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Autore: Ronnie92    28/06/2017    0 recensioni
Un bambino capisce l'importanza della vita attraverso l'immaginazione.
Perché la piacevolezza della vita parte dalla curiosità e dalla immaginazione.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                       Capitolo 5
                                               La tigre e la gru

Eppure Arturo era così, deciso e indeciso, un bambino dalle mille aspettative e dalle 3000 opportunità.
Per ogni traguardo raggiunto, la sua mente immaginava altri mille possibili scenari da realizzare.

A 11 anni Artù era un bambino davvero incredibile.
Aveva già immaginato l’impensabile, vissuto l’impossibile e coniato nuovi concetti astratti e irreali.
Era la personificazione dell’immaginazione.
E nell’immaginazione ritrovava la sua serenità.
In un mondo sempre più grigio, la sua mente operosa lo proiettava in posti sempre più fantastici. Non irreali ma meravigliosi. Posti idilliaci, come le bianche spiagge dei Caraibi, le meravigliose Aurore Boreali, le Oasi nel deserto, luoghi di pace.
Come quella volta che incontrò la tigre Barabat.
Erano andati tutti allo zoo, e mentre tutti si erano soffermati ad ammirare le tigri che mangiavano e giocavano, Artù si fermò innanzi alla vetrata di una tigre distesa al sole.
Aveva uno sguardo fiero, un portamento unico.
Sulla teca vi era l’incisione “Barabat, nato e cresciuto in cattività”.
Barabat non aveva mai visto il suo habitat.
Non lo conosceva, eppure… Eppure era la tigre più nobile e bella che potesse esistere.
Artù, al solo guardarla, ne rimase innamorato.
Era stupenda, dai colori sgargianti e dalla corporatura massiccia.
“Ad 11 anni – pensava Arturo - non ti stupisci più di nulla quando hai una immaginazione come la mia”.
Eppure quella tigre era un elemento shoccante.
Era fiera e bellissima, ma era triste, di una tristezza che Artù non aveva mai visto, né riteneva fosse possibile.
Si sentì stringere lo stomaco, fortissimo.
Corse verso la mamma.
“Mamma liberiamo Barabat”.
La madre, che era alle prese con i due fratellini più piccoli, lo guardò sorridendo: “Non oggi Artù, oggi no. Ma forse un domani possiamo. Forse domani potrai”.
Artù, per la prima volta, in quegli undici anni di vita, era in disaccordo con la madre.  Barabat doveva essere salvata subito. Ma per la prima volta Artù si sentiva anche impotente.
La sua immaginazione non poteva fare niente.
Ritornò davanti alla tigre.
E con un alitata sul vetro, il piccolo Arturo disegnò una gru.
Non un animale, ma una gru di quelle sollevano gli oggetti pesanti.
Lì per lì non capì il motivo di quella gru, ma negli anni ebbe a spiegarsi sempre di  più quel disegno che all’epoca gli sembrò irrazionale.
“La gru solleva, tira su tutto ciò che è pesante.
E più pesante della schiavitù non esiste niente”
Questo era il pensiero maturato negli anni.
Barabat era l’animale più fiero che avesse mai visto.
La sua immaginazione lo spinse ad una gru.

Quando tornarono a casa, Arturo andò a dormire senza cena.
Non si sedette nemmeno innanzi allo stanzino.
Non sognò nemmeno Leoncina e Panda, né Cricri e Rocky.
Privare Barabat della felicità era un atto che non riusciva a comprendere.
Decise in quel momento di usare tutta l’immaginazione che aveva per salvarlo.
Nei suoi sogni progettava, pensava, escogitava, ma nulla.
Non riusciva ad andare avanti.
Davvero l’immaginazione non poteva aiutarlo quella volta?
Davvero.

Quella notte cambiò Arturo.
Lo rese un bimbo più ancorato alla solidità della vita.

 
   
 
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