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Autore: mikchan    28/06/2017    0 recensioni
Cosa faresti se ti trovassi bloccata in un aereoporto straniero, con ore e ore da aspettare per il prossimo volo verso la tua prossima destinazione?
Una one shot senza pretese.
[Dal testo]
"Bloccata in aeroporto.
Amanda non avrebbe mai pensato di potersi trovare in quella situazione. Non lei, che pur di non perdere un aereo o addirittura un treno partiva quattro o cinque ore prima da casa. Non lei, che si programmava sempre ogni aspetto della sua vita fino al minino dettaglio, anche le pause al bagno. Non lei, che odiava aspettare, soprattutto da sola e in un luogo sconosciuto. Ma si sa, i piani esistono per essere infranti."
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amanda non avrebbe mai pensato di potersi trovare in quella situazione. Non lei, che pur di non perdere un aereo o addirittura un treno partiva quattro o cinque ore prima da casa. Non lei, che si programmava sempre ogni aspetto della sua vita fino al minino dettaglio, anche le pause al bagno. Non lei, che odiava aspettare, soprattutto da sola e in un luogo sconosciuto. Ma si sa, i piani esistono per essere infranti e più di una volta si era ritrovata a dover improvvisare. Sapeva che la vita era così, piena di sorprese e imprevisti, eppure non le piaceva quella leggera situazione di disagio che la prendeva quando non era certa al cento per cento delle sue azioni.

Sospirò, mentre si infilava velocemente la giacca e usciva dall'ufficio della sicurezza dell'aeroporto. Era stata fermata dopo essere scesa a Dubai, dove avrebbe dovuto prendere la coincidenza per arrivare in Giappone. Non aveva idea di quale fosse il problema, ma Amanda non amava creare problemi e aveva seguito le due guardie nel loro ufficio, dove l'avevano perquisita e avevano letteralmente ribaltato il piccolo trolley che si era portata come bagaglio a mano. Si era chiesta per un attimo che fine aveva fatto la sua valigia, ma si disse che l'avrebbe di sicuro trovata una volta arrivata a destinazione. Alla fine, dopo dieci minuti in cui le due guardie avevano borbottato tra di loro in una lingua a lei incomprensibile, si erano scusate e le avevano semplicemente detto che c'era stato un errore. Una delle due, in particolare, sembrava particolarmente mortificata ma Amanda li aveva rassicurati che non c'era nessun problema. In fondo, aveva pensato, loro stavano semplicemente facendo il loro lavoro. Eppure, quando era uscita da quella stanzetta e si era accorta che le lancette dell'orologio sul suo telefono segnavano esattamente l'ora in cui il suo aereo per Tokyo sarebbe partito, si era domandata infastidita per un attimo se le avessero fatto perdere tempo apposta. Un pensiero stupido, ovviamente, ma ormai non c'era molto altro da fare.

Amanda si diresse verso il banco informazioni, dove spiegò la sua situazione in inglese, incontrando per fortuna un'addetta educata e con una pronuncia comprensibile, non maccheronica come quella dei due addetti di poco prima. Il prossimo volo per Tokyo sarebbe partito solo quella notte e avrebbe dovuto semplicemente cambiare biglietto e aspettare. Già, aspettare. Sembrava così facile a parole.

Amanda si sbrigò a sistemare le questioni amministrative, cambiando il biglietto e assicurandosi che la sua valigia la stesse aspettando all'aeroporto di Haneda e che avrebbe potuto recuperarla appena arrivata. Dopodiché decise di concedersi un pranzo veloce e si sedette al primo bar che incontrò. Non amava mangiare da sola -in realtà aveva un sacco di complessi sul fare qualcosa da sola, e aveva deciso di intraprendere quel viaggio proprio per cambiare questo aspetto della sua vita- ma ordinò comunque un toast e una spremuta d'arancia, tirando fuori dalla borsa il quaderno su cui si era appuntata tutto ciò che le serviva per quel viaggio.

Amanda era sempre stata affascinata da quella landa all'estremo Oriente che era il Giappone e anni prima aveva iniziato un corso di lingua, che però aveva seguito solo per un anno e che aveva abbandonato a causa di impegni contrastanti. Prima di partire, quindi, aveva rispolverato quelle poche conoscenze che aveva e si era convinta che le sarebbe bastato trovarsi immersa nella caotica Tokyo per imparare più velocemente ciò che le serviva. A quasi trent'anni e reduce da una situazione sentimentale e lavorativa non proprio rosea, Amanda aveva deciso di porre una pausa a quella vita di sacrifici e sofferenze e di meritarsi una vacanza. Aveva preso un congedo dal lavoro e, con i soldi dell'eredità che la sua nonna preferita le aveva lasciato alla sua scomparsa qualche mese prima, aveva comprato un biglietto e aveva iniziato tutti i preparativi.

Aveva un visto di soggiorno di quasi tre mesi, e aveva intenzione di godersi quel tempo per ritrovare sé stessa e poter ritornare a casa più forte di prima. Non aveva detto a nessuno fino all'ultimo momento che sarebbe partita, nemmeno alla sua famiglia, che ovviamente si era opposta a quella decisione così estrema. Ma quella volta Amanda non aveva dato ascolto a nessuno: aveva preparato le valigie e si era chiusa la porta della casa dei suoi genitori alle spalle senza rimpianti. Amanda finì il suo pranzo con calma, rileggendo le frasi utili che si era scritta e cercando di memorizzare qualche nuovo carattere nel frattempo. Il giapponese non era una lingua molto difficile dal punto di vista grammaticale, ma ovviamente i caratteri rendevano tutto molto più complicato. Per fortuna i giapponesi erano stati abbastanza intelligenti da inventare un alfabeto fonetico (due in realtà, di cui uno era usato per le parole straniere), e bene o male riusciva a scrivere tutto ciò che sentiva.

Guardò nuovamente l'ora e sospirò nuovamente. Erano appena passate le due del pomeriggio e doveva trovare il modo di usare le ben dodici ore che l'aspettavano prima del suo volo. Decise di fare un giro al DutyFree dell'aeroporto, ma si annoiò presto di tutti quei profumi e quei vini. Fu attratta dopo un po' da una parete piena di libri, e si disse che forse aveva trovato un modo per usare tutto quel tempo. Certo, un libro scritto in Indiano sarebbe stato incomprensibile, ma era certa che avrebbe trovato anche qualcosa in inglese. E così fu: prese due libri a caso con una copertina interessante e il titolo in inglese e si diresse a pagare. Erano mesi, se non anni, che non si concedeva del tempo per leggere qualcosa che effettivamente le piaceva e per la prima volta da quando aveva perso il volo trovò un aspetto positivo in quella situazione. Si diresse verso le sedie davanti alla libreria e iniziò a leggere. Fin dalle prime pagine capì che sarebbe stata una di quelle storie d'amore molto scontate e poco innovative, ma lo stile di scrittura e la trama si rivelarono più interessanti del previsto e si ritrovò a metà libro in poco più di un'ora. Dopo una veloce pausa al bagno e per sgranchirsi le gambe, tornò a leggere e arrivò all'ultima pagina prima di quanto pensasse. Mentre chiudeva la copertina, Amanda si chiese quando era stata l'ultima volta che era stata travolta così violentemente da un libro, e realizzò con un pizzico di tristezza che era stato non più tardi dei suoi giorni da universitaria. Non che odiasse il suo lavoro, in fondo aveva scelto lei quell'indirizzo, ma a volte si era rimandata se era valsa davvero la pena spendere tutti quegli anni sui libri per poi ritrovarsi in un ambiente lavorativo che nell'ultimo periodo l'aveva quasi distrutta fisicamente e moralmente. Certo, quello era per lo più colpa del suo nuovo capo, ma il dubbio rimaneva. Come sarebbe stata la sua vita se dieci anni prima avesse preso scelte diverse? Se, ad esempio, avesse continuato a studiare il giapponese o le lingue in generale, come le aveva consigliato la sua professoressa alla fine delle superiori. Probabilmente sarebbe stata diversa, ma niente poteva dire se sarebbe stata migliore. In fondo, la vita è fatta di scelte, e non si può che accettare le conseguenze di ognuna di esse.

Non era neppure metà pomeriggio quando Amanda aveva finito di leggere, e decise di concedersi un’altra passeggiata nell’aeroporto. Era noioso, ma decisamente meglio che stare seduta a fissare il vuoto. Non aveva voglia di leggere o studiare, e in quel momento l’ideale sarebbe avere avuto qualcuno con cui conversare per fare passare tutte quelle ore più velocemente.
Fece probabilmente tutto il giro dell’aeroporto, e si ritrovò al punto di partenza senza avere nemmeno avuto il tempo di pensarci su. In realtà, durante quell’insolita passeggiata, si era ritrovata a rimuginare su qualcosa che non la toccava da mesi. Aveva visto per caso una giovane coppia che si stava probabilmente imbarcando per la luna di miele, e si era ricordata di quando anche lei, solo un anno prima, si era ritrovata in una situazione così simile, eppure così diversa. Diversa, purtroppo, perché lei alle nozze non c’era mai arrivata, dato che il suo compagno, solo una settimana prima del loro matrimonio, si era ricordato che lui una famiglia ce l’aveva già, con due figli annessi, e che forse non era il caso di continuare per quella strada. Amanda non era mai stata molto fortunata in amore, ma quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, già pieno fino all’orlo per molti altri problemi, e il motivo per cui aveva perso molta della sua confidenza.

Per distrarsi da quei pensieri, Amanda entrò in un’edicola e comprò un giornale e un libretto pieno di giochini, di cui si stufò dopo poco tempo. Avrebbe voluto essere capace di attaccare bottone con qualcuno, ma tutte le volte che individuava una persona che sembrava sola come lei e che poteva essere interessante, scopriva che non era affatto così, e la guardava allontanarsi accanto alla compagnia con cui era arrivata. Dopo due o tre tentativi aveva perso le speranze e, anche se odiava quell’insicurezza che l’assaliva quando doveva parlare con uno sconosciuto, per un attimo sperò che qualcuno iniziasse una benedetta conversazione con lei.

Amanda sbadigliò. Erano appena le sette di sera, ma era sveglia da molto presto e quella giornata l’aveva decisamente sfiancata. Decise quindi di andare a trovare delle sedie un po’ nascoste, si mise la valigia sotto i piedi, le cuffie nelle orecchie e si assopì. Si risvegliò qualche ora dopo, un po’ rintontita ma decisamente meno stanca di prima, e felice di avere sempre meno ore da dover aspettare. Si ripromise di continuare a dormire quando fosse finalmente salita sull’aereo e si alzò. Erano passate le nove di sera e l’aeroporto era decisamente meno affollato di quanto lo era stato quel pomeriggio. Era una fortuna che ci fossero meno partenze così tardi, soprattutto perché c’era meno confusione ed era più semplice girarsi in quel posto.

Appena sentì lo stomaco brontolarle, Amanda entrò nel primo locale che trovò aperto, trascinandosi dietro la solita valigia che quel giorno stava soffrendo quanto lei. Il cameriere la fece sedere a un tavolo per quattro persone e Amanda non si fece problemi dato che il locale era meno pieno di quanto si aspettasse. Ordinò la cena e tirò fuori nuovamente il suo quaderno di giapponese. Non si ricordava bene, ma le sembrava di avere sognato qualcosa a proposito, e si era alzata con un dubbio su una parola che non era riuscita a risolvere con le sue sole forze. Mentre mangiava, decise di scrivere una breve presentazione di sé stessa usando solo le parole e le forme grammaticali che conosceva, un po’ per allenamento e un po’ per avere qualcosa da dire nel caso avesse dovuto presentarsi a qualcuno.

Stava cercando di ricordarsi come si dicesse ventinove anni, quando una voce attirò la sua attenzione.

一人ですか。” [1]

Amanda impiegò parecchio tempo a capire che quella frase era stata rivolta a lei, che era stata pronunciata in giapponese e soprattutto cosa volesse dire.

Yes… はい。 ”, rispose, alzando lo sguardo dal suo quaderno, imbarazzata. [2]

La persona davanti a lei era un uomo sulla trentina, di chiara origine asiatica, presumibilmente giapponese, data la lingua con cui aveva parlato. Non era molto alto, ma era snello e il completo elegante da uomo d’affari gli calzava a pennello. Aveva una faccia simpatica e gentile, con le labbra sottili piegate in un sorriso e gli occhi a mandorla da cui spuntavano due pupille completamente nere. Non sembrava una cattiva persona, eppure Amanda non capì perché si era rivolto a lei.
“È libero questo posto?”, le chiese in inglese, indicando il posto vuoto di fronte a lei, dal lato opposto del tavolo.

Amanda annuì, sorpresa di sentirlo parlare inglese con un accento così buono. Aveva visto parecchi video prima di partire ed era preoccupata dal livello di inglese che quei giapponesi che erano comparsi avevano mostrato. Eppure, quest’uomo sembrava abbastanza benestante e probabilmente aveva una buona educazione, quindi non era così sorprendente che sapesse una lingua universale come l’inglese.

L’uomo si sedette, facendo un segno al cameriere che gli portò un bicchiere d’acqua e il menù. Ordinò la sua cena e poi l’occhio gli cadde sul quaderno che Amanda aveva sul tavolo.

Sta studiando Giapponese?”, le chiese, mantenendo sempre quel sorriso pulito e educato.
Amanda annuì nuovamente. Poi si disse che probabilmente sembrava una stupida, a fissarlo come un’ebete senza dire niente, e si schiarì la voce. “Siccome sto andando in Giappone, sto studiando il giapponese”, disse, testando per la prima volta le sue capacità in quella lingua che mai aveva usato con qualcuno.

L’uomo la guardò sorpreso. “È brava”, si complimentò.

Amanda sorrise, imbarazzata. “Per niente”, rispose, questa volta tornando all’inglese. “Non l’ho studiato a lungo e non ho mai parlato con nessuno”.

Sta andando in vacanza?”.

Sì, per un paio di mesi”.

Posso chiederle dove andrà, se non sono indiscreto?”.

Amanda rimase interdetta di fronte a quell’eccesso di formalità e gentilezza, ma da una parte le fece anche piacere. “Tokyo”, rispose. “Ma ho intenzione di girare un po’: Osaka, Kyoto, Nara, Sapporo. Voglio godermi questa vacanza”, disse poi senza pensarci troppo. La conversazione con quell’uomo era più semplice di quanto si fosse aspettata e, anche se si erano scambiati solo poche battute, si sentì per un attimo come se fosse tornata la vecchia Amanda, quella che all’università aveva il coraggio di chiedere il numero a un cameriere carino e parlava sempre a macchinetta.

L’uomo annuì, soddisfatto dalla risposta. “Spero che si diverta, allora. Ci sono molti posti davvero belli da visitare”.

Mi sono già fatta una lista di quelli che devo assolutamente vedere”, confessò, aprendo il quaderno sulla prima pagina e mostrando all’uomo l’immensa lista di luoghi che si era appuntata prima di partire.

È proprio ben informata”, replicò questo, annuendo ogni tanto mentre leggeva i vari nomi.
Il cameriere portò la cena al suo compagno di conversazione e i due continuarono a parlare.

È mai stata in Giappone?”, le chiese l’uomo, bevendo un sorso di vino rosso.

Mai. In realtà è la prima volta che metto piede fuori dal mio paese”, ammise Amanda. “Lei invece viaggia molto?”.

Abbastanza. La mia azienda sta cercando di espandersi qui a Dubai e sono venuto spesso in questo ultimo mese”.

È una bella città?”.

Molto. È caotica, ma da una sensazione di vitalità che non ho trovato in nessun altro posto in cui sono stato”.

Me ne ricorderò per la mia prossima vacanza”.

Non se ne pentirà. Sa, ho trovato…”. In quel momento il suo telefono iniziò a squillare e l’uomo di scusò, alzandosi e allontanandosi per rispondere alla chiamata.

Amanda lo guardò per qualche secondo, chiedendosi che cosa stesse facendo. In realtà assolutamente niente di male, stava solo conversando con uno sconosciuto, esattamente quello che aveva voluto fare fin da quel pomeriggio. Ma ovviamente il suo cervello doveva pensare sempre il peggio, e nel tempo della chiamata fu in grado di partorire le idee più astruse su quell’uomo, tra le quali una strana versione su un’agenzia di spionaggio. Niente aveva assolutamente senso, lo sapeva, ma quello era bastato a cancellare la sensazione di benessere e a sostituirla con l’ansia.
Senza pensarci due volte, Amanda si alzò, buttando con foga il quaderno e il telefono nella borsa, e uscì dal locale dopo aver pagato come se fosse una ladra. Ringraziò qualunque entità per non avere incontrato quell’uomo, perché sarebbe stato imbarazzate farsi scoprire a scappare in quel modo.
Si sedette su una sedia in disparte, vicino al gate sul quale avrebbe dovuto imbarcarsi qualche ora dopo, e sospirò. Era davvero triste constatare quanto era effettivamente cambiata: quando era giovane era una ragazza solare ed estroversa, e se le fosse capitata un’occasione come quella non ci avrebbe pensato due volte a guadagnarci il più possibile. Dopo soli dieci anni, era una donna insicura e fragile, con più cicatrici di quante fosse possibile contarne e un passato che voleva dimenticare.

Eppure, quella volta sentiva di avere sbagliato a comportarsi così. Perché si stava rovinando la vita in modo totalmente arbitrario? Poteva dare la colpa a qualunque cosa, ma alla fine della giornata era ancora lei a dover compiere delle scelte. E ancora una volta, aveva preso quella sbagliata.

Quel viaggio alla volta del cambiamento era iniziato davvero male. Amanda si era riproposta di superare quella timidezza che l’aveva assalita negli ultimi anni e aveva sperato di riuscire a trovare qualcuno con cui andare d’accordo almeno in quel paese lontano. Ma alla prima opportunità, era scappata senza porsi nemmeno il problema.

Amanda si prese la testa tra le mani, esalando un gemito. Doveva trovare il modo di cambiare la sua vita, non poteva assolutamente continuare così. Non valeva la pena vivere -sopravvivere- in maniera così passiva e triste. Sapeva che sarebbe stato difficile tornare a fidarsi di nuovo delle persone, ma doveva farlo.

Prima che si accorgesse del tempo che era passato, sentì una voce chiamare il suo volo dall’altoparlante. Si alzò e andò a sciacquarsi il volto prima di imbarcarsi. Era pallida e aveva due occhiaie spaventose, ma la vecchia lei era ancora lì, nella forma del viso, negli occhi chiari e nelle labbra sottili. Era invecchiata e sciupata, iniziava ad avere qualche ruga e aveva iniziato a trovare i primi capelli bianchi, ma lei era ancora lì, sotto tutta quella polvere.

Si diede due schiaffetti sulle guance e annuì al suo stesso riflesso.
Consegnò il biglietto all’addetta e, dopo aver percorso un lungo tunnel, salì sull’aereo. Cercò il numero segnato sul suo biglietto, 33A, per fortuna un posto vicino al finestrino. Mise il suo bagaglio a mano nella cappelliera e si sedette, tirando fuori dalla borsa le cuffie e l’altro libro che aveva comprato quella mattina.

Un’altra signora si sedette nel posto C, e Amanda sperò fino alla fine che il posto accanto a lei rimanesse vuoto. Le sue speranze sembrarono avverarsi quando le hostess iniziarono a passare a controllare che tutti avessero le cinture allacciate e che non ci fossero valigie sotto i piedi. Stava già per appoggiare la borsa sul sedile accanto, quando alle sue spalle sentì una voce chiedere dove fosse il posto 33B.

Sbuffò e si strinse istintivamente contro il finestrino, anche se i posti erano piuttosto spaziosi. Non voleva nemmeno sapere chi avrebbe avuto di fianco per tutte le ore del volo, sapeva già che avrebbe odiato quella persona a prescindere, solo perché si stava sedendo accanto a lei. Alla faccia del cambiamento, le ricordò una vocina nei retroscena del suo cervello.
Amanda sbuffò, questa volta più rumorosamente, e si voltò d’istinto verso la persona seduta di fianco a lei, che aveva voltato la testa al suo esalare così sconsolato.
Amanda rimase completamente senza parole, la bocca mezza aperta come un pesce fuor d’acqua e le guance che iniziarono a diventare rosso pomodoro.

L’uomo allungò una mano verso di lei e si aprì nel suo solito sorriso gentile. “Mi sono dimenticato di presentarmi prima. Io sono Suzuki Makoto. よろしくお願いします。Piacere di conoscerla”. [3]

Salve a tutti! 
È da un po' che manco da EFP, ma da quando ho iniziato l'università è diventato molto più difficile trovare il tempo di scrivere con costanza.
Tuttavia oggi ho avuto un lampo di illuminazione e ho partorito questa one shot senza inizio ne fine, a cui probabilmente non dedicherò mai un sequel (anche perché non sono mai stata in Giappone, per ora, e non sarei in grado di descrivere una città e una società che non ho mai visto).
Le frasi in giapponese hanno tutte una loro traduzione, e le poche ho inserito sono state messe apposta, non per vantarmi di studiare questa lingua, ma perchè credo possano dare un tocco in più alla storia.
P.s. probabilmente nessuno l'ha notato, ma la protagonista ha lo stesso nome di quella della mia prima storia, Like a Phoenix. Tuttavia le due storie non sono collegate in nessun modo, ho semplicemente scelto di usare di nuovo Amanda perché è un nome che adoro.
Detto ciò, spero che questa storiella vi sia piaciuta.
Fatemi sapere che ne pensate (sempre che ci sia ancora qualcuno di vivo e pensante su questo sito).
Mikchan

[1] “一人ですか。 ” → “è da sola?”

[2] “はい” →

[3] “ よろしくお願 いします” → “piacere di conoscerla”

  
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