Anime & Manga > Sailor Moon
Segui la storia  |       
Autore: Kat Logan    29/06/2017    4 recensioni
Esiste realmente la quiete dopo la tempesta?
C'è chi cerca di costruirsi un nuovo futuro sulle macerie del passato e chi invece dal passato ne rimane ossessionato divenendo preda dei propri demoni.
[Terzo capitolo di Stockholm Syndrome e Kissing The Dragon].
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Rei/Rea, Un po' tutti | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
You'll never take me alive.
Do what it takes to survive,
'Cause I'm still here.
You'll never get me alive.
 
Kill all your friends – My Chemical Romance
 
 
 
 
Le porte dell’ospedale non accennavano a rimanere chiuse.
L’atrio si fece sempre più affollato.
Ami scese i gradini delle scale due a due, poiché gli ascensori erano tutti occupati e il caos sembrava essere esploso lì dentro con la potenza di una granata.
Fece passare una barella diretta in sala operatoria e un piccolo gruppo di medici di corsa verso il pronto soccorso.
Ami si bloccò a metà fra il reparto di cardiochirurgia e quello di rianimazione intensiva.
Salutò distrattamente una matricola e lo sguardo si posò su uno degli schermi in corridoio.
Un palazzo in fiamme. Il volume era stato tolto per non disturbare i pazienti e dovette far ricorso alle sole immagini per capirci qualcosa.
Che si trattasse di un attentato? Un incidente domestico? Un disastro di altra portata?
Assottigliò lo sguardo tentò di riconoscere la zona e quasi le prese un colpo nel riuscire ad indentificarla.
«Oddio…».
Andò alla ricerca del cellulare in una delle tasche del camice e quando lo trovò compose il numero della sorella in preda al panico.
«Michiru?!».
«Si sorellina, ti sto aspettando!».
«Oh stai bene, grazie al cielo».
«Certo che sto bene. Non capisco cosa sia successo Ami!».
«Non stai vedendo il telegiornale?».
«No, mi sono spostata in maternità. C’era troppo caos all’accettazione. Non volevo stare in mezzo ed era il posto più vicino. Ma cosa sta succedendo?».
Ami tirò un sospiro di sollievo nell’apprendere che la sorella non si trovava al lavoro ma a qualche piano di distanza da lei.
«Dev’essere per l’incendio. Rimani lì, ti raggiungo tra poco ok?».
Terminarono la chiamata e quando Ami fece per scendere le scale udì un rumore strano venire dalla sua destra.
Proveniva dai distributori e non potendo fare a meno di cercare risposte alle proprie perplessità si diresse in direzione di quelli per appurare cosa stesse succedendo.
 
 
 
Sadao era fuori di sé.
Il distributore di bevande fredde gli aveva appena sottratto una manciata di monete senza fargli avere nulla in cambio.
Lo colpì con una stampella e senza risolvere nulla provò dapprima con uno spintone e poi un calcio ben assestato.
«HEY!» Ami lo bloccò con solo l’ausilio dell’indice ben puntato in sua direzione.
Sadao si sentì colpevole come un malintenzionato beccato in flagrante e s’immobilizzò sul posto.
«Io – io…».
«TU, dovresti essere a letto. E poi, non ti facevo un maltrattatore di distributori questa è la mia fonte di sostentamento durante i turni interminabili!».
«Desolato».
«Che succede?». Ami assunse nuovamente un tono comprensivo.
«La tua fonte di sostentamento è una truffatrice».
«Niente resto?» inquisì lei.
«Niente bibita!» esclamò lui.
Ami si guardò attorno con fare furtivo dopo di che colpì ripetutamente su un lato il dispenser ottenendo una lattina di coca cola. Per un attimo si sentì una vera teppista ma quel suo “atto vandalico” era da considerarsi il prezzo da pagare per una buona azione.
«Tu non hai visto niente» gli disse con un sorriso per poi porgergli la bevanda gassata.
Sadao ringraziò con un cenno del capo stando ben attento a non far schiumare il tutto fuori dalla lattina.
«Queste cose ti sono categoricamente vietate».
«Solo i dottori possono prendere a botte i distributori?» domandò ridacchiando.
«No, è vietato a te per i punti. Devi stare attento».
«Va bene».
«Promesso?».
Sadao con lo sguardo di un bambino emozionato porse il mignolo ad Ami come faceva da piccolo per sigillare un giuramento.
Ami fece per “agganciarlo” al suo, quando un calo di tensione fece spegnere le luci dell’intero piano.
 
«Dovrebbero accendersi le luci d’emergenza» disse in un fiato Ami.
«T-tra quanto?».
«Tre, due, uno…».
Una luce verdastra apparve a schiarire il buio del corridoio.
«Ecco qua».
Sadao sorseggiò le sue bollicine.
«Ti riporto in camera?».
«Accetto volentieri un passaggio!» ridacchiò lui.
 
 
 
 
 
 
Michiru si sporse ancora un po’ per guardare oltre il vetro della nursery.
Una fila di otto culle ospitava i sogni di alcuni neonati. E per quanto Michiru ritenessi graziosi tutti i bambini, una sola attirò la sua attenzione. L’unica con due occhioni scuri spalancati e la manine sollevate in direzione del soffitto come a voler catturare l’aria con le sue microscopiche dita.
«Ooh come sei carina…» soffiò tra sé e sé ritrovandosi con un dito a battere piano sul vetro come a volerla raggiungere.
«Ma perché tu non hai un nome?».
Lo sguardo ceruleo vagò da culla a culla. Ognuna era dotata di una targhetta azzurra o rosa riportante il nome del neonato, ma quella della bambina in questione era vuota.
Michiru cominciò a fantasticare cercando di scorgerne meglio i tratti e pensare a quella nome le sarebbe stato meglio addosso.
«Forse…Noriko…? Mh, ti starebbe bene ma hai lo sguardo più da…» le luci si spensero facendo piombare il reparto neonatale nel buio più totale.
«Caspita, ma che succede?».
I bambini dormivano, ma Michiru riusciva a intravedere anche nel buio la sagoma della bambina.
«Hotaru» sibilò con il tono pieno di stupore di chi ha appena avuto una rivelazione.
La piccola Hotaru come una lucciola riusciva a risplendere nel buio.
 
 
***
 
 
L’aria si era fatta irrespirabile e densa di fumo.
Nel cortile del palazzo un nugolo di gente si era accalcata. Si trattava per lo più delle persone che erano state evacuate e di un esiguo numero di curiosi che non aveva potuto far a meno di riprendere la scena con i propri cellulari.
Era sopraggiunta anche una pattuglia di polizia e una troupe di giornalisti armata di microfoni e telecamere pronti a catturare lo scoop della giornata.
Jadeite guardò ancora dietro di sé e sbatté le arcate dentali in un impeto di frustrazione. I soccorsi non erano ancora arrivati, c’era solo qualche collega intento a tenere a bada le persone che volevano avvicinarsi troppo all’edificio.
Un altro gruppetto di persone uscì dalla porta principale. Si trattava di una donna e un paio di ragazzi che tossendo vigorosamente vennero raggiunti da Jadeite.
«Avete visto la mia collega?» domandò frettoloso senza accertarsi delle condizioni dei superstiti.
La donna prese un respiro a pieni polmoni e con voce rauca gli rispose.
«Eravamo all’ottavo. Ci ha fatto scendere appena in tempo».
«Non è scesa assieme a voi?!».
Un cenno di diniego e il peso delle responsabilità cominciò a farsi sentire sulle spalle del giovane.
«Porca miseria…» si levò la giacca e si aprì il colletto della camicia.
Prese un profondo respiro e mollò tutto in mano a Misato che allarmata cominciò a farfugliare in modo concitato.
«Che cosa fa?!».
«Vado a recuperare un membro della squadra cosa ti pare stia facendo!?».
«Ma…i pompieri…».
«L’avevo detto era un lavoro per loro, ma non ci sono!».
«Stanno per arrivare» l’avvisò un altro poliziotto con la ricetrasmittente in mano. «Erano imbottigliati nel traffico».
Jadeite rispose con un cenno del capo e Misato in piena crisi mistica urlò per avvisare tutti dell’arrivo dell’ambulanza.
«Ok. Vado».
«Ma…».
«Ci sono i soccorsi no?!».
Lei annuì poco convinta.
«Ricordati. Non si lascia mai nessuno indietro. Per quanto fastidioso sia» e senza che nessuno riuscisse a trattenerlo e o a fermarlo, Jadeite entrò nell’edificio in fiamme.
 
 
L’inferno sceso in terra era quello.
Abbandonato dal demonio, irrespirabile e rovente.
Jadeite salì più velocemente possibile le scale. Ogni gradino verso l’alto diventava un supplizio.
Nel vano scala trovò un estintore e arrivato all’ottavo ebbe l’impressione che le pareti si stessero accartocciando su se stesse.
Non sapeva quanto avrebbe resistito. Il fazzoletto sistemato alla meno peggio sulla bocca e il naso non sarebbe durato in eterno.
Avanzò di qualche passo quando una trave divorata dalle fiamme gli sbarrò la strada.
Fece un balzo all’indietro e prego di vedere comparire i pompieri da un momento all’altro, ma tutto quello che scorse fu Haruka abbandonata sul pavimento.
«Quella ragazzaccia…».
Il ragazzo sbloccò la valvola rompendo il sigillo dopo di che fece pressione sulla leva per liberare l’agente all’interno del serbatoio facendosi largo oltre la trave infuocata fino ad arrivare ad Haruka.
«Ok, svegliati idiota. SVEGLIA!» le mollò uno schiaffo in viso ma non ebbe risposta.
Qualcosa cigolò e il caldo si fece sempre più insopportabile tutto attorno a loro.
Jadeite estinse un’altra lingua di fuoco e con fatica si caricò Haruka in spalla con la netta sensazione che non sarebbero mai usciti vivi di lì.
 
 
***
 
 
Erano avanzati nel buio a passo lento poiché non voleva Sadao si affaticasse inutilmente e quando il cercapersone le vibrò una seconda volta nella tasca del camice si bloccò tentando di decifrare il messaggio che l’era stato inviato.
Ami strizzò gli occhi a causa della scarsa luce poi spostò l’aggeggio sotto al fascio flebile e verdastro della luce d’emergenza.
Rimase bloccata per un secondo in un’immobilità tanto irreale da far preoccupare il giovane al suo fianco.
«Guai in sala operatoria?» domandò lui con un filo di voce e tentando di ignorare il dolore alla ferita sull’addome.
Le pupille di Ami cercarono le sue. Deglutì rumorosamente e in un sussurro gli diede la risposta che mai avrebbe creduto di dover dire.
«È un protocollo di emergenza».
«Un’esercitazione?».
«No. Dura troppo per esserlo».
 
 
 
 
Mamoru si precipitò nella sala infermiere a ridosso dell’accettazione.
«Avete chiuso tutti gli accessi signore?».
«Si dottore. La capo sala ha fatto sì che nessuno possa entrare o uscire da qui fino ad emergenza conclusa».
«Ok, bene. Sapete dirmi qualcosa di più su cosa sta succedendo?» domandò cercando di mantenere la calma e un il tono più professionale possibile.
«Non ancora».
«Cercherò di informarmi io. Voi rimanete qui d’accordo?».
Le tre donne annuirono e il moro si richiuse la porta alle spalle.
Passò davanti alla sala ristoro dei chirurghi, buttò un’occhiata veloce al tabellone e intuì che quattro sale operatorie erano ancora occupate da medici con tanto di pazienti sul tavolo.
«Cosa cavolo sta succedendo?» parlò a bassa voce tra sé e sé e decise avrebbe controllato ogni reparto lui stesso sino ad avere più chiara la situazione e affrontare al meglio l’emergenza in corso.
Si diresse a passo svelto in maternità, la luce d’emergenza era attiva anche lì. Controllò velocemente un paio di stanze quando udì uno strano rumore provenire dalla nursery.
Un frugare concitato e irrequieto.
Mamoru trattenne il respiro, si appiattì con la schiena al muro per risultare più circospetto possibile quando notò la figura di una donna alla ricerca disperata di qualcosa.
«COSA STA FACENDO?!».
Michiru si voltò di scatto e se solo lui avesse potuto vederne chiaramente i tratti ne avrebbe scoperto la preoccupazione profonda in viso.
«Signorina Kaiō…».
«Io…o cavolo! Dottor Chiba! Grazie a Dio!».
«Non volevo esser così brusco ma…».
«Dottore la bambina ha qualcosa che non va! Non so cosa devo fare! Sono entrata per cercare di aiutarla perché non ho trovato nessuno e…».
Mamoru si avvicinò alla culla di quella che Michiru aveva soprannominato Hotaru.
«Ha una crisi respiratoria…».
Michiru si portò le mani alla bocca. Non aveva mai sentito quella sensazione di panico così vivida in vita sua.
 
 
 
 
«Okay, penso la tua seduta debba aspettare» sentenziò Minako cominciando a camminare in punta di piedi.
Il corridoio era buio e un silenzio inquietante era calato nel reparto di psichiatria.
Rei la fissò da capo a piedi come avrebbe fatto con un alieno. Incrociò le braccia e liberò un sonoro sbuffo.
«Cosa stiamo facendo?» le chiese anche se poco interessata alla risposta.
«Siamo circospette» le rispose l’altra acquattandosi dietro ad un muro.
«Si ma…perché?».
«Sicura di essere una poliziotta?» sbottò Minako riprendendo una posizione eretta.
Rei non rispose e si limitò ad un’occhiataccia.
Qualche passo echeggiò in loro direzione fino a che il fascio di una torcia non le colpì in viso.
Uno degli addetti alla sicurezza si parò dinnanzi a loro con fare frettoloso.
«Che ci fate in giro?!».
«Eravamo già in giro quando ci siamo ritrovate al buio. Che succede agente?» domandò la bionda facendo una leggera presa sul polso di Rei.
«Sembra che un paziente del reparto psichiatrico sia a zonzo…» fece un’espressione che sottolineava tante cose e aggiunse un «uno di quelli pericolosi».
«Fantastico» il sarcasmo macchiò la voce di Rei.
«Cercate di mettervi in sicurezza» ripeté la guardia.
«Dobbiamo trovare Ami» disse sottovoce Minako alla morettina.
Rei sospirò un’altra volta pensando al fatto di esser stata costretta a consegnare distintivo e arma ed esserne sprovvista in quel momento.
«Io convivo con uno yakuza da anni e so come cavarmela, ma Ami no. Dobbiamo trovarla, subito».
 
 
***
 
 
«Perché il protocollo di emergenza non richiede l’ausilio della normale illuminazione?» domandò incuriosito Sadao.
Era passato parecchio dal momento in cui aveva provato quella sensazione; quella in cui panico ed eccitazione s’intrecciano così saldamente da non riuscire più a distinguere l’una dall’altra. Forse l’ultima volta corrispondeva ai tempi della scuola di polizia o magari ancora prima al liceo.
Non che fosse mai stato uno studente spericolato, anzi, probabilmente aveva compiuto una sola “bravata” in tutta la sua carriera di ragazzino e per lo più persuaso da qualche compagno.
«Non so se sia normale» ammise Ami vergognandosi non poco per la scarna conoscenza su quell’argomento. Non era da lei non avere la risposta esatta e precisa ad una domanda.
«Forse c’è stato un guasto ed è scattata la riserva di energia per le sale operatorie o…».
«SSHHT!» Sadao la interruppe bruscamente spingendola verso la parete.
Non sapeva perché ma l’eccitazione provata poco prima era stata malamente soffocata da un sensazione di pericolo che ora gli batteva in petto.
Ami, con gli occhi sbarrati cercò il suo sguardo nel buio non trovandolo perché concentrato altrove.
«C’è qualcuno» sibilò lui.
«Un ospedale è pieno di gente» sottolineò lei con un filo di voce tanto basso da risultare quasi impercettibile.
Eppure all’improvviso pareva essersi svuotato.
Qualcosa riecheggiò.
Un fischiettio distorto.
Sadao corrugò la fronte. Chi mai avrebbe passeggiato tranquillo in una situazione del genere per lo più fischiettando?
D’istinto la sua cassa toracica si schiacciò di più contro quella di Ami. Se solo non fosse stato tanto preso dal domandarsi se si fosse assopito davanti a qualche film horror e di sognare di esserne il protagonista, avrebbe potuto sentire nitidamente il battito cardiaco di Ami confondersi col suo.
Qualcosa nell’ombra si mosse in loro direzione.
Sadao istintivamente portò le mani all’altezza della cintura ma non vi trovò alcuna pistola e a quella rivelazione prese a sudar freddo.
Ami, immobile riuscì a scorgere qualcosa.
Un particolare al polso di chi si stava avvicinando a loro.
Una manetta penzolante.
Ami dovette tapparsi la bocca per non emettere un fiato.
 
«Cucù, chi è la?».
 
Capelli cremisi raccolti in una lunga treccia.
Sadao ebbe un deja vù.
Eudial. Il suo primo vero caso. L’omicida di Setsuna, la causa del dolore di Rei.
La sua voce quasi pronunciò quel nome.
Eudial che non era Eudial; somigliante ma non la stessa.
«Petirol» Ami pronunciò il nome come ad informare Sadao su l’identità della donna. L’aveva letto sulla cartella clinica. Era stata ricoverata da poco e due guardie penitenziare si davano il cambio per sorvegliare la sua porta.
Ami non sapeva quale crimine avesse commesso, né era mai stato il suo dovere esserne a conoscenza.
 
 
***
 
«Ok, proviamo così». Mamoru per quanto fosse un chirurgo eccezionale,  stimato persino fuori dal paese, non era un medico di pediatria. La bambina non era una sua paziente e lui stava per sabotare tutti i protocolli vigenti in quella struttura. Per un momento gli tremarono le mani e avvertì la fronte imperlata di sudore.
«Così come?» domandò apprensiva Michiru, sentendosi un gran carico sulle spalle.
«Ho bisogno di canule più piccole. Guarda su quel carrello alla tua destra».
Le mani curate di Michiru vagarono nella penombra sino ad incontrare alcuni tubicini più sottili dei precedenti che passò frettolosamente al giovane.
«Ok. Ok…» Mamoru sembrò parlare con sé stesso per placarsi mentre magistralmente dotava la piccola di una sorta di mascherina.
«Ti serve quello portatile…»sentenziò lanciando un’occhiata all’ncpap alle spalle di Michiru. Quel macchinario era troppo ingombrante da portare in giro in una situazione del genere e nel bel mezzo di un’emergenza che lui non aveva ancora identificato a pieno.
«Dobbiamo…spostarla?» chiese con un filo di voce.
«Devi farlo tu» la istruì lui, avvolgendo la neonata in una coperta e sistemandogliela fra le braccia.
«Non so quanto duri la batteria e tu devi far piano e usare per forza le scale. Gli ascensori sono bloccati» la ragguagliò lui. «Ecco, tieni. Questa è quella sostituiva in caso si spenga. Portala in terapia intensiva, io faccio in modo di trovare qualcuno che possa occuparsi di lei non può stare qui ora».
Michiru teneva fra le sue braccia quella che gli parve la cosa più fragile del mondo e allo stesso tempo si sentì come l’unica in grado di poter portare a termine quel compito.
A fine giornata, quando avrebbe raccontato tutto ad Haruka, non le avrebbe quasi creduto. Tutto stava assumendo una sfumatura quasi troppo romanzesca per essere vera.
«Dottor Chiba…» mormorò lei carezzando la piccola testa della bambina. «E se per caso si sentisse nuovamente male? Cosa devo fare?».
«In quel caso…corra più veloce che può Michiru».
 
 
***
 
 
Michiru vagava per i corridoi con la piccola lucciola stretta al petto. Ogni suo passo era scandito dal suono elettronico e cadenzato che aiutava a respirare la bambina.
Era un suono lungo, un beep pronto ad entrarle nel cervello e che aveva il suo della rassicurazione.
Ogni beep era un suo passo.
Ogni beep era un battito di Ami a pochi piani di distanza da lei.
Ogni beep era un chilometro d’asfalto nero mangiato dai pneumatici dell’ambulanza sulla quale era stata caricata Haruka.
Ogni beep corrispondeva a un pugno sulla porta di Jadeite per far sì li facessero entrare.
E poi l’ultimo beep venne coperto da un altro suono a lei ormai familiare che aveva imparato non preannunciava mai nulla di buono.
Il rimbombo di uno sparo.



Note dell'autore:
Questo capitolo non accennava a terminare perciò ho dovuto tagliarlo malamente. Oltretutto si è trasformato in una roba degna di Grey's Anatomy...se perdete la pazienza a questo punto vi capisco!! Al prossimo ci diamo un taglio a questa situazione, giuro.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Kat Logan