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Autore: antigone7    28/06/2017    3 recensioni
Delia ha sedici anni, un carattere sfrontato e solare, una parlantina un po' eccessiva, un mucchio di nuovi amici e un solo acerrimo nemico: Matt Patterson è l'unica persona che fa uscire il suo istinto omicida. Crescendo, però, si accorgerà che l'odio è un sentimento troppo spesso sottovalutato e che, a volte, le cose non sono esattamente come potrebbero sembrare a prima vista.
Avevo davanti due occhi grigio-azzurri che mi scrutavano sospettosi; e io, dannazione, avevo un debole per gli occhi grigi. Inoltre, il portatore di questi occhi era un ragazzo alto, biondo e davvero, davvero molto bello. Mi sembrava di avere di fronte il Principe Azzurro in persona: mancavano il cavallo bianco e il mantello celeste e, forse, gli avrei detto di chiamarmi Cenerentola.
Come ho già specificato, però, questa mia prima impressione durò un attimo. Il tempo che lui aprisse bocca e avevo già cambiato totalmente idea. Probabilmente avrei dovuto capirlo già dal suo modo di guardarmi, sdegnato e infastidito, o dalla posizione svogliata con tanto di mani nelle tasche dei jeans, che era un completo stronzo.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Marie's and surroundings'
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13. Watching the flashbacks intertwine


La prima e la seconda cosa che percepii quando mi svegliai furono la mia bocca completamente secca e un discreto mal di testa. Allungai un braccio, senza nemmeno aprire gli occhi, per trovare la bottiglietta d’acqua che tenevo sempre sul comodino, e mi accorsi che il comodino non era dove avrebbe dovuto essere.
A quel punto, non senza difficoltà, decisi di aprire gli occhi per verificare la mia situazione e, guardandomi intorno senza muovermi troppo, notai alcuni dettagli. Innanzitutto, ero su un letto che non era il mio, in una camera che non era la mia, presumibilmente in una casa che non era la mia. Il balcone alla mia destra era semi aperto e da esso entrava una luce che mi colpiva in modo fastidioso il viso, e forse era proprio quello il motivo per cui mi ero svegliata. Mi girai sul fianco sinistro per evitare quell’inconveniente e il mio stomaco si lamentò, decidendo di svegliarsi per lanciarmi addosso un bruttissimo senso di nausea.
Non ebbi il tempo di assimilarlo, però, perché quello che vidi sull’altro lato del letto matrimoniale mi gelò da capo a piedi e mi fece dimenticare la nausea. Davanti a me, girato di schiena, appallottolato al lenzuolo e con la testa coperta in modo da risultare quasi del tutto riparato dalla luce, c’era un corpo che sembrava essere maschile.
Imprecai tra me e me, seriamente preoccupata. Non era la prima volta che mi svegliavo coi postumi di una sbornia, ma non mi era ancora mai capitata una situazione del genere. Oltretutto faticavo a ricordare la fine della serata precedente, quindi, conoscendomi, poteva essere successo pressoché di tutto.
Serrai gli occhi sforzandomi di trovare delle reminiscenze nascoste tra gli angoli della mia testolina bacata, e quello che il mio cervello mi rimandò indietro furono immagini di me e Matt che ci baciavamo in cucina, avvinghiati l’uno all’altra come se fosse una cosa del tutto normale. Spalancai di nuovo gli occhi, col cuore che mi martellava nel petto neanche dovesse uscire da un momento all’altro. Cosa diavolo avevo fatto?
In uno sprazzo di lucidità, cercando di capirci qualcosa di più, buttai l’occhio sotto le lenzuola e mi tastai i vestiti per capire com’ero conciata. Quello che scoprii peggiorò, se possibile, la mia condizione: addosso avevo solo una maglietta blu non mia, che dalle dimensioni sembrava una t-shirt da uomo, visto che mi arrivava fino alla coscia, e il reggiseno che avevo indossato per andare al ballo. Delle mutande non c’era la minima traccia, constatai con l’ennesimo tuffo al cuore.
Non può essere vero, dimmi che non è vero, pensai, angosciata, mentre mi sforzavo di guardare qualunque cosa che non fosse la montagnola coperta dalle lenzuola accanto a me.
Sospirai per cercare di regolarizzare il battito cardiaco, ma non funzionò. Decisi quindi, a malincuore, di avvicinarmi al corpo dormiente per verificare le mie paure. Scivolai piano sul letto e allungai un braccio per far scorrere il lenzuolo in giù, in modo da vedere la nuca del ragazzo. Mi aspettavo di trovare una testa bionda e spettinata, invece, a sorpresa, mi si parò davanti una zazzera di capelli castani e un po’ più lunghi del previsto. Allungai il collo per vedere meglio e, finalmente, lo riconobbi: era David.
La rivelazione non aiutò molto il mio stato d’animo: dopo un primo momento di sollievo, infatti, la mia mente malata cominciò a elaborare i dati, giungendo alla peggior conclusione possibile. Ero andata a letto con Dave? Mi sembrava un’eventualità poco probabile, ma non era un’ipotesi da scartare del tutto, alla festa ero talmente ubriaca che avrei anche potuto fare una cosa del genere. Però non mi pareva di aver avuto a che fare con David, non dopo la nostra mezza litigata, almeno.
Mi obbligai a chiudere di nuovo gli occhi per provare a concentrarmi meglio sui ricordi della sera precedente.

Dopo aver bevuto la tequila con Matt – maledizione, era tutta colpa di quella stupida tequila – uscii a fare un giro in giardino e chiacchierai con qualche persona che conoscevo. Alla fine mi ritrovai, chissà come, a parlare con un ragazzo che avevo già visto a scuola, un certo Brendan. Era più piccolo di me di un anno e io, tendenzialmente, non guardavo i ragazzi più piccoli, ma ero ubriaca, confusa e, oltretutto, stavo solo giocando, non avevo intenzione di combinarci niente.
Infatti, dopo diversi minuti che parlavamo, mi resi conto che il tizio era parecchio irritante, uno di quei pavoni pieni di sé che fanno di tutto per mettersi in mostra descrivendo i propri pregi e le imprese che credevano di aver compiuto. All’ennesimo racconto sulle sue doti di tennista pluripremiato, quindi, mi stufai e cercai un metodo indolore per liberarmi di lui.
In quel modo, da brava scema, riuscii solo a cacciarmi in un guaio ancora più grosso. Per allontanare Brendan, infatti, fermai la prima persona conosciuta che mi capitò davanti, Russ, un amico di Nate, che giocava nella squadra di football con lui. Il tipo cominciò da subito a flirtare con me in maniera piuttosto palese, facendomi complimenti sul vestito, sui capelli, persino sul trucco. Capii finalmente perché Nate si era sempre rifiutato di farmi frequentare in modo continuativo i suoi amici: se quello era un esempio di ciò che sarebbe successo, forse, non aveva tutti i torti.
Mi allontanai da Russ con una scusa, entrai in casa traballando, e raggiunsi poco dopo la cucina, l’unica stanza in cui era vietato l’accesso e che quindi era vuota. Ma, si sa, una ragazza ubriaca è come la carta moschicida per qualcuno che pensa di potersene approfittare in qualche modo, e infatti dopo appena pochi minuti apparve proprio Russ, che evidentemente mi aveva seguita fino a lì per continuare a provarci con me.
Non perse tempo: mi si avvicinò con un sorriso che, nel suo intento, doveva essere seducente e malizioso, e mi intrappolò tra sé e il piano di lavoro alle mie spalle poggiando le mani su quest’ultimo.
“Tu non sei amico di Nate?” gli domandai, sconcertata dal suo comportamento, ma senza muovermi di un millimetro né allontanarlo.
Lui alzò le spalle con noncuranza. “Beh, Nate non è qui adesso.”
Sbuffai: probabilmente non sapeva nemmeno che io e Nathan ci eravamo mollati e già ci stava provando così con me, gran bell’amico. Appoggiai le mani sulle sue spalle per spostarlo e lui, per la verità, non oppose resistenza e indietreggiò subito di un paio di passi.
“Che c’è?” mi chiese, stupito che qualcuno, dopo avergli toccato le spalle, potesse rifiutare un ragazzo con un fisico scultoreo come il suo.
“Non siamo abbastanza in confidenza,” risposi, non del tutto sincera: se non fosse stato un amico di Nathan probabilmente gli avrei dato più corda.
Russ si appoggiò con un fianco sul piano cucina, sempre con quel sorrisetto malizioso sulle labbra. “Beh, possiamo conoscerci meglio, se ti va.”
Era una battuta talmente scontata da rasentare il ridicolo, ma, purtroppo, io ero ubriaca, quindi mi ritrovai a ridacchiare come una stupida: Russ pensò quindi di avere campo libero e si avvicinò di nuovo.
“Eccoti.”
Voltandomi verso la porta della cucina vidi Matt che ci guardava, leggermente corrucciato. Mi guardai intorno, pensando che non stesse parlando con me, ma nella stanza c’eravamo solo io e Russ, appunto.
“Ti ho cercata dappertutto,” continuò lui, guardandomi dritta negli occhi e cancellando ogni dubbio. Poi, prima che riuscissi a pensare di rispondere, si rivolse al ragazzo che mi stava ancora troppo vicino. “Sparisci, Stevenson. Non si può neanche stare in cucina, ho messo un cartello fuori! Non sai leggere?”
Lui sembrava confuso. “Ma lei…”
Patterson si avvicinò di un passo e alzò le sopracciglia. “Lei è off-limits stasera.”
“E perché?”
“È impegnata,” si corresse, come se così avesse più senso.
“Con te?”
Matt annuì lentamente, stringendo le labbra in un’espressione di stizzita ovvietà.
Io seguivo il loro scambio muovendo la testa per guardare prima l’uno e poi l’altro, e più osservavo Patterson comportarsi in quel modo più la mia bocca si allargava in un sorriso di comprensione. In un’altra occasione mi avrebbe dato fastidio che qualcuno – lui in particolare – pensasse di decidere cosa potevo o non potevo fare, ma nel linguaggio del corpo di Matt, in quel momento, leggevo una sorta di malcelata gelosia che, in qualche modo, mi faceva piacere.
Fece un gesto con la mano, indicando all’altro la porta. “Ti conviene uscire. Ci sono molte ragazze ubriache fuori, prova con Sheila Bradbury.”
Russ fece come gli era stato detto senza fiatare e io, dal canto mio, piantai su Patterson due occhi curiosi e un po’ appannati dalla tequila.
“So prendermi cura di me stessa, ma è stato istruttivo vederti comportare da amico geloso, per una volta.”
Lui ignorò le mie parole e mi lanciò uno sguardo furioso. “Ti avevo detto di non fare stupidaggini.”
“Non pensavo fossi così intransigente sul fatto di non entrare in cucina.”
Matt sbuffò sdegnato e mezzo divertito, e quella strana rabbia che non gli avevo mai visto addosso prima sparì, mascherata, come al solito, dalla sua tipica tranquillità. “Sei spiritosa, Gray.”
“Sono impegnata,” lo corressi, avvicinandomi piano a lui.
Socchiuse gli occhi, scrutandomi con sospetto mentre gli arrivavo sempre più vicina. “Dai, l’ho detto per liberarti di quel tipo. Te li scegli proprio bene, eh, tra parentesi.”
Mi morsi il labbro inferiore senza riuscire a trattenere un sorriso e Matt mi guardò la bocca, indeciso, come quella volta al maneggio. Eravamo distanti sì e no mezzo metro, se avessi fatto un altro passo sarei stata attaccata a lui: ero ubriaca e il mio autocontrollo era quasi del tutto dissolto, ma sentivo comunque che quel passo, tra noi, pesava tantissimo.
Stavo ancora riflettendo su cosa fare quando dalla porta spuntò di nuovo la testa di Russ Stevenson, che chiaramente quella sera era meno intuitivo del solito.
“Ehi, amico,” iniziò, quasi infastidito, “mi hai mentito, la Bradbury non c’è e se n’è andata diversa gente. Mi hai appena rubato una delle ultime ragazze ubriache disponibili.”

Matt sbuffò, alzò gli occhi al cielo esasperato e compì quell’ultimo passo che ci separava. Poi, mi baciò.

Sentii un rumore alla mia sinistra e trasalii, distratta. David si stava stiracchiando con un brontolio appena accennato, alla fine dell’operazione si girò verso di me e mormorò un “Buongiorno” soffocato da un vistoso sbadiglio. Gli risposi con un sorriso nervoso, sentendo lo stomaco ancora più sottosopra di quanto non lo fosse prima.
Lui mi lanciò un’occhiata indecifrabile e tirò un po’ giù il lenzuolo, quindi, con l’ennesimo tuffo al cuore, notai che aveva su una maglietta. Chissà se indossava le mutande, almeno lui.
“Stai bene?”
“Credo che vomiterò entro la mattinata,” risposi, con sincerità.
“Beh, sono già le…” Guardò l’orologio sul comodino prima di continuare la frase. “Undici e un quarto, quindi non hai molto tempo per raggiungere questo obiettivo.”
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui entrambi ci guardammo in giro pensierosi, prima che mi decidessi a parlare.
“Dave?”
Lui mugugnò in risposta, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto.
“Posso farti una domanda?”
“Vai.”
Ci pensai un attimo. “Due domande? Anzi, tre?”
David si mise su un fianco voltandosi verso di me, e mi lanciò uno sguardo accondiscendente. “Anche settanta, Delia, basta che ti decidi.”
“Abbiamo fatto sesso?” sputai fuori, lo stomaco aggrovigliato per l’ansia.
Lui spalancò gli occhi. “Io e te?”
Annuii mordendomi il labbro inferiore e Dave scoppiò a ridere come se non avesse mai sentito qualcosa di più divertente in tutta la sua vita. Mentre rideva il lenzuolo scese ancora e notai che, per fortuna, aveva addosso dei boxer grigi. Mi sentii improvvisamente molto stupida.
“Beh, grazie,” borbottai, quasi offesa.
“Sono gay!” esclamò il mio amico, senza smettere di ridacchiare.
“Lo so, ma ieri sera ero davvero, davvero ubriaca, e non mi ricordo bene tutto quello che è successo, penso di aver fatto un sacco di casini e…” blaterai, in confusione. “Anzi, ho fatto sicuramente danni a destra e manca, sono una deficiente. E Dave, l’altra domanda è… Insomma, sei ancora arrabbiato con me?”
Lui non ci pensò nemmeno un secondo. “No, Deels, no. Vieni.”
Aprì le braccia e io espirai, un po’ più tranquilla, gettandomi sulla sua spalla e facendomi stringere da lui. “Scusa,” mormorai, la voce spezzata.
Dave mi carezzò la testa. “Siamo stati entrambi cretini. E non serve che io ti dica che sei e rimarrai un’ottima amica per me, non ho mai pensato il contrario. Ti voglio bene,” sussurrò, prima di sdrammatizzare con una risata. “E comunque ti sei già scusata a sufficienza ieri sera.”
Corrucciai la fronte e alzai il viso per guardarlo. “Davvero?”
“Davvero! Mentre stavamo andando a dormire non facevi altro che chiedere scusa per qualsiasi cosa, eri disperata. Hai tirato fuori cavolate di due anni fa di cui non mi ricordavo neanche. Adorabile,” disse, ammiccando.
Tornai a poggiare la testa sul mio cuscino, sistemai la maglietta per coprirmi al meglio, infine mi misi le mani sul volto, strofinandole sugli occhi.
“Non mi ricordo,” mi lamentai, mentre la lieve angoscia di poco prima tornava a farsi strada nel mio petto.
“Qual era la terza cosa che volevi chiedermi?” mi spronò David, capendo dove volessi andare a parare.
Chiusi gli occhi e sospirai. “Sono… sono andata a letto con qualcuno?” domandai con voce tremante.
“A parte con me, intendi?”
Scoccai un’occhiataccia di sbieco al mio amico e lui tornò serio, ma aveva un’espressione rassicurante.
“No, non l’hai fatto.”
“Ne sei sicuro?”
“Abbastanza, sì.”
Mi accorsi che mi stavo stritolando le mani e incrociai le braccia al petto, continuando a guardare il soffitto. “Cosa vuol dire abbastanza?”
“Era tardi, la maggior parte della gente era già andata a casa. Matt ti ha portato da me e mi ha chiesto se potevo occuparmi di te. Avevo già previsto di dormire qui e Tyler era andato via da almeno un’ora. Ti ho fatto lavare il viso, ti ho aiutata a svestirti e a mettere quella maglietta, ho mandato un messaggio a tuo papà dal tuo cellulare, ti ho fatto bere un bel bicchierone d’acqua e ti ho sistemata sul letto con me, mentre tu continuavi a blaterare scuse e ringraziamenti a casaccio.”
Un particolare del racconto aveva fatto attorcigliare le mie budella ancora di più di quanto non lo fossero già. “Matt?” pigolai, la voce appena udibile.
“Sì, Matt. Ha detto che ti aveva tenuta d’occhio lui da quando avevi iniziato a bere, per questo sono abbastanza sicuro che tu non abbia fatto sesso con nessuno.” Fece una pausa, riflettendo. “A meno che…” aggiunse poi, in tono malizioso.
Mugugnai in segno di protesta, mi sfilai il cuscino da sotto la testa e ci seppellii il viso, in imbarazzo.
“Deels?”
“Credo di aver fatto una cazzata,” mormorai, afflitta.
“Se non esci da lì sotto non capirò mai quello che stai cercando di dirmi.”
Spostai il cuscino giusto il necessario. “Credo di aver fatto una cazzata,” ripetei.

Il bacio di Matt mi trovò con le labbra già schiuse e mi fece balzare il cuore direttamente in gola. Rimase comunque in superficie, come la prima volta che mi aveva baciata per allontanare Teller, al ballo, ma fu una cosa completamente diversa.
Innanzitutto, stavolta durò di più. Mi appoggiò la mano destra sulla nuca subito dopo aver posato le labbra sulle mie e io chiusi gli occhi, d’istinto. Quando li riaprii Matt si era staccato da me e stava guardando verso la porta, forse per verificare che Stevenson fosse uscito. Io, invece, non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, completamente andata.
“Si è deciso a sparire, quell’idiota,” borbottò lui, voltandosi di nuovo verso di me.
Appena vide che lo stavo fissando come una scema, la sua espressione si corrucciò di più. Non aveva spostato la mano dalla mia testa: piano, come se stesse facendo una carezza involontaria, infilò le dita sotto i miei capelli raccolti sulla nuca.
“Non guardarmi così, Gray,” mi ammonì, la voce leggermente roca. “Ho bevuto parecchia tequila anch’io.”
Mi ricordai di quando mi aveva detto che quand’era ubriaco gli piacevo un po’ di più, e mi scappò un mezzo sorriso alcolico. Lui spostò di nuovo gli occhi sulle mie labbra.
“Maledizione,” imprecò a bassa voce.
Poi portò la mano sinistra sul mio fianco, stringendo la stoffa del mio vestito e  avvicinandomi ancora di qualche centimetro, finché non fui costretta ad appoggiare le braccia sulle sue spalle.
“È la tequila,” mormorai, un sorrisetto a dipingermi il volto.
Lui annuì, ancora corrucciato. “La tequila,” ripeté.
Si avvicinò di nuovo alle mie labbra, lentamente, come se volesse darmi – e darsi – il tempo di cambiare idea, ma quella volta fui io che mi sporsi in avanti percorrendo gli ultimi centimetri che ci separavano.
Quel secondo bacio non fu delicato, né rimase in superficie. Dopo i primi istanti di stupore, Matt ricambiò, mi strinse di più a sé e indietreggiò fino ad appoggiarsi all’isola della cucina, cercando un sostegno per aiutare la propria stabilità. Poi approfondì il bacio e ci ritrovammo entrambi ad assaggiare il sapore della tequila sulla lingua dell’altro.
Matt si allontanò di qualche millimetro solo per inspirare a pieni polmoni quella sensazione nuova e strana, così strana, che sentivo anch’io premermi alla base dello stomaco.
“È decisamente la tequila, sì,” bisbigliò di nuovo, buttando fuori l’aria e rilassando finalmente le spalle, lasciandosi andare, un attimo prima di tornare a baciarmi con la bocca schiusa e inquieta.
Lo lasciai decidere come continuare, ero troppo ubriaca e presa dalla situazione per fare un altro solo passo in avanti. Mi bastava continuare a stare lì, aggrapparmi alle sue spalle e baciarlo, mentre lui mi passava le mani sui fianchi e sulla schiena. Quando, in un attimo di confusione dettata dal mio tasso alcolemico, tirai la testa indietro per controllare chi stessi baciando, lui non si mosse nemmeno, troppo impegnato a riprendere fiato e ad impedirsi di aprire gli occhi.
Ci baciammo ancora e ancora, per non so quanto tempo, forse per delle ore, più probabilmente solo per qualche minuto, finché Patterson non scambiò le nostre posizioni, girandosi e facendo in modo che mi appoggiassi io all’isola. Dopo un paio di goffi tentativi riuscii a issarmi con le braccia sul ripiano, afferrai la maglietta di Matt e lo tirai di nuovo a me, aprendo le gambe per fargli spazio. Lui appoggiò entrambe le mani di fianco a me, sul mobile, e mi guardò serio negli occhi per la prima volta dopo un po’ di tempo: in quella posizione il mio viso era alla sua altezza e potevo vederne ogni particolare da vicino, così mi colpirono le sue sopracciglia ancora corrucciate e l’espressione indecisa che gli leggevo negli occhi.
“Cosa?” gli domandai, sempre sottovoce.
Si umettò le labbra, sospirò, distolse lo sguardo girando impercettibilmente la testa. Non capivo a cosa stesse pensando: lo tirai di nuovo per la maglietta che non avevo mai mollato e lui mi accontentò, baciandomi piano.

“Hai baciato Matt. E allora?”
“Non l’ho baciato, cioè sì, ci siamo baciati. Ma è lui che ha baciato me. Per primo,” lo corressi, balbettando, pur consapevole che quella volta era un dettaglio inutile e anche poco veritiero.
Dave, infatti, non modificò la propria espressione dubbiosa. “E allora?” ripeté.
“Come e allora? Davvero non ci arrivi?”
“Ci arrivo benissimo. Matt è un gran bel pezzo di ragazzo, Delia, e vi piacete da una vita. Non capisco dove stia il problema.”
Spalancai gli occhi. “Ci piacciamo da…? Ma cosa stai dicendo? Ti vorrei ricordare che da quando ci conosciamo…”
Il mio amico mi interruppe con un gesto secco della mano. “Non iniziare con la tiritera. Il fatto che non siate perfettamente compatibili dal punto di vista caratteriale non significa che non possiate piacervi dal punto di vista fisico. C’è sempre stata attrazione tra di voi.”
Scossi la testa, spazientita. “È evidente che devi ancora smaltire la sbronza.”
“Come no,” fece lui, sarcastico.
Decisi di troncare lì il discorso, in parte perché stava prendendo una piega che non mi piaceva per niente, in parte perché sentivo il bisogno di muovermi da quel letto. Ma c’era un problema.
“Ho un’ultima domanda, ma è un po’ imbarazzante,” ammisi, cambiando argomento.
“Avanti, sentiamo. Tanto peggio di così,” commentò lui, garrulo.
“Se non sono… Insomma, se tu mi hai…” Presi fiato e buttai fuori il quesito. “Perché diavolo sono senza mutande?”
Dave spalancò gli occhi, sbalordito, prima di scoppiare sonoramente a ridere.
“Eddai, non ridere, è una cosa importante!” lo rimproverai io, offesa.
“Ma che ne so, Delia! Eri completamente andata, te le sarai tolte mentre dormivi!” sghignazzò il mio amico, ancora piuttosto divertito.
“Quindi non sei stato tu?”
“Secondo te mi metto a toglierti l’intimo, così a caso? Non so neanche slacciare un reggiseno!”
Il mio broncio si distese un pochino. “Quello ce l’ho ancora su, è la parte sotto che è sparita.”
“Io ti posso solo dire che quando ti ho controllata l’ultima volta avevi tutta la tua biancheria addosso, poi non so come sei abituata a dormire a casa tua.”
Borbottai un insulto e mi ficcai sotto le lenzuola, uscendone qualche secondo dopo con le mie mutande in mano, trionfante. David fece un gesto di vittoria col pungo chiuso e, per la prima volta quella mattina, ridemmo insieme, poi io mi infilai gli slip e scivolai fuori dal letto, stiracchiandomi appena.
“Ho seriamente bisogno del bagno,” biascicai, sentendo la nausea che tornava con prepotenza. “Sai dov’è? Io non so nemmeno dove cavolo siamo.”
“Se esci e vai a destra lo trovi in fondo al corridoio.”
Lo ringraziai e andai a rintanarmi in bagno per diversi minuti: mi lavai bene il viso e i rimasugli del trucco che comunque Dave si era premurato di togliermi la sera prima, mi diedi una rinfrescata generale e mi obbligai a bere un po’ d’acqua, mentre il mio stomaco ancora si lagnava, ma con più garbo.
Mi venne in mente, all’improvviso, che anche se David aveva avvisato mio padre sulla mia permanenza fuori casa per la notte, non avevo ancora detto niente ai miei riguardo il pranzo. Uscii dal bagno in tutta fretta e per poco non finii contro Patterson, che stava salendo in quel momento l’ultimo gradino delle scale che portavano fin lì: per fortuna lui si fermò in tempo per evitare di sbattermi addosso, salvando così anche il vassoio che stava trasportando. Lo superai di un paio di passi, prima di sospirare a pieni polmoni per calmarmi e voltarmi ad affrontarlo.
“Scusami,” biascicai, ancora agitata nonostante l’impegno. “Non… non ti ho sentito arrivare.”
Lui mi studiò con un’espressione imperscrutabile e all’improvviso mi sentii decisamente troppo poco vestita. Stavo per parlare di nuovo, spinta dal suo silenzio prolungato, quando Matt si decise infine a proferire parola.
“Stai bene con la mia maglietta. Hai già vomitato?”
Boccheggiai, presa totalmente in contropiede da quel suo evidente tentativo di mettermi in difficoltà, tentativo che, peraltro, era andato a segno. Mi ricomposi e gli scoccai un’occhiataccia, incrociando le braccia al petto in posizione di difesa.
“Non ancora, grazie per l’interessamento. Credo che parlare con te potrebbe aiutare la causa, però, stai già peggiorando il mio voltastomaco.”
Lui si morse piano il labbro per evitare di ridere e si voltò per appoggiare il vassoio su una cassapanca lì di fianco.
“Sul serio, stai poco bene?” chiese poi.
Notai che stava portando la colazione a me e Dave: caffè, un brick di latte, un pacco di biscotti e qualche fetta di pane tostato col burro d’arachidi. Perché doveva essere così gentile, dannazione? Stavo riuscendo così bene a ricominciare a odiarlo, era una cosa che dovevo fare ad ogni costo.
Annuii, stranamente a corto di parole, e mi trovai a fissare con insistenza un nodo del pavimento in legno.
“Vuoi mangiare qualcosa?”
Feci di nuovo un cenno con la testa. “Magari il caffè potrebbe aiutare, ma credo di aver già superato il reale rischio di rimettere.”
Pensai che a quel punto avrebbe ripreso il vassoio per portarlo in camera, invece rimase fermo dov’era e si passò una mano fra i capelli, indeciso. Non sapevo se avesse abbastanza fegato da tirare fuori ciò che era successo la sera precedente per dire qualcosa, ma era evidente che aveva intenzione di farlo, perciò decisi che volevo essere la prima a parlarne, per dimostrare più coraggio di lui.
“Non credo di ricordarmi quello che è successo ieri,” dissi, guadagnandomi una sua occhiata stupita.
“No?”
“Non… non tutto,” balbettai, già meno spavalda.
Corrugò la fronte. “Quindi qualcosa lo ricordi?”
“Ricordo…” Distolsi lo sguardo per riuscire a parlare. “Ricordo fino a quando eravamo in cucina e poi ho un vuoto, non mi viene proprio in mente come sono arrivata qui per dormire, insomma. Ma David mi ha assicurato, circa, che non sono andata a letto con nessuno, quindi… Be-bene, direi. Abbastanza.”
Ero andata alla grande, a parte il mio solito fiume di parole, fino all’ultimo momento, in cui mi ero ritrovata a impappinarmi senza pietà.
Matt annuì senza commentare i miei balbettii. “Okay.”
Sospirai, tanto valeva fare quella domanda anche lui, già che c’ero. “Non… non sono andata a letto con… con nessuno, vero?”
All’ultimo mi trattenni dal dire “con te”, ma lui dovette comprendere lo stesso il sottinteso, perché drizzò appena la schiena, e non l’avevo mai visto così nervoso in più di due anni di conoscenza.
Tentò comunque di scherzare. “Solo con Dave, ma non in senso biblico. Credo.”
“Non prendermi in giro,” borbottai, cercando di mantenere un tono leggero. “Quando mi sono svegliata per un attimo ho creduto davvero di averlo fatto. E poi ero su un letto non mio, con addosso una maglietta non mia e l’unica cosa che mi ricordavo con chiarezza era quello che era successo con te in… in cucina e quindi… Ero a pezzi ieri sera, non avrei dovuto dire o fare certe cose.”
E tanti saluti al tono leggero, brava Delia, mi insultai da sola per essere riuscita a far riemergere l’imbarazzo in quel modo.
Eppure Matt, stavolta, non sembrò sorpreso: scosse la testa e si avvicinò esitante di un passo, costringendomi a prendere il bordo della maglietta che indossavo per abbassarlo e coprirmi un po’ di più.
“Forse abbiamo esagerato con la tequila,” esordì, e parve soppesare le proprie parole. “Eravamo ubriachi, ma non abbiamo fatto niente di male.”
Sembrava propenso ad aggiungere altro, ma lo interruppi, sentendomi più leggera. “Hai ragione, mi faccio prendere dal panico per niente. Eravamo sbronzi, tu volevi solo aiutarmi con Stevenson che mi stava addosso, tra l’altro ci sei anche riuscito. Ormai abbiamo l’abbonamento per tirarci fuori a vicenda da situazioni del genere, non trovi? Ma so perfettamente che non sarebbe successo niente se quell’idiota non ci avesse provato con me. Insomma, siamo io e te.”
Le sue sopracciglia aggrottate e la smorfia indecisa sulle sue labbra mi fecero pensare che non avevo detto ciò che intendeva esprimere lui. Alla fine scrollò le spalle, decidendo di lasciar correre.
“Delia, ti sei persa?”
La voce di Dave ci colse di sorpresa. Sussultai come una scema: mi ero completamente dimenticata di lui. Mi girai e vidi la sua testa spuntare in fondo al corridoio, dalla porta della camera dove avevamo dormito.
“Ehilà, scusate,” esclamò mellifluo, appena si accorse della situazione. “Non volevo disturbarvi, piccioncini.”
Spalancai gli occhi mimandogli con la bocca di smetterla, consapevole che Matt, alle mia spalle, non avrebbe potuto vedere la mia espressione.
“Nessun disturbo,” rispose proprio Patterson, senza accogliere la provocazione di David. “Ho portato la colazione. È meglio se mangiate in camera, giù c’è ancora confusione.”
“Uh, che bellezza!” cinguettò l’altro, saltellando fin lì per guardare con desiderio il vassoio. “Ti serve una mano per sistemare di sotto, amico? Chiamiamo qualcuno?”
“No, ieri sera ho già raccolto le bottiglie in giro e fatto tre sacchi dell’immondizia. Per le pulizie tanto dovrebbe arrivare Martha tra poco.”
Seguivo il loro scambio di battute con moderato interesse e alzai un sopracciglio al sentir nominare quella Martha.
Dave risolse i miei dubbi. “La cameriera? Sicuro che non spiffererà niente ai tuoi?”
Nah, sono il suo pupillo, mi ama.”
David scoppiò sonoramente a ridere e io lanciai a Matt uno sguardo che nascondeva un mezzo rimprovero esasperato.
“Il solito piccolo principe,” commentai, alzando gli occhi al cielo.
Lui si difese dalla mia accusa velata. “Che c’è? È logico che mi adora, mi ha visto crescere! E comunque l’avevo avvisata della festa.”
Dave si intromise, si ficcò in mezzo a noi due e prese il vassoio. “Io ho fame, ragazzi, torno in camera a mangiare in santa pace, così vi lascio alle vostre scaramucce.”
“Vengo anch’io!” esclamai, cogliendo la balla al balzo per fuggire da una conversazione che comunque, a mio avviso, poteva considerarsi morta e sepolta.
Purtroppo per me, non lo era. Non feci più di un paio di passi prima di sentirmi richiamare da Patterson.
“Gray.”
Espirai e mi fermai, rassegnata. Immaginavo che mi avrebbe bloccata, ma speravo di evitarlo: non ero stata abbastanza veloce, quindi mi voltai di nuovo per affrontare qualsiasi cosa mi aspettasse. Prima di parlare, Matt lanciò un rapido sguardo alle mie spalle, per verificare che David fosse sparito in maniera definitiva. Mi riusciva difficile credere che quell’impiccione non fosse dietro la porta ad origliare ogni parola, ma in quel momento non me ne interessai, tanto sapevo che gli avrei raccontato tutto dopo, Dave mi avrebbe obbligato a farlo.
Patterson forse la pensava al mio stesso modo, perché alla fine si decise a parlare. “Siamo a posto?” chiese solamente.
“In che senso?”
“Non smetterai di nuovo di parlarmi? Dopo ieri sera.”
Quello, mio malgrado, mi colpì. Non mi aspettavo una domanda del genere, ma non ero solo stupita: sentii un leggero formicolio sui palmi delle mani che mi spingeva a rispondere velocemente per poi fuggire. Non ero una persona codarda di natura, ma come tutti tendevo ad evitare determinati discorsi che pensavo potessero mettermi in difficoltà, ed era una cosa che con Matt mi capitava spesso: sentirmi in difficoltà tanto da voler scappare. Mi costrinsi a ragionare con lucidità.
“Non credo ti dispiacerebbe troppo,” risposi, tenendo un tono scherzoso.
Le sue labbra disegnarono un sorriso tirato. “È stancante sforzarmi di capire quando posso e quando non posso rivolgerti la parola. E poi farti arrabbiare è una specie di antistress per me.”
Piegai la testa di lato, fingendo di pensarci. “Non voglio che ti stressi troppo,” mormorai infine.
Matt sorrise di nuovo, ma quella volta lessi spontaneità nella sua espressione: sapeva, e lo sapevo anch’io, che avevamo fatto un enorme passo avanti nel nostro modo di relazionarci, fatto di continui alti e bassi, di esagerazioni da entrambe le parti. Qualcosa sfarfallò nel mio petto, come ogni volta che lui sorrideva così, e mi costrinse a mettere le mani avanti.
“Ma sappi che mi sento ancora in svantaggio per ieri sera, dato che non mi ricordo tutto, e probabilmente mi ci vorrà del tempo per superare la cosa e…”
“E bla bla bla… Lo so. Neanche coi postumi rallenti la parlantina, Gray?”
Assottigliai gli occhi, offesa solo a metà. “Ognuno ha il suo antistress. E ora sparisci, principino, per i miei gusti oggi abbiamo già parlato troppo.”
“Incredibilmente siamo d’accordo,” replicò lui, voltandosi con un cenno di commiato.
Ci ripensò meno di un secondo dopo: stavo fissando la sua schiena quando si girò per aggiungere qualcosa, abbassando la voce di un tono.
“Ti ho solo portata su, per evitare che ti capitasse qualcosa. Mi sono accorto, non so come, che eravamo entrambi troppo ubriachi. Ho preso te, una bottiglia d’acqua e una maglietta, e vi ho consegnate nelle mani della persona più affidabile che ci fosse in circolazione: Dave. Tutto qui.”
Quando terminò di parlare, mi diede le spalle e cominciò a scendere le scale, seppi che quel discorso era definitivamente chiuso per lui. Serrai gli occhi qualche istante per cercare gli ultimi flashback della sera precedente, per fare in modo che la questione fosse chiusa anche per me. C’erano dei ricordi, delle immagini racchiuse da qualche parte nella mia memoria, solo che fino a quel momento ero rimasta convinta che fossero parte dei sogni di quella notte, perché avevano una forma confusa e spezzettata. Mi concentrai di più.

Io e Matt eravamo davvero sul punto di andare oltre i baci. Perlomeno, io lo ero. Ero seduta sul piano cucina, lui era ancora tra le mie gambe e mi baciava così lentamente da farmi impazzire. Volevo di più: forse ero già impazzita.
Lo avvicinai ancora a me e afferrai il bordo della sua maglietta per sfilargliela, lui mugolò qualcosa di indefinito sulle mie labbra e fece un passo indietro. Senza rendermene conto seguii il movimento del suo corpo con il mio e, nel farlo, scivolai giù dall’isola. Non era molto alta, ma io ero ormai completamente andata, e forse sarei caduta se Matt non mi avesse acciuffata, posando le mani sui miei fianchi per tenermi in piedi.
Barcollai ancora un po’, infine alzai gli occhi per osservarlo. Doveva esserci una domanda nascosta nel mio sguardo, perché lui scosse la testa piano.
“No,” disse solo, fissando un punto del mio viso, appena sotto lo zigomo sinistro, come se stesse cercando di concentrarsi su qualcosa.
Misi su un’espressione disconnessa. “No?”
“No, senti… Si è fatto tardi. Come sei venuta alla festa?”
“In motorino,” risposi, come se fosse ovvio. Avevo preferito muovermi con quello ed evitare la macchina con gli altri miei amici in modo da essere autonoma per il ritorno, ma non ci avevo pensato nel momento in cui avevo iniziato a bere.
“Dormi qui, allora.”
“Qui?”
Lui annuì e io mi toccai con due dita il viso, dove il suo sguardo continuava a essere puntato.
“Ho qualcosa sulla guancia?” gli domandai.
Accennò un sorriso. “No. No, sei…” Si bloccò un attimo, indeciso. “Stai bene.”
Poi mi tirò a sé e si abbassò per lasciarmi un bacio proprio sulla guancia sinistra. Vi si soffermò più del necessario, lo sentii sospirare piano tra i miei capelli sopra l’orecchio, ma quando mi voltai, scossa da quella vicinanza, e provai a baciarlo di nuovo, lasciò a malapena che le nostre labbra si sfiorassero prima di scostarsi.
Mi prese la mano. “Andiamo, ti porto da David.”
“Dave è arrabbiato con me,” gli ricordai, la voce sempre più flebile e lamentosa.
“Sono sicuro di no.”

Rientrai in camera e vidi David che si buttava sul letto: quello sfacciato non provava nemmeno a fingere di non aver origliato.
“Vi siete baciati di nuovo?”
“No.”
“Perché avete smesso di parlare? Non capivo bene quello che dicevate, questo corridoio è troppo lungo, maledizione. E mi sono perso tutta la prima parte, pensavo fossi in bagno!”
“Ero in bagno.”
Mi gettai sul letto accoccolandomi al suo fianco e lui mi passò una fetta di pane tostato. Masticai qualche secondo in silenzio, finché Dave non si intromise di nuovo nei miei pensieri.
“Farete finta che sia successo solo per allontanare un ragazzo che voleva approfittarsi di te?”
Finii di inghiottire il mio boccone prima di rispondere. “È successo solo per quello.”
“Delia
” mi ammonì lui, e immaginavo dove volesse andare a parare, quindi lo interruppi subito.
“È successo solo per allontanare quel tipo, David, non può esserci un’altra ragione per me e Matt, ora come ora. Io sono sotto un treno per via di Nate, non pensavo di potermi mai sentire così, ho litigato con te, ho bevuto, ho fatto delle stupidaggini. Matt mi ha aiutato perché Stevenson mi stava appiccicato. Basta.”
Lui sospirò, rassegnato, ed evitò di prolungare il discorso. Sapevo che, anche se non era d’accordo con me, non mi avrebbe contraddetto in quel momento: la mia verità era quella che gli avevo appena spiegato e non c’era modo che cambiassi idea.
Mi tornò in mente che dovevo sentire i miei genitori, quindi mi alzai controvoglia dal letto e recuperai il cellulare, ancora infilato nella mia borsa. Lessi velocemente un paio di messaggi di Audrey e di Jude, e quando trovai l’sms che la sera prima Dave aveva mandato a mio padre da parte mia, mi ritrovai a fare un verso oltraggiato.
“Dave!” lo chiamai con tono di rimprovero.
“Cosa?”
Lessi ad alta voce il messaggio che avevo sotto gli occhi. “Dormo da David, perché David, che doveva darmi il passaggio, dorme qui. Non preoccupare, ti sapevo domani. Cos’è questa roba?”
Dave si mise a ridere quasi ululando. “Ero ubriaco anch’io, Deels, ti aspettavi un poema epico?”
“Bastava scrivere molto meno!” lo rimproverai. “Dormo fuori, per esempio, era più che sufficiente!”
Lui continuò a ridere di gusto stendendosi sul letto e io, per non fare troppi danni, mi premurai di spostare il vassoio sul pavimento prima di gettarmi sul mio amico per iniziare una lotta a colpi di solletico.













Eccoci! Non so se vi aspettavate qualcosa di più, ma questo è quanto.
Speravo di riuscire ad essere più svelta nella pubblicazione, ma purtroppo a causa di vari casini ho dovuto rimandare di almeno una settimana.
Speravo anche che il capitolo uscisse moolto più breve, ma a quanto pare avevo fatto male i conti. Perlomeno è più corto degli ultimi di un bel po'.
L'ultimissima parte è scritta abbastanza velocemente e revisionata allo stesso modo. Potrebbe avere degli errori (ho modificato delle cose anche l'ultima volta che l'ho riletta), quindi se qualcosa non vi torna fatemi pure sapere!

Per il resto, non sono del tutto soddisfatta, ma non lo sono quasi mai, quindi è inutile che tenga qui il capitolo a fare muffa.
Sono stata a lungo indecisa su cosa far ricordare a Delia, non volevo toglierle niente di fondamentale e ho optato per uno schema così. Tenete comunque conto che i ricordi sono solo i suoi, come al solito non ci è dato sapere la parte di Matt, quel ragazzo è impossibile.
Sono stata a lungo indecisa (e l'ho cambiato più volte) anche sul tempo verbale da tenere nelle parti in corsivo. Essendo dei ricordi precedenti al racconto avevo iniziato a scriverle usando il trapassato, ma man mano che scrivevo mi sono accorta che così sarebbe cambiato completamente il tono. Ho optato per il corsivetto e per mantenere il passato remoto, ma non so. Se qualcuno pensa che abbia sbagliato accetto suggerimenti, ancora oggi non sono convinta.

Il titolo del capitolo è traducibile con qualcosa tipo "Guardare i flashback che si intrecciano tra loro". È un verso della canzone da cui prende il titolo la storia, Falling away with you.

Ho tediato abbastanza. Ringrazio davvero di cuore le stelle che hanno commentato lo scorso capitolo per darmi un po' di carica. Love <3
Rinnovo l'invito a commentare e a farmi qualsiasi domanda vi passi per la testa, sono qui apposta!
Causa prossimi impegni vari, non posso garantire tempi brevi di pubblicazione, ma posso promettervi che farò del mio meglio e che, come al solito, cercherò la spinta in tutte le persone che seguono e commentano la storia con tanto amore.
Un bacio per voi! Alla prossima!

  
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