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Autore: sirius__    28/06/2017    0 recensioni
[Epico ]
Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης, Ganymédēs) è una figura della mitologia greca, figlio di Troo re dei Dardani e di Calliroe, una delle naiadi. Principe del popolo troiano, il poeta Omero lo descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo.
Il tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono sia il re di Creta Minosse sia Tantalo, Eos ed infine il re degli dèi Zeus, così come si racconta nelle varie versioni, una posteriore all'altra, della stessa leggenda.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Nello splendore del mattino 
come intorno a me tu ardi, 
primavera, adorata!
Con mille estasi d'Amore

preme sul mio cuore 
il sentimento sacro
del tuo eterno calore, 
bellezza infinita!"

 

I capelli oro che splendono al sole, una leggera tunica pallida che carezza la pelle morbida e pallida, giovane e lieto. 

Pascola col proprio gregge, il sole scotta sulla sua pelle facendola splendere, come quella di un dio; piccole gocce salate riposano sulla sua fronte e sul suo collo, lungo e snello, come quello di un delicato cigno, siede su una roccia, guardando l'orizzonte, non pensa, respira a pieni polmoni l'aria fresca del monte Ida, è solito andare lì, porta con sè un piccolo flauto che si diletta di suonare, non è bravissimo, ne è in grado, poggia le labbra rosee sullo strumento, e suona, nonostante non ne sia esperto, anche gli dèi si fermerebbero ad ascoltarlo, a guardarlo. Con la sua bellezza crea un suono unico, il canto di una sirena, la voce della dèa, la più bella. 

Un colpo di vento sposta i suoi ricci mentre suona, guarda il cielo ormai indaco, si alza, e porta il gregge.

Cammina sulla strada più nascosta, come consigliato dal padre, raggiunge il palazzo senza che nessuno lo abbia visto. A suo arrivo, le guardie aprono il portone con un lieve inchino, i loro sguardi cadono sui polpacci fini e le caviglie strette del giovane, e guardano quest'ultimo fino a che non scompare tra i corridoi del palazzo. Si dirige verso la sua stanza, la più grande e la più sicura. Siede sul proprio letto accompagnato da un sospiro stanco, le gambe pesanti per la lunga camminata vengono accompagnate sulle morbide coperte, guarda le due colonne che sembrano voler proteggerlo, davanti il letto, come due soldati, dritte e composte. Bussa una delle schiave, anziana, per avvertirlo di una visita, Ganimede annuisce e sorride gentilmente alla donna, si alza dal letto e si lascia vestire da essa, le mani scure, sporche e rugose vestono un corpo pallido, giovane e pulito: al collo una lunga collana d'oro che stringe tra le proprie braccia un'ametista colorata da un pallido viola che poggia sul petto color latte e ossuto del giovane, sui polsi dei bracciali provenienti dalle terre calde dell'Egitto, avrebbe tanto voluto visitarlo, a coprire il corpo una tunica di seta, bianca, che lascia una spalla scoperta e stringe delicatamente il suo corpo, come il tocco gentile e piacevole di una madre, a ornare i capelli delle foglie realizzate con argento, che si mescolano coi ricci color oro che sembrano cadere come una fontana dal centro della sua nuca. Infine un lungo velo a coprirgli le spalle e le braccia. 

Siede accanto il padre durante la cena, l'ospite viene fatto entrare, è una persona importante a quanto pare, un uomo alto, possente, e dallo sguardo severo: Minosse, sovrano di Creta, dietro di lui una donna, dallo sguardo basso, come era solito per le spose: Pasifae. 

Si narra che Minosse avesse pregato Poseidone per un toro, che avrebbe poi dato in sacrificio agli dèi, e il dio lo accontentò, ma il re non riuscì a sacrificarlo per la sua bellezza, così Poseidone, adirato fece innamorare del toro Pasifae, e dalla loro unione nacque una creatura metà uomo, metà toro, e, si narra anche, che Minosse avesse fatto costruire un labirinto in cui nascondere il mostro. 

Minosse si china salutando per primo Troo, il re, con un inchino e porgendo ad esso i propri omaggi, successivamente Calliroe, anch'essa viene salutata con un inchino, e stringendo la minuta e lunga mano tra le possenti e volgari mani di Minosse, come chiunque avrebbe salutato una nàiade.

Arriva il turno di Ganimede, che lo guarda attraverso il velo dalle trame quasi trasparenti, Minosse non lo saluta come un principe, ma esattamente come ha salutato la madre, una dea. Ganimede non si scompone, china la testa per ricambiare il saluto. Sorride leggermente, gli è sempre piaciuto esser trattato così, a chi non sarebbe piaciuto, alza lo sguardo notando l'espressione di rimprovero del padre, rivolta proprio a Ganimede.

Troo e Minosse parlarono, Ganimede non prestò attenzione alle loro parole, nè tanto meno al cibo, o ad altro, ascoltò gli aedi che cantavano le gesta di grandi eroi, i loro nomi conosciuti come quelli di dèi. 

Terminata la cena Ganimede attende una delle anziane schiave per tornare alla propria stanza, Minosse e sua moglie sarebbero rimasti la notte. Si guarda attorno, leggermente infastidito dall'attesa, i suoi occhi color del cielo cadono su Minosse che già lo stava guardando, probabilmente non da poco tempo, in questo modo Ganimede ha modo di vedere nei dettagli il sovrano di Creta, le sopracciglia larghe e nere, le rughe d'espressione su tutto il viso molto marcate, gli zigomi fuoriescono e sembrano denti di una belva, sono illuminati dal bagliore delle candele, le guance infossante subito attaccate ad essi, la barba lunga e non molto curata, i capelli gli cadono fino alle spalle, non sono raccolti, e anch'essi come le sopracciglia sono nero, come il buio; il ragazzo sorride gentilmente, ma il re di Creta non ricambia, dev'essere stato un uomo molto severo, o forse solo distratto. 
Ganimede decide di tornare da solo nella propria stanza, senza aspettare, si alza e si dirige verso la porta che l'avrebbe condotto al corridoio. 

Sa che qualcuno lo sta seguendo, così sorride divertito e continua a camminare rallentando il passo, i piedi stretti dai sandali sono cauti, non si volta, gioca, questo faceva quando gli uomini credevano di poter giacere con lui, che altro avrebbe potuto fare? Accadeva talmente spesso che così facendo almeno si sarebbe divertito un po'. 
Si volta velocemente, e dietro di sè trova Minosse, come si aspettava, è fermo davanti a lui sorridendo.
Non è questa la strada per la sua stanza. Inarca un sopracciglio, sempre accompagnato da un sorriso divertito.
Non lo è. La voce di Minosse rieccheggia nel corridoio, è possente e profonda.
Non posso darti ciò che desideri. Non ti lascerò amarmi come una donna, Questo lo sai.
Credi che abbia bisogno del tuo consenso?
Il giovane si morde un labbro, si volta e continua a camminare verso la propria stanza, le orecchie sembrano andare a fuoco, sa che se avrebbe risposto come voleva sarebbe stato pericoloso, Minosse è molto più grande e forte di lui, stringe i pugni, frustrato dal non poter avergli dato uno schiaffone. Due mani enormi lo fermano, stringendo il suo addome, si volta, Minosse lo lascia andare, e si lascia cadere a terra, gli occhi sono chiusi, Ganimede, allarmato, controlla il respiro dell'uomo, respira, è caduto forse in un sonno profondo? Non pensa a una risposta, corre verso la propria stanza, avendo paura di essere incolpato. 

Il giorno seguente lascia le lenzuola confortevoli del letto per portare ancora una volta il gregge su per il monte, tutti dormono, Apollo ha appena portato in alto il Sole. 
Lascia quindi il castello con tutta tranquillità, percorre le strade che all'ora del futuro ritorno dovranno essere affollate, ma ora no,sono silenziose ed è accompagnato dai propri zoccoli che sbattono sui sassolini a terra, questo è l'unico suono che ode, ed è gradevole, e può godersi le strade, da solo, in libertà. 

Pensa a Minosse, come starà? Sarà vivo? Cosa è successo? Sospira e si volta per controllare il gregge, tutto okay, guarda avanti e continua a pensare, da Minosse passa a Tantalo, un uomo davvero importante, si diceva che vivesse con gli dèi inizialmente, ma ora è conosciuto per essere il primo re della Lidia, anch'egli in visita al palazzo, guardò e salutò Ganimede esattamente come lo fece Minosse la sera precedente, Ganimede non gli lasciò fare la cosa, ma lasciò che lo baciasse, che lo toccasse e carezzasse, dopotutto è un uomo che è stato tra gli dèi, non un re con una moglie infedele ancora in vita. Da Tantalo passa a Eos, una dea, la dea dell'Aurora, lei, innamorata e attratta da Ganimede, un mortale, il giovane non la toccò, e non si lasciò toccare, nonostante fosse una dea. Pensando a loro, non riesce a contenere una smorfia disgustata, avrebbe voluto essere come gli altri, da bambino giocare all'aperto, imparare da un maestro l'arte della spada, o a suonare la lira, non stare tra schiave , le più anziane, le più fidate del padre.

Avvolto tra i pensieri nota che è arrivato in cima,guarda i piedi scalzi, senza imperfezioni, le dita rosee che sguizzano tra l'erba bagnata di rugiada, segno che Eos è lì, proprio lì con lui, come ogni mattina, probabilmente la dea si limita a guardarlo, a sentire la sua compagnia; si ferma, lasciando il gregge libero. 

Si sdraia a terra e Eos lo stringe tra le sue pallide dita dalle punte rosee, come il cielo all'alba, guarda il sole, che non gli puncica la pelle come invece fa durante il pomeriggio, si sente rilassato, nessuno lo guarda, nessuno gli rivolge quei sguardi miseri e vogliosi, forse. 

Un'aquila, la ignora, anche se non è solito udire un'aquila così vicina. Volta il viso, l'animale su un albero lo guarda, uno sguardo non umano, che non ha mai sentito prima d'ora sulla propria pelle, non si sente sporco, al contrario, desidera più contatto visivo con il possente animale, si alza, e delicatamente allunga la mano verso l'animale, che non si muove, ma lo guarda, ancora e ancora. 

 

"Potessi prenderti 
Fra queste braccia!

Ah, sul tuo seno 
indugio, delirante, 
e i tuoi fiori, la tua erba 
fanno tumulto nel mio cuore. 
Tu calmi l’ardente 
sete del mio petto, 
leggiadro vento mattutino! 
Mi porti il tenero richiamo"

A Ganimede piacciono sempre di più i suoi sguardi, sente una forza divina e il piacere arde in lui, morde le labbra desideroso sempre di più. L'aquila si alza in cielo per poi ritornare in picchiata sul giovane, i lunghi artigli entrano nella tenera pelle del mortale e lo trascina nel più alto dei cieli con sè.
La veste vola via, tornando sulla rugiada, Eos stringerà per sempre la sua tunica, la quale emana tutto il suo profumo, delicato proprio come lui. 

 

"Vengo, vengo! 
Dove? Ah, dove?

In alto! In alto sono attratto. 
Volgono in giù le nuvole, 
inclinano le nuvole 
verso l’amore struggente. 
A me! A me! 
Nel vostro grembo 
lassù! 
Abbracciando, abbracciare! 
In alto sul tuo petto 
colmo d’amore, Padre!"


Vestito solo di ardore Ganimede entra nell'Olimpo, casa di eroi e dèi, di immortali, i ricci oro vengono penetrati dal vento. 

Ganimede viene lasciato sulle nuvole dall'aquila, dal padre degli dèi e degli uomini, da Zeus. 
Le nuvole rosee e pallide danno il benvenuto ai delicati piedi del principe, avvolgono le dita e stringono le caviglie. 
Il giovane, con la vista annebbiata dalla voglia, si lascia stringere e toccare dalle possenti e enormi braccia di Zeus, il quale lascia sul collo e le spalle del mortale baci umidi, e prende tra le proprie mani il Fallo roseo dalla punta arrossata di Ganimede, e lo massaggia, lo massaggia lentamente provocando i respiri irregolari del giovane. 
Lo fa voltare verso di sè, e gli fa prendere tra le mani il membro, che in poco tempo diventerà eretto, come quello di Ganimede, uniscono le proprie bocche lasciandosi trasportare sulle nuvole, uno su l'altro. 
Ganimede si lascia amare come una donna, lasciandosi penetrare dal dio. Esce sangue, e inizialmente dalla bocca del giovane escono dei piccoli lamenti di dolore, che poco dopo diverrano di piacere, le mani ossute del mortale avanti a sè, spinge sempre di più tutto il corpo verso il dio, voglioso di altro amore. Il dio spinge, con forza, sentendo sotto di sè il mortale minuto impazzire dal piacere che gli sta donando, le ossa del bacino che fuoriescono sembrano rompersi, ma le mani di Zeus le tengono ben salde.

Terminata l'unione dei due, Zeus incarica Ganimede di uno dei compiti più desiderati dai mortali: il coppiere degli dèi. Durante i banchetti avrebbe versato vino agli dèi, e sarebbe rimasto per l'eternità a fianco di Zeus. 



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Angolo COOOSA

 

Ganimede fu una figura molto importante perché da lui diciamo sono nate le pederastie (ateniesi, spartane, romane e altro che idk). E niente he's such a smol bean. 

Ho scritto più volte "la cosa", in pratica nell'antica grecia praticare sesso anale tra coppie omosessuali non era solito dal momento che l'uomo che sarebbe stato in una posizione passiva sarebbe stato "trattato" come donna. 
Allora come facevano???? Niente si chiama sesso intercrurale, in pratica tra le cosce,... SI. 

 

   
 
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