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Autore: Love_My_Spotless_Mind    29/06/2017    0 recensioni
Jonghoon è sempre stato un artista taciturno, tutto dedito alla sua musica e concentrato sul suo gruppo. Tuttavia, da quando le AoA sono arrivate alla Fnc non ha mai smesso di desiderare di conoscere Choa. Fin dal momento in cui era una ragazzina dai capelli neri e lunghi avrebbe voluto conoscere il suo cuore.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jonghoon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII

Passarono tre giorni, tra le solite bollette, inviti a party e pubblicità, la posta consegnò loro anche una lettera scritta a mano, indirizzata a Choa. Di solito era Yuna a smistare le buste nella cassetta, di prima mattina, poiché era una delle prime a svegliarsi. Tra le solite buste bianche ed anonime la colpì quella di carta ruvida, con dei fiori azzurri ad acquerello sul retro. Stupefatta stava quasi per aprirla, credendo si trattasse di qualche trovata da parte di qualche locale o magari l’invito ad una cerimonia. Quando ne aveva aperto la sommità per metà, però, si accorse fosse indirizzata esclusivamente alla sua amica. La curiosità si fece ben più pungente. Solo allora ricollegò le strane telefonate serali e la sfuriata notturna che credeva d’aver sognato. La loro compagna nascondeva un segreto, evidentemente. Forse era meglio consegnarle la lettere prima che qualcun'altra venisse a conoscenza della sua esistenza. Se Choa aveva deciso di non dir loro niente magari aveva i suoi buoni motivi.
Infilò la lettera nella tasca dei pantaloni del pigiama, attraversando il corridoio per raggiungere la porta di Choa. Bussò lievemente, non udendo alcuna risposta decise di entrare. Le serrande erano abbassate, la sua amica era addormentata, con le gambe nelle lenzuola attorcigliate. Si mise a sedere al suo fianco, posandole una mano sulla spalla, scuotendola appena per tentare di svegliarla. Choa aprì gli occhi lentamente, d’un primo momento non riusciva a capire come mai Yuna fosse nella sua stanza, credette d’aver fatto tardi. Poi si tranquillizzò nel vederla in pigiama. L’amica le passò la lettera senza dir niente, le posò un bacio sulla fronte per poi sgattaiolare fuori dalla stanza, lasciandola sola.
Una lettera per lei. Choa non comprendeva. Accese la lampada sul comodino stropicciandosi gli occhi. Solo dopo le prime parole si accorse chi fosse ad averla scritta.

Cara biondina,
L’inizio di una lettera è sempre il più stridente. Soffro di panico da pagina bianca, devi saperlo. Con le canzoni non mi succede, so che se non ne fossi soddisfatto mi basterebbe tenerle rinchiuse in un cassetto o soffiarmici il naso. Questa volta è diverso perché io scrivo con l’intento di farti arrivare qualcosa di preciso. È complicato. Prova ad immaginarmi: sono nella stanza di quando ero bambino, le pareti sono di un blu a dir poco accecante (dovevo avere un gusto orrendo a quei tempi) ed il letto troppo piccolo. Fuori dalla finestra si vede il mare. Sono cresciuto così, con la vista puntata sulle onde e la testa da tutt’altra parte. Credo non ti sia difficile immaginarlo.
 Ci conosciamo da tanto noi due, non è vero? Non posso ricordare con esattezza la data della prima volta che ti ho vista, però questa semplice consapevolezza basta, mi fa comprendere che c’è una storia dietro a tutto questo. Il nostro rapporto si sta evolvendo a poco a poco, mi ritrovo a leggere queste parole giorni dopo e mi sembra già che non bastino più. Perché è una scoperta continua conoscerti, desiderarti e tenerci, è una scoperta che mi fa sentire migliore ma che mi ha trasmesso anche tanta paura.
Sono tornato qui per il matrimonio di mia sorella. Perché non te l’ho detto? Perché non volevo crederci neppure io. L’ho vista adolescente tornare a casa con la testa altrove, l’ho vista scrivere all’infinito un’iniziale sui quaderni di scuola, l’ho vista commuoversi per quelle canzoni ritenute sempre da entrambi troppo “mielose”. Ma soprattutto, l’ho sentita mentre saliva le scale di corsa di ritorno da scuola per poter chiamare la sua migliore amica, gridando di aver dato il primo bacio. Quante volte si è tagliata i capelli, ha cambiato stile, ha gettato i regali di lui, quante volte è tornata al cassonetto per riprenderseli. Quante volte ha pianto per lui ed io le ho detto di lasciarlo. Quante altre è uscita con ragazzi che non fossero lui per poi tornare sempre sui suoi passi. La ricordo dirmi che l’aveva tradita, ricordo le sue notti insonni, le perdite di peso improvvise e le notti trascorse insieme a prepararci spaghetti. Ho nella mente i suoi occhi stropicciati dal pianto e la bocca torturata dai rimorsi. Persino quella volta in cui mio padre ha detto a quel ragazzo di non tornare mai più. Ed ora si sono sposati. Non ci potevo credere. Mi restava il paradigma della sua sofferenza nella memoria, non potevo credere a quel giorno reputato da tutti il più felice.
Sono così, contento per lei ma con l’amaro in bocca. L’amore mi mette paura, non posso farci niente. Per questa non ti ho chiamata. Per questo sono stato stupido ma prima di tutto infantile. Hai fatto bene ad insultarmi. Mi hai dato l’ennesima scossa. Cavolo, ci riesci sempre. Ma come fai?
C’è una canzone che ho scritto tanti anni fa, quando trascorrevo l’estate in questa casa. L’ho tenuta per tutti questi anni nel cassetto della scrivania. Questa mattina, rileggendola, mi sono accorto ti calzi a pennello:
“Il tuo volto è impresso nelle frasi con più significato, il tuo sorriso è nelle canzoni più emozionanti, anche in quelle più malinconiche. Ci sono le tue parole che ripeto all’infinito nella mente, il modo in cui ragioni, i tuoi pensieri, il tuo modo di essere, quello in cui scherzi. Ci sono le notti trascorse a parlare di noi, a sognarci, desiderarci, immaginare. Dentro di me ti ho già baciata mille e mille volte, ti ho tenuta stretta, ho accarezzato il tuo viso, osservandolo a lungo perché non si cancelli.”
Ho cercato di spiegarti quanto accaduto con tutta la sincerità mi riuscisse d’usare. Non posso assicurarti di esserci riuscito del tutto.
Choa, ho ancora qualche giorno di vacanza; ho deciso di trascorrerlo in una villetta sulla spiaggia. Spero tu possa essere qui con me. Devo mostrarti quanto sia azzurro il mare quaggiù e che volto hanno le persone felici.
Un ragazzo misterioso,
tranne che per te.

 

L’aereo l’aveva lasciata in una cittadina dalle case a schiera con le mura azzurre. Choa aveva con sé soltanto uno zaino, lo stomaco era in subbuglio quasi più della testa. Sulla spiaggia terminante in una scogliera se ne stava una casetta dalle assi di legno spesso e le grosse vetrate tutt’attorno alle pareti. Il tetto era spiovente, con un nido di gabbiano sulla cima. Tutt’attorno all’abitazione al posto del giardino c’era una coltre di sabbia bianca, sottilissima. Sembrava la casa d’un sogno modesto. Era uno di quei luoghi che si concepiscono quando ci si è stancati del mondo.
Raggiunse il portico dove batté i piedi a terra per scrollarsi gli stivaletti. Improvvisamente la porta si aprì. Da quel momento era sicura di non ricordare più come fosse andata perché era stato come un vento imprescindibile a spingerli l’uno contro l’altro,  a trascinarli in un bacio. Si divorarono le labbra, si abbracciavano impazienti, tremanti. E non servì alcuna parola perché entrambi iniziarono a spogliarsi, poi lei a spogliare lui e lui a spogliare lei. Si sparpagliarono indumenti primaverili lungo il corridoio. Cadde a terra la camicia a quadri, scivolò altrettanto in fretta la maglietta bianca, i jeans. Lei si ritrovò con la schiena contro la parete, le mani affusolate da pianista la sfioravano quasi con devozione. I palmi si aggrappavano al seno generoso, le labbra scorrevano sul collo profumato, raggiungevano le spalle.
Si avvertiva il rumore delle onde, bastava tenere le palpebre socchiuse per immaginare la schiuma ritirarsi sulle onde della scogliera. Era come se l’abitazione intera fosse trascinata dall’incedere oscillante del mare. Loro due annaspavano in un sentimento avvolgente. D’improvviso erano nella camera da letto, le gambe s’erano guidate da sole. Jonghoon si mise a sedere sul divanetto di fronte alla finestra per sfilarsi le scarpe, Choa era in piedi di fronte a lui. Mai la vista aveva avuto il piacere di accarezzare un corpo così candido, armonioso. Scorrevano gli occhi sulla rotondità docile dei fianchi, scorrevano sulle gambe allenate, si perdevano quando lei lasciò scivolare a terra l’ultimo indumento intimo rimastole in dosso. Lui riusciva solo a pronunciare quel nome, nettare delle immaginazioni proibite. Scorreva con le dita sulla sua schiena nuda quando lei si sistemò a cavalcioni sulle sue gambe, inglobando il suo sesso nel calore del proprio corpo. Si muoveva ad agio, spettinando i capelli del ragazzo, posando baci sulle sue guance. – Sei bellissima. – riuscì a dire soltanto.
Scese il sole all’orizzonte, la stanza si fece più buia, soltanto la tremolante luce di una candela brillava al di sopra del comodino. I loro corpi erano ancora incastrati, i gemiti addensavano l’aria. La mente possedeva pensieri annacquati in cui la coscienza evaporava pian piano.
 Si erano sdraiati sul letto sufficientemente spazioso. Seguivano baci, le carezze. Le spinte s’erano fatte più profonde, la ragazza si contorceva dal piacere. In quel momento si dissipavano le domande e i dispiaceri. Sapevano soltanto di essere lontani da tutto e da tutti, quella sembrava la fine del mondo e un po’ lo era davvero. Nessuno dei due desiderò che durasse in eterno, era già eterno così, lo sarebbe stato per sempre. Jonghoon baciava le sue labbra, mordicchiava quello inferiore, sorpreso di trovarla realmente lì. Aveva scritto quella lettera rivolta a lei in piena notte, giorni dopo aver ricevuto i suoi insulti per telefono. Ancor prima di realizzare quanto provasse a proposito della situazione lo aveva scritto. Le parole erano venute fuori da sole. Era stato un fluire spontaneo e sincero. Le aveva parlato della sorella e delle sue paure, cose che non era mai riuscito a dire ad alta voce. Era bastato scriverle a lei perché si facessero un po’ più leggere. Aveva raggiunto a piedi la cassetta della posta, ai piedi aveva indossato solamente le infradito per il mare e ad un certo punto si era messo a correre. Consegnando quella lettera aveva creduto di non rivederla mai più. Perché succede così quando ci si confessa a qualcuno: svanisce. C’è chi lo fa per timore o chi perché crede che certe spiegazioni siano solamente una scusa come tante e che sia semplice pronunciarle. Per lui non era stato affatto semplice. Aveva lasciato i suoi sentimenti a condensare per troppo tempo dentro se stesso senza dar loro una forma, ritrovandosi ora fra le mani un groviglio intricato. Ma Choa era lì, stava sciogliendo ogni filo aiutandolo a ritrovarne il capo.
Si strinsero abbracciandosi saldamente, un orgasmo caldo e denso pose termine a quel volteggiare. La terra riprese ad essere salda, non era più come stare in mare aperto, il mondo intero aveva smesso di oscillare.
Choa posò la guancia contro il petto di lui, riprendendo fiato. – Allora è vero che hai la tartaruga. Pensavo fosse tutto photoshop. – lui rise, giocando con le sue ciocche di capelli umide di sudore.
 
  
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