; quando incontrò lo sguardo di Sherlock, i suoi occhi si illuminarono.
 «Sherlock» sussurrò.
 Sherlock allungò un braccio verso di lui e John fece lo stesso.
 Le loro mani si trovarono.
 Le loro dita si intrecciarono.
 E Sherlock e John si sorrisero.
 
 Quando vennero dimessi dall’ospedale, Sherlock e John tornarono a Baker Street insieme, lasciandosi Magnussen, Mary e quell’orribile vicenda alle spalle.
 Varcarono la soglia dell’appartamento fianco a fianco, rimanendo per un momento fermi sulla porta ad osservare il 221B. Casa. L’unico luogo in cui avevano sempre potuto essere loro stessi. Sherlock e John, insieme contro il resto del mondo, che in fondo mai aveva potuto comprenderli davvero.
 Il medico sorrise, finalmente felice di essere tornato a casa.
 «Stiamo per avere il nostro lieto fine.» disse.
 «Io speravo più in un lieto inizio.» replicò il consulente investigativo.
 Entrambi esplosero in una risata complice, esattamente com’era accaduto all’inizio di quella loro relazione atipica e speciale; poi i loro occhi si agganciarono per un lungo istante.
 I loro sguardi si persero gli uni negli altri, fondendosi, baciandosi, amandosi.
 «Ti amo, Watson.» sussurrò Sherlock.
 «Ti amo, Holmes.» mormorò John.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti ;) Ecco che dopo mesi di silenzio, sono tornata, finalmente, con la terza e ultima parte della serie dedicata alla rivisitazione della terza stagione. ^.^”
Chiedo venia per l’increscioso ritardo.
Ormai avrete capito che la terza stagione è la mia preferita, contando che ve l’ho propinata in tutte le salse. xD Dovrei seriamente pensare di darmi a qualche altro hobby.
Detto questo, spero che la storia vi sia piaciuta. Fatemi sapere!
A presto, Eli♥
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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