Potrei
essere romantico, e raccontarvi di essermi innamorato di lui per lo sguardo,
per i movimenti, per la voce.
Potrei
essere cinico e parlare col mio cazzo, e dirvi di essermi innamorato di lui
dopo essermelo scopato nello sgabuzzino degli strumenti ed avere avuto
l'orgasmo migliore della mia vita.
Ma
sarò semplicemente banale, noioso come la realtà che mi circonda e soffoca: mi
sono innamorato di lui perché mi tiene testa, perché è l'unico essere umano che
io abbia mai incontrato che riesca a rispondermi a tono, il solo che non abbia
la testa infarcita di stronzate e timore, che non abbassi lo sguardo davanti a
me solo perché sono il più giovane e il più grande chimico che il Paese abbia
mai conosciuto; in fondo, Alphonse Elric – divertente omonimia del cognome – è potenzialmente il mio degno successore.
Tendo
a darmi un tono maggiore di quello che mi spetterebbe, sempre.
Innamorato:
una parola decisamente troppo grossa – mi ritrovo a correggermi immediatamente,
questo non è da me, e mi irrita non poco, ma devo purtroppo annoverarlo
nell’elenco dei cambiamenti dovuti all’entrata di Alphonse nella mia vita.
C'è
un qualcosa, un legame che mi impedisce di essere troppo distaccato da lui.
Sono affascinato, più che innamorato, si potrebbe dire. Ecco, forse è più
adatta, come definizione.
Assuefatto?
Forse. Ho conosciuto drogati peggiori e io non morirò mai d’overdose, dunque
non me ne preoccupo.
Ma
sono tutti sentimenti che capisco e so gestire. Odio non sapere come
amministrare un qualcosa che riguardi o tocchi anche solo lontanamente la mia
persona.
Lo
bacio, mi piace, lo capisco.
Ci
scopo, mi piace da morire, lo capisco.
Ci
discuto, ci parlo, mi confronto, addirittura l'uscirne sconfitto ogni tanto mi
piace! E lo capisco.
A +
B à C.
E va
tutto bene: capisco, so ragionarci, è tutto nelle mie mani e così mi giostro,
comprendo, modello quando un qualche difetto mi da i nervi; addiziono,
sottraggo, moltiplico, divido, calcolo. Son tutte cose che ben capisco, con cui
posso fare i conti.
È il
tenersi per mano, i regali, gli appuntamenti, che irrimediabilmente non
capisco, il cui senso mi sfugge dalle dita come sabbia troppo sottile per poter
pensare di starmi in mano più di mezzo secondo, la cui totale mancanza di
logica mi irrita da morire. Tutto quel che è legato all’amore non ha un senso, e detesto avere a che fare con qualcosa che
non ne abbia.
Gli
appuntamenti? Non ne ho bisogno. Lo vedo tutti i giorni in università, lui e
quel suo sorriso dipinto sul volto che è così piacevole vedere tramutarsi in
ghigno quando mi vede stupito dalla sua mostruosa intelligenza. Vederlo fuori?
Perché mai? Se ne ha voglia, è lui ad invitarsi a casa mia, sfacciato e
stupendo per questo. Tenerlo per mano? Non siamo due ragazzine, è un contatto
superfluo, di cui nessuno dei due sente il bisogno. I regali, le parole dolci?
Per Cristo, ancora, non siamo due femminucce. Le uniche parole che voglio
sentire da lui sono il mio nome roco e i suoi gemiti e urla, quando siamo solo
noi due, e le sue teorie che riesco la maggior parte delle volte a smontare in
università. Non mi serve fare l’amore, quando posso godere e scopare.
Non
che Alphonse sia il primo. Né la prima esperienza sessuale, né la prima
omosessuale. Sono sempre stato sufficientemente intelligente per capire che un
corpo è sempre un corpo, che abbia i seni o i pettorali, che di buchi ne abbia
due o uno solo, un modo per usarli l’avrei sempre trovato. Ho avuto diversi
corpi sotto e sopra di me, alcuni affascinati dal cervello, altri dal corpo, altri
ancora da entrambi. C’è chi mi disse di essere stato rapito dal mio modo di
ridere, chi dal mio sguardo attento e partecipe, chi dalla passione che
riuscivo ad infondere in chiunque. Mi parve di scoparmene un paio innamorati,
troppo assurdi per poter essere dei caldi alberghi per più di due volte.
L’idiozia sembra davvero contagiosa.
Non
mancarono mai i rimproveri. Venni schiaffeggiato, insultato per aver
semplicemente smascherato quel sentimento assurdo nella sua mancanza di senso,
tacciato come insensibile, bastardo, schifoso
pezzo di merda. Infantili bambini isterici, le cui teorie erano così
facilmente smontabili da annoiarmi in poco.
L’amore,
la cosa più bella del mondo? Non è forse meglio fare sesso con chiunque tu
voglia, senza dovergli poi nulla? Provo sincero affetto per mia madre e i pochi
amici al mio livello, ma al contempo io non mi aspetto nulla da loro, e tanto
fanno loro. Una libertà assoluta, così semplice da comprendere e ancor più da
rispettare, in culo alla vostra fedeltà.
Eppure
non sono un insensibile. O, almeno, questo è quello che mi dice Alphonse, ogni
tanto – Alphonse che mi chiama Ed, Alphonse che preme perché io lo chiami Al
perché il suo nome per intero lo ritiene troppo serio e lungo, dice che se ci
ragiono un attimo posso conservare fiato da usare con lui. Alphonse che riesce,
ogni tanto, a portarmi su futilità, Alphonse che si è abituato alla voracità
con cui scopo, Alphonse che ha preso l’abitudine di baciarmi piano, quasi fossi
fragile. Alphonse che ha una nota squillante, nel chiamarmi per prendere un
caffè insieme.
Non
ho bisogno dell’amore; e non è una frase fatta, ma una profonda convinzione.
Gioverebbe a qualcosa? Migliorerebbe la mia vita? No, è facile trovarvi
risposta. Porterebbe altre preoccupazioni, acciacchi, grattacapi e pruriginosi
liti inutili. Mi porterebbe dolore, potrebbe trovare in me una fragilità
nascosta e colpirmi così duramente da non farmi più rialzare.
Alphonse,
quoziente intellettivo pari al mio, ci crede, invece. Altra questione
incomprensibile, altro motivo di irritazione. Ci crede in dosi moderate, a
quanto mi dice ogni tanto, fra le lenzuola sporche e il mio cinismo. Alphonse, intelligenza
pari alla mia, ha fede in qualcosa di così incomprensibile, inspiegabile,
inutile – Alphonse che pare rimembrare tempi lontani, quando ne parla sul letto,
e nel rimarcare tempi odierni, quando me ne sussurra all’orecchio.
Ecco
perché preferisco definirmi assuefatto. Questo snervante notare tutti i
particolari, caratteristica che non è mai stata mia, che ho sempre rifiutato.
Come
può confidare in un sentimento del
genere? In qualcosa che sfugge ad ogni controllo, qualcosa che porta l’umore ad
eccessi inspiegabili, che ha effetti ingestibili sulla mente, portando ad
azioni insensate. E tutto per cosa? Per un sorriso della persona amata?
Assicuro che ne ho ben più io da Alphonse dopo una scopata piena e
soddisfacente.
Morirò
solo? E quale sarebbe la differenza con la vita? Non credo mi pentirò della mia
condotta in punto di morte, lo troverei ipocrita. E poco m’importa se l’ultima
visione saranno fialette e composti, per loro sono nato e per loro solo vivo.
Alphonse
tende a rimproverarmi spesso, quando parlo così. C’è un’acuta nota di
disapprovazione nella sua voce, mista ad un qualche tipo di ferita, quando mi
parla e il suo sguardo si fa indignato. Dice di non capire come possa essere
così chiuso, quasi stolto nel mio totale rifiuto. Mi chiede spesso se ci abbia
mai provato e la mia risposta è sempre la stessa: perché buttarmi a capofitto
in un’azienda fallimentare, quando posso restare nel mio studiolo col culo
coperto?
In
fondo ho scoperto come fallimentare sia qualsiasi amore.
La chimica
mia adorata mi ha fottuto, reagendo in maniera inaspettata, portandomi ad una
morte lenta e dolorosa.
Non
è forse questa la metafora più esatta per definire l’amore? Esso reagisce
sempre in modo imprevisto, senza darci neppure il tempo di improvvisare una
salvezza, anche solo temporanea.
Sto
morendo, ogni cosa svanisce.
E
non so se sono irritato o contento, nell’avere come ultima visione il volto di
Alphonse, al posto di fialette e composti.
Grazie, Faber.