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Autore: queenjane    28/06/2017    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Olga voleva che tutti i giapponesi, le facce gialle morissero, ma quando realizzò che il suo desiderio avrebbe lasciato orfani i bambini e vedove le donne cambiò idea e non ne disse più nulla.
Taceva, non confidando a nessuno i suoi pensieri, mentre i suoi genitori, oltre che per la guerra si angustiavano per la salute del tanto desiderato figlio e erede, Alessio.
La sua situazione  non poteva essere evitata o lasciata fuori dai cancelli della reggia, aveva appena sei settimane quando aveva avuto una emorragia all’ombelico, il sangue non si fermava ed era un chiaro segno che qualcosa non andava.
Alessandra lo aveva aspettato per 10 anni, era il compimento di tutte le sue speranze e dei suoi sogni, era disperata che quei segnali fossero riconducili all’emofilia, morbo che si trasmette di madre in figlio.
E le crisi insorgevano, repentine, in particolare le tumefazioni su gomiti o ginocchia indicavano una emorragia interna, gli arti si gonfiavano e il bimbo piangeva per ore, in preda ai dolori, fino a gemere, prostrato, incapace di mangiare o dormire.

Olga scriveva a Catherine che studiava inglese e francese con Tatiana, andava a cavallo, talvolta accompagnava il padre a fare lunghe passeggiate, insieme alle sorelle. Che nelle belle giornate lo zarevic era condotto a spasso nei giardini, in una cesta sul dorso di un asino. Dei picnic, la tavola apparecchiata sotto gli alberi, ulteriori passeggiate nei prati, la stagione era quieta, bellissima, con tanti fiori da raccogliere. E  della crociera autunnale sul golfo di Finlandia a bordo dello yacht imperiale, dei bagni a riva, osservando le conchiglie, le alghe e nuotando, e tante altre minuzie, glissando l’aspetto di  maggior rilievo, ovvero quando sarebbe tornata.


Catherine descriveva Londra, Parigi, le città del Nord, Roma, la Spagna e quanto altro, senza accennare date precise di ritorno, i suoi genitori non avevano idea e quindi nemmeno lei. E le pareva di essere con lei, aveva dieci anni la furbastra e sapeva descrivere bene, appunto, in Spagna come a Roma e via così. Mescolava i dettagli e la faceva ridere, almeno un poco.

Dai un bacio a tutti, in particolare allo Zarevic, fai conto che sia io..”
“Vorrei che lo dessi tu, questo bacio, segno che saresti qui, gli parlo di te, anche se credo capisca il giusto, che hai tanta fantasia, che quando ti ha sorriso le prime volte eri in estasi, rapita e contenta....E tanto è un moccioso .. che vuoi che si ricordi ..” E quelle frasi non le scriveva mai.


Intanto, il Giappone aveva annientato a Tsushima, un’isola nello stretto della Corea la flotta russa, come era accaduto per terra a Mukden, battaglia in  cui erano periti 100.000 russi.
La guerra era perduta, senza fallo e lo zar acconsentì che il presidente americano, Roosevelt, presiedesse i negoziati di pace che presero avvio nell’estate del 1905, Alexander Rostov-Raulov fu tra i suoi delegati.
In autunno vi furono appunto, scioperi e rivolte, tanto che nel mese di ottobre lo zar firmò un proclama che istituiva una assemblea eletta dal popolo, la Duma, si riconoscevano al popolo diritti fondamentali come l’inviolabilità della persona, la libertà di coscienza, parola, riunione e quanto altro.
Era il primo passo verso le riforme, l’autocrazia non esisteva più.
La zarina pianse per ore e giorni, oppressa, ma Nicola aveva firmato, non farlo significava la guerra civile.

Olga finì la lettera con un sospiro, sua madre aveva l’emicrania, dopo avere vegliato Aleksej per due giorni e due notti, nemmeno gli attesi regali di Natale da aprire e l’albero scintillante le davano gioia.
Non tornerà più, è andata via per sempre, non è morta come lo zio Sergio, ma è tanto che non scrive e .. Ha trovato un’altra amica, migliore di me, senza gelosie o maleducazione e malumore. Prima scriveva che le mancavo, ora ha smesso.. Manco del moccioso scrive più.
 
Era una sorpresa, forse una delle più riuscite, quando bussai non giunse nessuna risposta, un perfetto congegno. Entrai e la vidi di spalle, il ritratto della malinconia pensosa, si girò di scatto e la protesta le morì sul colpo.
"Salve, Altezza Imperiale, scusate il disturbo.
- TU.. Sei tu.- Il viso illuminato di gioia, come quando apri le tende in una stanza chiusa ed entra il sole.
Si era alzata in piedi, in quei mesi era cresciuta di statura, dimagrita, uno sguardo velato, un poco più malinconico che scomparve non appena mi toccò, non ero una morgana, un miraggio .
La benda che avevo sul cuore si sciolse.
Alzai la testa  e le spalle, i miei capelli ricaddero in ciocche sulle spalle, con riflessi di mogano, scintille di rosso scuro, come quelli dello zar..
-Je suis ici..Sono tornata a casa. Volevi qualche altra? - Mi abbracciò, di schianto, così forte da farmi dolere le costole.
- Volevo te..-
E l’intesa ritornava, una magia che non sarebbe venuta meno, di capirci con una sola occhiata, stare bene in silenzio. Pattinare sul ghiaccio, giocare a scacchi o dama, cavalcare nelle pigre mattina di primavera, passeggiare vicino al mare quando eravamo a Livadia o a Peterhof, leggere e fantasticare.. Tutto questo e più ancora.
Potevo ingannare il passato, dicendo di non ricordare, ma non me stessa, le volevo bene, mi rendeva migliore, anche senza nessuna azione, giusto perché era lei.
Io mi sono finta forte per tutta la vita, sia prima che dopo, ma in realtà era lei a non spezzarsi né spiegarsi. Anche da sola, rievocavo la sua risata, i suoi passi, il profumo, l’ho amata e ferita a morte, persa nel mio egoismo, riscattandomi per brevi momenti, l’ho portata dentro di me, come un tatuaggio, uno specchio, ho vissuto molte vita in una e lei con me.


Ah .. poi andai da Alessio. Non mi riconobbe, chiaro che no, tranne dopo un pomeriggio di risate e sussurri mi elesse a suo nuovo, imperiale giocattolo.  Principiava a camminare, mi misi carponi e a  fine pomeriggio avevo ginocchia e  mani sudice, a furia di ripulire tappeti e pavimenti di parquet dalla polvere (Alix ne prese nota, che le pulizie non erano effettuate a dpvere) E Aleksej mi usava come appoggio mobile per camminare, salvo decidere che la mia schiena era più piacevole del cavallo a dondolo, ce lo issarono senza fallo, i miei capelli folti e sciolti le sue redini.
Ero un nuovo balocco, e lui il mio,
In tempo di una settimana decisi che era più divertente stare con lui che perdere tempo con le bambole.

E mi faceva diventare verde, ero il suo cavalluccio, il suo deambulatore, tranne che quando mi scocciavo glielo dicevo, già allora avevo appreso che a lui non dovevano essere riservati bruschi movimenti, ma la dolcezza, la comprensione.
Lo serravo per la vita, le mie braccia lo circondavano sui  fianchi avvolti dai pannoloni, vestiva spesso alla marinara, con ampie gale e stupendi colletti. “Ora basta.. Gioco io” “No” e lo serravo. “Chi sono io? “ “..oh..” Per boh. “Sono Catherine.. dillo” E lo sillabavo e taceva, il furbone e lo cedevo ad altre braccia, quando dovevo ritirarmi..E si metteva a piangere, quando scomparivo, andando avanti per un pezzo se non tornavo, mi si buttava addosso e giocava, da capo e di nuovo con me, mi tirava i capelli, mi sorrideva, faceva buffe smorfie.

“ E dì Cat, va bene uguale” Una pausa e un sospiro “ Come tua sorella Olga” Ancora “Zarevic, che volete..” e mi strattonava le ciocche, serrandosi “ Basta.. “
Lui zitto, viziato e  bizzoso.
“Basta ..”
“No. Decide Bimbo”
“ Chi è bimbo?”
“Baby..” Alix lo appellava bimbo, Baby, un tenero vezzeggiativo che principiò allora, come Little One. “La bambola?” e tante altre eventuali, e lui corruscava il visetto, lo stringevo e mi si rannicchiava addosso, fingendo di essere offeso “ Lo zarevic è bellissimo .. ma chissà chi è Bimbo, boh..” Un sorriso “ A Bimbo voglio bene, solo a lui” mi arrivò un calcio, io tirai un colpo sul suo sederino fasciato dal pannolone.

“Aleksej, tesoro..bravissimo..” Me lo caricai in grembo, rapida, come tanti anni dopo .. Avevo aperto le mani ed aveva camminato barcollando tra le mie braccia, mi ero sollevata, con lui in trionfo, dritto come un fuso“ Altro che Bimbo.. “
“Bimbo bravo” lui a me.
“ Va bene..Bravi tutti e due, ma Bimbo sa chi sono, voi no..”
“NOOO..  Tu .. Cat..”
“CHI? “ commossa, in estasi.
“TU.. CAT:.”
E disse Catherine, io resto convinta oggi ancora che lo avrebbe detto molto prima, tranne che non voleva darmi soddisfazione.
 
   
 
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