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Autore: Mary P_Stark    28/06/2017    4 recensioni
1827. Andrew Spencer, erede del titolo degli Harford, parte per il Grand Tour europeo assieme ai suoi migliori amici, Keath e Leonard. Il viaggio ha sì lo scopo di fare nuove scoperte e conoscenze - come effettivamente avverrà - ma serve ad Andrew come via di fuga dal suo annoso, terribile problema. Il suo cuore sanguina per una donna che pensa di non poter avere.
Violet Phillips, al tempo stesso, è alle prese con un problema non dissimile: la Stagione a Londra, mille potenziali cavalieri e nessuno che realmente colpisca il suo cuore... poiché esso è già impegnato, e dall'uomo per lei più inavvicinabile di tutti.
Potrà il Grand Tour aiutare Andrew a chiarirsi le idee, e trovare il coraggio che ora gli manca per dare voce al suo cuore?
E potrà Lucius Bradbury, cugino di Alexander Chadwick, aiutare Violet nella riscoperta di se stessa e di una forza che non crede di avere? - SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'" e "SOTTO IL VELO DELLA NOTTE"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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5.
 
 
 
 
Lizzie era stata gentile a organizzare una festa per il loro arrivo ad Aberdeen e, a tutti gli effetti, a Violet piaceva l’idea di danzare senza badare troppo all’etichetta.

Lì in campagna, dove tutto era vissuto con maggiore libertà, le convenzioni di Londra sembravano lontane mille miglia.

La villa di Alexander era stata aperta a tutta la nobiltà del luogo, così che gli ospiti potessero godere di maggiore compagnia possibile.

Libagioni di gran pregio erano state preparate per il desinare, e i migliori musici erano stati assoldati per quella serata danzante.

In tutto quel marasma di persone, Violet si ritrovò a danzare più e più volte, senza quasi mai concedersi un attimo di pausa.

I colori, le voci, la musica, i profumi, tutto contribuì a distrarla, a farla ridere, a portarla a divertirsi come da tempo ormai non era più in grado di fare.

Quando, infine, si scusò con il suo ultimo ballerino per concedersi un attimo di requie, le venne spontaneo sedersi su un divanetto e sospirare soddisfatta.

Le facevano male i piedi ed era accaldata, ma poteva giurare di non essersi mai divertita tanto, negli ultimi anni.

“Una limonata per dissetarsi dopo tanto danzare?” le propose Lucius Bradbury, uno dei cugini che Alexander le aveva presentato quella sera.

Se non ricordava male, era il secondo cugino di Maxwell Chadwick.

“Grazie infinite, Lucius. Ne ho davvero bisogno” sorrise Violet, accettando il bicchiere.

Come aveva scoperto in breve tempo, nella famiglia Chadwick le formalità erano qualcosa di sconosciuto. Tutti erano spigliati, diretti e per nulla preoccupati di apparire irrispettosi.

A Violet piaceva quel modo di fare, così lontano dai toni raffinati e altezzosi del Ton.

Ugualmente, voleva essere sicura di non mettere in imbarazzo la sua famiglia, così lanciò uno sguardo curioso in direzione di Kathleen.

Nel vederla annuire senza problemi, Violet si sentì quindi in diritto di offrire a Lucius il posto libero sul divanetto.

“Controllata a vista anche qui al nord, Violet?” le domandò ironico Lucius, allentandosi un po’ il plastron per il gran caldo.

“Molto meno che a Londra. Ma non desidero dare scandalo, od offendere la mia cara amica che ci ospita” sorrise tranquilla la ragazza, sorseggiando la bevanda fresca.

Lucius rise brevemente, annuendo con fare spavaldo.

“E’ per questo che evito caldamente Londra e i suoi salotti. Non mi piace tenere a freno a lingua, e tutto quel fingere di essere una persona che non sono, non fa per me.”

“Londra può essere assai soffocante, in effetti, ma ha anche dei pregi. I teatri che può vantare sono ineguagliabili, così come i suoi musei, dove si possono trovare reperti di ogni epoca e ogni luogo” disse per contro Violet, bloccandosi quando vide Lucius sorridere divertito. “Non vi piace l’arte, devo dedurre?”

“Diciamo che non sono un esperto in materia. Non saprei distinguere un geroglifico da un cuneiforme” replicò il giovane, facendola sorridere.

“Sapete cosa sono, però.”

“Non chiedetemi altro, Violet, perché potrei farvi fuggire terrorizzata… o disgustata dalla mia ignoranza” ironizzò Lucius, facendo una smorfia mefistofelica.

Violet si coprì la bocca con una mano per contenere una risata argentina e, ammiccando, esalò: “Orsù, non potete essere così ignorante come vi dipingete!”

“Se mi parlate di arte, ammetto senza remore di saperne poco ma, se volete conoscere cosa apprezzo, ve lo dirò. Promettete, però, di non ridere?” le propose lui, tornando mortalmente serio.

Violet assentì, intrecciando le mani in grembo e volgendosi un poco verso di lui per meglio guardarlo in viso.

A quel punto, Lucius ammise: “Se mio padre me lo consentirà, partirò per le Americhe, per stabilirmi laggiù e aprire un cantiere navale.”

Sgranando gli occhi per la sorpresa, Violet esalò: “Oh…e come mai proprio le Americhe? Già di per sé, far nascere e crescere un cantiere navale è un’impresa assai ardua, da mettere in pratica, visti gli altissimi costi di gestione.”

“Sono affascinato da quelle terre, e dalle mille opportunità che esse offrono. Inoltre, la mia famiglia possiede già diversi cantieri, in giro per il regno, e sarebbe interessante allargare il giro, per così dire. Ma, per farlo, ho bisogno di sovvenzioni, non essendo io che un semplice cadetto, perciò devo rimettermi alla parola di mio padre.”

Il tono accorato di Lucius la colpì, così come la luce impressa in quegli occhi adamantini.

Sorridendo con calore, Violet mormorò: “Sono più che sicura che vostro padre accetterà di darvi una mano, poiché nei vostri occhi si legge con quanta passione intendete affrontare questo impegno.”

Sorridendole grato, Lucius asserì: “Volesse il cielo che bastasse solo la mia passione! Mio padre, però, vorrebbe vedere anche altro, da parte mia. Cioè, un maggiore interesse dal punto di vista economico e, mio malgrado, ammetto di non essere molto bravo nel far di conto.”

“Lo dite solo perché non vi siete mai impegnato in qualcosa che apprezzavate davvero. La matematica può essere molto noiosa, se finalizzata a se stessa. Ma se, per esempio, volessi commissionarvi la costruzione di un clipper a tre alberi, quanto costerebbe?” gli ritorse gentilmente contro Violet.

Ridendo divertito, Lucius si lanciò in un’accurata descrizione della nave, di come si costruisse, di quali legnami servissero, e di quanto costasse l’intero progetto.

Fu a quel punto che, notando il sorrisino della ragazza, lui si bloccò, rise leggermente ed esalò: “Stavo parlando come un imprenditore serio, o sbagliano le mie orecchie?”

“No. Eravate molto serio, credetemi.”

Lucius accentuò il suo sorriso, afferrò entrambe le mani di Violet e, sollevatele dinanzi a sé, le baciò rapidamente prima di esclamare: “Grazie infinite, mia cara. Siete un tesoro!”

Ciò detto, balzò in piedi e corse via, lasciando un’attonita Violet seduta sul divanetto e Kathleen già sul piede di guerra.

Raggiunta in fretta la sua pupilla, la donna esalò: “Ma che gli è preso?! Non sa che non avrebbe neppure dovuto sfiorarti?!”

Sobbalzando nel rendersi conto della presenza di Kathleen, Violet arrossì leggermente ed esalò: “Ah… oh… credo che, in quel momento, Lucius stesse pensando a tutt’altro.”

Sospirando esasperata, Kathleen borbottò: “D’accordo che non siamo a Londra ma insomma, un po’ di contegno, per Diana!”

Violet rise leggermente nel sentirla imprecare a quel modo e, invitatala a sedersi accanto a lei, la ragazza disse: “Stava spiegandomi il suo grande sogno e, forse, devo aver detto qualcosa che gli ha fatto piacere. Penso che un tipo come Lucius Bradbury non sia persona dalle mezze misure e che, quindi, il suo gesto non sia da interpretare come una mancanza di rispetto.”

“No, direi proprio di no. Il fatto stesso di avere sangue dei Chadwick nelle vene, lo rende un personaggio assai bislacco” ironizzò suo malgrado Kathleen, rabbonendosi. “Non ti ha turbata, comunque?”

“No, davvero, Kathleen. Sto bene. Mi ha sorpresa, ma nulla di più” la tranquillizzò Violet, sorridendole.

“Molto bene. Questo deve essere un soggiorno tranquillo, e niente deve turbarti” sottolineò Kathleen, lapidaria.

“E perché mai, scusa?”

Sorridendole gentilmente, la donna ammise: “Perché abbiamo notato che hai l’aria un po’ triste, ultimamente, e vorremmo che ti divertissi. Credo che Londra non ti sia piaciuta molto, vero?”

“Non tutto, ma alcune cose mi interessavano davvero” asserì Violet, chiedendosi quanto la donna, o i suoi familiari, avessero realmente capito del suo malessere.

“Forse, potremmo dire a tuo padre di cercare qualcuno per te, ma che non faccia parte del bel mondo di Londra. Ho idea che quei damerini non ti piacciano troppo” le propose con gentilezza Kathleen, ammiccando.

Violet si limitò a sorridere, sapendo bene cosa, l’amica di famiglia, non le stesse dicendo.

Avrebbe compiuto a breve diciotto anni e, per la figlia di un duca quale era lei, la sua condizione di nubile sarebbe presto divenuta uno scandalo.

Il suo nome sarebbe stato chiacchierato con ben poca simpatia nei salotti bene della nobiltà inglese, e sarebbero state sollevate illazioni di qualsiasi genere.

Tutto ciò la irritava più di quanto non volesse – o riuscisse – ad ammettere, e sapeva bene di stare dando un pensiero non da poco ai suoi genitori.

Ma come mettere a voce la verità, senza rischiare un disagio ancora maggiore?

“Forse…” iniziò col dire Violet, sentendosi male al solo pensiero di proferire simili parole. “… forse potrei chiedere a Lizzie. Lei conosce molto meglio di noi la nobiltà scozzese. Chissà che, puntando al nord, non si riesca a trovare un giovane per me? Forse, addirittura, uno dei nuovi amici di Andrew. Se piacciono a lui, non potranno che essere dei gentiluomini.”

E io potrò avere requie ancora per qualche mese, pensò poi tra sé Violet.

Kathleen assentì lieta e, sfiorando una spalla della giovane con espressione soddisfatta, dichiarò: “Hai avuto una splendida idea. Chi può essere miglior giudice, se non una persona che tiene tanto a te? Attenderemo il suo ritorno, e poi ne faremo menzione anche con lui.”

“Molto bene, Kathleen” annuì composta Violet.

Sospirando, la donna aggiunse: “Mi spiace metterti pressione, ma purtroppo non viviamo in un mondo in cui possiamo dire la nostra. Se tu volessi, potresti anche rimanere sola. L’appannaggio che ti spetta ti renderebbe possibile una vita del genere, ma non credo che tu lo voglia.”

“No. L’idea di rimanere da sola mi atterrisce” ammise Violet, rabbrividendo al solo pensiero.

Il punto era un altro. Desiderava un uomo che non era interessato a lei in quel modo.

Ma, soprattutto, il loro eventuale coinvolgimento emotivo avrebbe creato una spaccatura in seno alla famiglia.

“Risolveremo tutto, tesoro. Te lo prometto” le sorrise Kathleen, sollevandosi in piedi per dirigersi verso i coniugi Phillips.

Con un leggero sospiro, Violet si levò a sua volta, si diresse verso i giardini e, dopo aver superato le porte-finestre, iniziò a passeggiare nella calda notte d’agosto.

Lì all’esterno, tutto era estremamente tranquillo, niente sembrava turbare la pace della notte e, per un istante, Violet desiderò quella pace per se stessa.

L’attimo seguente, però, si diede della sciocca.

Chi poteva desiderare una vita piatta e uniforme come può essere la notte con i suoi imperituri silenzi?

No, forse lei non agognava alle avventure di Lizzie o di Sarah, ma non voleva neppure un’esistenza piatta e monocromatica.

Sfiorando il petalo setoso di una rosa, sospirò impercettibilmente, ripensando a quando, l’anno precedente, l’oggetto del suo desiderio le aveva regalato una rosa simile a quella.

Certo, lui l’aveva fatto per semplice gentilezza, sapendo quanto lei apprezzasse quei fiori, ma ancora ne conservava i petali all’interno delle pagine del suo libro preferito.

“Davvero deprimente” mormorò tra sé Violet, denigrando se stessa per la sua viltà.

Avrebbe tanto desiderato un po’ di coraggio in più, specialmente in quel momento.

Lo scalpiccio delle scarpe di qualcuno la portarono a volgersi immediatamente ma, nello scorgere solo Lizzie, sospirò di sollievo e asserì: “Scappi dalla tua stessa festa?”

“A che pro rimanere, se l’ospite d’onore si trova qui, immersa nei profumi della notte?” le sorrise Elizabeth, raggiungendola.

Ora, la gravidanza si era fatta più evidente, sul suo corpo esile e Violet, nell’avvolgerle la vita con un braccio, le domandò: “Il bambino ti dà noia?”

“Oserei dire che sono due… oppure, questo birbante ha tre piedi” rise sommessamente la giovane donna, facendo sorridere l’amica.

“Non sarebbe una cosa poi tanto strana. Tu sei una gemella e, nella famiglia di Alexander, ci sono stati casi anche recenti di parti gemellari” annuì pensierosa Violet.

“Non dirlo ad Alex, o darà di matto. E’ già preoccupato così, figurarsi se le sue peggiori paure venissero messe a voce. Ha già spergiurato che non mi toccherà mai più, per evitare che io soffra in qualche modo” ridacchiò Lizzie, facendo arrossire un poco l’amica.

“E’ premuroso” sottolineò Violet.

“E del tutto irrealistico. Sappiamo bene entrambi che siamo una coppia affiatata anche a letto, e non potrà mai avvenire che io lo lasci stare troppo tempo lontano da me” ironizzò Elizabeth. “Ma sono scortese, e parlo di cose che non dovrei neppure accennare con una damigella nubile.”

“Non ti scusare, Lizzie. Mi fa piacere sapere che il tuo matrimonio funziona così bene. E’ la realizzazione dei miei sogni” scosse il capo Violet, sorridendole.

“E perché sogni me, invece di sognare te, al mio posto? Non con Alexander, è ovvio, ma con il lui dei tuoi sogni” sorrise Elizabeth, dandole una carezza al fianco mentre proseguivano nella loro passeggiata per i giardini.

Il sospiro che scaturì dalle labbra di Violet sorse spontaneo quanto impossibile da frenare e, nell’avvedersene, Lizzie mormorò: “Cosa ti turba, tesoro?”

“Niente che possa dirti senza scatenare in te un dolore, e così anche nella mia famiglia” ammise lei, lanciandole uno sguardo dolente.

Vagamente sorpresa, Lizzie si fermò per afferrare Violet alle spalle e, fissandola in quegli occhi ai limiti del pianto, mormorò: “Tesoro, tu puoi dirmi tutto.”

“Ma non questo!” esalò la ragazza, reclinando colpevole il capo.

“Non ti obbligherò a parlare, se non vuoi, ma ricorda questo, Lettie. Io sono tua amica e ti ascolterò sempre, qualsiasi cosa tu voglia dirmi. Ovvio, se tu volessi ammettere di essere perdutamente innamorata di Alexander, dovrei toglierti l’amicizia, ma ti capirei. Alex farebbe innamorare chiunque” replicò Lizzie, facendola scoppiare a ridere.

Abbracciandola con calore, Violet asserì: “Quando me la sentirò, te ne parlerò, ma ti chiederò anche il riserbo più assoluto. Troppe vite rischiano di soffrire, a causa del mio cuore egoista.”

“Sei sempre stata un po’ melodrammatica, ma accetterò le tue condizioni, a patto che tu sia assolutamente sincera con me” dichiarò solenne Elizabeth, poggiandosi una mano sul cuore.

“Va bene. Accetto” assentì Violet.

“Molto bene, cara. E ora, torniamo dentro. Lucius ti stava cercando per proposti di ascoltare qualche cosa riguardante bompressi e vele da giardinetto, credo. Non me ne intendo molto, ma pare che fosse entusiasta al solo pensiero” le confidò Elizabeth, prendendola sottobraccio per ricondurla nella villa.

Violet sorrise spontaneamente e, annuendo, disse: “Mi ha confidato i suoi programmi per il futuro, e penso voglia sapere cosa ne penso della progettazione dei suoi clipper.”

“D’accordo, tu ne sai più di me. Io distinguo a malapena un clipper da una goletta” rise Lizzie. “Mi piace di più viaggiarci sopra, che pensare a come sono fatti. Ma so che tu ami molto l’architettura navale, vero? Gli ultimi schizzi che avevo visto, erano splendidi.”

“Oh, sì, amo molto tutto ciò che riguarda la nautica. Se solo fosse possibile, per una donna, progettare navi, sarebbe bellissimo disegnarne qualcuna per farla costruire” assentì con entusiasmo Violet.

“Beh, puoi chiedere a Lucius se è interessato ai tuoi progetti. Magari, ti dirà di sì” ammiccò Elizabeth, facendo ridere l’amica.

“Non illudermi, Lizzie! E’ davvero crudele” esalò la ragazza, trattenendosi a stento dal ridere. Quella sì che era un’idea folle!

Con fare divertito, Lizzie le batté una mano sul braccio, replicando: “Hai poca fiducia in te stessa, cara. Io glielo direi. Alla peggio, firmerebbe lui i disegni, ma sapresti che la tua opera è apprezzata.”

Violet la guardò con sincero interesse, e Lizzie sostenne il suo sguardo con estrema serietà.

“Lo pensi davvero, giusto?”

“Ricordati, Lettie; esisteranno sempre uomini gretti e dalla mentalità ristretta, ma anche altrettanti che, non solo riconosceranno in te dei pregi, ma sapranno appianarti la strada perché tu possa esprimere queste tue qualità” le rammentò Elizabeth, con tono posato e molto serio.

“Grazie, Lizzie. Davvero” assentì Violet, sorridendole grata.

Elizabeth si limitò a una scrollatina di spalle e, quando infine trovarono Lucius, lei lasciò l’amica al cugino, sperando di non aver commesso un errore irreparabile.

Subito affiancata dal marito, Lizzie sospirò e disse sommessamente: “Spero soltanto di non aver danneggiato mio fratello, a questo modo. Ma Violet non può precludersi la possibilità di scegliere, e di essere felice, a causa della ritrosia di Andrew.”

“Pensi che il loro sia affetto corrisposto?” le domandò Alexander, prendendola sottobraccio.

“Come saperlo? Lettie si rifiuta di parlarmi del suo cuore dolente, ma è chiaro che qualcuno la turba. Stando alle parole di mia madre, a Londra non ha incontrato nessuno che le abbia fatto battere il cuore, e lei mi ha appena detto che, ciò che risiede nel suo cuore egoista – il che è già assurdo da pensare – potrebbe far soffrire le nostre famiglie. Due più due fa ancora quattro, no?”

Alexander le sorrise divertito, e assentì.

“Pensi che, se i genitori di ambo le parti sapessero la verità, scoppierebbe un putiferio?”

“Di per sé, conosco un sacco di persone che si sono sposate con i relativi cugini, e qui non esiste neppure questo cruccio. Ma che dire… siamo cresciuti assieme come se fossimo tutti fratelli e sorelle, e forse questo potrebbe creare dei disagi di fondo. Come capire se il loro è reale amore, o se è solo l’abitudine a vedersi? Sarebbe un dramma, se scoprissero di non amarsi davvero” sospirò Lizzie, scuotendo il capo.

“In effetti, a parte voi della famiglia, Violet non ha mai avuto altri contatti e, a quanto pare, i gentiluomini di Londra non l’hanno colpita. Questo pericolo esiste” sospirò Alexander, scostando se stesso e la moglie quando una dama passò di corsa per sfuggire alle attenzioni del proprio chaperon.

Ghignando divertita, Lizzie ne seguì la fuga e mormorò: “Prima di domattina, Claire si caccerà nei guai. Sua zia Margareth le tirerà le orecchie per ore, se la pescherà a sbaciucchiarsi con qualcuno.”

“Se Claire sarà così sciocca da farlo, ci sarà ben poco di cui arrabbiarsi. Purtroppo, contro la stupidità esistono poche difese” sospirò Alexander.

“E’ un po’ superficiale, te lo concedo, ma non è sciocca” protestò debolmente Lizzie.

“Si è appartata con il figlio di lord Brady il giorno di Calendimaggio e, solo per pura fortuna, non ne è nato uno scandalo” la mise al corrente lui, facendole sgranare gli occhi.

“E tu come lo sai?!” esalò lei, sgomenta.

“Perché sono stato io a beccarli, e ho taciuto con entrambi i genitori degli scapestrati ragazzi. Ho preteso da loro maggior discernimento, ma non so per quanto tempo Claire si ricorderà della lezione” precisò Alexander, afferrando due bicchieri di limonata da un vassoio.

“Che sciocchina” brontolò Elizabeth.

“Eh, già. Chi ha troppa verve, e chi dovrebbe accumularla” sentenziò il giovane, sorridendo alla moglie.

“Se intendi Violet, cadranno le stelle prima che lei faccia qualcosa del genere.”

“Non pretendo tanto, ma deve convincersi che può farcela anche da sola, senza attendere l’arrivo della cavalleria. Andrew è sempre stato troppo protettivo nei suoi confronti, così come voi della famiglia – se mi è concesso dirlo senza che tu mi morda – e lei si è abituata a questo dato di fatto.”

“Già, forse hai ragione. Ora che deve decidere da sola, si sente spaesata. Vorrei darle una mano, però…” sospirò Lizzie, scuotendo il capo.

“Sei tra due fuochi, lo so, mia cara Silfide. Sei combattuta tra il desiderio di stare dalla parte di tuo fratello, e da quella della tua amica.”

“A volte, fare la Silfide è faticoso” brontolò Elizabeth, prima di toccarsi la pancia e aggiungere: “Specialmente quando ti usano da palla.”

“Sta scalciando?” domandò subito lui, sorridendo.

La sua mano gentile coprì il ventre della moglie e, quando il suo sorriso si allargò, Lizzie seppe che aveva sentito quel calcetto leggero.

“E’ forte” mormorò lui, con tono affettuoso.

“O pestifero. Vedremo” ironizzò lei.

“Sei sicura di voler organizzare le feste di Natale qui, col bambino in arrivo?” le domandò a quel punto lui, ansioso.

“Non ci rinuncerò per nulla al mondo e, visto che non potrò viaggiare, tanto vale farla qui” sottolineò lei, pratica.

“Tutto quello che vuoi, basta che tu non ti stanchi troppo” assentì Alexander.

“Vedrò come sfruttare al meglio questa tua affermazione” dichiarò lei, ammiccando maliziosa.

“Sono sempre al tuo servizio” replicò lui, prima di fare un cenno di risposta al padre. “Te la senti di rimanere senza di me per un po’?”

“Corri da tuo padre, prima che venga qui a caricarti su una spalla” rise sommessamente Lizzie. “Io andrò a fare un po’ di chiacchiere con mia madre, tua madre e Myriam.”

“A dopo” sussurrò lui, dandole un bacio veloce alla mano prima di scappare via.
 
***

La pelle era tenera sotto le sue labbra e, mentre percorreva quel corpo deplorevolmente seducente, il suo cuore batteva così forte da rischiare di scivolargli dal petto.

A ogni bacio, il suo sussurro lo incendiava sempre di più, spingendolo più vicino all’abisso, al punto di non ritorno.

Quando infine lei gorgogliò il suo nome, lui affondò nel suo corpo tenero e…

… e fu a quel punto che si risvegliò, dolente nel corpo e nella mente, con il viso ricoperto da un lieve strato di sudore.

Il suo fiato corto era indice di quanto quel sogno lo avesse turbato e, nel ritrovarsi nella cuccetta del clipper che avevano preso da Bari, Andrew mormorò sgomento: “Sta davvero peggiorando…”

Non aveva mai sognato Violet in quella particolare situazione, e il fatto che gli fosse capitato quando era più distante da lei, non aiutava a renderlo più tranquillo.

Passandosi una mano sul viso madido, si sollevò dalla cuccetta in tutta fretta, ben deciso a non svegliare i ragazzi e, dopo essersi vestito, uscì sul ponte.

Lì, l’alba era a malapena visibile a est, un tratto rosso cupo nella notte ancora dilagante.

Pochi marinai stavano muovendosi per il ponte, chi controllando il sartiame, chi tenendo d’occhio l’orizzonte con sguardo competente e addestrato.

Il timoniere seguiva la rotta con attenzione, mantenendo un’andatura costante grazie al vento di bolina, mentre il capitano se ne stava ritto a poppa, nei pressi del coronamento.

Non sapendo che altro fare, il sonno ormai del tutto perso, Andrew si diresse verso Alfiero Torregiani, comandante della Splendida, e lo salutò garbatamente.

Il suo italiano non era ottimale, ma riusciva a farsi capire abbastanza bene.

L’uomo, che torreggiava grazie alle sue ampie spalle e la stazza non indifferente, lo salutò con un cenno, le mani strette dietro la schiena e lo sguardo rivolto all’orizzonte.

“Nottata travagliata, milord?” gli domandò Torregiani, sorridendo appena.

“Alquanto. Fatico a dormire” ammise Andrew.

“Di solito, se un uomo non dorme, i casi sono due: o ha mangiato troppo…” ironizzò l’uomo, facendo sogghignare Andrew. “… o ha una pena d’amore da scontare. E, visto che so cosa si mangia a bordo, escludo la prima.”

“Ipotesi corretta. Ma, non avendo risposte al mio dilemma, temo dormirò male ancora per molto.”

“L’uomo che si lascia divorare dai dubbi, vivrà sempre male. Ricordatevelo, milord” motteggiò il comandante, scrollando leggermente le spalle.

“Siete sposato, comandante?”

“Con il mare e la mia nave” sorrise furbo Torregiani, facendolo ridere.

“Ottima scelta” assentì Andrew, ringraziandolo per la chiacchierata prima di allontanarsi per una passeggiata lungo il bordo di dritta.

La prima falce di sole sgorgò dall’orizzonte in quell’istante, infrangendosi contro il suo viso e Andrew, nel sollevare il braccio a proteggersi gli occhi, pensò a quanto sarebbe stato bello dividere tutto questo con Violet.

Sapeva quanto le piacessero le navi e quanto amasse dipingere di esse, o anche progettarle.

Invero, aveva visto certi suoi progetti, e ne era rimasto affascinato quanto colpito.

Aveva una mente analitica, che tralasciava i fronzoli per lasciarli ai disegni paesaggistici, e puntava direttamente alla migliore linea possibile.

Alcuni suoi progetti sarebbero potuti divenire splendide imbarcazioni, se mai un giorno qualcuno avesse avuto il coraggio di renderli reali.

Ma, essendo donna, tutto ciò non sarebbe mai avvenuto, e questo lo faceva irritare.

Era così ingiusto che a Violet, come a qualsiasi altra donna dotata di genio personale, non fosse permesso svilupparlo e renderlo noto a tutti.

Avrebbe voluto offrirle il mondo, ma non poteva e, prima o poi, avrebbe anche dovuto accettare che qualcuno la proteggesse, e amasse, al posto suo.

Poggiando le mani sul parabordo di dritta, all’altezza del mascone, Andrew si piegò in avanti, scrutò le acque scure e ribollenti sotto di lui e, con un mezzo sorriso, borbottò: “E’ proprio vero. L’uomo divorato dal dubbio, non potrà vivere serenamente.”

Una mano sulla spalla lo portò a scostarsi dal parapetto e, a sorpresa, Andrew trovò Leonard al suo fianco, preoccupato e comprensivo al tempo stesso.

Andrew gli sorrise e, senza attendere oltre, gli parlò di Violet, di come avesse scoperto di amarla, e di come quel suo sentimento lo stesse lentamente facendo collassare.

Leonard ascoltò ogni parola in silenzio, annuendo ogni tanto finché, a monologo ultimato, disse: “Capisco le tue ritrosie. Ti fanno onore, ma hai tutto il diritto di amarla, amico mio. Devi però capire se quel che provi è amore vero, o se la tua è  semplice abitudine a passare la tua vita con lei.”

“Cosa intendi dire?” asserì Andrew, vagamente sorpreso.

“Non voglio dire che Violet non meriti il tuo amore. E’ adorabile e dolce come un pandispagna, ma pensaci bene, amico. Tu sei sempre stato con lei, l’hai vista crescere, ti sei preso cura di lei… è normale affezionarsi. Anche molto profondamente. Ma l’amore è una cosa diversa” sottolineò Leonard.

Andrew desiderò negare con veemenza ma si trattenne. Comprendeva perfettamente il ragionamento di Leonard, e dissentire era più difficile di quanto non pensasse.

Era tutto vero, in effetti.

Lui e Violet avevano sempre avuto un rapporto speciale, fin da quando erano piccoli e, stando quasi sempre in sua compagnia, aveva imparato ad apprezzare tutto, di lei.

Quanto, però, di quell’apprezzamento, era dovuto al semplice affetto, e quanto all’amore?

Non era possibile stabilire una linea di demarcazione, in effetti.

“Pensaci su. Non devi darmi una risposta, perché è una cosa che riguarda te stesso. Ma io ci ragionerei sopra” gli sorrise Leonard, aggiungendo subito dopo. “Ehi, guarda. Il Pireo.”

Volgendosi, Andrew sorrise spontaneamente alla vista del famoso porto greco.

Bianca e splendente sotto la luce nascente del sole, la cittadina sorta intorno al porto militarizzato, si inerpicava verso la collina e la più grande Atene, su cui svettava l’enorme Partenone.

Pur se appena visibile in lontananza, quella struttura a colonnati dominava sull’antica città, culla della cultura classica e loro ultima destinazione per quel viaggio iniziatico.

“Chissà che gli antichi pensatori non ti aiutino a trovare una risposta alle tue domande” ironizzò Leonard.

“Tutto è possibile, amico mio” sorrise suo malgrado Andrew.

Avrebbe cercato delle risposte e, se possibile, le avrebbe fatte sue.









Note: Facciamo finalmente la conoscenza con Lucius, un nuovo amico di Violet che, per quanto riguarda il percorso personale della ragazza, avrà un grande rilievo.
Per quel che riguarda Andrew, invece, finalmente riesce ad aprirsi anche a Leonard, e quest'ultimo gli fa notare una cosa più che sensata, e che costringerà il nostro eroe a pensare bene a ciò che prova. E' sicuro di amare Violet, o è solo l'abitudine ad averla intorno, che lo guida?
Pensieri a cui dovrà prestare molta attenzione, il nostro Andrew.
  
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