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Autore: memyselfandbia    28/06/2017    1 recensioni
Melissa adora tre cose.
Il suo lavoro. I suoi fratelli. Il tè caldo.
Deniel detesta tre cose.
Il suo lavoro. Suo zio. Il caffè freddo.
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO UNO
 
Erano da poco passate le quattro del mattino, ed a passo stanco mi recai nella sala relax dell’ospedale presso cui lavoravo da ormai un anno e mezzo come infermiera. Avevo iniziato la mia carriera prima come stagista e in seguito come dipendente, ero stata fortunata, molti dei miei vecchi compagni universitari non avevano ancora un lavoro stabile e più volte mi era giunta voce che presi dallo sconforto lasciavano Montreal o addirittura il Canada. Quando ne venivo a conoscenza sentivo nei loro confronti molta stima e ammirazione per la loro presa di coraggio, io non so se riuscirei a lasciare i miei fratelli, la mia città, cominciare da zero in un nuovo paese con differenti culture e accenti.
Mi chiusi alle spalle la porta della sala relax dove, con le braccia converse e il capo chino, uno specializzando si riposava, decisi di prendermi una tazza di caffè non era il massimo del gusto, ma almeno mi avrebbe aiutata a superare le ultime due ore di lavoro. Era stata una notte tranquilla senza particolari gravi incidenti. Ricordo come fosse ieri la mia prima notte in ospedale: erano da poco passate le due del mattino fino a quando la responsabile ci informò che stavano arrivando due ambulanze con due persone molto gravi, si chiamavano Steve e Lucy. Erano una giovane coppia da poco sposata e quella sera nel tornare da un concerto il ragazzo aveva perso per un millesimo di secondo il controllo della macchina, un secondo di troppo. Sono deceduti entrambi poche ore dopo esser giunti in ospedale, avevano ferite profonde, sono state le ore più intense che avessi mai provato e durante quella notte capii il vero senso di tristezza e verità che si nascondeva dietro alla frase “abbiamo fatto il possibile”, andai al loro funerale perché per qualche assurdo motivo sentivo che dovevo esser là, nonostante non li conoscessi.
 
“Melissa, ti stanno cercando giù in pronto soccorso, credo che la nuova arrivata abbia bisogno del tuo aiuto” dalla porta sbucava la testa del mio amico e collega di lavoro Marley.
“Sì, arrivo. E togliti quel sorriso idiota dalla faccia anche te sei stato in difficoltà quando sei arrivato.” posai la tazza di caffè nella piccola lavastoviglie, mi strofinai gli occhi e raggiunsi Marley.
Per arrivare al pronto soccorso dalla sala relax bastava percorre venti metri di corridoio e prendere l’ascensore, comodo se solo non avessi una paura enorme verso quei aggeggi. Il lato positivo era che la sua discesa e salita durava pochi secondi, poi potevo tornare a respirare regolarmente.
“Allora, che fai finito il turno?” mi chiese Marley.
“Dormo” gli risposi guardandolo e facendo spallucce come a dirgli ‘non tutti siamo mondani come tè.’
Salimmo sull’ascensore, strinsi forte gli occhi e cominciai a contare 1,2, 3, 4, 5, 6, DIN! Le porte si aprirono e io tirai un sospiro di sollievo.
“Postazione numero 7, in bocca al lupo mio fiorellino di campo.” mi prese in giro Marley, aiutare un nuovo arrivato era sempre una fatica perché dovevi aggiustare la situazione con il paziente e tranquillizzare il tuo collega.
“Vaffanculo” gli dissi sorridendogli.
“Che donna raffinata.” e se ne tornò al suo lavoro.
 
Scostai la tenda della postazione e mi resi conto che c’era un po’ troppa gente.
C’erano cinque ragazzi, si assomigliavano parecchio perciò dedussi dovessero essere fratelli o qualcosa del genere, uno di loro era seduto sul lettino accanto ad un bambino che avrà avuto poco più di un anno e mezzo. Mi sorrisero perciò ricambiai e scrutai a destra e sinistra per vedere dove fosse la ragazza alle prime armi, la trovai accanto al mobiletto del lettino con la cartelletta del paziente tra le mani tremanti.
“Salve! Ivy mi daresti la cartella?” allungai un braccio e con sguardo sereno la rassicurai e le feci cenno di accostarsi a me, vidi che trasse un sospiro e l’ansia che le avevo letto in viso qualche secondo prima cominciò ad abbandonarla.
“Allora… Stephan?” sapevo che la loro presenza in pronto soccorso fosse dovuta alla febbre del piccolo Stephan dato che tutte le informazioni erano scritte dettagliatamente sulla cartella, ma chiesi comunque sperando di ottenere qualche informazione in più.
“Sì, è questo ometto seduto accanto a me.” mi disse il ragazzo. Era alto e molto muscoloso, ma non di quel genere pompato dove passano la vita in palestra, no, era il tipo di fisicità che si ottiene lavorando o praticando sport con necessità di grande stazza, mi accorsi che anche gli altri ragazzi presenti erano più o meno come lui. Aveva i capelli scuri e gli occhi di un verde bottiglia, labbra carnose e un viso dalle linee dure.
“Ciao Stephan, io sono Melissa e sono un’infermiera, ti va di fare un gioco con me?” mi chinai leggermente verso il bimbo e gli sorrisi, volevo infondergli sicurezza e simpatia cosicché si sarebbe rilassato facilitando così tutti gli esami prescritti dal medico che l’aveva visitato prima che arrivassi io.
Stephan scosse la testa e lanciò uno sguardo ai suoi familiari.
“Fa fatica a lasciarsi andare con le persone, doveva vedere prima con il medico. Una tragedia. Comunque io sono Deniel e loro sono i miei fratelli Brandon, Drew, Gabriel e Jared e il marmocchio è nostro nipote.” disse il ragazzo seduto sul lettino.
Sorrisi a tutti, poi mi venne un’idea.
Presi un bastoncino di quelli che si usano per abbassare la lingua e controllare la gola, mi avvicinai a Stephan e gli dissi che era una spada che regalavo solo ai bambini bravi come lui, quest’ultimo sorrise e con la sua dolce manina afferrò il pezzetto di legno.
“Atie.” lo interpretai come un ‘grazie’ e con accortezza gli passai dolcemente la mano sulla sua guanciotta. Aveva dei tratti che mi ricordava il viso di qualcuno, ma non sapevo chi.
“Scommetto che con questa spada non avrai paura di fare due giochini con me, no?” tese le braccia verso di me come a voler dire che si sentiva pronto e che avevo la sua fiducia. Lo presi, lo appoggiai sul fianco sinistro del mio corpo e gli stampai un leggero bacio sulla fronte. Stephan poggiò la testa sulla mia spalla e mi sussurro un flebile ‘andiamo’. Alzai lo sguardo rendendomi conto che tutti nella stanza mi fissavano con sorriso ebete, Ivy mi guardava con aria ammirata e notai che aveva gli occhi lucidi. Non capii perché, di certo non era la prima volta che vedevano una donna con in braccio un bambino.
Dissi ai cinque fratelli che erano liberi di aspettare in sala d’attesa o che se preferivano uno di loro poteva venir con me, fu Deniel a proporsi e così ci dirigemmo verso la sala dedicata agli esami del sangue.
“Mi chiedevo quale fosse il suo cognome.” disse Deniel interrompendo il silenzio imbarazzante che si era creato mentre facevo il prelievo del sangue a Stephan.
“Non credo sia di rilevante importanza dirglielo”
“Sarebbe stato più semplice trovarla sull’elenco telefonico per chiederle di uscire.” sgranai gli occhi. Nessuno era mai stato mai così sfacciato da propormi un appuntamento nel pieno di un esame, per di più con suo nipote. Magari avrei potuto deconcentrarmi e sbagliare.
 Okay Melissa, rilassati non ti ha chiesto di donargli un rene.
“Chiedermi direttamente di uscire non sarebbe stato più semplice?”
“Non impazzisco per le cose facili.” disse con un sorrisetto arrogante stampato in viso.
Che gran faccia di idiota stupito egocentrico, ne avevo conosciuti di tizi come lui e non desideravo frequentarne altri.
“Beh… dato la sua galante richiesta indiretta il mio rifiuto non sarà da meno.” detto questo sollevai il piccolo e mi incamminai verso la stanza per il secondo esame.
“Non sa cosa si perde” pronunciò Deniel che camminava un paio di metri dietro di me.
 
Deficiente.
 
Terminati i due esami riaccompagnai Stephan e Deniel alla sala d’attesta dove i fratelli di quest’ultimo e Ivy aspettavano. Posi a Brandon suo nipote che lo sollevo sulle spalle scatenando la risata del piccolo.
“Ora Ivy vi accompagnerà nella camera che occuperete nel mentre aspettiamo i risultati degli esami, va bene? Per qualsiasi cosa potete chiamare me o Ivy saremo entrambe di turno fino alle 6 poi una collega verrà in nostra sostituzione. Ciao campione, sei stato bravissimo!” detto questo accarezzai la testolina riccia e bionda del piccolo e salutai i fratelli.
Deniel continuava a fissarmi e questo mi metteva a disagio e a tempo stesso mi faceva incazzare. Detestavo essere guardata.
“È stato un piacere conoscerti” mi salutarono i ragazzi.
“Già, concordo con i miei fratelli” se ne uscì Deniel.
Lo mandai mentalmente al gabinetto e lanciando un ultimo sorriso a Stephan me ne andai.
 
6.30 a.m.
 
Cercai le chiavi di casa nella borsa azzurra che mi aveva regalato un paziente poco tempo prima, finalmente avevo finito il turno e non vedevo l’ora di tuffarmi nel letto e dormire con un orso in tempo di letargo.
I miei fratelli, John e Matt, erano già usciti per andare a lavorare quindi non avrei dovuto rispondere alle solite domande del tipo ‘com’è andata a lavoro? ’ o ‘è arrivata qualche nuova infermiera sexy? ’, girai la chiave nella serratura e spalancai la porta. Finalmente a casa.
Mi tolsi le scarpe buttandole una a sinistra e l’altra a destra, salii le scale che portavano alla mansarda dove c’era la mia amata camera e togliendomi i jeans strappati mi buttai sul letto, poco dopo crollai in un sonno profondo.
 
Buonanotte Melissa.

 
 
 
 
 
   
 
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